[Il 27 luglio 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione tratta il tema delle autonomie locali partendo dalle relazioni degli onorevoli Ambrosini e Perassi.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Ambrosini, Relatore. [...] Viene ora la questione forse più spinosa, quella della finanza della regione. Quando si trasferiscono alla regione delle funzioni, è evidente che bisogna darle pure la possibilità di esercitarle. Vi può essere una finanza esclusivamente regionale? In ogni caso, sarà sempre necessario che vi sia una finanza coordinata. Sorge poi la questione di chi deve disporre l'imposizione e del sistema di erogazione delle spese. Nel caso di regioni povere o impoverite deve poter ammettersi che lo Stato non le abbandoni, perché altrimenti l'istituto dell'autonomia politica finirebbe per danneggiare la regione.

[...]

Perassi, Relatore. [...] il problema della regione si connette soprattutto al problema dell'ordinamento tributario. Anche qui, prescindendo dai particolari, possono escogitarsi diversi sistemi: il sistema di una finanza regionale autonoma, nel senso che la costituzione determini essa stessa quali sono le fonti di imposizione per la finanza regionale; e il sistema, nettamente opposto, secondo cui le regioni, avendo la competenza tributaria più larga, concorrono alle spese dello Stato mediante contingenti. Comunque, è certo che il problema dell'ordinamento tributario e della coordinazione della finanza regionale con la finanza dello Stato è fondamentale. In ogni caso, nella costituzione alcuni principî dovrebbero essere posti in maniera netta, allo scopo di disciplinare questa coordinazione e di evitare inconvenienti.

[...]

Einaudi. [...] Rispetto alla finanza crede che si debba tener conto dell'esperienza, la quale dimostra che qualunque tentativo sia stato fatto di specificare le imposte da assegnare ai comuni, alle province o alle regioni e in genere agli enti minori è andato a vuoto, perché ha urtato contro un ostacolo essenziale; qualsiasi sistema preciso di attribuzione di un gruppo di imposte agli enti locali si dimostra o insufficiente o esuberante. È sempre accaduto così, ed è impossibile che una preordinata distribuzione delle fonti tributarie tra l'ente stato e gli enti minori possa soddisfare allo scopo della sufficienza: non si può mai prevedere se le spese della regione potranno essere coperte da quelle imposte. Quindi il sistema è da scartare, e conviene piuttosto fare qualcosa nel senso di negare alla regione la facoltà di stabilire taluni tipi di imposta che, se la regione potesse usarli, li userebbe in senso dannoso all'interesse collettivo. Per esempio, se le si attribuisce il diritto di stabilire molte imposte indirette, come dazi, imposte sui consumi ecc., pur senza volerlo, si crea un sistema di mercato chiuso, che sarà di impedimento al traffico interregionale. Se un principio fermo deve essere scritto in una costituzione, questo è che sia negato a qualsiasi ente locale il diritto di mettere qualsiasi impedimento al traffico tra una località e l'altra. Deve essere invece attribuita alla regione una certa lata facoltà di stabilire le imposte che non sono negate espressamente.

Ma è certo che si verificherà un inconveniente. È probabile che le imposte che possono essere stabilite diano un gettito insufficiente, specie nelle regioni meno progredite. Questa previsione, derivante dalla esperienza, potrà forse suggerire il modo di sostituire, nella regione come nella provincia o nel comune, qualche cosa ai controlli preventivi esercitati da parte dell'autorità centrale, come prefetti, giunte provinciali amministrative, ecc. Bisogna ammettere che qualche ente locale abusi dei propri poteri e allora quali saranno i correttivi? Per le regioni che non hanno da chieder nulla allo Stato, possono essere soltanto quelli d'ispezione; e le ispezioni devono continuare ad esser fatte dalle autorità centrali, a mezzo di ispettori volanti, inviati da un'autorità competente centrale, come il Ministero dell'interno, il Ministero delle finanze, la Sanità pubblica. E quali sanzioni dovrebbero avere i risultati negativi che determinassero il biasimo degli ispettori? Non ve ne è altra all'infuori dell'appello agli elettori. I risultati delle ispezioni sono pubblici, e saranno gli elettori che, in base ad essi, si decideranno a non rieleggere gli amministratori colpevoli. Per le regioni, invece, e per i comuni per i quali le imposte assegnate sono insufficienti e che hanno da chiedere qualche cosa allo Stato, bisogna pensare a qualche altra sanzione in aggiunta a quella del ricorso agli elettori, e questa sanzione evidentemente prende nome di norme relative alla concessione di un contributo dallo Stato alla regione.

La questione dei contributi è delicatissima e forse nessun paese è mai riuscito a risolverla. Quando lo Stato dà contributi agli enti minori che non hanno entrate sufficienti, tutti gli enti minori finiscono per chiedere sempre contributi all'ente centrale, e in questa situazione non vale stabilire in qualsiasi modo l'autonomia: gli enti locali dipenderanno dall'ente centrale che li sovvenziona. La soluzione che è stata trovata dopo molti esperimenti — si può pensare agli esperimenti svizzeri e inglesi — è quella che il contributo non sia stabilito a priori a libito delle autorità centrali, ma siano invece stabiliti dei criteri oggettivi in base ai quali l'ente locale abbia diritto ad un certo contributo. Per esempio, un municipio povero, perché la sua popolazione è scarsa, la ricchezza per testa è insufficiente, il reddito delle imposte molto basso, non potrà avere scuole al di là della seconda o della terza elementare: se si vuole che superi questo limite, è necessario un contributo. Il contributo viene allora dato in funzione di una considerazione oggettiva.

[...]

Lussu. [...] Problema serio è quello delle finanze. Nelle regioni molto povere le finanze costituiranno un problema a sé grave. La Sardegna, per esempio, è un Paese estremamente povero, dove c'è chi muore letteralmente di fame. Ma lo Stato accentratore aggrava enormemente la situazione. Le grandi compagnie industriali e commerciali che lavorano in Sardegna hanno la loro sede fuori della Sardegna ed eludono il pagamento delle imposte locali, sottraendo all'isola centinaia di milioni all'anno.

Quest'isola, estremamente povera, ha però alcune fonti di ricchezza: le miniere, e lo Stato accentratore gliele sottrae. Ha le tonnare, e le tonnare sono concesse come un diritto feudale al marchese di Villamarina. Ha le saline, e lo Stato gliele toglie. Bisogna ridare alla Sardegna la possibilità di sfruttare per sé le scarse fonti di ricchezza di cui dispone.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti