[Il 29 luglio 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Uberti. [...] Sulla questione finanziaria osserva che quasi tutte le legislazioni la rimandano a leggi costituzionali, ma particolari. La nostra questione finanziaria non può non essere legata alla riforma tributaria generale dello Stato, perché, se si attribuiscono alla regione o una percentuale delle entrate attuali o particolari imposte, si rischia, come diceva l'onorevole Einaudi, di avere o la insufficienza o la eccessività. Occorre fare una analisi concreta, in rapporto ai definitivi compiti da attribuire alla regione ed alle sue necessità finanziarie. In molte legislazioni di Stati a sistema federale si ha l'imposizione dello Stato federale; ma dove questa non esiste, si può avere una unica imposizione da ripartire in percentuali fra i vari enti, per non creare imposte nuove. Onde una riforma tributaria generale che stabilisca quale percentuale del gettito debba essere devoluta alla regione. Gli inconvenienti cui si può andare incontro non sono argomento contro una determinata tesi; si tratta di questioni pratiche risolubili. Fondamentale è che il creare un'amministrazione finanziaria della regione accanto a quella dello Stato significherebbe moltiplicare gli organi, col pericolo non solo della doppia imposizione, ma della sperequazione fra le imposte. Ricorda in proposito che nell'antica legislazione austriaca imperiale, oltre alle 21 imposte, esisteva una quotizzazione a favore della regione.

[...]

Mannironi. [...] Ma la regione, affinché possa adempiere a questi suoi compiti, oltre alla potestà legislativa, dovrà avere anche una sua autonomia finanziaria. Si rende conto delle preoccupazioni e delle difficoltà che ha sollevato l'onorevole Einaudi: sono argomenti che rendono perplessi, perché provengono da una fonte non sospetta e soprattutto da un competente in materia. Ma se alla regione non si concedesse un minimo, per lo meno, di autonomia finanziaria, l'esperimento regionalista non sortirebbe buon fine; si ridurrebbe ad una forma di decentramento che non muterebbe la situazione, non farebbe altro che trasformare il centralismo dello Stato lasciando sempre lo Stato dominatore di tutte le situazioni, non dando alcun sviluppo e respiro alle energie regionali, che più direttamente ed utilmente possono occuparsi dei problemi locali. Se non si dà alla regione un minimo di autonomia finanziaria non si risolve nemmeno la questione del Mezzogiorno. Come ebbe a dire l'onorevole Labriola nel suo ultimo discorso in Assemblea: giacché il Mezzogiorno insiste nel volere questa autonomia, per risolvere da sé i suoi problemi, bisognerà che questo esperimento lo si lasci fare. Non si può ignorare questa esigenza delle popolazioni meridionali; la si deve tenere presente in sede di Costituente, dove sono rappresentati tutti gli indirizzi politici, ma anche tutti gli interessi delle varie regioni italiane.

Questa autonomia finanziaria sarà necessaria affinché le regioni che si considerano ingiustamente sfruttate, possano avere la possibilità di rimediarvi. Vi saranno regioni non autosufficienti e tra queste sarà la Sardegna, la quale è certamente una terra molto povera, con i tre quarti o quattro quinti della sua superficie incolta e in gran parte improduttiva; ma ve ne saranno altre autosufficienti. Quindi la necessità dell'intervento dello Stato per costituire una specie di stanza di compensazione, un piano di solidarietà fra le regioni, perché è giusto che le regioni ricche contribuiscano ad integrare i bilanci insufficienti delle regioni povere. Questo è un punto delicato della questione; tuttavia non così grave da potersi ritenere insuperabile. La regione potrà contare sui demani regionali, su determinate imposte: le si potranno assegnare tutte le imposte dirette sui terreni e sui fabbricati; le si potrà consentire l'istituzione di altre imposte, come le si potrà concedere una percentuale sulle imposte di ricchezza mobile e di produzione, che è giusto siano prelevate direttamente dallo Stato.

Le regioni dovranno fare il bilancio preventivo, che potrà essere studiato da organi misti regionali e statali, i quali considereranno fino a qual punto le attività basteranno per supplire alle passività e stabiliranno le necessità di integrazione.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti