[Il 4 giugno 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Macrelli. [...] Altro problema: l'autonomia finanziaria. Anche su questo punto il progetto supera le difficoltà, fissa dei semplici principî, e, naturalmente, non è chiaro e si presta a quelle interpretazioni equivoche, cui accennavo prima, a proposito della potestà legislativa.
L'articolo 113, infatti, si limita a dire questo: «Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali che la coordinano con la finanza dello Stato e dei Comuni. Alle Regioni sono assegnati tributi propri e quote di tributi erariali...». Successivamente, l'articolo parla del demanio, del patrimonio delle regioni. Ora, tutto questo è generico, non è specifico; sono direttive di ordine generale, non si fissano, non si stabiliscono delle norme, pur accennando al sistema tributario, che dovrebbe basarsi su di un duplice criterio: la Regione avrà imposte proprie ed aliquote di imposte erariali.
Ora io penso che — invece di lasciare ad un'altra legge costituzionale il compito di fissare i criteri fondamentali in questa materia molto delicata — sarebbe stato forse più opportuno affrontare il problema in questa sede.
Ad ogni modo, di fronte alla posizione assunta, siccome la Regione non potrà vivere ed iniziare la sua vita se prima non saranno approvate quelle leggi costituzionali che coordinino l'autonomia finanziaria della Regione con la finanza dello Stato e dei Comuni, si dovrà provvedere d'urgenza alla formazione di tali leggi, altrimenti noi creeremmo un corpo inerte, senza vita e senza vitalità.
Un'altra osservazione riguarda il contributo dello Stato ai fondi d'integrazione delle finanze regionali. Qui cadiamo un po' nel paradosso: parliamo di autonomia e chiediamo l'intervento dello Stato; naturalmente questo sarà accompagnato da opportuni controlli, nell'interesse nazionale, perché sin d'ora si pensa che forse il peso maggiore sarà sostenuto dallo Stato.
Noi sappiamo infatti che per la integrazione dei loro bilanci gli enti locali, nell'esercizio finanziario '44-'45, hanno gravato per oltre 20 miliardi sul bilancio statale.
[...]
Preziosi. [...] Io, ad un certo momento, potrei ammettere anche il sistema regionale; ma se si parlasse di sistema regionale a grande raggio, e non di spezzettamento, come chiaro si manifesta in queste discussioni che si svolgono da giorni nella nostra Assemblea. E poi, onorevoli colleghi, diciamo chiaramente che, se mai, si poteva forse parlare di ordinamento regionale nella nostra Italia solo nel 1870 o nel 1880. Volete parlare di ordinamento regionale in Italia nel 1947 senza considerare la povertà delle nostre Province meridionali? Ma si dice: il sistema regionale ammette senz'altro l'indipendenza economica. E si dimentica che l'indipendenza economica, nel caso specifico, non ci può essere in alcun modo. È stato dimostrato da altri oratori come una indipendenza economica vera e propria non ci possa essere. Lo hanno detto gli onorevoli Assennato e Cifaldi, diversi colleghi ancora; e lo dirà poi bravamente, col suo valore, l'onorevole Nitti, quando parlerà, al termine di questa nostra discussione, del problema che è da considerarsi il vero ostacolo alla creazione di queste autonomie regionali: il problema finanziario.
Signori, volete o no capire che molte Regioni sono povere nel senso più assoluto della parola? Come potete, voi che sapete quali fondi lo Stato deve erogare a integrazione dei bilanci comunali — anche dei piccoli comuni — non voler considerare il problema finanziario? Insomma sarebbe un fallimento nel suo sorgere perché noi sappiamo che non si può concedere un prestito ad un negoziante fallito o che sta per fallire. Bisogna metterlo in condizioni non soltanto di poter sopperire a quelle che sono le sue necessità quotidiane; bisogna metterlo non soltanto in condizione da pagare i suoi debiti, ma in condizione di avere nelle sue tasche i denari che gli bastino per iniziare di nuovo l'impresa del suo commercio. Ora nel caso specifico della nostra Nazione, tutti sappiamo in quali condizioni siamo e quali sarebbero i rancori fra Regione e Regione con le autonomie che dal nostro progetto sono previste. Noi avremmo Regioni ricche le quali non vorrebbero in alcun modo pensare alle Regioni più povere; e non sarebbe certo lo Stato che potrebbe venire in aiuto a queste Regioni più povere; sappiamo come in altri periodi, assai recenti, ordini prefettizi locali impedivano l'esportazione di prodotti dalle Province più ricche alle Province che ne avevano bisogno.
[...]
Adonnino. [...] Due parole per quanto riguarda la finanza. È un punto gravissimo. Si può osservare che l'articolo 113 del nostro progetto è in un certo senso vago, ma vago deve essere, onorevoli colleghi.
Sarà la legge successiva a specificare. Ora, la paura fondamentale in questo campo, quale può essere? Può essere quella di un eccessivo aggravio ai contribuenti. E quello di cui bisogna preoccuparsi è la possibilità delle multiple imposizioni. Tra Stato e Stato si solleva ora il problema delle doppie imposizioni. Se non si andasse parchi nell'organizzare l'autonomia delle finanze regionali, si cadrebbe nelle imposizioni non duplici ma multiple. Specialmente adesso, col nuovo sviluppo delle industrie e dei commerci, con la mobilità che hanno individui e capitali e per il fatto che molta gente possiede in molte parti d'Italia industrie o commerci, non vi pare che questo sia un grave problema che deve farci guardinghi? Questo complesso d'imposizioni che s'intrecciano le une con le altre può gravare moltissimo i contribuenti. Il vero guaio è il nostro sistema tributario: è una fontana in cui tutti quelli che vanno aprono e prendono acqua ognuno indipendentemente dall'altro. Ma la fontana è una sola e bisogna pur preoccuparsi che non s'inaridisca perché, inaridendosi, tutta la vita del Paese s'inaridisce. A questo punto bisogna ovviare, e non aumentare questi inconvenienti che aumenterebbero con le Regioni. Però mi pare sia opportunissimo il primo comma dell'articolo 113 quando dice: «Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali che la coordinano con la finanza dello Stato e dei Comuni». Serva come monito per agire con grande prudenza. Che poi ci debbano essere fonti addette esclusivamente alle Regioni e fonti per lo Stato, è perfettamente naturale. Noi troviamo anche naturale che lo Stato con i fondi che riceve dai contributi erariali possa aiutare questa o quella Regione. Torniamo sempre al concetto che siamo tutti membri di un unico organismo e figli di un'unica famiglia: non dobbiamo dividerci, non dobbiamo essere armati l'uno contro l'altro, ma l'afflato della fraternità deve sempre vigere e ricordare a tutti il principio supremo dell'unità della Patria.
A cura di Fabrizio Calzaretti