[Il 6 giugno 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Belotti. [...] Una delle obiezioni più consistenti è senza dubbio rappresentata dal timore di un ritorno all'economia chiusa, all'economia curtense, come la chiamano gli storici dell'economia. Le condizioni ambientali di questo nostro tormentato dopoguerra — si dice — dovute anche alle difficoltà dei trasporti, hanno contribuito a creare l'illusione che ogni Regione possa fare da sola. Non appena i traffici avranno raggiunto la normalità, si avvertirà che la Regione non è che una inutile e pesante sovrastruttura che non permette di mobilitare, per la ricostruzione, sul piano unitario, tutte le forze e le risorse economiche della Nazione. È una obiezione di rilievo. Gli stessi compilatori del Progetto, in considerazione di questo pericolo, hanno messo le mani avanti, con l'ultimo comma dell'articolo 113, riguardante il divieto di provvedimenti regionali che in qualsiasi modo ostacolino la libera circolazione delle persone e delle cose dall'una all'altra Regione.

Tuttavia, a parte la considerazione che l'epoca contemporanea, ed in particolare il difficile periodo postbellico in cui nasce la nostra nuova Costituzione, sono tutt'altro che propizi al risorgere di autarchie regionali nel settore economico e che la paventata (od auspicata) autosufficienza regionale non è che un assurdo economico, sta di fatto che rimane intatta e sovrana, nelle materie di essenziale importanza, la competenza dello Stato come coordinatore, arbitro superiore e propulsore di tutta l'economia nazionale.

Molti colleghi hanno prospettato, spesso drammatizzando, le difficoltà in cui la riforma verrebbe a lanciare le Regioni povere, soprattutto del Mezzogiorno.

Ma è chiaro che lo Stato non potrà negare ad esse, in relazione alla riforma tributaria e volta per volta a ragion veduta, i necessari contributi integrativi. L'articolo 113 del Progetto stabilisce appunto: «Il gettito complessivo dei tributi erariali è ripartito in modo che le Regioni meno provviste di mezzi possano provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni essenziali. Allo stesso scopo possono essere istituiti fondi per fini speciali, in base a leggi della Repubblica che determinano i contributi dello Stato e delle Regioni, e la gestione e la ripartizione dei fondi».

Ma anche le popolazioni meridionali si sentiranno stimolate dalla riforma a non attendere tutto dalla sempre inadeguata comprensione del Governo centrale. La libertà piace e deve piacere anche ai poveri!

[...]

Ultima nella mia modesta rassegna critica, ma certo in primissima linea per importanza, la vexata quaestio dell'autonomia finanziaria.

La possibilità di autofinanziamento è senza dubbio condizione e presidio della autonomia politico-amministrativa.

L'articolo 113 del Progetto contiene l'affermazione generica del principio dell'autonomia finanziaria, limitata però (e a mio avviso, giustamente) in virtù del previsto coordinamento con le finanze dello Stato.

Intanto sembra chiaro (anche se non risulta esplicitamente) che i tributi a favore della Regione saranno istituiti soltanto con legge dello Stato. La materia è (ovviamente) rinviata a leggi speciali di carattere costituzionale. Queste dovranno aver cura di realizzare la semplificazione, evitando l'appesantimento del già troppo intricato e macchinoso sistema tributario italiano. Altro scoglio da evitare: l'eccessivo inasprimento del gravame fiscale complessivo, in un Paese come il nostro, a pressione fiscale già molto forte.

La ripartizione del gettito complessivo dei tributi erariali, a mio avviso, dovrebbe essere regolata secondo i servizi che Stato, Regione, Provincia, Comune dovranno rendere ai cittadini e non secondo un criterio di erogazione ad libitum della volontà centrale, pur non trascurando l'esigenza di integrazione a favore delle Regioni più povere.

Non bisogna sottovalutare il pericolo che il previsto coordinamento con la finanza dello Stato venga, di fatto, a risolversi in un potere discrezionale, o in una nuova tutela.

Ciò premesso, io vedo anche nel principio dell'autonomia finanziaria, cardine dell'autonomia regionale, un potente contributo allo sviluppo del senso di responsabilità nel cittadino, alla migliore misurazione delle possibilità effettive al metro delle reali possibilità contributive.

E lo vedo oggi, soprattutto: in questo tormentoso periodo di emergenza, in cui tutti, cittadini ed enti, bussano a denari alle casse dello Stato, come se il Tesoro fosse una specie di pozzo di san Patrizio.

In conclusione, onorevoli colleghi, io penso che, se i milioni di fine secolo decimonono e i miliardi dell'allegra finanza fascista, anziché nelle guerre grandi e piccole, fossero stati in parte tesaurizzati e in parte spesi nell'incremento igienico, agricolo, industriale e culturale delle Regioni d'Italia, specie delle più povere e delle più abbandonate, oggi il nostro Paese sarebbe alla testa dei Paesi civili.

Dando voce reale, effettiva e libera al popolo nostro, non solo attraverso l'elettorato, ma altresì attraverso la rappresentanza regionale, noi renderemo un grande servizio alla causa della democrazia. Precostituendo zone di interessi locali autonomi, noi otterremo il temperamento dei monopoli statali dell'amministrazione e della finanza, rendendo più difficili le manomissioni del pubblico denaro e le diversioni del Tesoro verso speculazioni nazionaliste! (Applausi Congratulazioni).

[...]

Nitti. [...] Nessuno mi ha voluto spiegare quali saranno le entrate finanziarie della Regione, non volendosi far scomparire del tutto la Provincia quale ente intermedio. Se volete far scomparire la Provincia, quali saranno le entrate della Regione differenti da quelle dello Stato? Come se ne disporrà? Non voglio invelenire le dispute, ma vi pare serio che si facciano come dei trattati fra una Regione e l'altra per regolare alcune materie? Vi pare serio che si arrivi in questa materia regionale all'assurdo di pensare di disporre delle risorse dello Stato a proprio beneficio e di contribuire il meno che si può allo Stato? Non voglio inacerbire la questione, parlandone, ma non è possibile non tenerla presente.

[...]

Piccioni. [...] Io ho finito. La questione finanziaria è, evidentemente, uno dei punti più sensibili della costruzione dell'ente Regione e io non voglio riprendere i motivi già contenuti a questo riguardo nel programma del Partito socialista italiano. Voglio dire soltanto che di difficoltà, evidentemente, ce ne sono per qualunque cosa si voglia fare. Vedremo, andando avanti, che ci sono anche non minori difficoltà per realizzare una nuova struttura democratica dello Stato, anche per altri aspetti. Tra queste difficoltà, quella di carattere finanziario, evidentemente, è una delle maggiori; ma è tale da far rinunziare alla trasformazione dello Stato in questo senso? No, non è tale. Perché la finanza dello Stato è quella che è ed è quella che potrà essere, ma c'è anche una finanza degli enti locali, è prevista in quel determinato modo che noi sappiamo; è prevista e deve essere elaborata anche la riforma generale tributaria.

Ora, in una nuova visione della situazione tributaria finanziaria del Paese credete proprio (io qui vorrei ricorrere ai tecnici che sono oggi così di moda, ai tecnici finanziari, in modo particolare) credete proprio che i tecnici non abbiano risorse tali da inquadrare anche la finanza regionale in quello che è il più ampio sistema finanziario dello Stato? Mi pare che non sia una prospettiva fuori della realtà e delle possibilità.

Si dice: «Ma è un nuovo carico che voi imponete allo Stato attraverso la creazione di questo ente».

Ma lo Stato non può essere inteso come quello che è attualmente, non deve rimanere imperturbato, così come è; lo Stato può e deve trasformarsi. Noi non vogliamo creare l'ente Regione perché, creato l'ente Regione a sé stante, l'organismo dello Stato continui a vivere così come ha vissuto finora: questo sarebbe assolutamente sterile e fuori di ogni evoluzione storica. Noi concepiamo l'ente Regione come lo strumento determinante per una trasformazione, per una riduzione dei compiti e dei servizi dello Stato, perché lo Stato si snellisca, diventi più agile e più pronto e risponda meglio a quelle che sono le sue specifiche alte funzioni il cui potenziamento può garantire in maniera veramente seria e concreta l'unità e l'avvenire del Paese.

E allora, in rapporto con questi fattori, che sono concomitanti, che non possono evidentemente essere valutati distaccati, anche la questione dell'impostazione finanziaria deve essere superata; può essere superata.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti