[Il 6 dicembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]

Il Presidente Terracini apre la discussione sull'articolo 18 del progetto:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di tutti i poteri necessari per l'adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge.

«Soltanto la volontà delle popolazioni interessate potrà determinare la modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti, o la creazione di nuovi Comuni».

Leone Giovanni è contrario alla disposizione del capoverso, in quanto è possibile — e l'esperienza ammonisce in questo senso — che le popolazioni interessate siano determinate a chiedere la modificazione di circoscrizioni o la creazione di nuovi Comuni in base ad elementi (motivi sentimentali, contrasti tra Comuni, ecc.) non rispondenti alle effettive necessità locali. A suo avviso, la decisione dovrebbe essere rimessa al giudizio di un ente superiore che esaminasse la situazione obiettivamente. All'uopo propone il seguente emendamento: «La modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti o la creazione di nuovi Comuni è disposta dall'Assemblea regionale, a condizione che sia espressa analoga volontà dalle popolazioni interessate».

Perassi domanda se l'ordinamento dei Comuni è materia di competenza dello Stato o della Regione; in altri termini, se deve essere disciplinato esclusivamente da leggi dello Stato, ovvero se la Regione ha, al riguardo, una competenza legislativa di integrazione.

Grieco, circa il quesito posto dall'onorevole Perassi, osserva che, essendo la Regione disciplinata da una legge dello Stato, dovrebbero esserlo anche i Comuni.

Accetta quindi la proposta dell'onorevole Leone di lasciar decidere della creazione di nuovi Comuni e della modificazione delle circoscrizioni di quelli esistenti l'Assemblea regionale.

Quanto al primo comma suggerisce di precisare: «dotati di tutti i poteri necessari e delle condizioni per l'adempimento delle funzioni, ecc. ...».

Fabbri ricorda che nell'articolo 3[i], tra le materie di esclusiva competenza regionale, si è inclusa la voce: «modificazioni delle circoscrizioni comunali». Propone di aggiungervi l'espressione: «previa richiesta delle popolazioni interessate», sopprimendo il capoverso dell'articolo in esame.

Zuccarini trova che riservare al Comune un solo articolo rappresenta ben poca cosa per un argomento tanto importante. Non vede perché la Costituzione dovrebbe limitarsi ad una semplice enunciazione, quando in molte Costituzioni l'ordinamento comunale ha formato oggetto di una esplicita disciplina a sé stante.

Ricorda che il problema dell'autonomia comunale si agita da tempo e che recentemente si è ricostituita l'Associazione per le autonomie locali. L'importanza del Comune nella vita nazionale è stata sempre sentita, così come sono state sempre lamentate e denunciate le enormi difficoltà frapposte all'esplicazione della sua attività, originate soprattutto dallo scarso interesse delle popolazioni alla vita comunale disciplinata e contenuta dalla ingerenza prefettizia su tutti gli atti amministrativi e dalla uniformità della legislazione stessa in materia. Da più parti si suole lamentare che i Comuni abbiano assolto e assolvano male le loro funzioni. La verità è invece che per funzionare hanno dovuto sempre compiere miracoli, in quanto ogni loro azione era subordinata all'approvazione del Prefetto, e nessuna possibilità era lasciata alla loro iniziativa. Senza dire della assurdità della legislazione uniforme, che poneva i grandi Comuni e i piccolissimi sullo stesso piano con la stessa organizzazione e con gli stessi uffici, lasciando all'arbitrio dell'autorità centrale perfino la delimitazione dei loro confini.

Dopo queste premesse, tiene a mettere in evidenza come nel suo progetto di ordinamento regionale si affermasse — e crede che la Costituzione debba contenere una enunciazione del genere — che il Comune deve essere nell'ordinamento dello Stato italiano il «nucleo fondamentale della libertà e dei diritti del cittadino». Egli considera, infatti, il Comune, non già come centro di lotte intestine, ma come la scuola politica della Nazione. Nella sua giovinezza ha partecipato attivamente alla vita degli enti locali, rilevando che ciò che più interessava, e spesso divideva i cittadini, era la risoluzione dei problemi locali, sulla quale ogni cittadino finiva per manifestare il suo giudizio particolare e non quello del suo partito politico. Ritiene pertanto necessario affermare il carattere di autonomia del Comune ed il suo diritto di trasformare ed adattare la propria amministrazione ai bisogni ed alle esigenze locali. L'impossibilità di una amministrazione uniforme è poi resa evidente dalla diversità di ampiezza e di carattere dei Comuni; a fianco ai grandi e ai grandissimi ve ne sono di piccolissimi; alcuni amministrati fino al periodo fascista con sistemi patriarcali, che, appunto perché erano piccolissimi, avevano fatto ottima prova; altri a carattere rurale, ma ove il centro urbano tende a prevalere trascurando gli interessi rurali della periferia; altri quasi esclusivamente urbani come per le grandi città. Da ciò deriva la necessità di una organizzazione differenziata con la facoltà per ogni comune di autoregolare la propria vita amministrativa. Nel suo progetto egli si riferiva a tali possibilità e si esprimeva così:

«Art. 2. — Sulla base della situazione di fatto esistente i Comuni sono liberi di conservare e di modificare la loro struttura interna ed il loro funzionamento secondo le particolari esigenze. Nessuna restrizione potrà in ogni caso essere apportata alla partecipazione alla vita locale del cittadino e ai suoi diritti elettorali».

«Art. 3. — L'autonomia del Comune potrà svolgersi:

a) nel suo ordine interno, nella ripartizione dei suoi uffici, con la creazione di amministrazioni ed anche di rappresentanze distinte per determinate frazioni del Comune, con una separazione tra zona urbana e zona rurale o con la suddivisione, per Comuni più grandi e popolosi, in rappresentanze e amministrazioni rionali distinte;

b) nelle attribuzioni, con una estensione dei suoi compiti e dei suoi interventi in opere e servizi ritenuti di utilità comune;

c) nei diritti della popolazione, assicurando ad una parte di essa la facoltà di separarsi dal Comune per crearne uno nuovo o per aggregarsi ad un altro vicino o di esigere una amministrazione distinta nell'ambito dello stesso Comune (è il caso di molte frazioni, le quali, essendo lontane dal centro urbano, finiscono per essere da questo trascurate);

d) nei riguardi esterni, con la facoltà di unirsi ad altri nell'esercizio di determinate attività o per l'esecuzione di particolari opere o di unificare con essi, per ragioni di economia o di semplificazione, uffici e servizi amministrativi anche di carattere interno; di costituire con essi, in forma consorziale, organi di rappresentanza e di esercizio per opere e servizi in comune, di aggregarsi ad una piuttosto che ad altra Regione confinante; di scegliersi con i rapporti con la Regione e con lo Stato nazionale le sedi di ufficio a cui far capo ritenute più comode e convenienti».

Infatti anche oggi ad esempio, così per quel che riguarda le preture, come per tutte le sedi di ufficio a carattere statale, spesso si riscontra che alcuni Comuni sono assegnati arbitrariamente ad una sede mandamentale molto lontana, quando ve n'è una più vicina ma appartenente ad altra circoscrizione. Bisogna evitare che questa scelta sia lasciata al Governo centrale, che può essere influenzato da motivi politici, ed affidarla invece alla libera determinazione dei Comuni interessati.

Un'altra questione che ritiene molto importante ai fini della autonomia comunale è che venga assicurata l'autonomia amministrativa degli enti di assistenza, di previdenza e di beneficenza. Molti di questi enti durante il periodo fascista sono stati trasformati ed il loro patrimonio è stato disperso, e ridotto a poche cartelle di debito pubblico, o ne è stata mutata la destinazione. È necessario che anche tali enti, che hanno una grande importanza locale, non siano più soggetti nella loro gestione a criteri dettati dal centro, ma abbiano una gestione autonoma. A tale fine egli aveva predisposto il seguente articolo: «L'autonomia amministrativa si estende a tutti quegli Enti di assistenza, previdenza, ecc. creati, con mezzi e per fini locali e che costituiscano un patrimonio che deve essere localmente conservato e tutelato.

Ove tali Enti non abbiano già amministratori propri di diritto, la nomina di questi appartiene alla rappresentanza comunale».

Altro punto infine che merita considerazione è quello dei servizi di Stato delegati al Comune. I Comuni negli ultimi tempi sono stati oberati di lavoro svolto per conto esclusivo, o quasi, dello Stato. Indubbiamente sono servizi (leva, tesseramento, ecc.) che devono essere posti alle dipendenze dei Comuni; tuttavia ritiene indispensabile affermare il principio che questi servizi, che sono propri del Comune, ma svolti nell'interesse dello Stato o di Enti parastatali, debbano essere compensati a parte. Così facendo si toglierà una delle principali cause di deficit dei bilanci comunali ed un incentivo al moltiplicarsi della burocrazia comunale.

Concludendo, dice che non presenterà speciali proposte di emendamento, ma chiede solamente che la parte relativa ai Comuni sia meglio e più estesamente compilata. Le sue proposte potrebbero così essere perfezionate ed integrate in modo da formare quattro o cinque articoli da includere nella Costituzione. Tale lavoro di redazione potrebbe eventualmente essere assolto da un ristrettissimo comitato di due o tre membri.

Ambrosini, Relatore, risponde brevemente alle obiezioni che l'onorevole Zuccarini ha nuovamente sollevato. Questi desidererebbe che alcuni diritti dei Comuni (modificazione delle circoscrizioni, riunione di Comuni, funzionamento interno, possibilità di istituire consorzi, ecc.) che sono già disciplinati dalle leggi vigenti, venissero riconfermati in modo solenne nella Costituzione. Il Comitato invece ha ritenuto che la dizione adoperata nel primo comma dell'articolo 18 costituisse una adeguata salvaguardia di tali diritti. Anche l'onorevole Lami Starnuti, il quale aveva impostato il suo schema proprio sulla regolamentazione dell'organizzazione comunale, finì per accedere al parere prevalente nel Comitato, riconoscendo che sarebbe stato più opportuno rinviare la materia ad una apposita legge organica.

Riferendosi poi alla più radicale proposta dell'onorevole Zuccarini di dare ai Comuni la facoltà di organizzarsi e disciplinarsi nel modo che ritengano più conveniente, osserva che non è possibile accedervi senza trasformare la stessa struttura fondamentale del diritto pubblico moderno. Se si riconoscesse ai Comuni la potestà di autoorganizzarsi, si creerebbe nello Stato una tale varietà di organismi municipali da far pensare a quella del medioevo. Fa presente che una siffatta potestà non è attribuita, con l'ordinamento regionale in esame, nemmeno alle Regioni, giacché l'organizzazione delle Regioni è stabilita dallo Stato nella Costituzione: sarebbe quindi inconseguente attribuirla ai Comuni. Questi debbono avere la piena autarchia, debbono cioè potersi amministrare liberamente per mezzo di organi eletti direttamente dalla popolazione; bisogna evitare di sottoporli ad eccessivi controlli mortificanti e più ancora alle interferenze e pressioni deleterie del potere politico; ma non può arrivarsi al riconoscimento del diritto di autoorganizzazione.

Ribadendone le ragioni, conclude col rilevare che le norme dell'articolo 18 del progetto sono sufficienti a garantire la libertà dei Comuni.

Quanto al quesito rivolto dall'onorevole Perassi, se, cioè, l'ordinamento comunale debba essere regolato soltanto dallo Stato o anche dalla Regione, rileva che la Sottocommissione si è già pronunciata al riguardo, ponendo tra le facoltà legislative concesse in via esclusiva alla Regione (articolo 3) soltanto quella relativa alla modificazione delle circoscrizioni comunali.

Mannironi concorda pienamente col Relatore nonché con la proposta dell'onorevole Grieco di accennare alle condizioni necessarie per l'attuazione dell'autonomia comunale. Desidererebbe soltanto che tale precisazione, in quanto va riferita soprattutto ai Comuni di nuova creazione, trovasse posto nel capoverso anziché nel primo comma, dedicato a determinare genericamente i compiti del Comune.

Propone inoltre che il capoverso, oltre le ipotesi di creazione di nuovi Comuni e di modificazione di circoscrizioni, preveda anche quella della fusione di due o più Comuni in uno solo.

Cappi, al fine di snellire il primo comma dell'articolo 18, propone — a meno che non si voglia accedere alla tesi dell'onorevole Zuccarini, dalla quale personalmente dissente, e specificare le funzioni spettanti ai Comuni per la loro natura o per disposizione di legge — di sopprimere l'espressione: «dotati di tutti i poteri necessari per l'adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge». Infatti, a suo avviso tale dizione, dopo le parole: «I Comuni sono enti autarchici», sarebbe pleonastica, perché quando ad un ente si attribuisce una funzione, gli si debbono necessariamente attribuire anche i poteri per adempierla.

Si dichiara quindi contrario alla tesi dell'onorevole Zuccarini, sia per ragioni di forma — perché ritiene che quanto egli vorrebbe includere nella Costituzione troverebbe la sua sede più opportuna in una legge speciale — sia per ragioni di sostanza, nella convinzione che la concessione ai Comuni del diritto di autoorganizzarsi porterebbe ad una disintegrazione della vita amministrativa.

Bozzi osserva che nel capo V vengono disciplinati congiuntamente la Provincia e il Comune che pur hanno due fisionomie diverse: la prima la fisionomia di semplice circoscrizione amministrativa, il secondo quella di ente autarchico di diritto pubblico. Nell'accomunamento dei due istituti ravvisa una esautorazione ulteriore del Comune, mentre egli vorrebbe vederne ampliata l'autorità.

Circa la qualifica di «enti autarchici», richiama l'attenzione sul fatto che il concetto tecnico-giuridico di autarchia è delimitato.

Viceversa i Comuni sono qualche cosa di più: sono enti autonomi, in quanto hanno la facoltà di darsi un proprio ordinamento giuridico. Ritenendo necessaria una precisazione, soprattutto in quanto le norme sui Comuni seguono, nello stesso Capo, quelle sulle Province, che pure sono soltanto organi di decentramento burocratico, propone di aggiungere alle parole: «enti autarchici», le altre: «e autonomi».

Conti propone di sostituire all'intitolazione del capo V: «Provincie e Comuni», l'altra: «Circoscrizioni provinciali»; e di premettere all'articolo 18 l'intitolazione: «I Comuni».

Mortati propone di sostituire il primo comma dell'articolo 18 col seguente:

«I Comuni sono enti autarchici, dotati di autonomia e di autoorganizzazione nell'ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l'adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato».

Il Presidente Terracini è favorevole all'emendamento dell'onorevole Conti perché, come già si è espresso l'onorevole Bozzi, non si può dare alle Province la stessa rilevanza dei Comuni, che sono enti autarchici ed autonomi.

Mortati concorda sull'opportunità, dal punto di vista sistematico, di modificare l'intitolazione del capo in esame.

Il Presidente Terracini crede che si possa provvedere in sede di coordinamento a ridistribuire la materia inclusa sotto il capo V, nel senso accennato dall'onorevole Conti o in altro analogo, purché le Province non vengano accomunate ai Comuni e alle Regioni.

(Così rimane stabilito).

Tra le altre proposte, esprime l'avviso che si debba esaminare anzitutto — come la più radicale — quella dell'onorevole Zuccarini di dedicare, nell'economia generale del progetto, una maggiore ampiezza alla trattazione dei Comuni, onde inserirvi le disposizioni alle quali egli ha accennato. Ricorda che alcuni colleghi hanno rilevato che parte delle disposizioni proposte sono già acquisite o alla nostra legislazione o alla tradizione della vita italiana; altri ancora hanno osservato che troverebbero sede più idonea in una legge speciale.

Pone ai voti la proposta Zuccarini.

Lami Starnuti dichiara di votare contro, perché, nonostante abbia sostenuto un punto di vista analogo, in seno al Comitato, rilevando, fra l'altro, la mancanza di euritmia fra le varie parti di un progetto che dedicasse un solo articolo al Comune e circa venti alla Regione, non ha poi insistito per una molteplicità di ragioni. Si riserva tuttavia di risollevare il problema in sede di discussione delle norme transitorie.

Fabbri voterà contro, ritenendo che, qualora venga ampliata, secondo il desiderio di taluni Commissari, la portata dell'articolo in esame, introducendovi il concetto dell'autonomia dei Comuni, sorga l'esigenza di limitare tale autonomia — a meno di andare anche oltre le aspirazioni dell'onorevole Zuccarini — e di mantenerla nell'ambito della legislazione statale.

(Non è approvata).

Il Presidente Terracini passando all'emendamento Mortati, segnala che esso, oltre a contenere l'affermazione del carattere autarchico ed autonomo dei Comuni, aggiunge un principio nuovo, cioè che essi sono dotati di una potestà di autoorganizzazione.

Mortati pone in evidenza che l'accenno ad un ordinamento democratico è una garanzia utile da introdurre nella Costituzione. D'altra parte, la necessità di un ordinamento uniforme è sentita agli effetti della elezione della seconda Camera. Crede pertanto opportuno circoscrivere l'autonomia dei Comuni in questi limiti imposti dalla necessità di assolvere ad alcuni compiti che lo Stato affida loro.

Ambrosini, Relatore, ritiene che, tutto sommato, sia preferibile mantenere la formula proposta dal Comitato.

Perassi è d'avviso che, prima di votare una qualsiasi formula, occorra dare una risposta precisa al suo quesito: se l'ordinamento dei Comuni debba essere interamente disciplinato dallo Stato o se la materia sia in parte suscettibile di integrazione da parte della Regione, e debba quindi includersi nell'articolo 4-bis.

Lussu prospetta l'opportunità di votare la formula Mortati scindendola in due parti. Personalmente dichiara di essere favorevole alla prima — ove si afferma il concetto dell'autonomia nell'ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato— e di non approvare la seconda, alla quale preferisce la dizione del progetto.

Conviene, in sostanza, sulla necessità di una legge speciale, parallela alla Costituzione, che regoli nelle grandi linee la vita dei Comuni e ne riconosca la completa autonomia entro determinati limiti.

Mortati chiarisce che, nella sua proposta, il riferimento alle leggi dello Stato è fatto solo ai fini della determinazione delle funzioni dei Comuni e non del loro ordinamento.

Ambrosini, Relatore, in merito alla proposta dell'onorevole Perassi, ricorda che personalmente aveva posto, nell'articolo 4 del suo progetto originario, la seguente voce: «Ordinamento regionale e degli enti locali».

Vanoni chiede che venga chiarito in qual senso sono usati i termini: «autarchia ed autonomia».

Ambrosini, Relatore, richiama i dispareri a cui nella dottrina ha dato luogo l'uso dei due termini ed il senso che oggi suole ad essi attribuirsi. Mentre per autarchia si intende la potestà degli enti di amministrarsi da se stessi liberamente, di autogovernarsi, per autonomia si indica la potestà di dettarsi norme proprie, di crearsi un proprio diritto e perfino di autoorganizzarsi. La prima è una potestà amministrativa, la seconda legislativa.

Rileva che questa potestà legislativa, per quanto possa limitarsi anche a poche materie e tenersi subordinata al potere superiore dello Stato, pone l'ente che ne è investito in una posizione diversa e superiore a quella degli enti semplicemente autarchici.

Vanoni ritiene che non sia sufficiente il semplice uso del termine «autonomia». A suo avviso, o si arriva a definire il concetto dell'autonomia comunale, elencando — come si è fatto per la Regione — tutte le facoltà che competono al Comune, oppure si dovrà fare un rinvio alla legge che delimiterà l'autonomia in parola. Viceversa nell'articolo 18 del progetto si dice che i Comuni saranno dotati «dei poteri necessari per l'adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge». Quindi, la legge stabilirebbe le funzioni del Comune, ma non sarebbe posto come termine che delimitasse la sua sfera di competenza e di autonomia, come invece è detto chiaramente nella formula Mortati.

Lussu obietta che la legge, nel determinare le funzioni del Comune, determina anche i limiti dell'autonomia.

Mortati domanda chi regolerebbe le funzioni del Comune, se la legge non dicesse niente.

Vanoni precisa che la legge che attribuisce le funzioni è ambivalente, in questo senso che può riferirsi tanto a funzioni proprie del Comune, quanto a funzioni dello Stato che questo deleghi al Comune, il quale, evidentemente, senza delega non potrebbe esercitarle (così avviene, per esempio, agli effetti della leva).

La legge a cui si fa riferimento nell'articolo 18 non avrebbe dunque di per se stessa, la capacità di delimitare l'autonomia del Comune, perché potrebbe trattarsi anche di una disposizione accidentale. Nella formula dell'onorevole Mortati, invece, si fa riferimento ad una legge apposita per la determinazione delle funzioni comunali e non a leggi occasionali.

Codacci Pisanelli aderisce all'idea di precisare che i Comuni sono, non soltanto enti autarchici, ma anche autonomi. Circa il valore delle due espressioni, spiega che in passato la dottrina è stata alquanto divisa, ma oggi è generalmente accolto il concetto di parlare di autonomia quando le funzioni legislative sono svolte da organi diversi da quelli a cui normalmente spettano, e di autarchia quando le funzioni amministrative vengono svolte da organi diversi a quelli cui competono istituzionalmente.

D'altra parte, dicendo che il Comune è autonomo, si ammettono dei limiti, in quanto sia l'autarchia che l'autonomia presuppongono l'esistenza di un ente superiore rispetto al quale l'organo che esercita le funzioni in via eccezionale è in posizione subordinata; in altri termini, si può parlare di enti autarchici ed autonomi in quanto v'è lo Stato al disopra di essi.

Ambrosini, Relatore, avverte che la preoccupazione maggiore del Comitato — appunto in quanto riconosceva che l'autonomia consiste nel potere di darsi delle norme ed anche di autoorganizzarsi — è stata quella di non collocare (come avrebbe voluto l'onorevole Zuccarini) le Regioni e i Comuni sullo stesso piano. Perciò crede che i Comuni debbano qualificarsi enti autonomi.

Mortati desidera porre la questione nei suoi giusti termini. Normalmente il potere di organizzarsi e di adempiere da sé i propri compiti non implica il potere di dettarsi le proprie norme. L'opinione dominante ritiene che dal possesso da parte di un ente di facoltà particolari non discenda anche il potere di dettare norme per l'esercizio di tali facoltà particolari, per il quale perciò occorre un titolo espresso di conferimento. Ciò posto, non ci si può affidare all'equivoco o risolvere dei dubbi con la reticenza. Occorre invece definire anzitutto la questione della reciproca posizione dei due enti (Regione e Comune) e determinare i limiti della eventuale subordinazione dell'uno all'altro.

Ambrosini, Relatore, osserva che, ove non si voglia arrivare nei riguardi del Comune ad una regolamentazione specifica, come proponeva l'onorevole Zuccarini, è preferibile rinviare la materia ad una legge speciale che, con maggiore ponderazione, decida delle singole questioni, e stabilisca i poteri da conferire all'ente con gli inevitabili limiti.

La Rocca desidererebbe conoscere quale preciso significato si attribuisca all'espressione: «funzioni spettanti per loro natura».

Il Presidente Terracini chiarisce che la natura del Comune è data da questo elemento: che un raggruppamento di persone vivono nello stesso luogo e devono necessariamente soddisfare in comune certi bisogni. V'è quindi un minimo indispensabile di servizi, senza dei quali la vita civile non potrebbe svolgersi.

Riepilogando, ricorda che le questioni da risolvere sono tre: 1°) se i Comuni debbano essere considerati, oltre che enti autarchici, anche enti autonomi; 2°) chi fissi i limiti di questa autonomia (lo Stato o le Regioni); 3°) se sia necessario specificare le funzioni nei cui confronti si esplica l'autonomia.

Perassi insiste sulla necessità di precisare se l'ordinamento dei Comuni debba essere regolato con legge dello Stato o della Regione. Personalmente ritiene che tale compito non debba spettare in maniera esclusiva né all'uno né all'altra, ma che la regolamentazione debba esser fatta con legge dello Stato da integrarsi con norme regionali. Propone pertanto di aggiungere all'elencazione dell'articolo 4-bis la voce: «Ordinamento dei Comuni e degli altri enti locali».

Il Presidente Terracini crede che per il momento si potrebbe mettere ai voti l'espressione proposta dall'onorevole Mortati: «I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia».

Lussu osserva che il concetto di «autonomia», comprende quello di «autarchia» e che perciò si può usare il primo soltanto dei due termini.

Il Presidente Terracini riconosce che è difficile pensare ad un ente autonomo che non sia autarchico, cioè, ad un ente che abbia la facoltà di darsi delle norme e non abbia quella di applicarle nella propria amministrazione. Tuttavia la specificazione contenuta nell'emendamento Mortati è opportuna, perché, mentre l'autarchia s'intende in senso pieno, cioè in tutto l'ambito dell'attività amministrativa, nei riguardi dell'autonomia è pensabile qualche limitazione.

Laconi concorda. L'autonomia comprende anche l'autarchia se è piena, ma non se riferita a particolari materie.

Codacci Pisanelli propone la dizione:

«enti autarchici ed autonomi».

Di Giovanni si associa.

Laconi obietta che con tale formula non si potrebbe evitare che i limiti di cui si parlerà in seguito si riferiscano tanto all'autarchia che all'autonomia.

Il Presidente Terracini, posto che andrebbe riconosciuta l'autonomia dei Comuni soltanto nei confronti di certe attività, pone ai voti la formula Mortati:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia».

Personalmente dichiara di votare in favore, anche per il fatto che nel Paese v'è una larghissima corrente popolare per l'autonomia comunale e non v'è pericolo che una simile norma preoccupi l'opinione pubblica.

(È approvata).

Mortati rinuncia all'espressione: «e di autoorganizzazione», contenuta nella sua formula, in quanto il concetto è già implicito in quello di autonomia.

Il Presidente Terracini avverte che ora la Sottocommissione dovrà pronunciarsi su due formule; quella del Comitato: «dotati di tutti i poteri necessari per l'adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge» e quella dell'onorevole Mortati: «nell'ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato». Quanto segue, cioè: «per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l'adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato», a suo avviso, potrebbe essere soppresso.

Codacci Pisanelli è d'accordo circa la soppressione.

Ambrosini, Relatore, non ritorna sulle ragioni per cui dissentiva dalla proposta di qualificare i Comuni come enti autonomi; ma dal momento che questa proposta è stata approvata, ritiene necessario che si faccia espressamente richiamo ai limiti in cui l'autonomia dei Comuni deve essere contenuta secondo le norme che saranno stabilite dal legislatore, perché altrimenti si aprirebbe l'adito ad una varietà di ordinamenti comunali contraria alle attuali esigenze della vita della società nazionale.

Mortati spiega che ha usato l'espressione: «principî fissati dalle leggi generali dello Stato», per significare che tali leggi debbono avere efficacia in tutto lo Stato.

Il Presidente Terracini pone ai voti la formula Mortati:

«nell'ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato».

(È approvata).

Pone in votazione la parte successiva dell'emendamento Mortati:

«per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l'adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato».

(Non è approvata).

Informa che, in seguito all'esito delle votazioni, il primo comma dell'articolo 18 resta così concepito:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia nell'ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato».

Invita i Commissari ad esprimere il loro parere sulla proposta dell'onorevole Perassi di includere fra le materie dell'articolo 4-bis la voce:

«Ordinamento dei Comuni e degli altri enti locali».

Personalmente dichiara di esservi contrario, non ritenendo concepibile che i Comuni abbiano organizzazione e funzionamento diverso da località a località.

Fabbri aderisce alla proposta dell'onorevole Perassi, in quanto lascia alle Regioni la possibilità di integrare la legge dello Stato sugli enti locali.

Perassi spiega che, parlando di ordinamento dei Comuni, non intende riferirsi all'organizzazione comunale. In altri termini, lo Stato emanerà una legge sui Comuni e, anziché farla seguire da un regolamento che scenda nei più minuti dettagli, lascerà questo compito al potere d'integrazione della Regione.

Mannironi è favorevole alla proposta Perassi, giacché ritiene che, nell'ambito della legge generale dello Stato — la quale regolerà i poteri, le funzioni e, in genere, la vita del Comune — la Regione possa utilmente intervenire per dettare norme relative allo sviluppo di attività secondarie dei Comuni.

Codacci Pisanelli non accetta l'emendamento, per la gravità delle conseguenze che ne potrebbero derivare, soprattutto nel campo amministrativo, agli effetti dei controlli di legittimità e di merito (articolo 19).

Il Presidente Terracini pone ai voti la proposta Perassi.

(Non è approvata).

[La discussione prosegue analizzando il capoverso dell'articolo relativo al tema della mutazione delle circoscrizioni comunali. Pertanto per il seguito della discussione si rimanda al commento all'articolo 133.]


 

[i] L'articolo 3 del progetto del Comitato, è quello relativo alla potestà legislativa esclusiva della regione e riportato a commento dell'articolo 117.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti