[Il 4 giugno 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Spallicci. [...] L'onorevole Micheli ha prospettato l'eventualità di un'Emilia Lunense che aggregherebbe alla sua Parma, con Piacenza, Reggio e Modena, anche la provincia di La Spezia, lasciando le antiche quattro legazioni pontificie a formare la Romagna con Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì.

Io non voglio spezzare una lancia per la mia piccola Regione perché constato che prevale il concetto della grande più che della piccola Regione ma voglio pur accennare a questa che Dante ben definì ne' suoi confini, fra il Po, il monte, la marina e il Reno (e forse Dante vi includeva anche Bologna). Tralascio i suoi vanti e le memorie che mi paiono superflue qui, ma voglio pur dire che forse in Italia, non insulare, non v'è altra terra meglio individuata della Romagna. La caratteristica viva e passionale del suo senso politico sempre vigile dai primi albori del Risorgimento ai giorni nostri, la fede e l'ardore combattivo de' suoi migliori da Andrea Costa a Antonio Fratti (e nel tempo stesso la serena equanimità di Aurelio Saffi) le conferiscono un'anima tutta sua. Può sembrare strano che la Romagna non abbia rivendicato il diritti di governarsi in modo autonomo. Non l'abbiamo rivendicato perché la terzina dantesca scolpisce ancora la sua vita e la sua storia: Romagna non fu mai senza guerra, oggi non più nel cuor de' suoi tiranni ma nel cuore delle sue città rivive l'orgoglio del comune antico ed esse si crederebbero sminuite se dovessero concedere a qualunque altra città l'onore della capitale.

Ma guariremo dei vecchi mali che ereditammo dal guelfismo e dal ghibellinismo e ritroveremo noi stessi. La Romagna rimane anche se si vorrà farne coll'Emilia una sola regione. E libera all'aria e al vento la bandiera della sua passione per tutte le cause giuste. Passione orchestrata nel vento che trascorre su tutta la Penisola. È il suo canto. Sarebbe stolto privarnela come sarebbe stolto avversarne il dialetto. Sarebbe come combattere contro i mulini a vento.

[...]

Preziosi. [...] Come potete voi pensare alla creazione di un Ente Regione il quale fin da ora crea dei sordi rancori, delle inimicizie fra Provincia e Provincia vicina? Io assistevo, tre o quattro giorni fa, ad un simpatico diverbio nel «corridoio dei passi perduti» fra l'onorevole Priolo e l'onorevole Silipo; l'onorevole Priolo e l'onorevole Silipo nella paventata eventualità della creazione della Regione calabra affermavano uno che il capoluogo della Regione dovesse essere Reggio, l'altro Catanzaro.

Ora, essi sostenevano quelle loro affermazioni con così grande concitazione che stava a dimostrare quelli che in effetti sono i sentimenti delle Province di Reggio Calabria, di Cosenza o di Catanzaro.

Nel suo interessante intervento l'onorevole Cifaldi disse che era indispensabile la creazione di una Regione sannita affermando che le popolazioni di Campobasso, di Avellino e di Benevento erano ansiose di vedere sorgere la Regione sannita stessa, aggiungendo che con la sua costituzione si risolvevano annosi problemi locali di grande importanza. L'onorevole Cifaldi, convinto assertore della Provincia, dimenticava che la creazione di una Regione sannita è mal vista da Avellino e Campobasso, città che hanno loro rivendicazioni e che non sopportano la creazione di una Regione con capoluogo Benevento così lontana dalle nostre necessità ed aspirazioni.

È necessario che io ripeta qui che la Provincia di Avellino è ostilissima ad una regione del Sannio. L'esempio da me addotto è evidente prova di come l'istituzione dell'Ente Regione, invece di creare uno spirito unitario della Patria, crea uno spirito di disaccordo nelle diverse Regioni e Province. Ci sono tali e tanti rancori fra Provincia e Provincia che questi non sono stati sopiti neanche dai lunghi anni di dominazione fascista, per cui noi non possiamo parlare di Regione. Parlare di Regione significa andare contro quelli che sono i sentimenti delle nostre popolazioni.

[...]

Adonnino. [...] Fatti i precedenti rilievi su questo punto che tocca da vicino il cuore di noi siciliani e che tocca lo Statuto siciliano, e riaffermato che per noi lo Statuto siciliano non è qualche cosa di immutabile, di fisso, di perfetto, ma che è un cospicuo primo passo che può servire opportunamente da schema per quello che adesso noi faremo e che va migliorato e sviluppato in seguito, io, per alcune osservazioni sul progetto della Regione che sta adesso dinanzi a noi — osservazioni che, lo dico apertamente, rispecchiano qualche mio punto di vista prettamente personale — vorrei richiamarmi a quelle che sono le giustificazioni logiche, fondamentali della Regione. Perché noi diciamo che è giusto creare le Regioni? Perché diciamo che non tutte le condizioni economiche, sociali, politiche, psicologiche in Italia sono uguali. Altre sono le condizioni della Lombardia, altre quelle della Sicilia, altre quelle del Lazio. Ora, se così è, onorevoli colleghi, nello stabilire quante e quali Regioni si debbano creare, bisogna vedere quali sono quei territori in cui si possa dire esista un'uguaglianza, una parità di condizioni psicologiche, intellettuali, sociali, economiche.

E allora io credo che le molte Regioni che si vorrebbero creare sono troppe, perché noi non troveremo una profonda disparità per giustificare la creazione di esse; non la troviamo, per esempio, tra Piemonte e Lombardia, non la troviamo tra Umbria e Marche, non la troviamo tra Lucania e Puglia. Insomma, la distinzione che vi è tra Lombardia e Sicilia, non vi è tra Calabria e Lucania, non vi è tra Lazio e Abruzzi.

Il concetto mio generale, onorevoli colleghi, è questo: che nel formare queste Regioni si debba formarne di larghe, comprensive, non fermarci a quelle che sono le Regioni storicamente fissate. E purtroppo secondo le proposte, non formeremmo solo queste, ma tante nuove ne formeremmo. Si vuole la moltiplicazione, la filiazione delle Regioni. Bisogna invece fare poche Regioni comprensive e vaste. Dico che ove si arrivasse a sette od otto Regioni, grandi Regioni, io credo si sarebbe perfettamente nel vero; credo si corrisponderebbe così a quella che è la necessità logica della creazione delle Regioni. Se queste debbono essere delle entità geografiche veramente sentite come unità dal popolo, forse si potrebbe pensare che le Regioni, come ora sono, non sono sentite. E allora avrebbe ragione un oratore dei giorni scorsi il quale diceva che le tradizioni popolari non richiedono il riconoscimento delle autonomie regionali e che dai pugliesi e dai lucani la Puglia o la Lucania non sono sentite come regioni a sé. Ma quando parliamo di una regione siciliana quando parliamo di una regione meridionale che comprendesse quattro o cinque delle antiche regioni (Puglia, Calabria, Lucania, Campania) allora la tradizione c'è. La lingua, le vicende storiche, tutto quello che è il passato di un popolo può concentrarsi ed affinarsi nel largo spazio della Regione così come io la concepisco. Allora sì che la Regione — in questo senso intesa e così creata — risponderebbe ai desideri, all'animo, alle tradizioni del popolo.

E da questa configurazione della Regione come Regione larga, importanti conseguenze deriverebbero su tanti punti speciali relativi all'organizzazione di essa. Primo punto è quel che riguarda la burocrazia.

Io sono autonomista convinto e regionalista convinto, ma non mi sono mai dissimulato che il problema della burocrazia è un problema gravissimo, è uno degli ostacoli più cospicui che dagli avversari della Regione si possano ad essa frapporre. Si dice infatti: badate, non v'illudete che spostando una parte delle attività statali dal centro alle nuove regioni, gli impiegati diminuiranno di molto. Sarà il contrario. Aumenteranno. E dove andremo a finire con questa pletora d'impiegati? E se poi pensiamo al Comune, alla Provincia, alla Regione, allo Stato, ci persuaderemo che dovremo avere un vero esercito di impiegati, che avrà la sua grande influenza sull'entità delle pubbliche spese.

Io ho grande fiducia nella burocrazia. La burocrazia è una di quelle cose di cui si dice tanto male, ma che sono tanto necessarie. Essa ha grandi meriti, ma è certo che occorre massimamente preoccuparsi di non ingigantirla, perché le conseguenze finanziarie, specialmente negli attuali difficili momenti, sarebbero gravissime.

Dunque io vi dico che se noi, anziché creare 22 o 30 Regioni, creiamo 7 od 8 grandi Regioni, larghe, comprensive, questo problema sarà di molto diminuito nella sua importanza.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti