[Il 21 gennaio 1947 la seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulla Suprema Corte costituzionale.]
Il Presidente Conti ricorda che nella precedente riunione, su richiesta dell'onorevole Laconi, la Sezione ha deliberato in merito alla composizione della Suprema Corte costituzionale nel senso che tutti i componenti siano eletti dall'Assemblea Nazionale, che siano per metà magistrati, per un quarto avvocati e professori universitari e per un quarto elettori politici, aventi almeno quarant'anni.
Senza entrare nei dettagli, proporrebbe di prendere in esame gli articoli 3 del progetto Leone e 34 del progetto Calamandrei per giudicare sulla opportunità di votare come principio qualche norma procedurale relativa alla organizzazione della Suprema Corte.
Leone Giovanni, Relatore, ritiene che si dovrebbe stabilire il modo di elezione del Presidente, vale a dire se debba essere eletto nel seno della Corte, oppure in sede di elezione dei giudici.
Cappi, per quanto riguarda il Presidente, proporrebbe che la Corte lo eleggesse nel suo seno.
Bulloni preferirebbe che il Presidente fosse scelto dal Capo dello Stato.
Leone Giovanni, Relatore, crede che la nomina del Presidente da parte del Presidente della Repubblica non si concilierebbe col sistema di elezione della Corte medesima. Come ha già detto, le ipotesi possono essere solo due: o è eletto dall'Assemblea Nazionale, oppure dalla Corte nel suo seno.
Personalmente sarebbe per la seconda soluzione.
Bozzi è anch'egli del parere che l'elezione avvenga nel seno della Corte, perché altrimenti, in caso di nomina da parte dell'Assemblea Nazionale, si potrebbe verificare l'inconveniente che venisse designato un magistrato di grado inferiore a quello di altri membri della Suprema Corte, per i quali, se non erra, sarà richiesto che abbiano almeno il grado di consigliere di cassazione. Per il prestigio ed il funzionamento dell'organo, sarebbe consigliabile che non si verificasse un simile inconveniente.
Farini domanda perché la nomina del Presidente non possa essere demandata al Parlamento che certamente designerebbe l'elemento più rappresentativo. Se si è demandata al Parlamento la nomina dei membri di questo altissimo consesso, non vede per quale ragione non si debba affidare allo stesso organo anche l'elezione del Presidente, quasi che non si avesse fiducia nel Parlamento per questa nomina.
Leone Giovanni, Relatore, per quanto nel suo articolo 3 avesse proposto che anche il Presidente della Suprema Corte fosse nominato dal Parlamento, essendo la questione di carattere secondario, crede che possa venirsi facilmente ad un accordo.
Considera, invece, più importante la questione che i magistrati e professori universitari eletti membri della Corte cessino definitivamente dalle funzioni e dall'impiego che avevano. Poiché le nomine sono a tempo, a suo avviso, è necessario mettere i giudici in condizioni di assoluta indipendenza morale ed economica, anche per il tempo successivo alla loro cessazione dall'incarico, in modo che non debbano preoccuparsi del futuro quando riprenderanno le loro precedenti mansioni. In caso contrario le preoccupazioni del magistrato per la carriera o del professore universitario per l'assegnazione di una sede importante potrebbero incidere sulla indipendenza di questo altissimo organo. Conserverebbe, pertanto, a vita, a tutti i membri della Suprema Corte lo stipendio e le indennità di cui godono durante l'esercizio delle loro funzioni.
Laconi condivide il punto di vista dell'onorevole Leone. In sostanza, trattandosi della Magistratura più alta del Paese, considera opportuno rivestirla di un prestigio e di una autorità indiscutibile.
Leone Giovanni, Relatore, riterrebbe opportuno abbinare questo problema a quello della durata in carica dei membri della Corte, che, a suo giudizio, dovrebbe essere di dieci anni, e comunque non inferiore a sette.
Oltre il fatto che si tratta di un limitatissimo numero di persone, bisognerebbe tenere presente che, poiché normalmente i componenti della Corte, se magistrati o professori universitari, avranno all'incirca 50 anni, quando cesseranno dalle loro funzioni avranno dai 57 ai 60 anni. Niente di eccezionale, quindi, se si assicura a vita l'indipendenza economica di funzionari che, dopo una esistenza di lavoro, siano stati prescelti per così elevate funzioni.
Se i membri della Corte, durante l'esplicazione delle loro funzioni, dovessero preoccuparsi della situazione in cui si troveranno quando cesseranno dalla carica, potrebbero essere soggetti a inframmettenze di carattere personale o politico, tali da far temere della loro indipendenza. Secondo quanto invece è previsto nel suo progetto, si creerebbe nel giudice della Corte costituzionale anche l'indifferenza ad essere rieletto, costituendosi così un altro motivo di indipendenza.
Cappi si rende conto degli inconvenienti cui ha accennato l'onorevole Leone, ma non li ritiene di tale importanza da giustificare un'eccezione che è nuova nel diritto italiano ed anche in quello di altri paesi. Oltre la soddisfazione morale di essere nominati a così alta carica, gli sembra la pensione a vita dopo 7 anni, costituisca una condizione di privilegio eccezionale. Non vede quali particolari preoccupazioni per l'avvenire possano avere i magistrati e i professori universitari, tenendo conto che conserveranno l'anzianità di servizio e godranno di una indennità superiore per la carica ricoperta.
Bulloni crede che, nominandosi a vita il Presidente, si darebbe all'organo una maggiore indipendenza.
Bozzi non lo ritiene necessario, dato che il Presidente non avrà funzioni proprie, ma sarà sempre il collegio a decidere.
Il Presidente Conti è d'accordo con l'onorevole Bozzi.
Bozzi richiama poi l'attenzione sul fatto che la prima Sezione ha votato, sopra sua proposta, un principio per cui i funzionari dello Stato, che abbiano mandato parlamentare, non possono essere promossi durante l'esercizio del mandato, se non per sola anzianità. Questo principio potrebbe naturalmente estendersi anche ai magistrati della Suprema Corte. Dichiara poi di non condividere le osservazioni dell'onorevole Leone, perché, trattandosi di altissimi funzionari, ben difficilmente avranno preoccupazioni di carriera in quanto già pervenuti al massimo delle loro aspirazioni.
Il Presidente Conti è convinto anch'egli che, trattandosi di altissimi funzionari e di preclare persone, non si preoccuperanno del loro avvenire.
Ambrosini è contrario alla proposta dell'onorevole Leone, perché ritiene che molti professori universitari non accetterebbero questo altissimo ufficio se fossero obbligati a troncare il loro ministero. Considera la funzione del professore universitario come una missione, a cui difficilmente si rinunzia, fino a quando si hanno le forze necessarie per svolgerla. Può citare l'esempio di tanti colleghi, suoi antichi maestri, i quali, pur avendo gli onori e le cariche più alte, nutrivano sempre l'aspirazione di tornare alla scuola. Insiste sul suo punto di vista ed invita l'onorevole Leone a tenerne conto addivenendo alla modifica dell'avanzata proposta.
Leone Giovanni, Relatore, si dichiara convinto dalle osservazioni dell'onorevole Ambrosini per quanto concerne i professori universitari, ma fa rilevare in quale situazione si troverebbe un magistrato che, dopo avere giudicato per sette o dieci anni anche di atti del Capo dello Stato e di Ministri, al momento della cessazione dell'incarico dovesse tornare ad esercitare le sue vecchie funzioni che sono, senza dubbio, inferiori.
Il Presidente Conti fa notare all'onorevole Leone che, come è previsto nel suo progetto, i membri della Suprema Corte sono rieleggibili. Ora, se il giudice sarà stato ottimo, sarà rieletto; se sarà stato scadente, nulla di male che torni alla sue funzioni di consigliere di Corte di cassazione. Per quanto concerne i professori universitari si dichiara d'accordo con l'onorevole Ambrosini.
Laconi proporrebbe la seguente formula:
«Gli eletti alla Corte costituzionale, durante il periodo in cui esercitano questa loro funzione, non possono rivestire alcun incarico né esercitare alcuna professione. La legge provvederà ad assicurare la loro completa indipendenza economica».
Ambrosini si dichiara non favorevole all'accoglimento integrale della proposta dell'onorevole Laconi, e si sofferma sulla posizione dei professori universitari, ribadendo la considerazione che non esiste incompatibilità tra l'insegnamento e le loro funzioni presso la Corte costituzionale.
Farini sarebbe d'avviso di porre una eccezione per i professori, circa la cessazione delle funzioni.
Il Presidente Conti crede che possa venirsi ad una conclusione, in quanto che per i magistrati si provvederà a collocarli fuori ruolo; per i professori universitari può accedersi all'opinione dell'onorevole Ambrosini e per gli avvocati è fuori dubbio che non possono esercitare la professione. Mette intanto ai voti il principio che
«La Corte elegge nel suo seno il Presidente».
(È approvato).
Ritiene poi che dovrebbe prendersi in esame la seguente formula, che ha desunto dall'articolo 3 dell'onorevole Leone:
«Per i giudici della Corte di giustizia costituzionale non vigono i limiti di età».
Ambrosini manifesta qualche dubbio sull'opportunità di una tale norma che infrangerebbe il principio del limite di età, fondamentale nella pubblica Amministrazione.
Leone Giovanni, Relatore, osserva che per espletare un'altissima funzione che sta all'apice della organizzazione dello Stato, non bisogna tener conto del limite di età. Non crede, infatti, che per uomini di grande capacità amministrativa e giuridica e di larga esperienza, dovrebbe aver peso la questione dell'età.
Il Presidente Conti pone ai voti il principio che:
«Per i giudici della Corte costituzionale non vigono limiti di età».
(È approvato).
Pone quindi ai voti la seguente formula:
«Il Presidente ed i giudici durano in carica sette anni e sono rieleggibili».
(È approvata).
Circa l'ultima parte dell'articolo 3 dell'onorevole Leone, relativa alla dispensa in caso di malattia che comprometta l'esercizio della funzione, crede che la Sezione possa considerare superflua la norma, in quanto vi provvederà la legge.
(Così rimane stabilito).
Osserva che occorre, infine, decidere se tutti i nominati a far parte della Suprema Corte cessino dalle funzioni e dall'impiego che avevano.
Ambrosini crede che si potrebbe affermare il principio che i membri della Corte costituzionale non possono esplicare alcuna altra professione, ad eccezione dell'insegnamento universitario.
Laconi non farebbe una esplicita riserva per i soli professori universitari. Piuttosto metterebbe il divieto per i magistrati e gli avvocati.
Il Presidente Conti concorda. Mette ai voti la seguente formula:
«I giudici, magistrati e avvocati, non potranno esercitare le loro funzioni durante l'esercizio del loro ufficio presso la Corte di giustizia. Le altre incompatibilità saranno previste dalla legge».
(È approvata).
A cura di Fabrizio Calzaretti