[Il 10 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Orlando Vittorio Emanuele. [...] E vengo alla Corte costituzionale. È inutile farsi delle illusioni. L'autorità ad un istituto non viene da una definizione, da un conferimento astratto di poteri: deve avere radice nella istituzione stessa, o per la forza politica che rappresenta o per la tradizione che si è venuta formando. Or, tali condizioni mancano totalmente in questa futura Corte, che avrà la formidabile competenza di giudicare della validità delle leggi, con questo po' po' di proclamazioni di principî generali che fate e che rappresentano un pericolo anche maggiore per il fatto che la Costituzione è rigida. Quindi, allorché verranno le leggi, con tutto il loro sistema di disposizioni particolari, e si troveranno di fronte ad un principio generale proclamato dalla Costituzione, potrà sempre esserci una parte, che andrà dinanzi alla Corte costituzionale per sostenere che è stato violato questo o quel principio.

Or questa Corte sarà per metà formata da magistrati. Io ho per i magistrati il più grande rispetto, la più grande ammirazione; ho vissuto e vivo la loro vita. Or bene, la mia lunga esperienza giudiziaria me li fa apparire circondati di un'aureola. Brave, egregie persone, che si incontrano per le vie, tanto semplici, che sembrano modeste se non umili; ma quando han rivestita la toga, si elevano ad una dignità augusta, quando si tratta del loro ufficio: essere adeguato presidio per la difesa di quello che è l'onore, la famiglia, il patrimonio di noi tutti. Mancherei però di sincerità, se non aggiungessi che le stesse garanzie io non riscontro, quando i magistrati sono di fronte alla Sovranità dello Stato. E non già per un sentimento che li diminuisca. Io ho conosciuto magistrati di una perfezione assoluta nell'esercizio delle loro funzioni; ma, quando era in gioco lo Stato, avevano un istintivo movimento reverenziale che turbava il perfetto equilibrio del valutare la ragione ed il torto. E tutti i colleghi avvocati sanno come non mancano casi in cui la Cassazione abbia mutato addirittura giurisprudenza, tutte le volte che loro apparisse in gioco un grave interesse pubblico. Per ciò stesso, io non sarei eccessivamente severo nel giudicare casi di questo genere, come quando, ad esempio, un Ministro del tesoro venga a dire: Se non mutate la vostra giurisprudenza della ripetibilità di ciò che si dà ob turpem causam, tutte le banche falliscono. Così dopo l'altra guerra, allorché ci fu tutta quella speculazione sul marco; onde se le Banche avessero dovuto restituire le differenze, secondo la precedente giurisprudenza dello stesso Supremo Collegio, sarebbero fallite. Voi vedete che non è maldicenza o irriverenza il ritenere che si tratta di un ordine il quale, per la natura stessa dell'ufficio che riveste, ha una sensibilità, che in generale è per esso un pregio, in quanto lo tiene lontano dalla politica, ma non lo rende atto per questo nuovo ufficio in cui il diritto non si disgiunge dalla politica. E che dire poi delle altre categorie, che integrano l'altra metà? Io, per esempio, sarei eleggibile, ma sento che sarei un pessimo giudice.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti