[25 settembre 1946, prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione.]

Il Presidente Tupini riassume la discussione svoltasi durante la seduta precedente sull'articolo 2-ter concernente la questione dei titoli nobiliari. Ricorda che, in relazione alla proposta di una proposizione concernente l'abolizione pura e semplice dei titoli stessi — proposta che è stata respinta — vi sono proposizioni successive circa il divieto di poterne stabilire altri da parte della Repubblica, ed il destino da dare ai titoli nobiliari esistenti. Essendosi già svolta in proposito una lunga ed esauriente discussione, l'esame odierno da parte della Sottocommissione dovrebbe essere limitato a quei punti che possono chiamarsi alternativi o avversativi: o si ritorna sul proposito che non si debba parlare in nessun modo nella Costituzione di questa questione dei titoli nobiliari, o si ritiene comunque di poter definire la questione in sede di Costituzione dello Stato repubblicano.

Nel primo caso, ricorda che una votazione si è già avuta sulla proposta dell'onorevole Mastrojanni, che è stata respinta, ma che oggi potrebbe essere riproposta in altri termini. Nel secondo caso, occorrerà trovare una formula sulla cui sostanza tutti possano essere d'accordo. Per questo propone: «La concessione di titoli nobiliari è vietata». Su tale sua proposta apre la discussione.

Basso, Relatore, intende rettificare qualche affermazione fatta da alcuni Commissari nella seduta precedente e che egli si è preoccupato di controllare.

È stato affermato che è intervenuta già una legge che ha abolito i titoli nobiliari fascisti. In realtà questa legge non è mai venuta.

Quanto alla dizione della Costituzione di Weimar, rileva che il testo della Costituzione stessa riporta esattamente l'espressione da lui usata nella sua proposta, e cioè: «I predicati («beiname» nel testo originale tedesco) sono conservati, ma il titolo viene abolito».

Circa la proposta del Presidente dichiara che, così come è formulata, non può accettarla, perché dire che la concessione dei titoli nobiliari è vietata senza aggiungere altro, potrebbe essere interpretato come un riconoscimento dei titoli esistenti, cioè sarebbe una conferma costituzionale dei titoli esistenti.

Marchesi ritiene che l'argomento di cui si discute sia tale che non possa essere taciuto in una Carta costituzionale.

Se d'altra parte questa Repubblica italiana, secondo uno spirito largamente democratico e cristiano, deve essere una Repubblica di lavoratori e se le qualità di spirito, di intelletto e di lavoro debbono essere considerate come la distinzione non massima, ma unica tra gli individui, non si rende ragione come un uomo quale l'onorevole La Pira, profondamente cristiano, abbia potuto pensare di mantenere, di imporre anzi, un vecchio e disusato manto a persone le quali magari, più tardi, faranno istanza per esserne liberate.

Dichiara di non poter in nessuna maniera accedere alla formula proposta dall'onorevole La Pira, la quale riuscirebbe irriverente verso le tradizioni nobiliari italiane, in quanto tende a mantenere, anzi a moltiplicare, un titolo e nello stesso tempo a svalutarlo.

Per quanto riguarda poi l'altra preoccupazione di cui si è fatto cenno, che non è opportuno cioè per la nuova Repubblica irritare la casta nobiliare, dichiara che molti altri motivi di irritazione si dovranno procurare ad altri ceti: si pensi a quanto potranno ritenersi colpiti il ceto industriale e i grandi proprietari di terre da talune deliberazioni che dovrà prendere l'Assemblea Costituente. Questo motivo di irritazione non può essere certamente un impedimento per il lavoro costituzionale.

Quanto poi alla casta nobiliare (salvando la stima che l'oratore professa per il collega onorevole Lucifero) essa di solito non è stata molto amante, almeno nella sua maggioranza, delle libertà politiche; e l'oratore ricorda a tale proposito un episodio isolato, ma ad ogni modo tipico, che del resto fa onore alla franchezza dell'atto; ricorda cioè l'adesione che i nobili romani del Circolo della Caccia diedero al fascismo dopo il delitto Matteotti, in un momento in cui il fascismo perdeva numerose adesioni.

La casta nobilesca ha avuto la sua tradizione e la sua importanza, ma in una Repubblica democratica rappresenterebbe un fenomeno di esaurita vitalità, e non sarebbe certo farle onore il mantenere un titolo senza valore, soprattutto così diffuso e polverizzato come sarebbe con la formulazione dell'onorevole La Pira. Pertanto dichiara di accedere alla proposta dell'onorevole Basso.

La Pira, Relatore, dichiara di essere in parte d'accordo con l'onorevole Marchesi per quanto riguarda lo spirito democratico e cristiano cui ha accennato. Ma ritiene che la preoccupazione manifestata dall'onorevole Marchesi nei riguardi della possibilità che il predicato nobiliare si polverizzi nella discendenza, potrà essere eliminata integrando la formula in modo da evitare questo inconveniente. D'altra parte, lo spirito del cristianesimo vuole che si sia delicati con tutti; e, poiché esiste un titolo che è parte integrante di un nome, quasi un riflesso della personalità, il rispettare lo status familiare risponde a questo spirito di tolleranza cristiana.

Lucifero dichiara che l'affermazione fatta dall'onorevole Marchesi nei riguardi del Circolo della Caccia, Circolo a cui l'oratore si onora di appartenere, non risponde a verità. Se c'è stato nel periodo fascista un Circolo frondista, è stato proprio il Circolo della Caccia. Ricorda che il Conte Sforza, che ne faceva parte, fu sempre considerato suo membro anche quando egli si trovava all'estero e non poteva più pagare la quota di partecipazione. Il Circolo della Caccia è stato sempre completamente apolitico, non si è mai occupato di certe questioni, e, quando sono venute delle pressioni per fare espellere qualcuno dei suoi membri per motivi politici, ha opposto sempre un netto rifiuto.

Marchesi dichiara che non intendeva menomare il Circolo della Caccia. Sa bene che questo Circolo ha respinto delle domande di ammissione di gerarchi fascisti che intendevano essere ammessi; ma ritiene che il rifiuto fosse dovuto alla gelosa custodia della nobiltà che non intendeva accogliere un patriziato improvvisato.

Egli si è riferito ad ogni modo ad un fatto singolo, che gli avvenne di leggere su un giornale, e che non poteva essere trascurato.

Moro propone una formula conciliativa nella quale si dica: «I predicati dei titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome». Si eviterebbe così un'espressione troppo tagliente e inutile dal punto di vista sostanziale della regolamentazione.

Lombardi Giovanni osserva che l'onorevole La Pira e l'onorevole Moro insistono su una formula che mira ad onorare la tradizione, mentre è proprio questa tradizione che non si deve più mantenere. Se si parla di tradizione si entra nella storia, e l'Italia ha tutta una storia che si deve mantenere in onore: Carlo Pisacane, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini. Ispirandosi a questi grandi nomi, si resterà fedeli al vero spirito della Repubblica. Aggiunge di non comprendere perché si debbano abolire solo i titoli nobiliari, e non anche quelli cavallereschi i quali hanno un'origine monarchica.

Marchesi fa osservare che, con l'abolizione dei titoli cavallereschi, si distruggerebbe la burocrazia.

Lombardi Giovanni replica che si potrà fare una burocrazia nuova. Insiste perché all'abolizione dei titoli nobiliari si aggiunga anche quella dei titoli cavallereschi.

In ogni caso, dichiara di ripiegare sulla formula dell'onorevole Basso.

Moro insiste nel proporre la formula che ha già presentato. Essa non fa che riprodurre la formula dell'onorevole Basso, privata della prima parte che non è essenziale.

Basso, Relatore, ritiene necessaria anche la prima parte, perché contiene una affermazione la quale dà un senso anche all'altra riguardante il futuro. Si deve dire che non vengono riconosciuti i titoli nobiliari, né per il passato né per il futuro, e si riconoscono soltanto per quello che attengono al nome. Insiste pertanto sulla formula: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome».

Il Presidente Tupini fa rilevare che sulla prima proposizione non si può tornare, perché è già stata votata e respinta ieri. Ritiene che, come espediente logico e anche formale, si potrebbe adottare, se la Commissione lo ritiene opportuno, questa seconda parte, attaccandola ad una proposizione precedente che potrebbe essere questa: «La concessione dei titoli nobiliari è vietata. I predicati di quelli attualmente esistenti fanno parte integrante del nome».

Comunque non crede che si possa rimettere in votazione una proposizione già votata e respinta quale è quella degli onorevoli Lombardi e Mancini.

Lucifero fa presente che lo stato nobiliare italiano è regolato per legge. Quindi pensa che nella Costituzione si dovrebbe dire: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. Per quelli attualmente esistenti provvederà la legge». Ritiene che questa sia la formula tecnicamente più perfetta. Evidentemente dovrebbe essere una nuova legge a provvedere.

Mastrojanni in seguito a questa nuova formula, desidera precisare il suo pensiero, facendo presente che la Repubblica non è una Repubblica comunista né una Repubblica socialista: è una Repubblica italiana.

Basso, Relatore, replica che, se anche fosse socialista, sarebbe italiana lo stesso.

Mastrojanni proseguendo, fa osservare che la formula politica della Repubblica non è stata ancora caratterizzata, e che quindi, col considerarla dal punto di vista della teoria socialista o comunista, si precede l'orientamento politico della Repubblica stessa. Di conseguenza, tutte le considerazioni fatte nei riguardi dell'abolizione dei titoli nobiliari sono una offesa ai principî della libertà ed ai diritti individuali. Le preoccupazioni affacciate, secondo le quali i titoli fascisti non possono e non devono essere tenuti in considerazione, sono da lui sottoscritte in pieno. Ma, se si deve provvedere per i titoli nobiliari concessi dal 1922 in poi, per contro non si deve in modo assoluto toccare quello che riguarda il periodo precedente. Per conciliare le diverse tendenze, propone la seguente formula: «I titoli nobiliari e cavallereschi conferiti dopo il 1922 sono aboliti e per l'avvenire non possono più essere conferiti». Approvando questa proposta verranno risolte tutte le preoccupazioni nei riguardi dei titoli concessi dal regime fascista, e si lascerà intatto il patrimonio morale, storico, familiare del passato. Ritiene che non si possa togliere anche alla famiglia Diaz il titolo di Duca della Vittoria, né il titolo di conte alla famiglia di Camillo Benso di Cavour.

Cevolotto è d'avviso che la votazione sulla proposta Mancini-Lombardi, mirante a terminare l'articolo dopo le parole: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri» non abbia avuto il significato di respingere in modo assoluto il concetto in essa espresso, e che resta in facoltà dell'Assemblea discutere ed approvare la prima parte dell'articolo, purché accompagnata da una delle due proposizioni proposte dall'onorevole La Pira e dall'onorevole Basso, o, eventualmente, da un'altra formulata dall'Assemblea.

Il Presidente Tupini fa osservare all'onorevole Cevolotto che all'inizio della seduta è prevalso il criterio di non ritornare su una questione già risolta nella votazione di ieri.

Basso, Relatore, risponde all'onorevole Mastrojanni che la sua proposta non è socialista o comunista, ma è tipica espressione della Repubblica francese. Qualunque Repubblica democratica non riconosce titoli nobiliari; la nobiltà è istituto di un determinato momento storico, ed è intimamente legata all'esistenza di una monarchia. Per quanto riguarda gli altri argomenti addotti dall'onorevole Mastrojanni, l'oratore pensa che non si mancherebbe certo di rispetto a Cavour se si abolisse il suo titolo nobiliare. Il rispetto profondo che si ha per questo italiano non è certo connesso col titolo nobiliare, ma con i servizi da lui resi alla Patria.

Si dichiara poi contrario alla proposta che la Repubblica non debba concedere titoli cavallereschi; comunque rileva che non è questa la sede per decidere in una materia che riguarda più propriamente la seconda Commissione.

Moro ribadisce il concetto che sia impossibile accettare la tesi dell'onorevole Cevolotto, nei riguardi del significato della votazione sulla proposta Mancini-Lombardi.

Riguardo alla proposta avanzata dall'onorevole Mastrojanni, ritiene che essa non risolva la questione. Non crede sia compito della Costituzione provvedere in ordine a degli istituti limitati nel tempo: deve provvedervi — e si meraviglia non l'abbia fatto — la legislazione ordinaria, per quanto riguarda i titoli nobiliari concessi dal fascismo. Per quanto riguarda le onorificenze, aderisce a quanto ha dichiarato l'onorevole Basso.

Richiama l'attenzione sulla formula proposta dal Presidente che gli pare sia quella che possa ottenere il comune consento.

Grassi osserva che la concessione e il riconoscimento dei titoli nobiliari e delle onorificenze fa parte delle prerogative regie. Caduta la premessa, è logico che cada tutto il resto, salvo che la Costituzione repubblicana non consenta al Capo dello Stato la possibilità di concedere onorificenze o altro. Comunque, la questione dovrebbe essere esaminata in sede di discussione della struttura dello Stato e dei poteri da conferire al Capo dello Stato.

Fa presente che nel corso della discussione non è stata considerata la questione dell'autorizzazione dei titoli concessi da uno Stato straniero, che deve far parte delle norme sul Capo dello Stato e quindi sarebbe materia di competenza della seconda Sottocommissione. In questa sede ci si deve solo preoccupare della questione nei riguardi del nome. A questo proposito, la proposta dell'onorevole Basso farebbe dei soli predicati nobiliari parte integrante del nome, mentre l'onorevole La Pira propone di conservare i titoli nobiliari solamente come facenti parte storicamente del nome. Se si riporterà la questione alle sue giuste proporzioni, la si spoglierà anche di tutto il significato politico che si è voluto ad essa connettere, trattandola soltanto per quello che ha riferimento alla parte di Costituzione demandata allo studio della Commissione, cioè al nome. Se si vorrà esaminarla in questo modo, la si esamini pure, altrimenti sarà bene rimandarla a quella parte della Costituzione che riguarda le prerogative del Capo dello Stato.

Mancini precisa all'onorevole Mastrojanni di non aver fatto la proposta per il fatto di pretendere una Repubblica socialista o comunista. Formiamo la struttura di una Repubblica democratica, che è in antitesi assoluta con quelli che sono i privilegi di nascita, e che onora soltanto le attività produttrici del cittadino.

I nomi storici, dei quali l'onorevole Mastrojanni ha fatto menzione, — e ad essi altri se ne potrebbero aggiungere, ad esempio Massimo d'Azeglio — sono noti per le loro benemerenze e non per i loro titoli nobiliari.

Marchesi dichiara che, quando ha parlato di «Repubblica dei lavoratori», non intendeva accennare ad una Repubblica socialista, ma ad una Repubblica nella quale tutti i cittadini prestino pensiero ed opere al bene della comunità. Crede che in questa classe di lavoratori non disdegnerebbe di entrare l'onorevole Mastrojanni.

Mastrojanni dichiara che si onora di appartenervi.

Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta pregiudiziale presentata dall'onorevole Grassi, di rimandare tutta la parte che riguarda una statuizione sui titoli nobiliari alla competenza della seconda Sottocommissione, come facente parte della facoltà che la Costituzione potrà conferire al Presidente della Repubblica. Naturalmente su questa proposta ciascuno degli onorevoli Commissari può intervenire per dichiarazione di voto. Per conto suo, dichiara di non ritenere che, almeno per quanto attiene ai titoli nobiliari, la questione sia di competenza della seconda Sottocommissione; pertanto il suo voto sarà contrario alla proposta stessa.

Basso, Relatore, dichiara anch'egli che voterà contro. Ha proposto di rinviare alla seconda Sottocommissione la questione riguardante i titoli cavallereschi, in quanto presume che la Repubblica ne debba istituire dei propri, ma è del parere che essa non debba concedere titoli nobiliari.

Mancini dichiara che, avendo proposto e votato la formula risolutiva, non accede a nessuna formula subordinata, riservandosi di risollevare la questione in sede di Assemblea plenaria.

Corsanego si associa alle dichiarazioni fatte dall'onorevole Basso.

Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta presentata dall'onorevole Grassi di rinviare la questione dei titoli nobiliari alla competenza della seconda Sottocommissione.

(La proposta è respinta all'unanimità meno 1 voto).

Il Presidente Tupini fa presente che all'inizio della riunione propose una formula nella quale si diceva: «La concessione di titoli nobiliari è vietata». Dovendosi fare un'affermazione di carattere generale, dato che quella di carattere generalissimo contenuta nella proposta Basso, e fatta propria dagli onorevoli Mancini e Lombardi, non è più oggetto di esame e di votazione, ritiene che il concetto espresso in questa formula possa essere accettato da tutti.

Marchesi dichiara di essere disposto a votare la formula proposta dal Presidente, purché essa sia connessa col resto dell'articolo.

Il Presidente Tupini fa presente che, naturalmente, è fatta salva l'ulteriore discussione.

Basso, Relatore, dichiara di ritenere che, per procedere con chiarezza e con ordine, non si possano scindere le due proposizioni. È disposto a votare un articolo che dica: «I titoli nobiliari sono aboliti e per quelli esistenti provvederà la legge», ma non è disposto a votare la prima parte soltanto, prima di sapere quale sarà il destino del capoverso. Se le due parti saranno messe in votazione in tempi diversi, dovrà dare voto contrario anche alla prima parte.

Moro si associa a quanto ha dichiarato l'onorevole Basso. Ritiene che le due parti siano strettamente connesse.

Lucifero si associa, e crede che la formula da lui proposta sia quella che risolverebbe il problema.

Il Presidente Tupini rileva che la Commissione è d'accordo nel senso che si debba addivenire alla votazione con criteri di connessione tra la prima e la seconda proposizione. Non ha difficoltà ad accedere a questo parere.

Richiama però l'attenzione della Commissione anche sulle altre formule proposte in connessione con la prima, e anzitutto sulla formula primitiva dell'onorevole Basso, che questi non ha ancora dichiarato di abbandonare.

Basso, Relatore, poiché è caduta la prima parte dell'articolo, dichiara di abbandonare la primitiva formula.

Il Presidente Tupini prende atto del ritiro della primitiva proposta Basso, rilevando che la formula che il Relatore ora sostiene è la seguente: «I titoli nobiliari sono aboliti e per quelli esistenti provvederà la legge».

Ricorda che, di fronte a questa proposta definitiva dell'onorevole Basso, v'è anche la proposta dell'onorevole La Pira.

La Pira, Relatore, dichiara di ritirare la formula da lui precedentemente proposta e di accedere in linea di massima alla formula dell'onorevole Basso, pur ritenendo che sia opportuno riflettere sulla seconda proposizione.

Moro osserva che la formula dell'onorevole Basso, in fondo, non dice nulla in quanto, praticamente, spoglia la Costituzione della competenza a decidere su questo punto e rinvia alla legge. Inoltre è contrario a tale formula per una ragione di connessione con la prima parte dell'articolo già approvata. Precisa di non voler fare alcuna difesa della nobiltà, ma solo garantire il diritto al nome. Non ha votato in favore della formula dell'onorevole Grassi, perché toglieva del tutto alla Commissione la competenza, ma è d'accordo con lui che si debba dire qualche cosa a garanzia del diritto al nome sotto il profilo del titolo nobiliare. Non vede quale difficoltà sorga ad accettare in sede costituzionale una dichiarazione che garantisca nello status nobiliare il diritto al nome. E, per venire incontro alle esigenze prospettate dagli altri oratori, ha accettato di sostituire, d'accordo con l'onorevole La Pira, nella sua formula l'espressione «titoli nobiliari» con l'altra estremamente restrittiva dell'onorevole Basso che è: «i predicati dei titoli nobiliari».

Marchesi dichiara di non poter accettare la proposta Basso, così come è adesso formulata, e di accettare invece la proposta dell'onorevole Moro.

Lombardi Giovanni osserva che il nome, secondo le leggi civili, è dato dal cognome, dal nome di battesimo e dalla paternità. Dichiara di essere contrario alla formula proposta dall'onorevole Moro.

Grassi dichiara di accettare il principio espresso dall'onorevole Moro.

Mancini dichiara di votare contro la formula dell'onorevole Moro solo perché l'unica e sola legge che deve provvedere è la legge costituzionale.

Il Presidente Tupini, prima di mettere ai voti le due proposte che formano la parte terminale della proposizione, fa osservare che vi è una proposta dell'onorevole Mastrojanni, contenuta nella seguente formula: «I titoli nobiliari e cavallereschi conferiti dopo il 1922 sono aboliti e per l'avvenire non possono essere conferiti titoli nobiliari».

Prega l'onorevole Mastrojanni di voler recedere dalla sua proposta, in presenza delle formule radicali rispettivamente proposte dall'onorevole Basso e dall'onorevole Moro.

Mastrojanni dichiara di aver formulato la sua proposta per trovare una via di conciliazione, in conseguenza delle giuste lamentele che si erano rivolte riguardo ai titoli concessi nel periodo fascista, presupponendo che questi titoli dovevano esaurirsi nei limiti di tempo tra il 1922 ed il 1943, lasciando intangibili quelli che erano diritti acquisiti prima di tale epoca.

In ogni modo, non ha difficoltà a ritirare la sua proposta, richiamandosi a quanto è stato votato nella seduta precedente.

Il Presidente Tupini fa rilevare che restano in discussione due formule, di cui la prima parte è identica, sia nella proposta dell'onorevole Moro come in quella dell'onorevole Basso: «È vietata la concessione di titoli nobiliari».

Domanda all'onorevole Basso se, per facilitare la votazione, consente che si proceda alla votazione per divisione, dato che sulla prima parte sono tutti d'accordo, mentre sulla seconda si verificherà una divergenza.

Basso, Relatore, consente. Spiega che le ragioni per le quali egli aveva proposto un'altra formula sono due: anzitutto perché l'affermazione che i predicati dei titoli esistenti valgono solo come parte del nome, avulsa da quella prima parte in cui è detto che sono aboliti i titoli nobiliari, perde ogni valore morale; in secondo luogo per una ragione puramente contingente, e cioè che una formula di questo genere lascia salvi certi predicati, quali quelli dei titoli fascisti, cosa questa che ripugna alla nostra coscienza morale.

Moro dichiara che, per quanto riguarda i titoli fascisti, egli ritiene che debba provvedere quella speciale legislazione che tende a distruggere tutto quello che il fascismo ha creato, in quanto non compatibile con l'attuale stato di cose. Non possono essere inserite nella Costituzione le norme che invece devono essere contemplate dalla legislazione speciale contro il fascismo.

Quanto poi alla diminuzione di significato che risulterebbe dalla formula proposta, richiama l'attenzione della Sottocommissione sulla parola «solamente».

Il Presidente Tupini mette ai voti la prima parte dell'articolo:

«È vietata la concessione di titoli nobiliari».

Lombardi Giovanni voterà contro questa formula, perché seguita da un'altra che egli non accetta.

De Vita dichiara anch'egli che voterà contro, in considerazione della proposizione che formerà oggetto della votazione successiva.

Mancini dichiara di rimanere nella sua posizione di intransigenza.

(La prima parte dell'articolo è approvata con 11 voti favorevoli e 3 contrari).

Lucifero dichiara che, nel caso che l'onorevole Basso receda dalla sua formula, la farà sua.

Il Presidente Tupini fa presente che vi sono due formule: quella proposta dall'onorevole Moro che ha avuto l'adesione dichiarata dell'onorevole Marchesi: «I predicati di quelli attualmente esistenti valgono solamente come parte del nome» e l'altra dell'onorevole Basso che dice:

«Per quelli attualmente esistenti provvede la legge»,

alla quale l'onorevole Lucifero ha dato esplicita adesione.

Mette ai voti la formula dell'onorevole Basso.

Marchesi dichiara di non poter votare la proposta Basso perché ritiene che in questo campo la Sottocommissione non possa rinunciare ad una precisazione, e delegare i suoi poteri al futuro legislatore.

De Vita dichiara che voterà contro la formula dell'onorevole Basso, in quanto ritiene che non si possa votare una formula che non sia veramente radicale. Per lui tale formula sarebbe «I titoli nobiliari sono aboliti».

Mastrojanni fa osservare che, votando la proposta dell'onorevole Moro, si lascerà impregiudicata la questione della disparità di trattamento tra coloro per i quali l'attributo fa parte integrante del nome, e coloro che hanno semplicemente un titolo nobiliare senza attributo. Di questa ingiustizia di trattamento il Presidente si è giustamente preoccupato, e ha invitato i Commissari a studiare una formula che risolva la situazione.

(La proposta Basso è respinta con 5 voti favorevoli e 9 contrari).

Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta dell'onorevole Moro:

«I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Mancini dichiara di votare contro per le ragioni già dette e perché l'attributo di nobiltà al proprio cognome non rappresenta altro che un privilegio di nascita, che offende il costume democratico.

Lucifero dichiara che voterà contro la proposta dell'onorevole Moro, perché non risolve i problemi che erano stati proposti.

Mastrojanni si associa alle considerazioni dell'onorevole Lucifero.

(La proposta Moro è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

Il Presidente Tupini rilegge le proposizioni che sono state approvate:

«È vietata la concessione dei titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Poiché si è detto che tutta la materia discussa si inseriva nella questione del nome, propone che le due proposizioni approvate vengano collocate nell'articolo 2-bis, subito dopo le parole «Nessuno può essere privato del nome».

(La proposta è approvata all'unanimità).

Fa presente che l'intero articolo 2-bis risulta approvato nei seguenti termini:

«Ogni uomo è soggetto di diritto.

Nessuno può essere privato del proprio nome.

È vietata la concessione dei titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti valgono soltanto come parte del nome.

Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

Lombardi Giovanni fa rilevare che si sono perdute due sedute per approvare il concetto del mantenimento dei predicati della nobiltà.

Il Presidente Tupini fa presente l'opportunità di dividere l'articolo 2-bis in due articoli: uno contenente il concetto che «Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome. È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome»; e un altro che potrebbe essere il 2-ter, esprimente gli altri concetti: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

Moro propone di articolare le proposizioni approvate in tre articoli, perché ritiene che si tratti di tre cose distinte: la soggettività dei diritti, il diritto al nome, il diritto alla cittadinanza.

Mastrojanni è favorevole al mantenimento di un solo articolo.

La Pira, Relatore, propone che l'articolo 2-bis venga diviso in due articoli: in uno si dovrebbe esprimere la soggettività del diritto, e nell'altro il diritto al nome e alla cittadinanza.

Marchesi si associa alla proposta dell'onorevole La Pira.

Basso, Relatore, dichiara di preferire una divisione in tre articoli.

Il Presidente Tupini propone di dividere l'articolo 2-bis in tre articoli che sarebbero i seguenti:

Art. 2-bis.

Ogni uomo è soggetto di diritto.

 

Art. 2-ter.

Nessuno può essere privato del proprio nome.

È vietata la concessione di titoli nobiliari.

I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome.

 

Art. 2-quater.

Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici.

La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge.

(La proposta è approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti