[Il 25 gennaio 1947, nella seduta antimeridiana, la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria discute sul divieto di concessione e di uso di titoli nobiliari.]

Il Presidente Ruini avverte che vi è da esaminare il secondo comma dell'articolo 16, così formulato:

«È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

L'onorevole Nobile propone che si dica

«È vietata la concessione e l'uso dei titoli nobiliari».

Nobile non avrebbe immaginato, quando ha presentato questo emendamento, di sollevare una così vivace reazione; a giudicare dai commenti della stampa ed anche da qualche telefonata anonima giuntagli, ritiene di aver messo le mani in un vespaio. Dichiara che non ha nulla contro i quaranta mila gentiluomini che sono iscritti nel Libro d'oro che la Consulta araldica pubblica, come è noto, a spese dell'erario; e non ha nemmeno nulla contro gli altri, assai più numerosi, che, pur non avendo l'onore di comparire in quell'aureo libro, tuttavia si compiacciono di fregiarsi di titoli altisonanti. Non gli preme affatto che uno si faccia chiamare visconte, o marchese, o duca, o principe, o magari grande di Spagna, o conte palatino.

Se la prima Sottocommissione avesse taciuto su questo argomento, non se ne sarebbe meravigliato e non avrebbe trovato nulla da ridire, perché è convinto che quel fondamentale rinnovamento del nostro Paese, che pur deve avvenire, spazzerà via come cosa morta tutte queste cianfrusaglie di titoli ed orpelli da salotto. Ma la Sottocommissione ha sentito il bisogno di occuparsene; essa ha creduto di vietare che la Repubblica democratica possa, niente di meno, seguendo l'andazzo dei tempi fascisti, concedere titoli nobiliari. Un tale divieto è perfino superfluo, perché sarebbe veramente ridicolo ed assurdo che ad una Repubblica, e ad una Repubblica fondata a metà del secolo ventesimo, fosse riconosciuta tale facoltà. Ma allora è ovvio che si debba aggiungere il divieto altresì dell'uso dei titoli esistenti, perché, se questo non avvenisse, si giungerebbe alla conclusione assurda di conferire un maggior valore a quelli elargiti con tanta generosità dal fascismo. I vari conti, marchesi, duchi e principi creati da Mussolini sarebbero invero riconoscenti della sicurezza loro data dalla Costituzione che altri non possono aggiungersi nel Libro d'oro della nobiltà italiana. Questo certamente non era, e non è, nelle intenzioni della Sottocommissione che ha formulato questa norma costituzionale e perciò gli è sembrato ovvio che si dovesse aggiungere che, non solo è vietato concedere nuovi titoli, ma anche usare quelli esistenti.

Purtroppo vi è ancora tanto spagnolismo nel sangue e nei costumi italiani che sarebbe davvero ora di fare uno sforzo per liberarsene. In Italia chi non è eccellenza, o onorevole, o duca, o marchese, o commendatore, o magari cavaliere, è davvero un pover'uomo. Sarebbe ora che si usassero esclusivamente quei titoli che sono conquista della propria attività e che in tal senso sono i soli che veramente siano onorifici. In Italia si è giunti a questo anacronismo, che esiste un solenne organismo ufficiale, la Consulta araldica, che si occupa della nobiltà, e nientemeno essa è presieduta dal Primo Ministro. Non riesce davvero ad immaginarsi che il Capo del Governo di una Repubblica fondata essenzialmente sul lavoro, come è stato dichiarato in un articolo già approvato, si debba occupare di cose che, piaccia o non piaccia, sono un avanzo di tempi feudali.

Questa Consulta araldica è una cosa seria come è organizzata: è costituita da quattordici Consultori ed ha alle proprie dipendenze ben dodici Commissioni regionali: servizio importante se si deve giudicare dalle numerose pubblicazioni da essa edite. Non si è voluto chiamare la Repubblica «Repubblica dei lavoratori», ma nemmeno si può ammettere che essa diventi Repubblica di nobili. In pieno regime fascista, nel 1929, si poteva leggere nella «Rivista Araldica» che la nobiltà italiana doveva nientemeno essere considerata come un vero e proprio corpo giuridico e morale, con funzioni e prerogative speciali, e come conseguenza si chiedeva che essa avesse il suo posto di diritto e di fatto nei gradi supremi dello Stato e della società nazionale, e si invocavano a tale scopo provvidenze morali ed economiche. Una tale richiesta era la logica conseguenza di ciò che aveva dichiarato Mussolini nella sua relazione al re sull'ordinamento dello stato nobiliare italiano, ordinamento che i nobili italiani considerano come la Carta costituzionale della nobiltà italiana.

«Questo nuovo ordinamento — diceva Mussolini nella relazione — costituirà uno strumento validissimo per la maggiore elevazione spirituale e morale dell'aristocrazia italiana, la quale, attraverso una gloriosa storia millenaria, conserva le più elette virtù della stirpe e continua a tenere il primo posto nell'ascensione della Patria ai più alti destini».

Quello che le famiglie nobili italiane hanno fatto nei secoli scorsi è compito della storia di stabilire e ricordare; ma i discendenti di quelle famiglie l'Italia democratica del secolo ventesimo li deve giudicare per quello che essi daranno di contributo alla vita politica e sociale del Paese.

Confida che l'aggiunta proposta sia approvata dalla Commissione; ma nel caso che la proposta non fosse accolta, chiederà che sia messo in votazione, per appello nominale, un altro emendamento che presenta in via subordinata e che suona così: «Tutti i titoli nobiliari concessi dal Governo fascista sono abrogati. Una legge sancirà pene contro chi ne faccia uso».

Il Presidente Ruini, circa la questione della Consulta araldica, ricorda all'onorevole Nobile che si era deciso che il problema sarebbe stato trattato nella discussione delle norme transitorie.

Grieco, dichiara di non essere favorevole all'emendamento dell'onorevole Nobile, ritenendo che la norma proposta dal Comitato di redazione sia più che sufficiente. Quando si dice che «è vietata la concessione di titoli nobiliari», è evidente che, come logica conseguenza, si arriverà alla soppressione della Consulta araldica, e basterà che se ne occupino le disposizioni transitorie.

All'onorevole Nobile dispiace che vi sia della gente la quale faccia uso di titoli nobiliari; ma se un cittadino italiano ama farsi chiamare principe, ciò rappresenta una piccola vanità, un trastullo e fra le libertà che sono state conquistate vi è anche quella di trastullarsi, senza che per questo sia necessario introdurre un divieto nella Costituzione. Forse l'onorevole Nobile è preoccupato della inflazione di titoli nobiliari nel Mezzogiorno, in gran parte forse non legittimi ai tempi in cui la verifica della legittimità nobiliare era in uso; ma si tratta di un problema di costume politico.

Si consideri, poi, che ad un eventuale divieto dovrebbe corrispondere una sanzione. Ed allora, che cosa succederebbe in Italia? Sarebbe una cosa difficile perseguire i contravventori di questa norma costituzionale.

Lucifero non si preoccupa eccessivamente dell'una o dell'altra formula, convinto come è che la storia non si cancella. Vorrebbe soltanto fare una osservazione di carattere tecnico, cioè che la Repubblica non potrebbe mai concedere titoli nobiliari, perché questa concessione è un residuo storico, è un fatto feudale. Quindi il pericolo di questa concessione non esiste, perché manca nella Repubblica la possibilità di dare titoli.

Quanto all'uso, alla proibizione o non proibizione, occorre considerare — come è accaduto in Francia — che si tratta di disposizioni che nella pratica sono difficilmente applicabili; e ciò esautora non quella determinata legge, ma la legge in generale. Siano o no aboliti i titoli nobiliari, pensa che non si sposti nulla nella realtà dei fatti, perché la tradizione storica impegna le persone sulla via più difficile, non sulla più facile.

Moro richiama l'attenzione sul fatto che il divieto dell'uso dei titoli nobiliari, senza che vi sia una sanzione, creerebbe una situazione per la quale si manifesta inopportuno l'emendamento Nobile. In sostanza, con la formula adottata, dopo lunga discussione, nella prima Sottocommissione, si è voluto soltanto, del titolo nobiliare, garantire il nome, come una applicazione particolare del principio generale sancito per cui il diritto al nome è costituzionalmente garantito. Si è voluto, in fondo, che il predicato del titolo nobiliare, che è nome, sia garantito come parte del nome. Ora, se si vuole stabilire una norma che abolisca la Consulta araldica, demandando la tutela del nome alle norme generali, non ha alcuna difficoltà che sia posta nelle disposizioni finali della Costituzione.

Mannironi, poiché ritiene che la materia non debba far parte della Costituzione, propone che il secondo comma dell'articolo 16 sia soppresso.

Nobile chiarisce che non avrebbe sollevato la questione, se il secondo comma dell'articolo 16, così come è stato formulato, non si risolvesse in una valorizzazione dei titoli elargiti dal Governo fascista.

Terracini dichiara che voterà contro la soppressione, poiché ritiene che questa disposizione, come alcune altre del testo costituzionale, che in altri ambienti storici e politici potrebbero apparire superflue, siano necessarie proprio per il loro valore storico e politico.

Lussu dichiara di essere contrario alla soppressione della norma, ma prega il Comitato di redazione di trovare una formulazione più chiara. Si parla di «predicati», termine non facilmente intelligibile da tutti.

Il Presidente Ruini ricorda che la formula adottata aveva raccolto l'adesione delle varie correnti sia in sede di Sottocommissione, che di Comitato di redazione. Ad ogni modo si potrebbe modificare.

Pone ora ai voti la proposta di soppressione del secondo comma.

(Non è approvata).

Perassi sopprimerebbe la prima parte del secondo comma «È vietata la concessione di titoli nobiliari» che non ritiene necessaria, formulando il comma stesso nel seguente modo: «I predicati dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Il Presidente Ruini osserva che si tratta di un nuovo emendamento.

Pone intanto ai voti l'emendamento Nobile.

Targetti dichiara di votare contro l'emendamento, riservandosi, però, di proporre, fra le norme transitorie, la dichiarazione di nullità di tutti i titoli nobiliari concessi dal regime fascista.

Laconi, pur votando contro l'emendamento Nobile, ritiene che debba essere non soltanto vietata la concessione di nuovi titoli nobiliari, ma anche il riconoscimento da parte della Repubblica di quelli esistenti. Pensa che questa seconda parte sia implicita nell'abolizione della Consulta araldica, che sarà stabilita nelle norme transitorie.

Il Presidente Ruini mette in votazione l'emendamento Nobile.

(Non è approvato).

Perassi pensa che sia da escludere che la Repubblica possa concedere titoli nobiliari. Si potrebbe, pertanto, sopprimere la prima parte del comma, adottando la formula: «I predicati dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Terracini osserva che il significato dell'emendamento Perassi è che, non essendo stato indicato alcuno che abbia la competenza di concedere i titoli, manchi l'esercizio di questa facoltà. Ora, se è vero che nel passato il diritto di concedere titoli era riconosciuto al re, e che nelle attribuzioni del Presidente della Repubblica non si è accennato a nulla di analogo, resta sempre la possibilità che domani, per iniziativa parlamentare o del governo repubblicano, si presenti un progetto di legge che conceda il titolo nobiliare ad una determinata persona, per speciali benemerenze. Occorre pertanto stabilire che non è possibile una tale concessione e che quindi iniziative legislative di questo genere non possono essere ammesse. Ritiene quindi che la prima parte del comma debba essere mantenuta.

Moro si associa alle osservazioni dell'onorevole Terracini.

Lucifero osserva che non vi è più in Italia l'autorità che possa dare titoli nobiliari. Vorrebbe evitare che nella Costituzione si riscontrassero delle inesattezze tecniche. Crede quindi che la proposta dell'onorevole Perassi sia giustissima proprio dal punto di vista tecnico e darà voto favorevole.

Il Presidente Ruini pone ai voti la proposta Perassi di sopprimere l'espressione: «È vietata la concessione di titoli nobiliari» e lasciare la formula:

«I predicati dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

(La proposta è approvata).

Nobile dichiara che lo scopo del suo intervento non riguarda i vecchi titoli nobiliari, ma quelli creati dal fascismo. Perciò ha presentato, in via subordinata, il seguente emendamento, che può essere inserito tra le disposizioni transitorie:

«Tutti i titoli nobiliari concessi dal governo fascista sono abrogati. Una legge sancisce pene contro chi ne faccia uso».

Laconi ritiene che il secondo comma, con la soppressione della prima parte, debba essere fuso con l'articolo già previsto nelle norme transitorie per l'abolizione della Consulta araldica. Conseguentemente potrà parlarsi di abolizione dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.

Nobile non crede che abolendo la Consulta araldica cadano i titoli nobiliari concessi dal fascismo.

Fabbri pensa che il secondo comma trovi la propria sede opportuna nell'articolo 16. Essendosi nel primo comma affermato che nessuno può essere privato per motivi politici del proprio nome, si specifica in che modo si deve intendere il predicato dei titoli nobiliari attualmente esistenti.

È poi favorevole ad una disposizione, da inserire fra le norme transitorie, in base alla quale siano soppressi i titoli nobiliari concessi in regime fascista, poiché egli ritiene che in quel periodo le funzioni del re siano state obliterate dalle passioni popolari del fascismo.

Moro è d'accordo che occorra una disposizione per abolire i titoli nobiliari concessi dal fascismo; però non nasconde una certa ripugnanza a che una norma di tal genere compaia nella Costituzione, per quanto vi siano disposizioni finali che si riferiscono a fatti contingenti.

Laconi pensa che con la introduzione della norma proposta dall'onorevole Nobile si venga ad ammettere un riconoscimento dei titoli nobiliari da parte dello Stato. Ora è stato ammesso che non vi possa essere concessione di titoli del genere da parte dello Stato repubblicano. Resta la questione del riconoscimento o meno dei titoli esistenti, questione che si risolve attraverso l'abolizione della Consulta araldica e con la specificazione che i predicati attualmente esistenti sono considerati soltanto come parte del nome. Conseguentemente si potrà stabilire l'abolizione dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.

Presidente Ruini. Come è stato rilevato, l'emendamento dell'onorevole Nobile per l'abolizione dei titoli nobiliari concessi dal fascismo fa sorgere il dubbio che tutti gli altri titoli abbiano ancora vigore; mentre lo spirito della disposizione approvata, sia pure nella forma più ellittica dell'onorevole Perassi, è che i titoli del passato non valgono più come titoli nobiliari. Pensa pertanto che la questione dei titoli nobiliari fascisti possa essere regolata, con opportuna norma, in sede transitoria. L'onorevole Laconi sostiene, d'altra parte, che ridotta la disposizione alla formula che riguarda soltanto i predicati dei titoli nobiliari, è opportuno che sia messa in relazione a tutto ciò che riguarda il riconoscimento dei titoli nobiliari in sede di Consulta araldica.

Nobile non ha difficoltà a rimettere la sua proposta al Comitato di redazione perché trovi la formula opportuna che si ispiri al concetto da lui sostenuto.

Il Presidente Ruini pone ai voti la proposta di rinviare la questione al Comitato perché esamini quali norme potranno essere introdotte, sentiti naturalmente i proponenti, onorevoli Nobile e Laconi.

(La proposta è approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti