[Il 5 dicembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia l'esame delle disposizioni finali e transitorie. — Presidenza del Vicepresidente Bosco Lucarelli.]

Presidente Bosco Lucarelli. Passiamo ora alla quarta disposizione transitoria. Se ne dia lettura:

Amadei, Segretario, legge:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L'Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero».

Presidente Bosco Lucarelli. A questa disposizione l'onorevole Nobile ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Sostituirla con la seguente:

«Lo Stato repubblicano non riconosce titoli nobiliari o altre dignità trasmettibili per eredità, fatti salvi gli impegni provenienti da trattati internazionali.

«Tutte le questioni relative ai titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale regolerà anche la soppressione della Consulta araldica.

«Le concessioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 1922 sono annullate».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobile. In sede di Commissione dei Settantacinque io non avrei mai pensato di occuparmi dei titoli nobiliari se non vi fossi stato spinto da talune osservazioni che feci spontaneamente esaminando l'articolo così come era stato formulato dalla prima Sottocommissione. L'articolo della prima Sottocommissione diceva:

«È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Implicitamente in questa disposizione vi erano tre decisioni: anzitutto era contemplato il divieto allo Stato repubblicano di concedere titoli nobiliari; in secondo luogo, non venivano riconosciuti i titoli nobiliari esistenti; e per ultimo veniva stabilito che il predicato di essi valesse soltanto come parte del nome.

Se nel testo della Costituzione si fosse taciuto di questo argomento, non mi sarei meravigliato — ne tacciono molte altre Costituzioni repubblicane, come ad esempio la austriaca, la polacca, la lituana, la spagnola — e per conto mio non avrei trovato nulla da dire. La Commissione per la Costituzione aveva del resto da occuparsi di questioni ben più serie di questa; ma, esaminando bene il testo approvato dalla suddetta Commissione, non si poteva non fare qualche rilievo di importanza: anzitutto era curioso che si fosse sentito il bisogno di vietare esplicitamente che la Repubblica concedesse titoli nobiliari, per una Repubblica, per giunta, nata alla metà del secolo XX. Tutti sanno che l'unica sorgente di siffatti onori è il monarca: in regime monarchico il re è il capo riconosciuto dei nobili, e come tale egli si attribuisce il diritto di creare nuovi nobili, usando talvolta una generosità eccessiva. In Francia, per esempio, in un solo anno, nel 1696, si dettero, per 40 milioni di lire, 500 lettere nobiliari.

Dunque era assurdo che fosse sancito il divieto allo Stato Repubblicano di concedere titoli nobiliari. Farne espresso divieto mi sembrava cosa superflua.

Vi era anche la considerare che se la Costituzione della Repubblica italiana doveva occuparsi di siffatta materia, non poteva in verità non proporre l'abolizione dei molti titoli concessi dal governo fascista. Non facendosi questo, si sarebbe avuto il risultato curioso — non certo previsto dalla seconda Sottocommissione — che la Repubblica avrebbe reso perpetuo il ricordo di quei titoli. I Ciano di Cortellazzo, i De Vecchi di Val Cismon, gli Acerbo dell'Aterno avrebbero preso il loro posto definitivo a lato di nomi di antichissime famiglie italiane legate alla storia del nostro Paese.

L'emendamento da me presentato nell'adunanza plenaria del 25 gennaio al testo della prima Sottocommissione suonava così:

«Tutti i titoli nobiliari concessi dal governo fascista sono abrogati. Una legge sancisce, ecc.».

Fu allora deciso di rinviare la proposta al Comitato di redazione perché esaminasse quali norme avrebbero potuto essere introdotte nelle disposizioni transitorie per regolare la questione dei titoli concessi dal regime fascista, sentito «naturalmente» il proponente. Ma altrettanto «naturalmente» avvenne che il Comitato procedesse alla redazione definitiva senza ascoltarlo.

Il testo del Comitato dice:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari».

Su ciò non vi è nulla da eccepire, ma bisognerebbe chiarire il significato di questa formula, che è nuova, non usata in altre costituzioni repubblicane.

Quella di Weimar, infatti, dice: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome e non dovranno essere conferiti di nuovi».

Quella cecoslovacca precisa: «I titoli non devono essere accordati che per designare l'impiego o la professione». Quella estone aggiunge: «La Repubblica non conferisce ai suoi cittadini alcun titolo onorifico». Quella finlandese: «Nella repubblica non saranno conferiti titoli nobiliari».

Se non che bisogna ricordare gli impegni da noi assunti con i trattati internazionali, e, in particolare, gli impegni assunti con l'articolo 42 del Concordato nel quale è detto:

«L'Italia ammetterà il riconoscimento mediante decreto dei titoli nobiliari conferiti dal Sommo Pontefice anche dopo il 1870 e di quelli che saranno conferiti in avvenire».

Poiché i Patti Lateranensi sono stati riconosciuti dalla Costituzione, ne deriva come conseguenza che, per non cadere in una aperta contraddizione, bisognerebbe far salvi gli obblighi che da quelle clausole derivano allo Stato italiano.

Naturalmente, non sono da nascondersi le difficoltà che possono nascere da questa eccezione: ma l'eccezione non si può evitare. Per evitarla bisogna tacere l'argomento anche nelle disposizioni transitorie e rinviare tutto alla legge.

Questa è una proposta che farei molto volentieri; comunque la presenterò in via subordinata.

Il secondo comma del testo del Comitato dice:

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome».

A questa disposizione possono muoversi varie critiche. La più importante è che con essa si fa un diverso trattamento ai titoli puri e semplici in confronto a quelli provvisti di predicati. Di questi si lascerebbe traccia nel cognome; i primi, invece, scomparirebbero del tutto. Perché un tale diverso trattamento? Esso, certo, non trova alcuna giustificazione, perché di titoli senza predicato se ne trovano in Italia molti anche di famiglie antichissime. I predicati, come si sa, sono di origine feudale e sarebbe veramente curioso che la Costituzione italiana volesse manifestare una preferenza per i titoli di origine più prettamente feudale.

Si pensi, d'altra parte, al complesso lavoro da fare per accertare i predicati dei titoli esistenti e farne annotazione negli atti dello stato civile. Sarebbe perciò, a mio avviso, più opportuno rinviare tutto alla legge ordinaria, e se questa legge dovesse tardare a venire, poco male, perché i legislatori futuri avranno certamente cose assai più gravi cui pensare.

Qualche cosa vorrei ancora aggiungere circa gli ordini cavallereschi. Alcune Costituzioni moderne, come quella di Weimar, e quella greca, stabiliscono tassativamente che lo Stato non possa concedere onorificenze. Ma nella nostra è stato già approvato un articolo con cui si ammette che il Capo dello Stato abbia tale facoltà; e non vi è nulla da dire, perché lo Stato deve avere la possibilità di premiare i cittadini che si rendano benemeriti. Ma est modus in rebus. Si deve finirla con l'abitudine di concedere decorazioni per meriti elettorali. In verità, v'è troppo spagnolismo ancora nel nostro sangue e nelle abitudini del nostro popolo, e sarebbe opportuno fare uno sforzo per liberarcene. In Italia esiste qualche milione di insigniti di distinzioni cavalleresche...

Presidente Bosco Lucarelli. Onorevole Nobile, la prego di concludere.

Nobile. Onorevole Presidente, ho terminato. In sostanza io ritengo che sarebbe meglio rinviare tutto alla legge. Se ciò non si vuol fare, si tenga presente che il secondo comma, come ci vien proposto dalla Commissione, non è accettabile.

In quanto all'ultimo comma, in cui si dice che l'Ordine Mauriziano viene mantenuto come ordine ospedaliero, non ho nulla da osservare; soltanto suggerisco che si adoperi il nome giusto, cioè Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, come sempre si è chiamato, fin dal 1572.

Se, dunque, non si ritiene opportuno sopprimere tutto l'intero articolo, propongo in via subordinata gli emendamenti da me presentati, che, se accettati, varranno ad evitare una stridente contraddizione con un altro articolo approvato, e molte intricate e complesse questioni amministrative assai ardue a risolversi.

Presidente Bosco Lucarelli. L'onorevole Giua ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l'ultimo comma col seguente:

«L'Ordine Mauriziano è mantenuto come ente autonomo nazionale ospedaliero, con statuto e amministrazione soggetti all'approvazione del Presidente della Repubblica italiana».

Ha facoltà di svolgerlo.

Giua. Il testo proposto dalla Commissione riduce l'istituto mauriziano a un ente ospedaliero; però l'adozione delle parole «ente ospedaliero» ha dato origine ad alcuni inconvenienti dal punto di vista del funzionamento dell'ente, e può darne anche dal punto di vista dello sviluppo ulteriore dell'ente stesso.

Com'è noto, l'istituto mauriziano amministra diversi ospedali nel Piemonte: oltre al grande ospedale di Torino, ha un ospedale, pure efficiente, ad Aosta, e alcuni altri piccoli ospedali a Lanzo, a Valenza, a Luserna e via dicendo.

Ora, subito dopo la liberazione, il Comitato di liberazione nazionale si era preoccupato di nominare commissario di questo ente un rappresentante del popolo. Ma dopo due mesi, questo rappresentante veniva defenestrato dal re, il quale adduceva la ragione che l'ente mauriziano dipendeva esclusivamente da lui; e fu ripristinato l'antico segretario generale nella persona dell'ammiraglio Thaon di Revel. E questo ente funziona oggi con tutti quei rapporti giuridici feudali che erano una caratteristica dell'ente sotto l'amministrazione reale.

Se ora la dizione della Commissione dei Settantacinque prevale, questo ente sarà amministrato con gli stessi criteri giuridici. È quindi necessario stabilire una democratizzazione dell'ente; ed è per questo che col mio emendamento pongo l'istituto mauriziano sotto il controllo del Presidente della Repubblica.

Si tratta, onorevoli colleghi, di una disposizione transitoria; in attesa che una legge generale regoli quegli enti di utilità pubblica e nello stesso tempo regoli anche gli istituti di beneficenza, è necessario che questo ente, che ha delle cospicue attività patrimoniali, sia regolato con misure democratiche.

A me è parso che, nell'attesa della legge del futuro Parlamento italiano, l'istituto mauriziano possa dipendere direttamente dal Presidente della Repubblica italiana.

Presidente Bosco Lucarelli. L'onorevole Rodi propone di sopprimere questa disposizione.

Ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Rodi. Ho proposto la soppressione di questa disposizione, perché, francamente, mi sembra che con essa si voglia stabilire una norma che non risponde al carattere della nostra Nazione. Si vuole forse introdurre un principio ad imitazione di ciò che è stato fatto in altri paesi.

Il che noi non possiamo accettare, perché i nostri titoli nobiliari — mi riferisco, naturalmente, a quelli più antichi — costituiscono per noi e per la nostra tradizione una specie di lustra storica alla quale non possiamo rinunciare. Noi siamo talmente creatori di questa storia di carattere aristocratico, che io non vedo perché illustri nomi italiani debbano essere privati di un titolo che ha accompagnato per secoli la storia patria. (Commenti).

Eh sì, perché quando c'è mancanza di riconoscimento del titolo, è come annullare gli stessi.

Infatti, io non ho capito quale sia lo spirito di questa disposizione. Non sono riuscito a capirlo, perché, se si tratta di una disposizione di carattere — diciamo così — rivoluzionario, secondo cui, come diceva l'onorevole Nobile, essendo in regime repubblicano, bisogna statuire qualcosa che ci divida dall'istituto che prima concedeva questi titoli, francamente non so che cosa c'entri il fatto che la monarchia concedeva i titoli, coi titoli che erano stati acquisiti dalla storia.

Tutt'al più ammetto che si possa discutere sui titoli concessi negli ultimi tempi, titoli che hanno un carattere e un valore politico; ma quei titoli che illustrano ab antiquo alcune famiglie italiane dovrebbero essere conservati.

Per queste ragioni molto semplici e per omaggio alla nostra tradizione ho proposto la soppressione della quarta disposizione.

Presidente Bosco Lucarelli. L'onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I predicati, di qualsiasi natura ed origine, varranno come parte del nome, a meno che i titoli siano stati concessi dopo il 28 ottobre 1922, in riconoscimento di benemerenze fasciste».

Ha facoltà di svolgerlo.

Mortati. Rinunzio al mio emendamento associandomi all'ultimo comma dell'emendamento Nobile.

Presidente Bosco Lucarelli. Sta bene. L'onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può mutare il testo del numero IV delle disposizioni transitorie e finali, completandolo soltanto nel senso desiderato dall'onorevole Giua.

La soppressione di questo articolo è proposta dall'onorevole Nobile, salvo una subordinata, ed è pure proposta dall'onorevole Rodi.

Il Comitato ha adottato la formula del non riconoscimento dei titoli nobiliari, che si trova in altre costituzioni, ed è sembrata — anche per consiglio di un nostro competente collega — l'onorevole Lucifero — tecnicamente esatta. Lo Stato non riconosce, non dà più valore ai titoli nobiliari di qualsiasi genere. Non si dovrà pertanto farne più uso. Stabilirà la legge se si dovrà o no punire chi se ne fregerà ancora come di titolo abusivo.

Il riconoscimento è negato a tutti i titoli nobiliari; e perciò senza dubbio anche a quelli concessi durante il fascismo. Anzi nei loro riguardi la disposizione è più grave: perché non consente, come è consentito pei titoli anteriori al fascismo, di usarne come predicato del nome. Quest'ultima disposizione vuol dire che non vi saranno più principi o conti o baroni; ma qualche indicazione di casato storico sarà incorporata nel nome.

Non nego che — fermissimi questi concetti — si possa trovare qualcosa di più adatto come forma, ma resta inteso che i punti sono questi: nessun riconoscimento di titoli nobiliari di nessun tempo, ammissione — come predicato — per quelli anteriori al fascismo.

Vi è poi l'Ordine mauriziano che è stato mantenuto come ente ospedaliero. L'onorevole Giua ha fatto opportunamente presente che l'istituto dipendeva direttamente e personalmente dal Re e che ora è rimasto indipendente; un piccolo Stato nello Stato. Bisogna riordinarlo. Non possiamo più accettare senz'altro la sua proposta di attribuire l'ordine mauriziano direttamente al Capo dello Stato, al Presidente della Repubblica, che non è più il Re con le sue regalie personali. Io penso che sia possibile una particolare funzione del Presidente della Repubblica, come capo dell'ordine; ma di ciò disporrà la legge alla quale si deve fare riferimento. La suggestione dell'onorevole Giua è in sostanza accolta: l'ordine Mauriziano sarà inserito nell'ordinamento del nuovo Stato; bisogna regolarlo, ma evitare che sia sommerso nel baratro burocratico; ed in questo senso senza cadere nella regalia sovrana, potrà giovare un organismo presieduto dal Presidente della Repubblica. Credo che l'onorevole Giua sarà soddisfatto.

Presidente Bosco Lucarelli. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono.

Onorevole Nobile, insiste nel suo emendamento?

Nobile. Insisto.

Presidente Bosco Lucarelli. E lei onorevole Giua?

Giua. Accetto le conclusioni della Commissione e ritiro il mio emendamento.

Presidente Bosco Lucarelli. Onorevole Rodi?

Rodi. Mantengo l'emendamento.

Presidente Bosco Lucarelli. L'onorevole Mortati, ha dichiarato di ritirare il suo e di associarsi all'ultimo comma dell'emendamento dell'onorevole Nobile.

Nobile. Chiedo che si voti per divisione.

Presidente Bosco Lucarelli. Pongo in votazione il primo comma dell'emendamento dell'onorevole Nobile.

«Lo Stato repubblicano non riconosce titoli nobiliari o altre dignità trasmettibili per eredità, fatti salvi gli impegni provenienti da trattati internazionali».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma del testo della Commissione:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo camma dell'emendamento Nobile:

«Tutte le questioni relative ai titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale regolerà anche la soppressione della Consulta araldica».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il comma corrispondente, che è il terzo del testo della Commissione:

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo adesso, in votazione l'ultimo comma dell'emendamento dell'onorevole Nobile:

«Le concessioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 1922 sono annullate».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome».

(È approvato).

Passiamo all'emendamento Giua, accettato dalla Commissione, sostitutivo del quarto comma.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione lo accoglie nella seguente forma:

«L'ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero, nei modi stabiliti dalla legge».

Presidente Bosco Lucarelli. Pongo in votazione questa formula:

(È approvata).

La quarta disposizione transitoria risulta nel suo complesso così approvata:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L'Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero, nei modi stabiliti dalla legge».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti