[Il 5 dicembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame di alcuni emendamenti ad articoli che erano stati rinviati. — Presidenza del Vicepresidente Conti.]

Presidente Conti. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che si deve proseguire la discussione sul secondo comma dell'articolo 50, che dice:

«Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino».

L'onorevole Mastino Pietro ha così definitivamente formulato il suo emendamento sostitutivo:

«Il cittadino ha il diritto e il dovere di difendere le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l'ordinamento dello Stato».

L'onorevole Mastino ha illustrato ieri sera l'emendamento, ma può chiarire i suoi concetti ai colleghi che ieri sera erano assenti.

Ha pertanto facoltà di parlare.

Mastino Pietro. Ieri sera illustrai l'emendamento da me proposto. Non posso quindi oggi che aggiungere poche parole. Dicevo ieri, appunto, che non vi può essere difficoltà a riconoscere, in certi casi, il diritto alla resistenza individuale. Lo stesso Codice — il codice di Zanardelli — prevedeva che non fosse punibile chi reagiva al pubblico ufficiale che eccedeva con atti arbitrari il limite delle proprie attribuzioni. Il Codice attualmente in vigore (mi si consenta questo accenno) stabilisce lo stesso concetto; lo stabilisce anzi in termini più lati, in quanto all'articolo 51 riconosce e fissa un concetto di legittima difesa che non si riferisce soltanto ai diritti della persona o — in certi casi — alla difesa della proprietà, sibbene ai diritti in genere. Dice infatti l'articolo che non è punibile chi abbia commesso il fatto per esservi costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui.

Si tratta ora di portare questo concetto, ammesso e codificato, nel campo del diritto costituzionale. Rilevo che sarebbe veramente strano riconoscere il diritto a difendersi dalla violazione di un diritto proprio o di un diritto altrui (ma diritto di indole comune), sarebbe strano — dicevo — riconoscere questo diritto di difesa nel diritto comune e negare d'altra parte il diritto e l'obbligo nel cittadino di difendere le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l'ordinamento dello Stato. È, a mio parere, evidente come la maggiore importanza dei diritti stabiliti a fondamento dello Stato e della vita dei cittadini, imponga che concetti di diritto alla difesa e dell'obbligo della difesa di tali diritti, debbano essere riconosciuti anche nel campo del diritto pubblico.

D'altra parte, vi è anche l'articolo 51 del Codice penale, che stabilisce che l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto dalla norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità.

Mi pare quindi che l'emendamento da me proposto rientri nella sostanza e, starei per dire, rientri nell'ambito dei concetti e delle idee e delle norme riconosciute e fissate nel Codice penale comune. Quindi, non capisco perché la formulazione di quest'emendamento e la sua inclusione nella Carta Statutaria possano sollevare difficoltà.

Non lo intendo, a meno che si confonda quello che può essere un diritto del cittadino alla difesa delle libertà fondamentali, dei diritti garantiti dalla Costituzione e dell'ordinamento dello Stato con quello che può essere proposito sedizioso o condannevole di insorgere, non per violazione di norme fondamentali ma col proposito, invece, di sovvertirle. Ma noi capovolgeremmo il contenuto ed il significato del mio emendamento ove, per questa ipotetica paura, non lo includessimo nella Carta costituzionale.

Rilevo come l'articolo 51 del Codice penale, del quale ho dato lettura, stabilisca che l'esercizio di un diritto e lo adempimento di un dovere escludono la punibilità, ma ciò non di meno nello stesso Codice sono previste sanzioni per l'insurrezione, senza che le disposizioni siano in contrasto fra di loro.

Per queste ragioni, unite a quelle che ho detto ieri e che rappresentano la giustificazione del mio emendamento anche sotto il punto di vista o sotto il profilo giuridico, insisto perché l'emendamento sia posto in votazione e lo raccomando all'Assemblea.

Oltre a questo profilo giuridico vi è però una ragione morale, per cui lo Statuto acquisterà di importanza quando si sarà stabilito l'obbligo del cittadino di difendere i diritti fondamentali, non nel suo personale interesse, ma nell'interesse dello Stato e della collettività tutta.

Non ho altro da aggiungere.

Presidente Conti. L'onorevole Musolino ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: del cittadino, sostituire le altre: dei cittadini».

Ha facoltà di svolgerlo.

Musolino. Il mio emendamento risponde al dubbio espresso ieri sera dall'onorevole Nobile.

Il singolo cittadino potrebbe commettere l'errore nel valutare una violazione della Costituzione, mentre quando noi diciamo «dei cittadini» il giudizio collettivo è più certo del giudizio individuale.

Per questo ho presentato l'emendamento che raccomando all'Assemblea.

Presidente Conti. L'onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente: Egli ha il diritto di esigere che le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione siano rispettate dai poteri pubblici».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobile. Ho poco da dire per illustrare il mio emendamento.

Il testo della Commissione, a mio avviso, è assolutamente inaccettabile; quello proposto dall'onorevole Mastino certamente è di gran lunga preferibile. In sostanza si tratta di un'affermazione puramente platonica, retorica. Quando si parla di resistenza vien fatto — è cosa naturale — di pensare che ci si voglia riferire a una resistenza, materiale, e quindi armata. Ora, in uno Stato moderno i cittadini non possono resistere a mano armata ai poteri pubblici, se i poteri pubblici sono bene organizzati e vogliono veramente difendere la loro autorità. Non ci si difende contro i carri armati e contro le bombe. Affermare, perciò, nella Costituzione il diritto ed il dovere del cittadino di resistere ai poteri pubblici, e di resistervi a mano armata, come è implicito nel testo della Commissione, è cosa assurda. Il testo Mastino è certamente migliore, e si potrebbe anche accettare; ma a me pare che converrebbe dare la preferenza al comma, così come è stato da me proposto. In fondo, mentre nella prima parte dell'articolo 50 si afferma che il cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservarne la Costituzione, nella seconda parte, secondo il mio testo, si affermerebbe che di fronte a tale dovere egli ha il diritto di esigere che i pubblici poteri rispettino le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione. In che modo, poi, il cittadino possa esigere questo, è meglio lasciar imprecisato, perché certamente nulla si può dire in proposito. In sostanza, anche nella formulazione data da me l'articolo rimarrebbe puramente retorico e platonico, e sarebbe, perciò, preferibile che venisse soppresso.

Rossi Paolo. Chiedo di parlare.

Presidente Conti. Ne ha facoltà.

Rossi Paolo. Io vorrei esprimere un parere personale decisamente contrario così all'articolo 50 come all'emendamento proposto dal caro collega onorevole Mastino.

In questa disposizione c'è una grossa ingenuità che minaccia di sminuire la serietà che abbiamo cercato di conferire alla Carta costituzionale. Io non credo all'equazione istituita da certa scienza giuridica moderna, e non solo fascista, fra lo Stato ed il diritto. Non voglio riconoscere nello Stato la fonte unica del diritto. Ma sono obbligato a credere all'equazione fra lo Stato e la legge positiva: non si concepisce né lo Stato senza una legge positiva, né una legge positiva senza lo Stato. Ora, basta questa premessa per vedere la intollerabile antinomia di una disposizione legislativa, e quindi di carattere positivo, che preveda la conseguenza giuridica di una contrapposizione non fra lo Stato ed il diritto naturale, ma fra lo Stato e la legge positiva, cioè l'ipotesi di una crisi assoluta della giuridicità, e mentre la prevede, come situazione antigiuridica, pretende anche di regolarla giuridicamente. Questa contrapposizione si è verificata tante volte e si può, purtroppo, verificare anche nell'avvenire. Nessuno è in grado di escluderlo. Ma allora si apre una fase metagiuridica, una fase potenzialmente rivoluzionaria nella quale non la legge ma altri valori ed altri elementi in contrasto fra loro, come la forza o la moralità o la fortuna determinano in definitiva la condotta degli uomini ed il corso della storia.

La pretesa di disciplinare legalmente l'insurrezione, come si vorrebbe, è infantile. La rivolta contro i pubblici poteri è giudicata, giustificata o condannata volta a volta dal successo o dall'insuccesso.

Nella filosofia del diritto, nella filosofia morale e perfino nella teologia — mi pare di ricordare un passo di San Tommaso, si è giustificato il tirannicidio. Ed io vorrei apportare un ramoscello di mirto a quella grande fronda che il poeta greco offriva ai tirannicidi Armodio e Aristogitone: «Carissimi Armodio e Aristogitone, vi donerò una spada cinta di mirto...

Ma, o signori, nessuno ha mai pensato di dover scrivere nelle leggi positive il diritto al tirannicidio.

Una voce a sinistra. Questo non è scritto negli emendamenti.

Rossi Paolo. È scritto; perché quando si proclama il diritto e il dovere di insorgere contro gli atti contrari alla Costituzione naturalmente si applica il principio generale della proporzione: secondo il progetto, contro un atto che limiti la libertà di stampa si potrà protestare in un certo ambito, contro un atto che violi il diritto di esistenza dei cittadini si potrà, e dovrà, protestare ricorrendo alle armi ed anche massacrando i capi di un governo liberticida. (Interruzione del deputato Mastino Pietro).

Vogliamo ragionare per un momento in termini concreti? Dal Governo, dal Presidente della Repubblica, sono violate le libertà fondamentali. I cittadini insorgono e fanno molto bene. Il successo corona il loro movimento ed essi rovesciano il Governo dittatoriale per crearne un altro sostanzialmente legittimo. Credete che abbiano bisogno dell'emendamento Mastino per non andare in galera, quando proprio essi saranno ministri e quando il Presidente della Repubblica sarà tratto dal loro numero?

Accade sciaguratamente il contrario: la libertà è conculcata, e l'insurrezione soffocata nel sangue. Coloro che generosamente sono insorti contro la tirannia sono tradotti davanti alle Corte marziali. Credete che basti l'emendamento Mastino per salvarli dalla fucilazione?

Onorevole Mastino, queste sono cose che trascendono il diritto e la legge. Non si può trattenere il Tevere con una rete; non si può contenere la storia nei limiti di un emendamento.

E dico una parola anche sulla formulazione: «dovere della difesa». Qui è la mia mentalità di avvocato che mi fa ribellare. Supponiamo che io veda i miei diritti limitati. Cosa devo fare? Non è che abbia il diritto di insorgere: devo insorgere. E chi mi da i mezzi? E poi sarebbe bello che io fossi oppresso nei miei diritti con la violazione delle norme costituzionali mediante un arresto arbitrario ed in un secondo momento anche processato per non aver difeso i miei diritti conculcati. Mi si potrebbe dire dal pubblico ministero: «l'ho fatto per saggiare la tua sensibilità costituzionale; ho visto che non hai protestato, vieni nuovamente in prigione».

Gullo Fausto. È simpaticamente assurdo.

Rossi Paolo. Non sono assurdo. Allora anche l'onorevole Musolino lo sarebbe; e non lo è affatto. Dice anzi una cosa ragionevolissima quando osserva che il singolo cittadino può non essere giudice competente della costituzionalità o meno di una disposizione. Diventa assurdo quando propone di trasferire l'emendamento al plurale, sostituendo cittadini a cittadino.

Ma, onorevole Musolino, crede davvero che due o tre cittadini siano buoni e sicuri giudici in materia costituzionale solo perché tres faciunt collegium?

Non inseriamo disposizioni ingenue; salviamo la serietà del nostro testo statutario. O rimarremo nella intrinseca legalità costituzionale, e la Corte delle garanzie funzionerà contro errori ed abusi, oppure la Costituzione, da un lato o dall'altro, sarà fatta a brani con la violenza; e purtroppo allora la parola della legge non sarà più efficace! (Applausi Congratulazioni).

Presidente Conti. L'onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente:

«È legittima la resistenza dei singoli cittadini e delle collettività alla violazione, per parte dei pubblici poteri, dei principî di giustizia e di libertà e dei diritti garentiti dalla Costituzione».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobili Tito Oro. Sono spiacente, onorevoli colleghi, di trovarmi in così profondo disaccordo con l'onorevole Rossi. La legittimazione della resistenza opposta alla violazione dei diritti garentiti dalle Costituzioni non è una novità creata dalla ingegnosità capricciosa della Commissione e sostenuta dalle correnti estremiste dell'Assemblea per spirito fazioso o magari soltanto demagogico. Che a sostenere, nel momento in cui si trova investita dalle correnti antiliberali o pseudo liberali, la disposizione del secondo comma dell'articolo 50, non si ritrovino oggi nemmeno coloro che ne furono gli autori e che la patrocinarono e la fecero approvare in sede di Commissione; può essere prova delle considerazioni di opportunità e di convenienza che orientano mutevolmente, in relazione ai mutevoli momenti della vita politica le altre parti dell'Assemblea; ma non è certamente prova della insostenibilità giuridica del principio che la disposizione afferma.

Il Romagnosi nella Scienza delle Costituzioni e il Carrara nella Parte speciale del suo Programma, sostengono già, col dominante pensiero dei filosofi del diritto e dei giuspubblicisti di ogni paese, che, se la volontà statale deve presumersi sempre giusta, è altrettanto vero che essa non è se non un'idea, che di volta in volta va tradotta in fatto da organi che possono sostituire ad essa la propria volontà individuale, defettibile come quella di ogni uomo.

La questione consiste dunque nel risolvere se anche di fronte ad essi il cittadino che vede violati i propri diritti debba piegarsi in omaggio alla qualità pubblica di chi li viola o se possa difenderli e difendersi: se cioè, opponendosi all'attività in eccesso del pubblico potere, il cittadino perpetri un delitto o se non piuttosto eserciti un diritto, detto di resistenza.

Il diritto di resistenza all'arbitrio fu rigorosamente consacrato nel diritto pubblico inglese fin da quando l'Inghilterra, dopo la memorabile sua rivoluzione, conquistò le libertà politiche (Loch, Algermon, Sydney, Milton ecc.). E la costante tradizione inglese osservò il principio della limitata obbedienza, della quale era corollario il diritto di resistenza, anche collettiva, all'arbitrio degli organi del potere.

Anche nel Belgio le discussioni avvenute nel 1830, per la nuova Costituzione, assodarono in modo non dubbio il diritto dei cittadini di rifiutare obbedienza e, occorrendo, di opporre la forza ai provvedimenti illegali dell'Autorità e a qualunque atto illegalmente esercitato. E in Francia prevalse fin dal 1826, malgrado le incertezze determinate dal Codice penale del 1810, la tesi propugnata con grande vigore da Dupin nel celebre processo Isambert, tesi cui fecero adesione tutti i luminari del foro francese, e per la quale «si deve obbedire senza riserva a tutto ciò che è legale, e si deve resistere senza preoccupazione a tutto ciò che è arbitrario». Da allora parecchi codici penali hanno consacrata questa massima, quale più quale meno esplicitamente. L'ora tarda, la mia discrezione e la chiara esposizione che ne ha fatta il collega onorevole Mastino mi vietano di soffermarmi ancora sul richiamo alla legislazione nostra al riguardo, dal Codice Zanardelli a quello Rocco, dall'articolo 199 di quello agli articoli 51 e 52 e 336-343 di questo, all'articolo 4 del decreto legislativo Tupini 4 settembre 1944, n. 184, portante modificazioni al Codice penale, dove viene richiamato il principio solennemente consacrato nel Codice Zanardelli, pel quale non si applicano le disposizioni degli articoli 336-343 del Codice penale «quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

Dati questi precedenti appaiono davvero strane le preoccupazioni che hanno fatto vedere nel secondo comma dell'articolo 50 qualche cosa di nuovo e di pauroso e che hanno portato l'onorevole Rossi a parlare d'ingenuità di una pretesa nostra di far legittimare preventivamente la rivoluzione, forse — secondo il suo concetto della nostra ingenuità — proprio la rivoluzione sociale; strane soprattutto in quanto provengono da un collega di alto intelletto e di elevata coltura giuridica, che ha attivamente partecipato alla elaborazione della Costituzione in tutti i suoi elementi, a cominciare dalla riconsacrazione di tutte le rivendicate libertà e di tutti i diritti politici. Ma non è evidente che codeste libertà e codesti diritti resterebbero «nomi vani senza soggetto», qualora non si appoggiassero a una azione protettiva, a quella azione che accompagna ogni diritto e senza la quale il diritto non si concepisce? Il comma che stranamente spaventa non è se non il corollario, logico prima che giuridico, di tutti i diritti di libertà e di tutti i diritti politici garentiti dalla Costituzione. In che consisterebbe tale garanzia, se i singoli cittadini e le collettività dovessero considerarsi obbligati alla obbedienza passiva anche di fronte ad atti e ad ordini della pubblica Amministrazione che manomettessero quei principî e quei diritti?

La resistenza non è un'aggressione e tanto meno una rivoluzione; essa è una difesa. Perché astenersi dall'insegnare al popolo che questa difesa, in situazioni eccezionali, sarebbe non soltanto legittima ma doverosa? Io sono convinto che esso, se fosse stato posto a tempo avanti a questo insegnamento, se lo avesse inteso e assorbito, avrebbe saputo impedire, pur senza fare la rivoluzione, i primi successi del fascismo.

La resistenza è un fatto episodico, non può confondersi né con una rivoluzione né con una insurrezione; per lo più è anzi un episodio locale, del quale l'importanza non può tuttavia essere disconosciuta per la ripercussione inevitabile che è destinata ad avere sui pubblici poteri; i quali dal vigile senso di difesa dei propri diritti da parte del popolo, dovranno trarre la persuasione che la sedizione dei poteri contro la legge non sarà più tollerata e che male si attenerebbe da chicchessia ai diritti che il popolo ha rivendicati coi sacrifici e col sangue.

È da concludere che gli avversari non rilevano nemmeno il fatto che l'enunciazione di un principio, ormai così universalmente riconosciuto, nella Costituzione che stiamo elaborando, oltre che conferire ad essa pregio di completezza, costituirebbe insegnamento e monito pel popolo, pei governanti, per tutti i rivestiti di pubbliche funzioni; eserciterebbe azione educativa per tutti, contribuirebbe alla formazione della coscienza dei diritti e dei doveri in tutti i cittadini e presso i pubblici poteri, e finirebbe per spiegare una efficace azione di prevenzione generale di eccessi e di abusi da una parte e dall'altra. Le libertà sistematicamente governate dalla polizia costituiscono un'offesa permanente alla dignità del popolo; affidiamole al buon senso del popolo, alla sua responsabilità, ed esso se ne costituirà geloso custode senza incorrere né in eccessi né in abusi: non umiliamoci di fronte al fascismo, che coll'articolo 52 del Codice Rocco riconobbe la non punibilità del fatto commesso per la difesa di un diritto proprio o di altri. Di questi criteri e di questi convincimenti si fa eco; onorevoli colleghi, l'emendamento del quale l'onorevole Presidente ha dato lettura nella formula da me proposta: «È legittima la resistenza dei singoli cittadini e delle collettività alla violazione, da parte dei pubblici poteri, dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti garentiti dalla Costituzione». Io ho consacrato il principio che, ormai acquisito al diritto pubblico e a quello penale in specie, si trova sintetizzato nell'articolo 4 del già richiamato decreto legislativo luogotenenziale Tupini del 4 settembre 1944, n. 184. Non ho fatto che estenderlo esplicitamente a un corollario che già automaticamente operava perché implicito, dichiarando legittima la resistenza delle collettività al pari di quella dei singoli cittadini, essendo logico che, quando la violazione non leda soltanto i diritti dei singoli, siano le collettività danneggiate abilitate a difenderli e a resistere alla loro violazione.

C'è qualcuno che possa supporre che l'onorevole Tupini abbia voluto assumere, col ripristino di una norma positiva che risale al lontano 1889, un atteggiamento barricadiero? Si pensi, a questo riguardo, quanto efficace sarà per risultare l'avvertimento dato in sede di Costituzione ai pubblici poteri che, in caso di debordamenti, di transvalicazioni, di soprusi, essi potrebbero trovarsi di fronte alla resistenza già legittimata non soltanto passiva o difensiva ma anche repressiva delle moltitudini esasperate; e si avrà una esatta nozione della funzione di contenzione e di inibizione che la norma potrà esercitare. Restava l'ultima questione: questa resistenza, che è indiscutibilmente un diritto, è anche un dovere? Dal punto di vista sociale non può esser dubbio che correggere e respingere l'abuso e il sopruso dei pubblici poteri, difendere un diritto di libertà o un diritto politico, sia anche un dovere. Ma non volendo illudermi sulle disposizioni dell'Assemblea e non volendo spendere opera inutile, ho fatto una volta tanto un compromesso con me stesso, rinunziando all'affermazione del dovere: quello che preme è che non si pregiudichi e non si renda impossibile l'affermazione del diritto, e a questa mi sono fermato con un senso di misura che, voglio augurarmi, sarà apprezzato.

Non ho avuta la possibilità di conoscere l'emendamento Mastino; mi pare di aver capito che esso prevede la punizione, quando si sia spiegata resistenza, senza che esistessero i presupposti atti a legittimarla, cioè l'abuso da parte dei pubblici poteri.

Mi pare che questa aggiunta, per quanto sostanzialmente giusta, sia superflua: quando si è affermato che è legittima la resistenza alla violazione dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti garentiti dalla Costituzione, s'intende che la legittimazione della resistenza trova la condizione limite nella perpetrazione da parte dei pubblici poteri di un eccesso, di un abuso, di un sopruso.

Ma, se nell'atto al quale siasi opposta resistenza non si ravvisino tali caratteristiche, è di evidenza assiomatica e non ha bisogno di essere proclamato in sede di Costituzione, perché discende dalla esegesi della norma già discussa, che, non essendo suscettibile di legittimazione la resistenza opposta fuor dei casi che la legittimazione consentono, essa debba essere punita a norma della legge penale.

L'aggiunta di questo concetto è dunque, come dicevo, superflua: affermata la legittimità di una ipotesi, viene ad essere automaticamente affermata la illegittimità della ipotesi contraria.

Con questa precisazione io voglio concludere che mi premeva di raccomandare l'affermazione di un principio; ho proposta una formula che mi pare la più suscettibile di un allargamento dei consensi; se mi fossi ingannato, dichiaro di esser pronto sia ad associare il mio emendamento a quello Mastino, sia a votare il testo della Commissione. L'essenziale è che le proclamazioni dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti politici non restino una lustra beffarda e che nella Costituzione si stabilisca almeno la più elementare delle sanzioni per il caso che i pubblici poteri abbiano a manometterli e a farne scempio. (Applausi).

Presidente Conti. L'onorevole Candela ha proposto di sopprimere il secondo comma.

Prego l'onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sui nuovi emendamenti.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come ho dichiarato ieri, i commissari sono divisi d'opinione. Il testo primitivo rimane soltanto pel criterio formale dell'ordine di votazione. Ogni commissario, poi, voterà come crede.

Bettiol. Chiedo di parlare.

Presidente Conti. Ne ha facoltà.

Bettiol. A nome mio e di un gruppo di amici dichiaro che, pur riconoscendo che da un punto di vista speculativo, filosofico e morale, ed anche da un punto di vista storico, l'affermazione di cui al capoverso dell'articolo 50 è fondata, sul piano concreto e sul piano della opportunità, nell'ambito del diritto positivo questa disposizione rappresenta in concreto una disposizione inutile, perché cerca di sancire i rapporti fra diritto positivo da un lato e rivoluzione dall'altro, rapporti che non si possono mai risolvere in termini di diritto positivo.

Per questi motivi dichiaro che voterò a favore della soppressione del capoverso.

Presidenza del Presidente Terracini

Gullo Fausto. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Gullo Fausto. Noi siamo per il mantenimento dell'articolo 50 nel testo proposto dalla Commissione.

L'onorevole Paolo Rossi, che porta in ogni discussione di casi pratici tanto sussidio di risorse teoriche, è caduto, secondo me, nell'errore di chiudere il suo ragionamento fra due estremi: un popolo che supinamente si genuflette alla tirannia, ed un popolo che senz'altro passa alla rivoluzione. Evidentemente vi è un lungo cammino tra questi due estremi, ed egli passava dall'uno all'altro senza fermarsi nelle fasi intermedie. Vi è la maniera di resistere all'atto arbitrario del potere, anche senza arrivare allo scoppio rivoluzionario. Quel che egli diceva circa la equazione: Stato-legge positiva, è vero; ma egli non si avvedeva che col suo ragionamento stabiliva una diversa e strana equazione: Stato-potere esecutivo, che non è la stessa cosa. Noi possiamo avere una legge, ossia uno dei termini dell'equazione che egli stabiliva (Stato-legge positiva), ma possiamo avere un organo esecutivo che non applichi o che applichi arbitrariamente la legge, ossia si ponga esso in stridente contrasto con lo Stato e con la legge.

Uberti. Ed il potere legislativo?

Gullo Fausto. Vorrei richiamarmi anche ad un motivo non teorico, ma sostanzialmente e squisitamente pratico, che mi è suggerito dal ricordo del codice zanardelliano, il quale conteneva il famoso articolo 199 con cui affermava un alto principio di libertà. L'articolo 199, infatti abilitava il cittadino a resistere all'atto arbitrario del pubblico funzionario: questa disposizione non fu riprodotta nel codice fascista; il fascismo, anzi, giustificò la cancellazione di questa norma, affermando di non riconoscere al cittadino il diritto di ribellarsi all'arbitrio del pubblico potere. In realtà, il principio è così radicato in noi che, nonostante il silenzio della legge, anche sotto il fascismo si trovò il modo di attuarlo, facendo ricorso ad altre norme.

A me pare che nella nuova Costituzione noi dobbiamo affermare il diritto del cittadino di ribellarsi all'arbitrio e alla tirannia. Noi non legalizziamo, così, la rivoluzione, perché, onorevole Rossi, se noi muoviamo da questa premessa, si deve andare anche più in là del suo ragionamento. Ma quale Costituzione ha fermato mai un popolo dal conquistare i suoi diritti o un tiranno dal calpestare i diritti stessi? Nessuna Costituzione è riuscita a ciò. Quindi, se noi partiamo da questa premessa, noi dobbiamo dire che non questo solo articolo, ma anche tutti gli altri in cui si consacrano i diritti dell'uomo e del cittadino sono anche essi inutili, perché lei, amico Rossi, può benissimo immaginare un tiranno che nonostante tutte le Costituzioni di questo mondo vada avanti nel suo cammino, così come può immaginare un popolo che riconquisti i suoi diritti nonostante le leggi liberticide che possono esserci in un determinato momento storico.

Se noi partiamo da questa premessa, c'è da andare senz'altro all'anarchia. Non dico che questa non sia una nobile idealità; ma in questo momento noi non ci muoviamo su questo piano; in questo momento noi cerchiamo di dare forma giuridica a principî che dureranno fino a che dureranno. Niente di eterno, siamo d'accordo, ma non è questa la premessa da cui bisogna partire dal momento in cui si giustifica, e si deve giustificare, l'articolo 50 della Costituzione, il quale afferma, ripeto, questo diritto del cittadino a ribellarsi all'atto arbitrario dell'autorità. Io non mi soffermo nemmeno sul valore di prevenzione che ha questa norma, ed a cui ha fatto opportuno richiamo l'onorevole Nobili Tito Oro. È un monito che si dà all'autorità: se essa decampa dai limiti legittimi, avrà di fronte il cittadino col suo diritto di ribellarsi.

Non è detto che quest'atto del cittadino debba assumere la forma estrema dell'atto rivoluzionario. Ci sono tante maniere di ribellarsi. Affermare questo principio non significa altro che dare concreta attuazione a quegli altri diritti che noi abbiamo affermato nella parte generale della Costituzione, i diritti del cittadino, i diritti dell'uomo. Se questi diritti sono violati o offesi dall'autorità costituita, i cittadini offesi, e come collettività e come singoli, hanno il diritto di ribellarsi. Non solo, ma giustamente l'onorevole Mastino diceva anche che viene meglio giuridicamente giustificata la norma del Codice penale se noi affermiamo questo principio nella Costituzione.

Per questo, anche a nome del mio Gruppo, dichiaro che noi voteremo per il mantenimento dell'articolo 50. (Applausi a sinistra).

Mortati. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Mortati. Mi pare che in questa discussione si sia manifestata una certa confusione di idee in ordine al significato da dare alla disposizione in esame, in quanto da una parte si è interpretata questa nel senso di comprendere in essa la resistenza contro atti particolari dell'autorità esecutiva ed in questo senso si è espresso or ora l'onorevole Gullo. Ma a me sembra che, intesa in questo senso la portata dell'articolo, non ci sia bisogno di effettuarne il riconoscimento nella Costituzione. I precedenti già ricordati dall'onorevole Gullo hanno dimostrato come in passato sia stato possibile al diritto positivo sancire in determinati casi la legittimità del diritto di resistenza del cittadino contro gli atti dell'Autorità. Naturalmente l'ammissione di siffatto principio non può non essere coordinata con tutti gli altri principî, che regolano l'ordinamento dello Stato e anzitutto con quello della esecutorietà degli atti della pubblica autorità, principio al quale nessuno Stato potrebbe mai rinunciare.

Nell'ambito delle esigenze accennate è possibile alla legge ammettere in singoli casi il diritto di resistenza individuale; sicché una statuizione costituzionale in questo senso non ha ragion d'essere. Ma vi è un altro significato, con cui può intendersi il diritto di resistenza, ed è quello con cui è stato inteso dal progetto, che parla di resistenza contro l'oppressione. Con questo articolo si vuole individuare un caso particolare: quello, cioè, in cui i supremi poteri dello Stato opprimono la libertà, quando cioè siano eliminate, o non funzionino tutte le garanzie di carattere giuridico costituzionale. Noi abbiamo creato un insieme di garanzie atte a preservare dalla violazione dei diritti anche di fronte ai supremi organi dello Stato.

Ora quando si verifichi l'ipotesi che tutte queste garanzie siano esaurite e quando la stessa Corte costituzionale abbia convalidato — con la sua sentenza l'atto arbitrario della pubblica autorità, in questo caso il cittadino — secondo il significato della disposizione proposta — non deve acquietarsi alla violazione dei diritti supremi, garantiti dalla Costituzione come inviolabili, ma deve ribellarsi. Intesa in questo senso la disposizione, ci si deve chiedere: è opportuno che essa sia inserita nella Costituzione? Circa la sostanziale esattezza e, vorrei dire, la santità di questo principio, nessuno potrebbe sollevare delle obiezioni, e tanto meno noi cattolici, poiché è tradizionale nel pensiero cattolico l'ammissione del diritto naturale alla ribellione contro il tiranno. Ci sono scrittori cattolici che riconoscono la legittimità perfino della soppressione del tiranno. Quindi non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima.

Siamo condotti con questa disposizione sul terreno del fatto, e pertanto su un campo estraneo alla regolamentazione giuridica.

Si è detto che questo articolo potrebbe avere un valore educativo, e questo è vero. Ma bisogna allora stabilire se la Costituzione debba essere un testo di legge positiva, oppure un trattato pedagogico.

In riferimento al carattere di testo legislativo che a nostro avviso la Costituzione deve rivestire, io ed i miei colleghi di Gruppo riteniamo che non sia opportuno sancire un tale principio nella Costituzione, ed è per questi motivi e con questo significato che dichiariamo di votare per la soppressione dell'articolo 50. (Applausi al centro e a destra).

Presidente Terracini. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono.

Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento sostitutivo?

Mastino Pietro. Lo mantengo.

Presidente Terracini. E lei, onorevole Musolino?

Musolino. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Nobile?

Nobile. Lo ritiro per associarmi a quello dell'onorevole Mastino.

Presidente Terracini. E lei, onorevole Nobili Tito Oro?

Nobili Tito Oro. Lo ritiro e mi associo a quello dell'onorevole Mastino.

Presidente Terracini. Voteremo dapprima la soppressione del comma per dare ai colleghi che la respingessero la possibilità di pronunziarsi su una delle due formulazioni presentate.

Ricordo che le proposte di soppressione sono state fatte dagli onorevoli Colitto, Bozzi, Bosco Lucarelli, Rodi, Caroleo, Della Seta, Azzi, Terranova e Candela.

Pongo in votazione la soppressione del secondo comma dell'articolo 50:

«Il cittadino ha il diritto e il dovere di difendere, contro ogni violazione, le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l'ordinamento dello Stato».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti