[Il 7 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Villabruna. [...] Nessuno può contestare che la partecipazione delle donne alla Magistratura rappresenti una innovazione estremamente ardita, tanto ardita da rivoluzionare la nostra tradizione in materia di ordinamento giudiziario. Io mi sono soffermato sulla disposizione che riconosce alle donne il diritto di partecipare alla Magistratura, e vi dico francamente che questa norma mi ha seriamente preoccupato, perché mi riesce facile di intravvedere l'inevitabile pregiudizio che la giustizia subirebbe il giorno in cui anche alle donne fosse consentito l'onore di vestire la toga dei magistrati: Ed io mi sono compiaciuto, quando ho constatato che da parte di una donna, dell'onorevole Federici, era stato proposto un emendamento soppressivo che corrisponde perfettamente a quello da me proposto.

Certo, v'è da sperare nel buonsenso e nel buon gusto delle donne; v'è da sperare che le donne — o almeno una buona parte di esse — non si lasceranno prendere da una frenesia di nuovo genere; e non sentiranno un eccessivo ardore di partecipare alla vita giudiziaria. Questo lo possiamo sperare; ma intanto il pericolo c'è.

Merlin Angelina. Quale pericolo?

Villabruna. Abbiamo aperto un varco, spalancata una porta, la quale potrebbe consentire alle donne, ove lo volessero o lo gradissero, di invadere il campo della giustizia.

Merlin Angelina. Invadere! Come se fossimo nemiche!

Villabruna. E allora, onorevoli colleghi, io mi domando: il giorno in cui le donne penetrassero nel sacro tempio della giustizia, il giorno in cui la giustizia dovesse essere amministrata da un corpo giudiziario misto, parte costituito da uomini e parte costituito da donne, me lo dite che cosa ne guadagnerebbe, o meglio, che cosa ne perderebbe la giustizia?

Non v'è Carta costituzionale, la quale possa avere la pretesa di violentare le leggi della natura; non credo che vi sia alcuna Carta costituzionale che possa compiere un tale miracolo, se pure si trattasse di un miracolo: che riesca a portare sullo stesso piano la mentalità degli uomini e quella delle donne. Le donne — e non credo con questo di recare offesa al sesso gentile —...

Una voce. Anzi!

Villabruna. ...hanno un modo di sentire, un modo di vedere, un modo di ragionare, un modo di giudicare che molto spesso non si concilia con quello degli uomini. E allora, il giorno in cui avrete affidato l'amministrazione della giustizia ad un corpo giudiziario misto, che cosa avrete ottenuto? Avrete portato nel sacro tempio della giustizia un elemento di più di confusione, di dissonanza, di contrasto; avrete creato, in sostanza, una giustizia bilingue, una giustizia che parlerà due linguaggi diversi, secondo che, nelle varie circostanze, avrà a prevalere la voce degli uomini o la voce delle donne.

Se tutto questo possa giovare al prestigio, alla serietà della giustizia, alla certezza nell'applicazione della legge, lo lascio giudicare a voi.

[...]

Bettiol. [...] C'è un altro problema da tener presente, al quale ha accennato per primo il collega Villabruna; e mi ha quasi preso la parola di bocca: il problema delle donne nella amministrazione della giustizia.

San Paolo diceva: «Tacciano le donne nella Chiesa». Se San Paolo fosse vivo direbbe: «Facciano silenzio le donne anche nei tribunali», cioè non siano chiamate le donne ad esplicare questa funzione, la quale può arrivare (per fortuna noi abbiamo eliminato in parte questo pericolo) a pronunziare una sentenza di morte. Ed è assurdo, doloroso, inconcepibile che una donna, chiamata da Dio e dalla natura a dare vita, sia chiamata anche a dare, in casi tristi, la morte. D'altro canto, il problema della donna nell'amministrazione della giustizia deve essere risolto anche in base a quelle che sono le caratteristiche ontologiche di essere uomo o donna. Perché il problema dell'amministrazione della giustizia è un problema razionale, è un problema logico, che deve essere impostato e risolto in termini di forte emotività, non già di quella commozione puramente superficiale che è propria del genere femminile, di quella commozione puramente superficiale di cui sono spesso dotati gli ingegni di giurati chiamati dai solchi o dalle officine a esprimere il loro parere in relazione a un caso concreto. Quindi, a mio avviso, le donne non dovrebbero essere chiamate ad esplicare la funzione giurisdizionale: tutte le volte in cui si affaccia questo problema, più che la nostra ragione, il nostro sentimento unitario si deve ribellare a vedere le donne con la toga amministrare la giustizia.

[...]

Carboni Angelo. [...] Il problema del reclutamento dei magistrati ha aperto la via ad una discussione molto delicata, durante la quale due oratori in questo pomeriggio si sono dichiarati nettamente contrari alla proposta della Commissione, cioè all'ammissione delle donne nella Magistratura. Il progetto di Costituzione propone che possano essere nominate anche le donne, nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario. Analogamente il disegno di legge per la riforma della Corte d'assise, già esaminato dalla prima Commissione permanente per l'esame dei disegni di legge e che dovrà essere discusso in Assemblea, propone che le donne possano far parte della giuria. In seno alla Commissione legislativa i pareri furono contrastanti e tali saranno anche in questa Assemblea, sebbene finora si siano udite soltanto voci contrarie, come quelle degli onorevoli Villabruna e Bettiol, che mi hanno preceduto immediatamente nella discussione. Per l'esclusione della donna dalla Magistratura, si è osservato che generalmente difettano nelle donne, per temperamento e per tendenza, quelle specifiche doti di esteriore autorevolezza e di interiore equilibrio, che sono indispensabili per l'esercizio della funzione giudiziaria, e che difficilmente si trovano anche negli uomini. Io non so fino a qual punto questa osservazione esprima una realtà o sia invece l'effetto di un pregiudizio misoneistico.

Certo, la donna è psicologicamente ed intellettualmente diversa dall'uomo; certo, secondo la tradizione e secondo la concezione che la grande maggioranza di noi ha della donna, che vorremmo vedere conservata alla più alta funzione della maternità, essa non sembra molto idonea a quella del giudicare, come non si è dimostrata molto idonea nell'esercizio della professione forense. Ma non credo che si possa in questa materia procedere per affermazioni astratte, generalizzatrici. V'è tutto un progresso nella cultura, nelle attitudini, nelle disposizioni della donna. V'è stato l'ingresso vivace della donna nelle varie branche del lavoro manuale ed intellettuale, per cui non ci possiamo arrestare ad una considerazione che può essere anche superata dalla realtà. Peraltro il problema della ammissione della donna nella Magistratura si può ritenere implicitamente risolto da altre norme, già approvate, della Costituzione; di fronte alle quali si potrebbe anche considerare superflua una esplicita dichiarazione, come quella proposta dalla Commissione nel primo comma dell'articolo 98, salvo che la ragione di essa non si debba rintracciare nell'inciso terminale: «nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario ecc.», e cioè nell'intendimento di limitare per le donne l'accesso alla Magistratura, che, in mancanza di una espressa limitazione, si sarebbe dovuto considerare consentito in condizioni di perfetta parità con gli uomini. Ricordo l'articolo 3 della Costituzione, nel quale abbiamo fissato che i cittadini, senza distinzione di sesso, hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, e che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale dell'Italia». Basterebbero queste disposizioni per aprire alla donna la via alla Magistratura. Ma v'è di più, perché nell'articolo 33 si assicura alla donna lavoratrice la parità di diritti con l'uomo lavoratore, e nell'articolo 48 si stabilisce che «tutti i cittadini di ambo i sessi possono accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza». Con quest'ultima disposizione si è riconosciuta alle donne la possibilità di accedere alla più alta carica, di Presidente della Repubblica, che, secondo l'articolo 97 del progetto, comporta, ope legis, la presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura. Quindi la proposta di ammettere le donne alla Magistratura non rappresenta che un corollario del principio dell'uguaglianza e della parità di diritti con l'uomo, tanto recisamente proclamato e ribadito.

E se questo è, se noi abbiamo fissato quelle norme costituzionali con l'intento d'impegnare il legislatore futuro, non potremo violarle noi stessi escludendo le donne dalla funzione giudiziaria. Perciò, mentre non credo che si possa negare a priori ed indiscriminatamente la capacità della donna — capacità, peraltro, da accertare caso per caso attraverso il rigore del concorso e del tirocinio, come per tutti gli altri aspiranti alla Magistratura — ritengo che non ci possiamo sottrarre, senza una troppo palese contraddizione, alle conseguenze di quanto già abbiamo deliberato. Voglio aggiungere, però, che preferisco la formula della Commissione, contenente la riserva dei casi previsti dall'ordinamento giudiziario, all'emendamento proposto dalle onorevoli e gentili colleghe Mattei Teresa e Rossi Maria Maddalena, le quali vorrebbero che si dicesse che le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura. La riserva proposta dalla Commissione è opportuna, perché darà modo di adeguare l'ammissione delle donne alle esigenze dei diversi organi giudiziari ed ai risultati concreti dell'ardita innovazione.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti