[Il 15 novembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Ha facoltà di parlare per la Commissione l'onorevole Conti.

Conti. [...] C'è un altro problema che ha appassionato: abbiamo anche udito le grida delle nostre colleghe. La donna nella Magistratura. La vogliamo o non la vogliamo? Anche nell'esame di questo problema mi pare si debba essere sereni e tranquilli. Queste povere donne non danno alcun fastidio in nessuna parte. Si disputa perché c'è un pregiudizio misogino da una parte e c'è un'esaltazione femminista dall'altra. Io mi porrò nel mezzo. No, nella Magistratura? Sì, nella Magistratura?

Io dirò ni. Che cosa voglio intendere di dire col mio ni? Voglio intendere che le donne potranno anche aspirare alla carriera giudiziaria; sta a vedere se riusciranno, sta a vedere se, entrando nella Magistratura, potranno veramente rendere un servigio utile. Non mi pare che si possa preventivamente dire di no.

Io credo che avverrà quel che è avvenuto per tutte le altre affermazioni di diritto della donna. Quarant'anni or sono si voleva la donna avvocata! E avevamo intorno Teresina Labriola: era la sola pretendente, allora.

Dopo il caso di Teresina Labriola, quante sono le donne avvocate? Pochissime: sì e no una in ogni grande sede giudiziaria.

Bertini. E poco accreditate!

Nobili Tito Oro. Ma se l'onorevole Conti le ha avute anche nello studio suo!

Conti. Io no!

Nobili Tito Oro. Sì, la figlia del collega Del Bello. E la riuscita è stata buona.

Conti. Ma è stata una frequenza del mio studio addirittura fugace... due settimane. Non ho potuto insegnare niente; ho imparato molte cose: per esempio, che, se hanno attitudini, le donne possono far bene e gareggiare con gli uomini.

Ad ogni modo, io vedo il problema in questi termini: non si devono chiudere le porte. Le donne entreranno in Magistratura; vedranno che essere in Magistratura significa avere molte preoccupazioni e che esercitarne le funzioni non è per esse agevole, e per gli altri tranquillante, in certi periodi della loro vita. È proprio questo l'argomento che in dottrina si oppone all'ammissione delle donne in Magistratura. Si dice che sia imprudenza, per la loro subordinazione fisiologica, che si assumano le donne in Magistratura. In verità, e mi sia consentito il dirlo, anche molti uomini hanno ricorrenze: ci sono moltissimi i quali in certi periodi sono assolutamente intrattabili. Le donne potranno entrare in Magistratura, ma non ci entreranno: questa è la mia convinzione. Comunque, non si deve in una Costituzione moderna chiudere le porte all'ingresso delle donne. D'altra parte, è stato detto che se potranno entrare ed entreranno, bene saranno applicate alla Magistratura dei minorenni. Credo che questa sarebbe un'applicazione utilissima. Si può pensare ad un'altra applicazione utile: ai servizi di cancelleria.

Bertini. Ci sono già, fuori ruolo.

Conti. Tanto meglio!

[...]

Presidente Terracini. Dobbiamo ora passare allo svolgimento degli ordini del giorno, che sono abbastanza numerosi.

[...]

Rubilli. [...] So di essere con ciò anche in contrasto con l'amico Porzio che, non so perché, vorrebbe affidato il giudizio di Corte d'assise soltanto a cinque magistrati anziani, ma resto fermo nella mia opinione, e ritengo che sia un bene l'intervento, nei dibattiti penali più importanti, del giudice popolare. Si tratterà di vedere sotto quale forma, se giuria o assessorato, ma, secondo me, il problema va delineato proprio in questo senso: utilità dell'intervento del giudice popolare, discussione se tale intervento debba attuarsi in forma di giuria o in forma di assessorato. E dico francamente che a quest'ufficio di giudice popolare, secondo me, debbono essere completamente escluse le donne, non per la vecchia favola — per carità — della inferiorità della donna. Questa è una favola che ha fatto ormai il suo tempo e non sono mai riuscito a sapere, in quale secolo e dove sia nata quella testa amena a cui venne in mente di distinguere fra sesso debole e sesso forte, quando poi ho notato nell'umanità che non vi è stata nessuna forza maschile che abbia saputo resistere al fascino di una donna, (Si ride) e quando ho visto altresì che non vi è alcuno che non sia disposto a piegare i ginocchi ai piedi suoi! (Si ride). Quindi, non è per la vecchia favola, ormai tramontata, e da secoli, dell'inferiorità della donna, che io vorrei escluderla dall'ufficio di giudice popolare; non se ne allarmino perciò le colleghe presenti nell'Aula.

Io vengo a questa conclusione per due motivi. Primo, perché, sebbene la donna tenda a mascolinizzarsi, anche negli atteggiamenti e negli abiti, e cerchi persino di rinunziare per quanto può alla sua attraente femminilità, qualche cosa rimane che insanabilmente ed organicamente la distingue e la distinguerà sempre dall'uomo, e che si riflette sulla sua sensibilità, tanto che si è detto ovunque che tutto è possibile, tranne che una donna diventi uomo, e viceversa.

Ora cadono troppo di frequente le lacrime sulle gote delle donne, e non so se esse sappiano e possano resistere, e non farsi travolgere dal sentimento in Corte di assise dove si svolgono i più terribili drammi dell'umanità, dove palpitano i più grandi dolori e le più grandi sventure della vita. Come giudice popolare, quindi, io non chiamerei mai la donna. Secondo: sono contrario ad ammetterla anche per una difficoltà pratica: credete voi che sia proprio facile di avere in Assise una povera madre di famiglia, traendola per un mese o un mese e mezzo dalle sue occupazioni domestiche, quando non tutte le signore possono avere una cameriera fidata o una governante, a cui assegnare la propria casa e la cura dei propri figliuoli? Credo che se di diverso avviso dovreste ridurvi ad ammettere solo le donne nubili.

Ma poi arriverebbero le donne in Assise senza preparazione, senza attitudini, senza capacità ad orientarsi, né potrebbero facilmente formarsi; perché chiamate senza dubbio a lunghi intervalli. Di fronte al delitto che specialmente se tra i più gravi, distrugge due famiglie, ed apporta rovina per la vittima e per il colpevole, la donna potrebbe involontariamente cedere alla sua troppa squisita sensibilità.

Federici Maria. Ma per esercitare la giustizia ci vuole proprio la sensibilità!

Rubilli. Tutt'altro, è proprio il sentimento che d'ordinario bisogna mettere da parte. Lasciamo stare, quindi, le donne nella pubblica amministrazione ed anche in questa Assemblea Nazionale, dove con simpatia e deferenza, come meritano, sono state da ogni parte accolte, ma escludiamole eventualmente dalla giuria o dall'assessorato. (Interruzione del deputato Bertini).

No, Bertini, io sarei disposto a credere la donna più eccessivamente severa che eccessivamente indulgente, ma temo che indulgenza o severità possa essere determinata più dal cuore che dal cervello. È un timore e non dico che sia proprio così! (Interruzione della deputata Federici Maria)... Se non è vero tanto di guadagnato!

Ma se abbiamo accolto le donne come colleghe in questa Assemblea ed anche cordialmente, potremo accoglierle con gli stessi sentimenti di cavalleria anche in tribunale o in Corte d'assise, qui però sempre come giudici togati dopo provata carriera, mai come giurati o assessori.

Io ho firmato un ordine del giorno ben volentieri in questi sensi per mio convincimento ed anche per cortesia verso una egregia collega.

Anzi a me sembra in verità che al riguardo il problema sia di già risolto e non abbia bisogno di ulteriore esame, occorrendo al riguardo un'affermazione soltanto dal punto di vista formale. Abbiamo ammesso la donna come avvocato nelle aule giudiziarie; le abbiamo dato ormai la toga che per esse rappresenta un diritto acquisito.

Una voce. Ma quante ce ne sono?

Rubilli. Quelle che sono, sono: poche come avvocati, saranno poche come giudici. Non so proprio per quale ragione ne vogliate molte. Ma bisogna tener presente che, a differenza di quanto potrebbe avvenire per i giudici popolari, al suo ufficio arriverebbe ben preparata, quando attraverso un regolare concorso, come gli altri concorrenti, essa abbia dimostrato di avere l'attitudine e la cultura necessarie per poter fare il magistrato.

Quindi, il problema per questa parte mi pare completamente eliminato; ma per quello che riguarda il giudice popolare non solo non è risolto, ma non si può risolvere favorevolmente.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti