[Il 26 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo IV della Parte seconda del progetto di Costituzione: «La Magistratura».
Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 106 per il testo completo della discussione.]
Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Passiamo all'esame dell'articolo 98. Se ne dia lettura:
Mattei Teresa, Segretaria, legge:
«I magistrati sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da tirocinio. Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario.
«Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare per la nomina magistrati onorari in tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli; e può designare all'ufficio di Consigliere di cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati dopo quindici anni d'esercizio».
[...]
Presidente Terracini. [...] L'onorevole Federici Maria ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma, sopprimere le parole: Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario».
Ha facoltà di svolgerlo.
Federici Maria. Vorrei rassicurare l'onorevole Villabruna (che mi pare non sia presente) e quanti altri siano caduti con lui nello stesso errore, che l'emendamento da me proposto, e cioè la soppressione del comma dell'articolo 98: «Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario» non tende a precludere alla donna la via della Magistratura; al contrario tende ad aprirla, a spianarla.
Veramente, dopo aver sostenuto, insieme con le mie colleghe e con non meno fervore di esse, i diritti della donna madre, della donna lavoratrice, della donna professionista, io non mi dovevo attendere che si volesse dare un senso così restrittivo e limitativo al mio emendamento.
Insisto su questo, perché si è verificato un caso singolare. Altri colleghi hanno proposto un emendamento a prima vista simile al mio, cioè un emendamento che tende alla soppressione del comma, con spirito nettamente contrario, cioè con la intenzione di non parlare neppure del diritto della donna ad accedere alla Magistratura.
Perché allora ho presentato questo emendamento? L'ho presentato perché, per quanto riguarda i diritti della donna, io mi ritengo paga di quanto abbiamo stabilito nell'articolo 48. Infatti nell'articolo 48 — forse è necessario che io lo ricordi — abbiamo stabilito che tutti i cittadini di ambo i sessi possono accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
È ben vero che l'articolo 48 sta sotto il Titolo IV «Rapporti politici», ma non v'è dubbio che, votandolo, l'Assemblea non ha dato ad esso, in nessun modo, valore restrittivo o significato particolare. Né è men vero che, parlando nell'articolo 48 di uffici pubblici, non sia compresa fra essi la Magistratura, ché anzi fra gli uffici pubblici la Magistratura è ufficio pubblico per eccellenza.
Quanto al Titolo, sotto il quale è compreso l'articolo 48, io penso che sia stato meglio comprendere i diritti tutti sotto il Titolo IV, perché quella era la sede più adatta per un'affermazione che investe tutta la capacità di diritto sotto ogni aspetto.
Onorevoli colleghi, durante la discussione su questa parte dell'articolo 98, che particolarmente mi sta a cuore, abbiamo inteso voci intonate e voci stonate, voci favorevoli e voci sfavorevoli; abbiamo sentito portare innanzi argomenti così triti e così superficiali da generare, almeno in me, un senso di mortificazione. Abbiamo sentito citare argomenti di puro valore accademico, che molto spesso mi hanno fatto ripensare a quella accolta di illustri accademici che perse il suo tempo per discutere se un pesce vivo pesasse più di un pesce morto! Si trattava di fare una semplice prova e di rimettersi alla bilancia.
Ora anche qui, onorevoli colleghi, facciamo la prova, vediamo se la donna è veramente in grado di coprire le cariche che sono inerenti all'alto esercizio della Magistratura. A tutto quanto è stato detto, io potrei rispondere che una raffinata sensibilità, una pronta intuizione, un cuore più sensibile alle sofferenze umane e un'esperienza maggiore del dolore non sono requisiti che possano nuocere, sono requisiti preziosi che possono agevolare l'amministrazione della giustizia. Potrei rispondere che le donne avranno la possibilità di fare rilevare attraverso un lungo tirocinio la loro capacità; saranno sottomesse e sottoposte ai concorsi e a una rigida selezione. Le donne che si presenteranno a chiedere di salire i gradi della Magistratura devono avere in partenza (e li avranno) i requisiti che possono dare loro una certa garanzia di successo.
Non so invece che cosa rispondere a coloro i quali ci hanno proposto di imitare i modelli domestici. Prima di tutto è uno sbaglio psicologico, perché noi donne amiamo differenziarci fra noi sia pure nel dettaglio di un vestito o nel particolare di un ornamento, e se qualcuno che siede qui ha la propria moglie che in casa fa la calza, non ritengo questo un argomento valido per invogliare una donna che chiede una toga ad accettare anziché una toga una calza.
Se voi, onorevoli colleghi, stabilirete una norma limitativa nella nostra Costituzione per quanto riguarda il diritto della donna di accedere alla Magistratura, commetterete molti errori. Rileggete, onorevoli colleghi, quanto siete andati dicendo nel corso di questi nostri lavori, contate quante volte avete parlato di libertà civili, di parità di diritti, di uguaglianza di diritti, senz'altra discriminazione all'infuori di quella stabilita dalla legge e limitata alla incapacità naturale o legale. Lo avete fatto per logomachia, Dio vi perdoni, o per ansia di rinnovare sotto il segno della giustizia il nostro Paese, la vita sociale italiana? Commetterete un grave errore, e prima di tutto entrerete in contraddizione con voi stessi, poiché voi non soltanto nell'articolo 48 avete parlato di parità di diritti, ma nell'articolo 3 voi avete stabilito che: «I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza e lingua, di condizione sociale, di opinioni religiose e politiche, hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge». Ed avete anche aggiunto che: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini impediscono il completo sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale dello Stato».
Entrerete, dunque, in contraddizione con voi stessi. In più infirmerete la Costituzione, poiché mentre nell'articolo 48 voi rimettete tutto alla legge, nell'articolo 98 voi rimettete la definizione della materia che ci interessa a un ordinamento come supremo regolatore ma anche modificatore di una norma generale. Voi offendete inoltre la giustizia, poiché nell'articolo 31 la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto, e l'articolo conclude con l'affermazione che «ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività o una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta». Che cosa sta per diventare, per la vostra volontà negativa, questo diritto e questo dovere, per quanto riguarda la donna?
Sono argomenti, dunque, che voi avete già considerato; è una affermazione solenne che voi avete già fatto e che ora vorreste annullare. Quando noi parliamo della donna magistrato noi dobbiamo evidentemente sottintendere una vocazione; vocazione, sì, sia pure per andare soltanto a difendere il fanciullo colpevole, sia pure per intendere meglio i gravi dolori che hanno potuto spingere una donna fino alle soglie del delitto. Che cosa potrete obiettare contro questa vocazione? Inoltre, onorevoli colleghi, a me pare che il diritto di farsi giustizia da sé, che ogni uomo possiede, ma che ogni uomo, ad un certo momento, trasferisce ad un altro uomo, mi fa considerare che la donna deve avere anche essa il diritto di trasferire a chi vuole il diritto di farsi giustizia. Non può accettare da voi il giudice che voi volete; deve poterlo scegliere. (Applausi a sinistra).
Vorrei anche dire — e specialmente ai colleghi del Partito al quale mi onoro di appartenere — che se una donna ha ricevuto dalla Provvidenza talenti speciali, che la Provvidenza è ben libera di seppellire in un cervello femminile, quale diritto avete voi per impedire che questa donna possa sfruttare i talenti che ha ricevuto e che è suo dovere mettere a profitto? Quale fondamento hanno dunque i vostri timori? Le esperienze passate non sono contro la donna. In quei Paesi dove la donna è stata ammessa nella Magistratura, essa ha fatto eccellentemente la sua prova. Di che cosa avete paura? Ricordatevi che tutte le moderne Costituzioni non fanno più restrizioni in questo senso. Ricordate che la Francia ha detto chiaramente che alla donna sono accordati in tutti i campi gli stessi diritti che sono accordati agli uomini. Volete forse voi che la patria del diritto sia al di sotto degli altri Paesi, anche di minore civiltà di quella italiana? Ed allora, onorevoli colleghi, la severità della carriera farà cadere le incapaci, non temete. Ma salutate fin d'ora, onorevoli costituenti, quella donna che, anche per vostro merito, salirà per prima ad amministrare la giustizia, con coscienza virile, illuminata, sorretta e riscaldata da un cuore femminile. (Vivi applausi — Molte congratulazioni).
Presidente Terracini. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:
«Al primo comma, sopprimere le parole: Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario».
Villabruna, Badini Confalonieri.
«Al primo comma, sopprimere le parole: Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario»
Ruggiero Carlo.
Segue l'emendamento dell'onorevole Geuna:
«Al primo comma, sopprimere le parole: possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario».
Non essendo presente, s'intende che abbia rinunciato a svolgerlo.
Segue l'emendamento dell'onorevole Bianchi Bianca:
«Al primo comma sopprimere le parole: nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario».
Non essendo presente, s'intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Segue l'emendamento dell'onorevole Merlin Angelina:
«Al primo comma, sopprimere le parole: nei casi previsti dall'ordinamento giudiziario».
Non essendo presente, s'intende che abbia rinunciato a svolgerlo.
Segue l'emendamento delle onorevoli Mattei Teresa e Rossi Maria Maddalena:
«Al primo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:
«Le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura».
Non essendo presente l'onorevole Mattei Teresa, ha facoltà di svolgere l'emendamento l'onorevole Rossi Maria Maddalena.
Rossi Maria Maddalena. Onorevoli colleghi, all'articolo 98 noi abbiamo proposto questo emendamento: «Le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura».
Così emendato, il secondo comma dell'articolo 98 diventa un corollario logico dell'articolo 48, nel quale è affermato il diritto della donna ad accedere a tutte le cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza rispetto agli uomini.
Voler limitare o addirittura vietare l'accesso delle donne alla Magistratura, come è nello spirito dell'articolo nel testo del progetto e come ancor più chiaramente è nelle intenzioni di alcuni colleghi, secondo quanto è emerso nel corso del dibattito su questo Titolo, contraddice e alla lettera e allo spirito dell'articolo 48.
L'Assemblea non vorrà dare una prova così palese di incoerenza.
Il problema fu posto quasi negli stessi termini nella Costituzione francese. Tanto nella prima Costituzione del 1946, quanto nel preambolo della seconda è enunciato il principio:
«La legge garantisce alla donna, in tutti i campi, diritti uguali a quelli dell'uomo». Ed ecco la legge 11 aprile 1946 n. 46-643 enunciare nel suo unico articolo:
«Ogni francese, dell'uno o dell'altro sesso, avente i requisiti legali, può accedere alle funzioni della Magistratura».
Tutto è semplice e chiaro. Se noi chiediamo oggi all'Assemblea Costituente italiana di risolvere nello stesso modo un problema che si presenta a noi negli stessi termini, non le chiediamo di compiere un atto rivoluzionario. Noi non faremo altro che questo: raggiungere, non la Francia soltanto, ma le numerose nazioni che ci hanno preceduto su questa via.
Ancora prima della seconda guerra mondiale, le donne erano infatti ammesse senza restrizione alcuna all'esercizio della Magistratura nei seguenti Paesi: nell'Unione Sovietica, anzitutto, e questo è naturale, negli Stati Uniti, in Cecoslovacchia, in Finlandia, Danimarca, Norvegia, Turchia, Brasile, Cuba, Cile, Honduras. Anche in Australia, nel Canada e nella Nuova Zelanda le donne sono ammesse alla Magistratura, ma limitatamente alle funzioni di giudice di pace. In Polonia prima della guerra erano già ammesse a giudicare nei tribunali dei minorenni, e la prima donna che esercitò questa funzione, la signora Gabinska, effettuò anzi allora un giro di conferenze in numerosi paesi d'Europa, ove ottenne un immenso successo esponendo le proprie esperienze di magistrato. Recentemente è stato riconosciuto alle donne il diritto di accesso alla Magistratura senza restrizioni in tutta una serie di Stati democratici, dalla Jugoslavia alla Cina e perfino al Giappone.
Perciò noi non possiamo non meravigliarci del tono che il dibattito ha assunto a questo proposito in seno all'Assemblea, dei dissensi che vi si sono manifestati e della volontà espressa da parte di alcuni colleghi di non tener conto alcuno dell'articolo 48, venendo così meno allo spirito di giustizia al quale l'Assemblea, approvandolo, si è ispirata. La donna, in Italia, gode di tutti i diritti politici, è elettrice ed eleggibile; può partecipare alla direzione degli Affari dello Stato, anche se, in pratica, l'esperienza dei quattro Governi De Gasperi ci abbia dimostrato che la Democrazia cristiana non intende tenerne alcun conto. Noi siamo però certi che in avvenire le donne parteciperanno al Governo anche in Italia, così come recentemente è avvenuto in altri Paesi democratici, fra cui la Francia e la Romania.
Già in seno a quest'Assemblea noi partecipiamo a discussioni e a decisioni che investono non il destino di singole persone, ma quello di tutto il nostro popolo. Noi abbiamo quindi occasione di emettere giudizi che hanno immenso valore, mentre, secondo alcuni colleghi, noi non avremmo il diritto di partecipare a giudizi che riguardano una sola persona o fatti d'importanza infinitamente minore.
Il diritto di partecipare all'amministrazione della giustizia, noi lo rivendichiamo tanto nel campo del diritto civile quanto in quello del diritto penale. Una donna può possedere un proprio patrimonio, può esercitare un commercio, è fattore essenziale nel processo produttivo. Lo sviluppo economico della società moderna ha posto e pone quotidianamente di fronte alla Magistratura una serie di problemi complessi e delicati, in cui la donna è coinvolta quanto l'uomo. Perché non dovrebbe essa avere il diritto di concorrere ad emettere giudizi allo stesso titolo?
Ma la donna non ha soltanto il diritto di partecipare alla amministrazione della giustizia, essa ne ha anche il dovere, in determinati campi, come quello dei tribunali dei minorenni, nell'interesse della stessa giustizia.
Ad un Convegno internazionale tenutosi recentemente a San Remo, il Presidente del Tribunale dei minorenni di Milano, Domenico Medugno, ed il dottor Colucci, capo dell'Ufficio per lo studio dei problemi minorili presso il Ministero della giustizia, affermarono concordemente che la giustizia italiana non può più privarsi dell'aiuto della donna in questo settore.
E così in quello che riguarda la difesa della famiglia e quindi nel campo del diritto penale.
Si è parlato di divergenze, che sarebbero, secondo alcuni, fattore di turbamento in seno ai collegi misti giudicanti, rese più acute dalla presenza delle donne, a causa del loro diverso modo di sentire. Secondo noi ciò torna a vantaggio dell'esattezza del giudizio, che risulta da un esame più largo e più completo delle cose. Il fatto è cioè esaminato da ogni punto di vista e sotto ogni profilo: proprio per questo, se non sbaglio, esiste il giudice collegiale. E quindi le argomentazioni dei nostri oppositori non reggono.
La nostra profonda convinzione sulla idoneità della donna, proprio per le sue particolari doti, a partecipare all'amministrazione della giustizia non è stata scossa nemmeno dagli altri argomenti che gli oppositori hanno citato a sostegno della loro tesi. Durante il dibattito ci è anzi sembrato riecheggiassero gli stessi luoghi comuni di cui si servirono gli oppositori di Lidia Poët, quando, circa 70 anni or sono, esercitata la pratica, pretese il diritto di vestire la toga e chiese l'iscrizione all'Ordine degli avvocati di Torino. La sua richiesta fu in un primo tempo accolta da quel Consiglio dell'Ordine, ma suscitò polemiche senza fine. Due consiglieri indignati si dimisero, e non so se uno di essi non fosse per caso parente dell'onorevole Villabruna. Ad ogni modo, la Corte di Appello di Torino, con sentenza 9 agosto 1883, revocò il provvedimento.
Le stesse polemiche si riaccesero nel 1912 intorno al nome di una donna eletta, Teresa Labriola, la quale non ebbe migliore sorte di quella toccata alla Poët trent'anni prima.
Soltanto con la legge 17 luglio 1919 fu riconosciuto alle donne il diritto di esercitare la professione di avvocato e di procuratore legale. Si avverava così la profezia di Domenico Giuriati il quale, durante le polemiche citate, aveva detto: «Il mondo cammina: l'ultima parola è riservata al prossimo avvenire».
Una prima, grande vittoria fu dunque riportata nel 1919 con la conquista da parte della donna del diritto di vestire la toga; vittoria contro lo spirito di conservazione che si faceva scudo degli stessi luoghi comuni sul temperamento inadatto a pronunciare giudizi, sulla mancanza di autorità e sulla suggestionabilità femminili. Luoghi comuni che non tornano ad onore di chi li ha riesumati in quest'occasione.
Dopo tante prove mirabili date dalle donne italiane in questi anni tempestosi, noi avremmo il diritto, onorevoli colleghi, di scandalizzarci che da parte di alcuni si contesti ancora alla donna il diritto di partecipare all'amministrazione della giustizia. Soprattutto quando si apprendono notizie come quelle riportate recentemente dai giornali circa certe sentenze emesse da nostri magistrati in applicazione del decreto di amnistia, dalle quali risulta che sottoporre un patriota, per indurlo a parlare, a scariche elettriche al capo per mezzo di una specie di telefono da campo non costituisce sevizia. Oppure, tra le molte altre del genere, quella sentenza pronunciata in Cassazione, che riguarda un famigerato capitano della brigate nere, un certo Progresso, il quale abbandonò una donna, una patriota, alla violenza di non so quanti dei suoi sgherri, dopo averle bendato gli occhi e legato le mani. Questo, secondo un magistrato, non costituisce sevizia, no, ma soltanto oltraggio al pudore, e quindi reato soggetto ad amnistia. Ebbene, nessuna donna al mondo, mai, sarebbe capace di pronunciare un simile giudizio, avvilire la giustizia fino a questo punto! Sono sentenze, queste, che offendono la legge nella lettera e nello spirito, sentenze che offendono l'umanità, la civiltà!
Una voce al centro. È la legge per l'amnistia che fu fatta male! (Commenti a sinistra — Interruzione del deputato Tonello).
Rossi Maria Maddalena. È vero invece, onorevoli colleghi, che le qualità di sensibilità, di intuizione, di tenacia, di pazienza, di coscienza, il senso di umanità che spesso si riscontrano nella donna, uniti alla conoscenza profonda del diritto, troverebbero un impiego infinitamente utile nel campo della Magistratura.
Lo comprese Guglielmo Shakespeare 350 anni or sono. Voi ricorderete certamente la singolare vicenda che portò di fronte alla Corte di giustizia di Venezia un usuraio, Shylock, il quale avrebbe voluto, in nome della legge, commettere un delitto a danno di un mercante suo debitore. Un caso veramente singolare, a giudicare il quale Shakespeare richiede un giudice dotato di finezza, di cuore, d'intelligenza ed onestà, un giudice che amministri la giustizia vera, onorevoli colleghi, la giustizia dello spirito della legge e non della lettera soltanto. Questo magistrato è una donna, Porzia, la quale salva, insieme con la maestà della legge, la vita di un innocente e domina alla fine, con la sua sottile ed umana misericordia, il malvagio usuraio. Rileggano gli onorevoli colleghi le parole che Porzia pronuncia nell'aula del tribunale di Venezia allorché Bassanio le chiede di violare, per una volta, la legge, perché non sia permesso commettere in suo nome un delitto. «Nessuna autorità in Venezia — risponde Porzia — potrebbe modificare una legge in vigore. Ciò sarebbe invocato come un precedente e, per quell'esempio, molti abusi s'infiltrerebbero nello Stato. Non è possibile».
Ricordate la sua saggia sentenza e le parole che essa rivolge a chi, dopo il giudizio, vorrebbe compensarla col denaro.
«È ben ricompensato chi è ben sodisfatto; ed io sono sodisfatta di avervi liberato...», cioè di aver fatto trionfare la giustizia, «quindi, ritengo di essere ben ricompensata. Il mio animo non è mai stato finora più mercenario di così».
E infine la carità, la clemenza: «La clemenza — dice Porzia — è più del potere scettrato. Essa ha il suo trono nel cuore dei re ed è un attributo di Dio stesso...» Così che il malvagio alla fine appare non domato soltanto, ma, forse, pentito, forse umanamente redento.
Trecentocinquant'anni fa Shakespeare affermava nella sua opera immortale che una donna può possedere le qualità del giudice. Trecentocinquant'anni dopo, nell'Assemblea Costituente italiana si contesta alle donne il diritto di partecipare all'amministrazione della giustizia, negando loro le qualità per farlo.
Ed ora, onorevoli colleghi, ancora un'ultima osservazione. Si è affermato qui che la giustizia è amministrata in nome del popolo. Due giorni or sono il Ministro Guardasigilli disse in quest'Aula che «il popolo partecipa sempre all'amministrazione della giustizia». Non è vero, onorevole Grassi, non è esatto: soltanto la metà del popolo italiano ha fin'ora partecipato all'amministrazione della giustizia! Ma forse la sua affermazione significa che, condividendo la nostra tesi, anch'ella ritiene che, d'ora innanzi, la giustizia sarà veramente amministrata in nome di tutto il popolo italiano. Onorevoli colleghi, se negassimo alle donne l'accesso alla Magistratura, noi tradiremmo la fiducia della grandissima maggioranza di coloro, uomini e donne, che ci affidarono la tutela dei loro diritti. Ho fiducia che ciò non accadrà. Ma, se le parole di Domenico Giurati dovessero ancora una volta rispondere alla decisione sfavorevole di quest'Assemblea, se un voto negativo fosse pronunciato oggi, ebbene, noi non desisteremo certo dalla nostra battaglia. Resterebbe a voi il rammarico di non aver compreso in tempo.
Noi ci auguriamo però che il nostro emendamento sia approvato: vorremmo anzi che questa pietra miliare sulla via della libertà, del progresso, della giustizia sociale fosse posta oggi dalle mani concordi dei colleghi di tutti i settori dell'Assemblea Costituente. (Vivi applausi — Molte congratulazioni).
[...]
Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare l'onorevole Leone Giovanni per esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti all'articolo 98.
Leone Giovanni. Il primo problema che si presenta all'attenzione della Commissione in sede di esame di emendamenti è quello che concerne l'assunzione delle donne nella Magistratura. Ci occupiamo quindi in concreto degli emendamenti delle onorevoli colleghe Federici Maria e Rossi Maria Maddalena.
Il testo proposto dalla Commissione non vuole costituire, così come è presentato ai voti, un limite alla introduzione delle donne nella Magistratura. Vuol soltanto contribuire a dare possibilità alla legge sull'ordinamento giudiziario — quando verrà affrontato questo nuovo problema — di organizzare la partecipazione delle donne in modo che sia più idonea ad un contributo degno della loro personalità.
L'articolo 48, in precedenza votato, ne parla. Stabilisce infatti la perfetta parità dei due sessi nei confronti dell'assunzione agli uffici pubblici e alle cariche elettive, e aggiunge: «secondo i requisiti richiesti dalla legge». Il che importa che, per ciascun settore dell'amministrazione, la legge che ne disciplinerà la vita e lo sviluppo dovrà tener conto della particolare adattabilità della donna ai singoli settori dell'amministrazione. Noi abbiamo voluto, con la formula proposta dal progetto, ripetere in questa sede quella stessa possibilità di adattamento della partecipazione della donna all'amministrazione della giustizia.
Ciò premesso, mi pare che la Camera non debba drammatizzare questo problema, e che possiamo tutti convenire su questo punto di vista: libera introduzione della donna nella Magistratura; mentre si lascia all'ordinamento giudiziario la facoltà di adeguare le funzioni della donna ai gradi della Magistratura più conformi al suo proficuo rendimento.
Rossi Maria Maddalena. La donna deve partecipare a tutti gli ordini e gradi della Magistratura.
Leone Giovanni. Questo è un problema sul quale la Commissione non deve dire altro, rimettendo alla Assemblea ogni decisione.
[...]
Presidente Terracini. Chiederò ai presentatori di emendamenti se li mantengono.
[...]
Presidente Terracini. Dopo la presentazione del nuovo testo della Commissione, sono da considerarsi assorbiti gli emendamenti degli onorevoli Federici Maria, Villabruna, Ruggiero Carlo, Geuna. Gli emendamenti delle onorevoli Bianchi Banca e Merlin Angelina erano soppressivi soltanto in parte: quindi penso si possano presentare i loro emendamenti con una formulazione positiva, considerato il nuovo testo che terremo a base delle nostre votazioni.
L'onorevole Rossi Maria Maddalena mi ha comunicato di mantenere il suo emendamento, trasformandolo in formulazione aggiuntiva.
[...]
Presidente Terracini. [...] Ritengo che si possa ora, contrariamente a quanto stabilito in precedenza, e se non sorge opposizione, passare alla votazione dell'emendamento aggiuntivo proposto dall'onorevole Rossi Maria Maddalena.
La proposta è del seguente tenore:
«Le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura».
Comunico che è stato chiesto l'appello nominale dagli onorevoli: Rossi Maria Maddalena, Togliatti, Molinelli, Farini, Minio, Fantuzzi, Montagnana Rita, D'Onofrio, Laconi, Gallico Spano Nadia, Lozza, Montalbano, Moranino, Barontini Anelito, Ferrari e Scoccimarro.
Sullo stesso emendamento è stato chiesto lo scrutinio segreto dagli onorevoli Mastrojanni, Perugi, Villabruna, Mastino Gesumino, Corbino, Penna Ottavia, Corsini, Colitto, Scalfaro, Giacchero, Micheli, Badini Confalonieri, Bellavista, Valenti, Alberti, Colonnetti, Corsanego, Baracco, Coppi e Bubbio.
Rossi Maria Maddalena. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Rossi Maria Maddalena. Ritiro la mia richiesta di appello nominale se i presentatori della domanda di scrutinio segreto acconsentono a fare altrettanto.
Presidente Terracini. I presentatori della richiesta dello scrutinio segreto la mantengono dinanzi alla rinunzia dell'appello nominale?
Bellavista. Anche a nome degli altri firmatari, dichiaro di insistere nella richiesta dello scrutinio segreto.
Presidente Terracini. Indìco la votazione a scrutinio segreto sull'emendamento aggiuntivo proposto dall'onorevole Rossi Maria Maddalena, testé letto.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione segreta. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Presidente Terracini. Comunico il risultato della votazione segreta:
Presenti e votanti............ 273
Maggioranza.............. 137
Voti favorevoli........... 120
Voti contrari.............. 153
(L'Assemblea non approva).
[Nel resoconto stenografico della seduta segue l'elenco dei deputati che hanno preso parte alla votazione.]
A cura di Fabrizio Calzaretti