[L'11 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Macrelli. [...] Io ho detto, onorevoli colleghi, indipendenza politica; ma ho aggiunto anche: indipendenza economica. Chi come me e come molti di voi, del resto, conosce la vita dei magistrati italiani, sa quali sacrifici morali e materiali essi debbono affrontare ogni giorno. Stipendi di fame è la definizione esatta, non è un'esagerazione, onorevoli colleghi. Stipendi di fame per coloro — badate — che hanno affidata alla loro coscienza la tutela dell'onore, della libertà, dei beni dei cittadini. Io ho già avuto occasione di trattare questo argomento davanti a voi in sede di interrogazioni: argomento doloroso e umiliante. Il Governo si è trincerato dietro le solite esigenze di bilancio; comunque, ad un certo momento, si è rimesso anche alle decisioni di questa Assemblea. Ora, l'Assemblea Costituente, alla quale i magistrati italiani si sono rivolti con fiducia, sappia affrontare una buona volta il problema angoscioso, per risolverlo nell'interesse della giustizia e della Nazione. (Approvazioni).

Per arrivare alla meta auspicata da quanti hanno a cuore la causa della giustizia e la sorte della Magistratura, occorre innanzitutto sganciare i magistrati dall'ordinamento degli impiegati dello Stato, approvato con regio decreto 11 novembre 1923 n. 2395. Fu infatti con quel decreto, di spirito profondamente e nettamente fascista, che i magistrati vennero inquadrati fra il personale dipendente dall'Amministrazione dello Stato. Secondo noi il Governo può e deve provvedere nel senso richiesto, tanto più che è da tutti riconosciuta ed affermata l'importanza delle funzioni dei magistrati e, anche, la diversità fra esse e quelle degli altri dipendenti statali.

Certo, dovere preciso è quello di creare al magistrato una posizione dignitosa e sicura, poiché la vera indipendenza morale è strettamente legata all'indipendenza economica.

Conoscete voi, onorevoli colleghi — e mi rivolgo non ai giudici o agli avvocati che sono in quest'Assemblea — quella che è la vera situazione della Magistratura italiana? Conoscete voi le vere condizioni in cui si amministra la giustizia in Italia? Consentitemi (mi avvio rapidamente alla fine) alcune cifre: sono raccolte in una petizione diretta all'Assemblea Costituente dai magistrati dell'ordine giudiziario. Si parla ad un certo punto del numero dei magistrati che, attraverso il tempo, con gli anni, è andato diminuendo invece di aumentare con l'aumento del lavoro, con l'aumento delle pratiche, con l'aumento degli incarichi, poiché ormai il magistrato deve fare tutto, entra in tutte le manifestazioni della vita italiana, mentre il suo compito dovrebbe essere limitato soltanto ed esclusivamente a rendere giustizia, a fare giustizia. (Applausi).

Orbene, in questa petizione si dice: «Il personale della Magistratura, dal primo gennaio 1941 complessivamente in numero di 4400, al primo gennaio 1947 era ridotto al numero di 4100. Nel Tribunale di Milano, i magistrati che al primo gennaio 1940 erano 99, al primo gennaio 1947 erano 74».

Cifre inadeguate! E mi rivolgo al Ministro della giustizia che deve conoscere meglio di me questa situazione e che dovrà provvedere a suo tempo, attraverso quelle che saranno le indicazioni date dall'Assemblea Costituente.

Ma a quelle cifre io voglio aggiungerne un'altra: quella relativa agli stipendi. Un magistrato, entrato nel 1910 in carriera con un primo stipendio di 200 lire mensili, percepisce oggi, arrivato al grado di Consigliere di Cassazione, uno stipendio di lire 33.000 mensili circa, con una capacità di acquisto non superiore a lire 150 del 1911.

Un magistrato di grado ottavo che nel 1940 percepiva uno stipendio di 1500 lire, oggi percepisce 24.000 lire circa, compresa ogni indennità, nonostante che il costo dei generi di prima necessità si è moltiplicato di 30 o 40 volte.

Ora, ci sono dei rimedi? Noi pensiamo di sì. Io ho già parlato anche su questo argomento e ho richiamato l'attenzione del Governo e dell'Assemblea su quello che dovrebbe essere secondo molti di noi il rimedio per affrontare e risolvere decisamente il problema, ripeto, ancora una volta, nell'interesse della giustizia e del Paese: l'istituzione della più volte invano reclamata Cassa nazionale dei magistrati. Con questa sarebbe possibile venire incontro alle più elementari esigenze dei magistrati senza gravare sul bilancio dello Stato.

E badate che tale principio non è nuovo nella nostra legislazione. Basta ricordare la legge 7 aprile 1921 n. 355 che, fissando un'indennità annua per i magistrati, contemporaneamente aumentava ed in certi casi raddoppiava, le tasse di bollo, le tasse di sentenza, per far fronte alle nuove esigenze di bilancio. Tale indennità venne poi tolta dal famigerato decreto dell'11 novembre 1923.

Vogliate scusarmi se aggiungo ancora qualche cifra. Sapete qual è la mole enorme del lavoro giudiziario e la inadeguata corresponsione di oneri? Attualmente si può calcolare che i soli provvedimenti di volontaria giurisdizione, siano, «grosso modo» almeno trecentomila. Ebbene, qual è la tassa fissa per questi provvedimenti? Per i provvedimenti del Pretore varia da lire 25 a lire 49. Le cifre sono raddoppiate, sotto un certo punto di vista, per il Tribunale: da 49 si arriva fino a 100. Non basta. Annualmente si calcola che vengano emessi almeno 1 milione di decreti penali con una tassa fissa di lire 25 fino a poco tempo fa, ed ora portata a lire 140.

Le sentenze penali in sede di pretura si aggirano sulle cinquecento mila, con una tassa che arriva fino a lire 360 per i delitti e 150 per le contravvenzioni. Le sentenze di tribunale raggiungono le centocinquanta mila con una tassa di lire 760 o 390 a seconda che si tratti di delitti o contravvenzioni.

Dato l'attuale valore della moneta, tali cifre sono irrisorie. Basterebbe quindi aumentarle in modo corrispondente al valore della moneta, alle necessità dell'amministrazione della giustizia e alle esigenze delle stesse parti, per raggiungere quella cifra che, destinata alla Cassa nazionale, varrebbe da sola a risolvere il problema angosciante, senza incidere sulle finanze dello Stato.

Ma si dice: voi affermereste un principio pericoloso. Domani altri funzionari dello Stato potrebbero chiedere lo stesso provvedimento e lo stesso trattamento.

Nulla di più assurdo che questa equiparazione della funzione giudiziaria a quella dei dipendenti dello Stato. A prescindere da ovvie considerazioni di prestigio e dalle peculiari esigenze di indipendenza economica, altri coefficienti differenziano nettamente la funzione giudiziaria:

1°) l'estrema varietà dei casi quotidianamente sottoposti al giudizio dei magistrati;

2°) la grave responsabilità relativa agli interessi che formano oggetto della funzione giurisdizionale;

3°) la necessità di una preparazione tecnico-scientifica di ogni giorno e di ogni ora e dell'adeguarsi quotidiano alla evoluzione ed ai ritrovati della giurisprudenza scientifica e pratica;

4°) l'ognor crescente mole di lavoro, che richiede applicazioni oltre ogni limite consueto di orario impiegatizio;

5°) l'interdizione da ogni altra attività lucrativa;

6°) la necessità professionale che il magistrato sia aperto a tutte le esperienze e a tutti gli aspetti della vita sociale.

[...]

Murgia. [...] Detto questo io tratto del problema dell'indipendenza economica dei magistrati per i quali ho proposto il seguente emendamento: «Norme speciali regoleranno il trattamento economico dei magistrati». Lo ho formulato in questi termini e non in termini generici di autonomia economica dei magistrati come altri colleghi han fatto, perché solo nel modo da me proposto essi possono e devono essere svincolati dalla categoria degli altri impiegati statali ai fini del trattamento economico. Senza questo la elevata e decorosa funzione del magistrato che deve stare al vertice di tutta la vita pubblica non sarà sufficientemente garantita per quanto i nostri magistrati abbian data sempre una prova splendida di integrità.

Ed ora mi avvio rapidamente ad illustrare l'ultimo emendamento da me proposto per la difesa degli imputati, parti lese, attori e convenuti poveri.

Gli avvocati fanno del loro meglio; vi sono di quelli che si prodigano oltre misura e con lodevole zelo. Ciò avviene o per quelli che hanno maggiori possibilità economiche o per i giovani spronati dall'ambizione di farsi luce. Ma dobbiamo riconoscere che in molti casi l'opera dei patrocinatori è modesta per non dire scarsa, con quale conseguenza degli interessi che si tutelano è facile comprendere. Perciò io propongo che venga costituita una Cassa speciale che sia di stimolo e per lo meno di parziale interesse dei patrocinatori che devono difendere gli interessi di questa povera gente.

[...]

Sardiello. [...] Discendiamo (il salto può parere precipitoso, ma non è) da questi vertici ideali a talune concrete considerazioni. Non c'entra, lo so, l'argomento cui sto per accennare col progetto di Costituzione; ma se ne è parlato, e non è male dunque che le idee ventilate suscitino il pensiero esplicito di tutti.

Lo Stato avverta il dovere di garantire al magistrato la indipendenza economica!

Mi scriveva recentemente un valoroso magistrato: «noi non vogliamo il trattamento dei giudici della Gran Bretagna, ma non vogliamo neppure quello dei giudici dell'Islam». Io concreto quella aspirazione in questo concetto: la condizione economica del magistrato deve essere tale che sia base e strumento per la elevazione intellettuale e sociale del giudice ed anche la espressione piena, direi il simbolo, della valutazione che lo Stato fa della funzione della giustizia.

Onorevoli colleghi, il progetto di Costituzione pone il magistrato ad un'altezza superba: tra la legge e la coscienza. Se, a questa altezza, lo condannassimo ancora, come oggi, alla battaglia quotidiana con le più essenziali necessità della vita, le enunciazioni fastose contenute nell'articolo 94 non sarebbero che una deplorevole irrisione!

Quando avremo, in tutti i modi possibili, con ogni forza, elevato moralmente e materialmente la Magistratura, nella sua libertà, nella austerità della legge, nella luce della coscienza, ed allora potremo allargare pure le file, aprire le porte alle donne.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti