[L'11 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Romano. [...] Penso che anche questo progetto, nonostante le affermazioni di indipendenza, abbia sotto certi punti di vista aggravato lo stato di dipendenza della Magistratura.

Il problema della indipendenza della Magistratura somiglia un poco al problema del Mezzogiorno.

Ogni Governo nell'insediarsi fa l'elogio del Mezzogiorno, fa le solite promesse, ma poi tutto rimane come prima.

Così avviene per la Magistratura.

Quattro sono le indipendenze che si chiedono: Indipendenza costituzionale; indipendenza funzionale, indipendenza istituzionale, indipendenza economica.

Manca la prima perché il progetto di Costituzione non qualifica come sovrana la funzione giurisdizionale, né qualifica sovrano il potere che la esercita.

Difetta d'indipendenza funzionale perché non si parla esplicitamente di autogoverno.

È minacciata l'indipendenza istituzionale in quanto le assunzioni, le promozioni, i trasferimenti di sede e di funzioni si fanno dipendere da un Consiglio Superiore di cui fanno parte elementi che sono espressioni di correnti politiche.

Non vi è traccia della indipendenza economica, che è di somma importanza al fine di una retta amministrazione della giustizia.

[...]

Trattamento economico. — La posizione economica attuale della Magistratura deriva da un equivoco, giacché i magistrati d'Italia ebbero origine nettamente nobiliare.

Il posto di giudice era ambito per mantenere alto il prestigio ed il potere della famiglia e, quindi, l'esercizio della Magistratura era un munus publicum.

Si ritenne che il magistrato dovesse essere provvisto di beni di fortuna, dei quali lo stipendio rappresentava solo una integrazione.

Ma quando le cariche giudiziarie, come tutte le altre cariche direttive dello Stato passarono dalla nobiltà all'alta borghesia e da questa alla media, i magistrati vennero a trovarsi in gran parte nella condizione economica di tutti gli altri impiegati delle amministrazioni statali, costretti a vivere di solo stipendio.

I magistrati di oggi non discendono da magnanimi lombi, ma dal popolo e prevalentemente da quella classe impiegatizia, che silenziosamente è sempre vissuta e vive tra mille difficoltà e stenti.

I figli di questa modestissima classe usciti dalle università, non potendo per mancanza di mezzi affrontare la incertezza e l'aleatorietà della libera professione, concorrono in Magistratura.

Questi giovani, che sentono imperioso il dovere di non pesare un giorno di più sul bilancio familiare, questi giovani sono le nobili reclute della Magistratura italiana.

Perciò molto ci addolora il sentire alle volte affermare con poca ponderatezza che la Magistratura è asservita agli agrari, che guarda con simpatia i grandi proprietari, gli industriali.

La Magistratura conosce un solo imperativo categorico, la norma giuridica, batte una sola strada, quella della giustizia, invoca una sola luce, la luce di Dio.

Oggi mentre molti assetati di felicità, divorati dall'egoismo, avidi di beni, corrono dietro i facili guadagni, mentre tutto è in funzione del benessere fisico, il magistrato ha saputo soffrire, mantenendo lontano ogni ombra, ogni macchia dalla toga, che considera un simbolo sacro.

La Magistratura italiana ha al suo attivo una giusta fama di onestà e di correttezza, per cui la sua rettitudine non è stata mai neppure discussa.

La quasi totalità dei magistrati non frequenta teatri, non cinematografi, non si consente villeggiature di montagna, o di mare.

Con tanto impoverimento della personalità i magistrati italiani si sono comportati da eroi attendendo, in silenzio, in mezzo alle più gravi ristrettezze economiche, alla oscura e diuturna fatica del giudicare, hanno continuato ad accudire con serenità allo studio di poderose questioni, in cui spesso sono in contrasto interessi ingentissimi.

La Magistratura italiana è quella che meno si sporcò di fascismo, e prova ne è che si sentì il bisogno di creare organi speciali disposti ad asservirsi supinamente alla dittatura.

La Magistratura italiana come allora così anche oggi, è rimasta e rimane al suo posto.

Purtroppo in questi tempi grigi, tutti si è presi dall'autodenigrazione: ombre si gettano sulla polizia, ombre sull'arma dei carabinieri, ombre sulla Magistratura.

Con questo sistema si discreditano gli organi più vitali e si aggrava la carenza dello Stato. Tagliare i rami secchi è un dovere, ma è anche un dovere mantenere alto il prestigio di queste istituzioni, che sono un poco la spina dorsale del Paese.

Qui vi sono stati lanci inconsulti di manate di fango contro la Magistratura, specie quella siciliana.

Ebbene non le parole vane, ma i numeri della statistica dicono che la Magistratura in Sicilia fra infinite difficoltà, ha colpito in pieno petto la criminalità.

Dal 1943 al 1945 vi fu un crescente di attività delittuosa: rapine, estorsioni, sequestri di persone, associazioni a delinquere.

A molti non era più consentito di andare in campagna, ma alla fine del 1946 la statistica ha segnato il ritorno alla normalità.

E la lotta contro la criminalità si è svolta osservando la legge, non come si fece all'epoca del prefetto Mori, ricorrendo ai mandati di cattura in bianco.

Sono, quindi, in errore quei pochi che inconsultamente hanno osato attaccare la Magistratura. Se in tutti i settori della vita italiana esistesse quello scrupolo, quello spirito di sacrificio, che intensamente vive sotto la toga del magistrato, la risurrezione morale del Paese potrebbe ritenersi assicurata.

È di ieri un esempio fulgido di purezza e di francescana povertà della Magistratura di Sicilia.

In un grande centro di quella terra, che vive di onore, un Presidente di Sezione di Corte di appello cessò improvvisamente di vivere.

Il giorno del decesso colleghi ed avvocati andarono a visitare la vedova; questa dirottamente piangeva; pregata di rassegnarsi, tra i singhiozzi disse al Primo Presidente della Corte che non aveva neppure i mezzi per ordinare la cassa.

Con una colletta quell'esimio magistrato raggiunse l'ultima dimora tra quattro assi coperti da una toga intemerata. Questa è la Magistratura italiana.

Nell'agosto scorso avrete letto sulla Scena illustrata lo stato di miseria in cui morì a Milano un giovane magistrato.

Quando amici e colleghi accorsero nella squallida stanzetta trovarono sopra un tavolo un voluminoso processo civile coperto di appunti.

Quel volume era la ricchezza in contestazione, sul letto di morte l'indigenza assoluta sopra una sedia una giacca sdrucita con poche centinaia di lire che servirono per telegrafare alla famiglia, alla fidanzata. Anche questa accorse e chiese un ricordo, un indumento, che essa già considerava un simbolo, la toga onoratamente indossata da chi doveva essere il compagno della sua vita.

Ecco la Magistratura italiana.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti