[Il 13 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

De Vita. [...] Per me lo Stato non è una realtà né etica, né anti-etica; per me lo Stato è una realtà politica, sia pure non indifferente all'etica. Nell'ordine morale l'unica realtà è la coscienza e le forme della coscienza, ed io, onorevoli colleghi, non riesco, tra le forme della coscienza, a trovarne una che si chiami lo Stato. Con l'articolo 5, però, questo scopo è stato pienamente raggiunto, perché si è voluto lo Stato etico, tanto è vero che gli si è data anche una religione. Soltanto mi domando allora che valore abbia il primo comma dell'articolo 7, in cui è detto: «I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza e di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche, sono eguali di fronte alla legge».

La verità è che quando allo Stato si dà una religione, esso deve difenderla. Questo mi sembra ovvio; e in questa difesa esercita una inammissibile pressione sulla coscienza dell'individuo, violando una delle fondamentali libertà della persona umana. Nell'attuale stato di sviluppo della nostra civiltà, il rispetto delle opinioni dei singoli professanti religioni differenti deve assurgere a maggiore pubblica considerazione. I cittadini devono essere effettivamente eguali di fronte alla legge, indipendentemente dalla religione professata.

Dall'articolo 5 delle disposizioni generali appare evidente che la religione è usata come mezzo per agire sul carattere e sul costume della Nazione. Per me un'ingerenza di tale natura, in qualunque modo esercitata dallo Stato, è dannosa, perché incatena la libertà dell'individuo. A mio avviso, non può sussistere alcuna ingerenza dello Stato in materia religiosa, senza che questa ingerenza significhi maggiore o minore favore per determinate professioni religiose. Si potrebbe obiettare che l'incoraggiamento della religione per mezzo delle leggi e delle istituzioni dello Stato è reclamato per la difesa dell'ordine interno, per la moralità. Io sono fermamente convinto che la religione può produrre buone azioni, ma debbo anche dire che la religione è un mezzo d'azione il cui punto d'appoggio è estrinseco allo Stato. Sono anche convinto che le idee religiose concorrono al perfezionamento morale; ma debbo anche dire che per me religione e morale non sono due termini indissolubilmente connessi.

Io chiedo a voi, onorevoli colleghi, se all'infuori di un'idea religiosa vi è l'idea della perfezione spirituale. Se si ammette che all'infuori di qualsiasi religione vi sia l'idea della perfezione spirituale, tale idea è abbastanza grande, è abbastanza sublime per non aver bisogno di una veste e di una forma esteriore. Certamente, la religione insegna agli uomini a sentire la bellezza della virtù; sviluppa senza dubbio il sentimento dell'amore e della solidarietà umana; ma l'uomo che ha la coscienza del proprio valore, della propria esistenza, non sarà certamente meno virtuoso. E questa idea della perfezione non è soltanto una fredda percezione della intelligenza, è anche un caldo sentimento del cuore che fa penetrare l'esistenza dell'uomo in quella dei suoi simili, ed il sentimento d'amore e di solidarietà umana diventerà sempre più fecondo mano a mano che lo spirito umano apprenderà che la sorte dell'uomo dipende dall'uomo stesso.

Mi si potrebbe obiettare che io attribuisco all'uomo una potenza di spirito e di carattere non soltanto non comune, ma affatto eccezionale. Ebbene, onorevoli colleghi, questa obiezione varrebbe anche per coloro i quali ritengono che il sentimento religioso possa determinare una vita veramente bella, egualmente lontana dall'indifferenza e dal fanatismo. Pertanto io ritengo che se non si vuole arrestare l'espansione dello spirito e lo sviluppo delle facoltà dell'animo, si debba attribuire allo Stato soltanto il compito di rimuovere gli ostacoli che menomano la fiducia nel sentimento religioso, e di agevolare lo spirito del libero esame. Se lo Stato va oltre, se lo Stato tenta direttamente di dominare il sentimento religioso o di orientarlo, anziché determinare la vera convinzione religiosa, determinerà una coscienza religiosa che poggia sopra l'autorità.

Foresi. Ma i cattolici italiani costituiscono l'assoluta maggioranza in Italia.

De Vita. Anche se in Italia ci fosse un solo uomo che la pensasse diversamente dalla maggioranza, noi, in omaggio alla libertà dell'individuo, dovremmo assicurargli la piena libertà di coscienza e di pensiero.

Una voce al centro. Ha letto il Concordato, lei?

De Vita. L'ho letto bene, ed ho letto bene anche gli articoli 1 e 5. All'articolo 1 è espressamente detto che la religione dello Stato italiano è la religione cattolica. Quindi è uno Stato confessionale.

All'articolo 5 è contemplata la perdita dei diritti civili e politici per i sacerdoti apostati e questo non è conforme alla libertà che noi vogliamo instaurare. Anche se certi principî religiosi giovano a determinare azioni conformi alla legge, ciò solo non basta ad autorizzare lo Stato a propagare le idee religiose, anche a detrimento della libertà di coscienza e di pensiero.

Il cittadino, lasciato interamente libero in materia religiosa avrà o non avrà nell'animo sentimento religioso, a seconda della sua indole personale; ma è certo in ogni caso che le sue idee saranno più logiche, la sua sensibilità più profonda, e sarà più ammirevole per moralità ed obbedienza alle leggi. Credo quindi, per terminare questo argomento, che si possa stabilire il principio che tutto ciò che si riferisce alla religione sta al di fuori dei limiti dell'azione dello Stato.

Mi si consenta anche di fare alcune osservazioni in ordine al 1° comma dell'articolo 5: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

Poiché illustri uomini del passato, e anche del presente, non hanno affrontato in pieno questo argomento e, come si suol dire, sono usciti dal rotto della cuffia, cercheremo, con serenità di spirito, di affrontarlo noi.

A mio parere, il comma in questione, così com'è formulato, anziché assicurare la tanto desiderata pace religiosa, potrebbe portare ad aperti contrasti. Con questo comma, infatti, non si vuole affermare il principio di separazione fra Stato e Chiesa. Lo scopo, evidentemente, è un altro: si vuole non soltanto affermare il principio del riconoscimento dei diritti e dei poteri temporali della Chiesa come Santa Sede — e per ciò ente con personalità internazionale perfetta — ma anche dei diritti e poteri che si estendono oltre i limiti della Città del Vaticano.

Sorge allora spontanea la domanda: chi determina i limiti dell'ordinamento giuridico dello Stato e della Chiesa, se non lo Stato e la Chiesa medesimi, quali enti sovrani? In materia matrimoniale, ad esempio, la Chiesa ritiene di avere la competenza esclusiva non soltanto in ordine al matrimonio come sacramento, ma anche in ordine agli effetti che sono indissolubilmente connessi col matrimonio.

E questi effetti voi sapete quali sono: rapporti fra i coniugi, patria potestà secondo il diritto di natura, legittimità della prole. Sarebbero di competenza dello Stato soltanto gli effetti cosiddetti «meramente civili» del matrimonio, ossia quegli effetti che possono separarsi dal matrimonio e sussistere anche se il matrimonio viene a mancare, come la successione ereditaria.

Ora, deve lo Stato disinteressarsi di tutta questa materia che la Chiesa ritiene di sua esclusiva competenza? Io ritengo di no. Possono Stato e Chiesa legiferare entrambi in questa e in altre materie senza il pericolo di conflitti? Si potrebbe obiettare che, ai sensi del successivo comma dello stesso articolo, il collegamento fra Stato e Chiesa deve essere concordatario. Ma, a mio avviso, l'obiezione non regge, perché col primo comma si riconosce la piena sovranità della Chiesa anche nei rapporti esterni e nel secondo comma è soltanto contenuto un impegno unilaterale dello Stato.

Questa è, per me, la portata dell'articolo 5 che io lascio alla prova di un esame più profondo.

[...]

Crispo. [...] Il principio della sovranità dello Stato che, a mio avviso, nella Costituzione deve affermarsi senza menomazione alcuna, m'induce a fare alcune osservazioni sull'articolo 5. Mi sembra, innanzi tutto, che, nella discussione generale, l'esame dell'articolo 5 abbia dato luogo a vere e proprie deviazioni. Qui si tratta solo di un problema costituzionale che, pertanto, va posto in termini costituzionali. Che importa, per esempio, indagare l'origine fascista dei Patti? Comunque siano stati stipulati, essi, allo stato, restano. Pacta sunt servanda.

Che importa, inoltre, sapere se questi Patti, nel momento in cui si stipulavano, rappresentassero o non la coscienza del Paese? Se realizzassero o non realizzassero la pace religiosa? Se, rompendosi questi Patti, sarebbe per avventura turbata questa pace?

Che importa, infine, indagare se, per avventura, sia da preferirsi il regime della separazione, secondo il principio del Locke, al quale il nostro Cavour attinse la formula «Libera Chiesa in libero Stato» e il Luzzatti la formula «Libere Chiese nello Stato sovrano», o piuttosto sia da preferire un regime di collaborazione concretato e definito per mezzo di accordi bilaterali?

Indagini che qui non possono trovar posto; poiché qui l'indagine è una sola, quella che si riferisce al carattere dei Patti, allo scopo di stabilire se costituiscano materia costituzionale, tale da dovere essere inserita nella Costituzione. Indagine che, come è chiaro, non ha nulla di irriverente, e nulla che possa offendere la coscienza e il sentimento dei nostri amici della Democrazia cristiana.

Che cosa, adunque, sono questi Patti? I Patti comprendono il Trattato e il Concordato. Il primo è un trattato di diritto internazionale, nel quale, per ragioni che non mette conto indagare, lo Stato italiano si è disannessa una parte del proprio territorio, ed ha consentito che su questa parte si costituisse uno Stato che si chiama «Città del Vaticano», Stato riconosciuto de jure; riconoscimento solenne, senza riserve e senza condizioni.

Questo Trattato aveva una particolare importanza, e un particolare significato. Non voleva certo, come qualcuno ha erroneamente pensato, restaurare l'antico Stato Pontificio, caduto nel 1870 per debellatio. Poiché lo Stato Pontificio era del tutto distinto, separato dalla Chiesa, ed era espressione tipica di un vero e proprio potere temporale. Come tale, esso non può confondersi con lo Stato Città del Vaticano, costituito col Trattato.

Nondimeno il Trattato aveva una particolare importanza, nel senso che, com'è detto nella premessa del Trattato stesso, per assicurare alla Santa Sede assoluta e visibile indipendenza, esso era inteso a garantire una sovranità indiscutibile, pur nell'ambito internazionale, onde si ravvisava la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo alla Santa Sede esclusiva e assoluta potestà e giurisdizione territoriale. Che cosa significa questo? Significa che lo Stato Città del Vaticano si pone, nella stipulazione, come un ente di diritto internazionale, cui è riconosciuta personalità internazionale, sia in rapporto al diritto di legazione attivo e passivo (diritto subiettivo internazionale), sia perché lo Stato Città del Vaticano si colloca sul caratteristico terreno normativo internazionale, per compiere, con gli altri Stati, atti internazionali, che hanno non soltanto valore formale, ma valore sostanziale di trattati, con i quali si pongono norme vere e proprie di diritto internazionale quali sono i concordati.

Perché vi ho detto questo? Perché, incorporandosi il Trattato nella Costituzione, quando nell'articolo 5 si dice che lo Stato e la Chiesa sono, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, evidentemente si collocano, l'una vicina all'altra, due sovranità temporali.

Ora mi domando: se si tratta di un trattato di diritto internazionale, col quale si riconosce de jure la personalità dello Stato Città del Vaticano, quale motivo potrebbe giustificare la inserzione di questo Trattato nella Costituzione? Sarebbe come domandarsi se possa esserci un motivo qualunque perché un altro trattato qualsiasi con altra Nazione possa considerarsi materia costituzionale, sì da far parte della Costituzione. E, badate, non si potrebbe, a mio avviso, andare in opinione diversa, se si volesse tener conto della particolare fisionomia istituzionale dello Stato Città del Vaticano.

Parecchi scrittori hanno sostenuto che, in buona sostanza, lo Stato Città del Valicano non è uno Stato veramente e propriamente, nella comune concezione dello Stato. In ciò si può evidentemente consentire. Si può dire, cioè, che lo Stato Città del Vaticano si differenzia dagli altri Stati, perché è uno Stato sui generis, uno Stato strumentale, uno Stato teleologico, nel senso che la sovranità temporale viene esercitata in funzione della sovranità spirituale, viene, cioè, posta al servizio della missione propria della Chiesa.

Ma quando si è detto questo, non si è detto nulla. Perché questo carattere peculiare che differenzia lo Stato Città del Vaticano dagli altri Stati, nulla toglie alla sovranità dello Stato Città del Vaticano, in quanto Stato, sovranità consacrata nell'articolo 1 della Costituzione dello Stato Città del Vaticano, nel quale è detto: «Il Sommo Pontefice, sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

Se, adunque, il Trattato rivendica la potestà temporale della Chiesa, se il Trattato costituisce uno Stato sovrano, se riconosce ad esso personalità di diritto internazionale, la conseguenza qual è? La conseguenza è che, quando nell'articolo 5 si dice che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, si pongono nella Costituzione due sovranità che evidentemente non possono coesistere. E voglio esprimere un altro concetto. Badate, nell'articolo 1 del Trattato, quando s'incorpora l'articolo 1 dello Statuto, lo s'incorpora con un significato ben diverso da quello che nello Statuto aveva di una professione di fede. Quando nel Trattato si dice che «l'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell'articolo 1 dello Statuto del regno 4 marzo 1848, per il quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato», e quando il Trattato s'introduce nella Costituzione, ciò significa riconfessionalizzare lo Stato. Perché qui non si vuol dire già che la grande maggioranza dei cittadini italiani professa la religione cattolica: qui si vuol dire che lo Stato ha una religione; mentre lo Stato, come tale, non ha religione, ma garantisce la religione; e si vuole che lo Stato italiano sia uno Stato cattolico, onde è da chiedere se i non cattolici facciano parte della Repubblica italiana. (Commenti al centro).

Tupini. Non bisogna mai commentare per absurdum.

Crispo. Abbiamo parlato del Trattato, parliamo ora del Concordato.

Incorporandosi il Concordato nella Costituzione, si cristallizzano gli accordi, nel senso che non possono esser modificati, per revisione costituzionale, perché bilaterali.

La conseguenza è una condizione di contrasto tra Costituzione e Patti. Difatti, mentre lo Stato si dichiara indipendente e sovrano, si attribuisce, nello stesso tempo, carattere confessionale. E può avvenire che, mentre nell'articolo 27 della Costituzione si dice (e si dice erroneamente) che l'arte e la scienza sono libere (erroneamente, perché dovrebbe dirsi che le manifestazioni dell'arte e della scienza sono libere), nell'articolo 36 del Concordato si stabilisce: «L'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l'insegnamento religioso, ora impartito nelle scuole pubbliche elementari, abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d'accordo fra la Santa Sede e lo Stato».

E mentre si dice, nella Costituzione, all'articolo 94, che la giurisdizione è la espressione precipua della sovranità dello Stato, con l'articolo 34 del Concordato si stabilisce che la Chiesa consente alla giurisdizione dello Stato italiano d'intervenire nei giudizi di separazione coniugale, e che nei giudizi di annullamento del matrimonio, unica giurisdizione è quella della Chiesa. Così, mentre lo Stato rivendica a sé la tutela e l'assistenza della famiglia, il matrimonio può essere celebrato dalla Chiesa, e le cause del dissolvimento della famiglia sono del tutto sottratte al giudice italiano.

Così, per altro, mentre la Costituzione consacra il principio della eguaglianza di tutti i cittadini, per il Concordato tale principio non vale per i sacerdoti colpiti da scomunica o irretiti da censura. E non basta; perché, nello Stato Città del Vaticano vigono il Codice penale del 1889, e il Codice di procedura penale del 1913, e ciò può creare non lievi difficoltà, sia in rapporto al regime della piazza aperta o chiusa di San Pietro, sia in rapporto alla devoluzione della giurisdizione da parte della Città del Vaticano allo Stato italiano, a norma dell'articolo 22. Altre difficoltà potrebbero sorgere a proposito dello status personale e in tema di successione, perché la cittadinanza è regolata nello Stato Città del Vaticano con una legge in contrasto con la legge italiana del 1912 sulla cittadinanza.

Credo opportuno anche ricordare che, mentre per l'articolo 4 delle disposizioni transitorie sono aboliti i titoli nobiliari, per l'articolo 42 del Concordato «L'Italia è obbligata a riconoscere, mediante decreto reale, i titoli nobiliari conferiti dai Sommi Pontefici, anche dopo il 1870, e quelli che saranno conferiti in avvenire». E ciò crea una vera e propria condizione di privilegio. (Proteste al centro).

Clerici. La conseguenza del suo dire è che i Patti Lateranensi devono essere denunziati?

Crispo. Abbia la cortesia di ascoltarmi ancora.

Rispondo subito a questa osservazione. Vediamo che cosa significa incorporare questi Patti concordatari nella Costituzione. Significa questo: immobilizzarli, cristallizzarli, come ho già detto, non essendo ammessa revisione costituzionale. Né occorreva dirlo, perché si tratta di patti bilaterali, ed è evidente che lo Stato, cioè una delle parti, non potrà riesaminarli e modificarli per conto proprio.

E poi si aggiunge nell'articolo 5 che i Patti potranno essere modificati con accordi consensuali. Ma se il consenso deve essere reciproco, esso può mancare, anche da parte di uno solo dei contraenti, e, in ogni caso, se l'accordo si raggiungesse, esso menomerebbe il carattere rigido della Costituzione. Questa condizione di contrasti creerebbe, adunque, confusione, disordine e contestazioni. Qui, difatti, non si tratta di norme successive, il cui eventuale contrasto potrebbe essere risoluto a norma dell'articolo 15 delle preleggi, per abrogazione espressa, o per abrogazione tacita. Nel caso nostro, i Patti introdotti nella Costituzione costituiscono un tutto unico con la Costituzione stessa, sì che i Patti non potrebbero essere modificati. Non si possono, difatti, denunziare i Patti, perché fanno parte della Costituzione, né si può invocare la clausola rebus sic stantibus, perché non si attribuisce ad essa automatismo di funzionamento. Né, infine, si potrebbe essere inadempienti, perché per il principio della connessione giuridica, consacrato nella nota formula simul stabunt, simul cadent, l'inadempimento del Concordato determinerebbe la decadenza del Trattato, e sarebbe così risollevata la così detta questione romana.

Ecco perché, come vi dicevo — con tutto il rispetto per la vostra coscienza e la vostra fede (Accenna al centro) — io pongo questa questione in termini rigorosamente giuridici, in termini di diritto costituzionale; cioè la pongo così: il Trattato, il Concordato sono — signori — materia costituzionale? Se voi ritenete che lo sono, inseriteli nella Costituzione; ma se dovrete rispondere, per le ragioni che io mi sono permesso di prospettarvi, negativamente, i Patti devono essere esclusi dalla Costituzione.

Per le ragioni esposte, propongo che alla prima parte dell'articolo 5 si sostituisca:

«Lo Stato riconosce l'indipendenza della Chiesa cattolica, con la quale continuerà a regolare i suoi rapporti per mezzo di Patti concordatari».

Se questo emendamento non venisse accettato, e fosse votato l'articolo 5 così com'è, allo scopo di eliminare le contraddizioni denunziate, si potrebbero aggiungere, al primo capoverso, dopo le parole: «i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi», le parole: «in quanto non siano contrari alla presente Costituzione». (Commenti).

Come vi ho detto, ho voluto compiere una indagine giuridica, la sola indagine, dico la sola, propria in sede di discussione della Costituzione. Se volessi fare un rilievo morale e un rilievo politico, io dovrei dire che mi sembra una ironia la pretesa di coloro che vorrebbero, niente di meno, che ricongiungere la Costituzione italiana, sia idealmente che rivoluzionariamente, alla Costituzione del 1849, perché, mentre l'articolo primo della Costituzione repubblicana del 1849 proclamava la caduta del potere temporale, la nostra Costituzione lo rivendica, retrocedendo nel tempo, e rinnegando i maggiori valori ideali del nostro Risorgimento.

Ed è davvero strano che proprio io debba ricordare questo ai soci fondatori della Repubblica italiana. (Applausi).

[...]

Riccio. Nel prendere la parola, onorevoli colleghi, sento il bisogno — prima di venire alla dimostrazione della mia tesi — di procedere ad alcune osservazioni generali e confutare qualche obiezione di secondaria importanza.

Ho ascoltato oggi l'onorevole De Vita, il quale ha affermato che tutto quello che si riferisce alla religione sta al di fuori dello Stato. Mi sono domandato se la religione sia anche al di fuori dell'uomo; perché, se la religione non è al di fuori dell'uomo, non può essere neppure al di fuori del popolo; e se non è al di fuori del popolo, non può essere neppure al di fuori dello Stato che è il popolo organizzato.

E quando l'altro giorno ascoltai l'onorevole Basso e sentii questa espressione: «se l'articolo 5 passa, è un'offesa alla nostra civiltà», io mi domandai di quale civiltà egli intendesse parlare. Se dobbiamo riferirci alla civiltà italiana, noi sappiamo che questa civiltà ha per sostanza il cristianesimo e per base la coscienza cattolica. Onde è che, se non passa questo articolo, dobbiamo parlare di un'offesa alla civiltà italiana.

Tonello. Studiate bene la storia. (Commenti).

Riccio. La prego di ascoltare, e vedrà che avrà la risposta anche alle sue osservazioni.

Voi la rinnegate la storia; è questo che volete fare. L'onorevole Togliatti, poi, tra l'altro, si è domandato: che farà la Chiesa nei rapporti della democrazia? E si è richiamato a un testo di un professore della Gregoriana. Noi pensiamo che quel testo debba essere il Wermz, il quale ha scritto in altri tempi e prima che il Codice di diritto canonico fosse stato concretizzato. Ma, a parte questo, vorrei chiedere all'onorevole Togliatti come egli mi giudicherebbe se io volessi comprendere la politica di Stalin da un brano di un libro di un professore dell'università di Mosca?

Se volessi giudicare il pensiero di un uomo soltanto da un brano, io potrei dare la dimostrazione all'onorevole Togliatti che egli ha accettato in pieno l'articolo 5. Invero, nella seduta di Commissione del 21 novembre 1946 (Resoconto, pag. 421) egli ebbe tassativamente ad accettarlo. Si legge nel verbale: «Tutto considerato, non sarebbe contrario ad inserire nella Costituzione un articolo, in cui si dica che la Chiesa Cattolica, che corrisponde alla fede religiosa della maggioranza degli italiani, regoli i suoi rapporti con lo Stato per mezzo dell'esistente Concordato. Una formula di questo genere reputa che potrebbe essere di gradimento dei democristiani».

So bene che in quest'aula l'onorevole Togliatti, rispondendo all'onorevole Orlando, ha detto che egli ebbe a votare contro. Lo so bene. Ciò non toglie che prima aveva accettato il richiamo espresso nella Costituzione del Concordato. Comunque dico: non si giudica degli orientamenti della Chiesa da un brano d'un qualunque volume, anche se di un maestro.

C'è un fatto, ed è opportuno richiamarlo perché questa Assemblea possa giudicare sul contegno della Chiesa in rapporto alla democrazia. È di questi giorni quella correzione nei testi ufficiali, che non è soltanto formale, ma che è sostanziale, in cui al «regno» si sostituisce la «Repubblica». Questo significa che la Chiesa ha riconosciuto l'avvento della Repubblica; questo significa che la Chiesa è sensibile alla democrazia; questo significa che la Chiesa gradisce trattare con la rinata democrazia italiana. (Commenti a sinistra).

L'onorevole Nenni, poi, ha dato una inesatta interpretazione della volontà popolare del 2 giugno. Egli ha detto che il 2 giugno il popolo italiano ha chiaramente manifestato di volere uno Stato, tra l'altro, laico.

Ci aspettavamo una dimostrazione della affermazione. Quando, invece, l'onorevole Nenni si è fermato soltanto a richiamarci che nella lotta clandestina, nella lotta partigiana e nella lotta al nazismo, ci trovammo insieme, cattolici e non cattolici, e non sentimmo allora che vi era una frattura nella pace religiosa, io ho pensato che il 2 giugno non c'entrava. Mi scusi l'onorevole Nenni, ma egli non ha detto e non ha dato un argomento che potrebbe influire sulla sua dimostrazione, perché non ha detto niente in rapporto al 2 giugno. Ma, se vogliamo fermarci per un momento al 2 giugno, credo che si possa e si debba pervenire ad una interpretazione della volontà popolare in un senso completamente contrario a quello al quale pervenne l'onorevole Nenni. Perché certo noi, democristiani, ci siamo presentati al popolo in una posizione precisa, ed abbiamo detto al popolo che sostenevamo i Patti lateranensi.

Se l'avessimo fatto soltanto noi si potrebbe anche discutere. Ma, quando, prima del 2 giugno, altri grandi partiti hanno detto solennemente che essi intendevano non denunziare i Patti lateranensi (Interruzioni), è evidente che il popolo italiano, di fronte a questa affermazione, ha dovuto interpretare l'orientamento di questi partiti nel senso che i Patti lateranensi andavano pienamente rispettati (Interruzioni a sinistra); e vedremo se rispettarli significhi che debbono entrare nella Costituzione.

Una voce. Lo dimostri.

Riccio. Lo dimostrerò; sto al principio soltanto. Noi vogliamo che la pace, la quale esiste, sia mantenuta. È inutile fare salti. Bisogna dire chiaramente se si intende o meno denunziare i Patti lateranensi; bisogna, ripeto, dirlo chiaramente e non già venire in Assemblea a dirci che sì, la pace religiosa si vuole, ma non si vuole il riconoscimento della sovranità della Chiesa e non si vuole il riconoscimento dei Patti lateranensi. (Interruzioni Commenti a sinistra).

Non siamo noi a turbare la pace esistente, perché non poniamo condizioni nuove: siete voi che questa pace intendete turbare. E, in verità, l'onorevole Nenni l'ha turbata questa pace, e non ha turbato soltanto la pace, ma ha turbato l'equilibrio umano della coscienza italiana (Vivaci proteste a sinistra), quando ha detto che al suo gruppo non interessano i problemi dello spirito. Ricordate: egli ha detto che quando si vuol porre all'ordine del giorno la riforma agraria e la riforma industriale, non si vanno a cercare le farfalle sotto l'Arco di Tito. Ma la religione non è la farfalla sotto l'Arco di Tito (Commenti a sinistra).

Non è esatto? L'onorevole Nenni ha detto precisamente questo.

Ebbene, ripeto, la religione non è la farfalla sotto l'Arco di Tito. I problemi dello spirito non sono farfalle. (Commenti). L'uomo ha uno spirito e questi problemi che riguardano la sua vita, e che incidono sulla sua libertà, devono essere affrontati e risolti. Che sarebbe un popolo che questi problemi nella Costituzione non avesse a risolvere?

La riforma agraria e la riforma industriale noi le vogliamo. Non sono soltanto nel nostro programma, ma anche e soprattutto nella nostra volontà di realizzazione, e ne abbiamo già dato la dimostrazione. Ma queste riforme riguardano l'uomo e noi dobbiamo dire se quest'uomo lo guardiamo anche come spirito. Non è filosofia, è politica, perché c'entra la vita della nazione. (Commenti). L'ha posto l'onorevole Nenni il problema; e su questo punto si scontrano il marxismo materialista e il cristianesimo spiritualista. (Commenti).

Ma mi si permetta che io dica con tutta sincerità che se prima del 2 giugno un impegno fu assunto, l'impegno di rispettare i Patti lateranensi, questo significava il mantenimento delle condizioni e dei rapporti attuali tra lo Stato e la Chiesa. Questo impegno è stato assunto...

Tonello. Ma da chi è stato assunto?

Riccio. Dal V congresso del Partito comunista, per esempio; è stato ricordato in questa aula anche dall'onorevole Togliatti. (Interruzione dell'onorevole Tonello).

Presidente Terracini. Onorevole Tonello, non capisco ora le sue interruzioni. Quando ha parlato l'onorevole Crispo ella non ha interrotto.

Riccio. Non parliamo perciò di spirito laico o agnostico — come l'ha definito l'onorevole Nenni — che, portato nella Costituzione, sarebbe la rinnegazione della volontà della maggioranza ed il misconoscimento della libertà dei cattolici d'Italia. (Rumori a sinistra).

Intendiamoci subito.

Il laicismo dello Stato è un postulato essenziale ed originale del Cristianesimo, giacché se gli uomini più non debbono dare a Dio quel che è di Cesare, più non debbono dare a Cesare quel che è di Dio; onde il dualismo dei supremi reggitori dell'umanità risulta ineliminabile.

V'è la duplice sudditanza dei credenti. E vi è la duplice sovranità: quella della Chiesa e quella dello Stato. Il Cristianesimo ha iniziato subito il processo dell'unione nella distinzione. Noi la distinzione la vogliamo; non vogliamo la contrapposizione e, tanto meno, l'eliminazione.

Per aversi uno Stato confessionale è necessario:

a) un giudizio di valore, per cui lo Stato dichiari di aderire ad una determinata confessione, riconosciuta come la sola, vera religione;

b) conseguentemente un regime di particolare favore per siffatta confessione.

Ad aversi perciò uno Stato confessionale non basta il semplice riconoscimento esterno di una data religione come fenomeno storico, né quello dell'eventuale prevalente importanza da essa conquistata nella storia di un popolo. Né un regime giuridico speciale per il culto prevalente contraddice al principio dell'uguaglianza dei culti. Uguaglianza giuridica non significa trattamento uguale di problemi disuguali, ma applicazione dei principî di giustizia alle situazioni concrete. «A ciascuno il suo: non a tutti lo stesso», è il principio di giustizia. L'eguaglianza non è parità aritmetica né quantitativa; come la giustizia è proporzione.

Sostenere principî diversi significa non già soltanto non riconoscere alcuni privilegi alla Chiesa cattolica, ma anzi combattere e negare quella importanza che storicamente essa ha assunto di fronte al nostro popolo; significa negare una realtà sociale attuale, cui deve ispirarsi una Costituzione la quale quella realtà deve pur garantire ed organizzare.

Laicismo dello Stato, se è agnosticismo verso il contenuto dogmatico di una o più confessioni religiose, non è e non può essere — come bene ebbe ad osservare il Del Giudice in un suo scritto (La separazione tra Stato e Chiesa, pag. 85) — disinteresse anche verso le manifestazioni sociali e le formazioni concrete di una data confessione religiosa. Questo significherebbe trattare la Chiesa come una qualunque società privata; come se fosse un club di armi o un circolo di caccia; questo significherebbe disconoscere il diritto dei cattolici all'integrale manifestazione del loro credo religioso. Non è neppure una separazione tra lo Stato e la Chiesa; ma è una sovrapposizione dello Stato sulla Chiesa. Ma ciò sarebbe intollerabile dovunque, e soprattutto in Italia. Noi cattolici italiani abbiamo il diritto di chiedere alla legge fondamentale del nostro Paese che l'Italia non diventi la longa manus dell'anticattolicesimo e dell'anticlericalesimo mondiale nella parvificazione della Santa Sede, del Papato, della Chiesa cattolica.

Tutti uguali di fronte allo Stato; ma ciascuno deve essere libero di credere e di esprimere esternamente il proprio culto. Sarebbe altrimenti un'uguaglianza estrinseca, uniformista, imposta, non quella di uomini liberi che vivono nella loro libertà e realizzano il loro ideale e che in libertà si uniscono e si associano per gli scopi della vita e trasmettono a queste associazioni la loro stessa libertà, per cui anche queste vanno rispettate dallo Stato; onde la concezione pluralista di cui parlava l'onorevole La Pira.

La Chiesa è la società dei credenti, i quali vivono nello Stato. E se Stato e Chiesa si riferiscono allo stesso soggetto umano, cioè necessariamente interferiscono in rapporto ai soggetti destinatari dell'esercizio delle loro funzioni, è evidente che non si possono ignorare reciprocamente. Distinzione sì, ma non contrasto; laicismo dello Stato e uguaglianza dei cittadini di fronte allo Stato, ma non livellamento di tutti i cittadini e di tutte le fedi.

L'Italia ha una sua storia; la Chiesa cattolica costituisce una realtà sociale attualissima. Non si fa e non si può fare una Costituzione rinnegando la storia di un Paese e la realtà sociale che è base e coronamento insieme della Costituzione.

Noi crediamo di poter affermare che nessuna delle obiezioni generali, poste in sede di Sottocommissione e in sede di discussione preliminare, reggono ad una critica obiettiva, e che chi vuole adeguare le leggi alla coscienza sociale deve necessariamente porsi sulla via della realtà sociale e non allontanarsi da essa. In nome di questa realtà sociale e della libertà di coscienza e di culto, espressione nobilissima di quella libertà che è l'anima del progetto di Costituzione, noi riaffermiamo il nostro orientamento religioso e sosteniamo l'articolo 5, la di cui costituzionalità, contrariamente a quanto è stato detto dall'onorevole Crispo, è indiscutibile. Già, diciamo subito che i Patti lateranensi sono stati stretti fra la Chiesa e lo Stato...

Tonello. Dal fascismo! Da un assassino, e non dal popolo italiano!

Riccio. ...e che nello Stato italiano la pace religiosa era sentita come un bisogno assoluto e si poneva come la base potenziatrice della rinascita libera del popolo stesso. L'avvertirono i tanti grandi italiani, che subito dopo il 1870 tutto fecero per giungere alla conciliazione ed eliminare la questione romana.

Si noti che nell'articolo 1 del Concordato si parla dell'Italia, e soltanto dell'Italia; e così negli articoli 1, 2, 3, 6, ecc. del Trattato. L'Italia non fu il fascismo, che la tradì e la scardinò moralmente. (Interruzioni).

Una voce. L'uomo della Provvidenza!

Riccio. Mai è stata pronunziata questa frase: andate a leggere i discorsi del Papa e troverete che l'espressione è del tutto diversa ed ha un significato profondamente diverso.

L'Italia visse prima del fascismo e visse durante il fascismo, nonostante il fascismo; l'Italia vive oggi e vivrà meglio domani quando saranno da essa eliminati tutti i residui di statalismo e la libertà e la democrazia trionferanno in pieno.

I Patti lateranensi non sono una imposizione, né una espressione del fascismo; sono la libera conquista di una coscienza popolare, che volle ricomporre un dissidio intimo, eliminando contrasti che venivano sfruttati da speculatori politici, avvelenatori della libertà. Siamo d'accordo con l'onorevole Togliatti quando critica la classe dirigente italiana prefascista, in quanto essa effettivamente non seppe essere popolare, e cioè non riuscì ad interpretare la coscienza e la volontà del popolo e porsi al servizio del popolo stesso per la sua elevazione e creò una frattura dannosa fra essa e il popolo stesso. Non si lamentino oggi quelli che coscientemente o incoscientemente prepararono il fascismo ieri, quando ieri conculcarono la libertà in nome delle loro idee, come non avranno diritto di lamentarsi domani (Dio non faccia mai verificare questo giorno) ove trionfasse un'altra dittatura se oggi non lottassero con ogni forza e con ogni sacrificio par salvare la libertà dell'individuo, le libertà politiche e la libertà religiosa. È che le libertà sono solidali: l'una è strettamente connessa all'altra; e tutte vivono di una stessa realtà e si alimentano di uno stesso cibo.

La storia di sessant'anni in Italia sta ad indicare che la classe dirigente visse contro il popolo, ma sta ad indicare anche che nessuna classe dirigente può vivere e deve vivere contro il popolo, ignorando i suoi sentimenti, la sua volontà, i suoi bisogni, non soltanto materiali ma anche etici. Sono le forze vive del popolo che hanno preparato i tempi nuovi, furono le forze vive del popolo che crearono la pace religiosa e prepararono la via ai Patti lateranensi. Il popolo di ieri è il popolo di oggi. Non in nome di questo popolo si può chiedere quanto in quest'aula è stato chiesto. Anzi i gruppi parlamentari dei partiti, che noi preferiamo chiamare di popolo e non di massa, se vogliono davvero il rispetto della fede religiosa dei loro aderenti, non devono seguire la tattica da alcuni seguita. L'onorevole Togliatti non coglie nel giusto quando, criticando gli uomini del passato, pare voglia indirettamente anche diminuire l'autorità delle dichiarazioni dell'onorevole Orlando in rapporto alla maturazione dei Patti lateranensi. L'onorevole Orlando fu allora l'interprete fedele della coscienza italiana; egli seppe comprendere a pieno il bisogno dell'anima di questo popolo; la sua sensibilità politica fu allora, come oggi, pienamente aderente alla volontà popolare. Se l'onorevole Orlando allora non stipulò i patti, questa è forse una colpa, perché il popolo italiano li voleva, anche se uomini di vecchia marca politica, e per motivi certo non democratici, li avrebbero ostacolati. E se questo popolo li voleva allora, anche noi dobbiamo volerli oggi. Noi, che pur vogliamo ritornare alla libera tradizione italiana, realizzando in pieno però una vera democrazia, una democrazia sostanziale e non apparente soltanto. È stato detto più volte che Mussolini stipulò i Patti per avere prestigio. Dunque dai patti nasceva anche un prestigio di fronte al popolo italiano. Credo che la riconferma costituzionale dei Patti dia anche alla rinata democrazia italiana un prestigio, un grande prestigio di fronte al popolo e di fronte alle altre nazioni.

Io ricordo non soltanto le dichiarazioni fatte dall'onorevole Orlando in questa aula, non ricordo i tentativi fatti sotto il pontificato di Leone XIII da Padre Tosti, autore del famoso opuscolo: La Conciliazione, con Francesco Crispi, ma i tanti altri tentativi fatti in campo religioso ed in campo laico. Nell'articolo «La preconciliazione», riportato nel volume: Su alcuni miei rapporti di Governo con la Santa Sede (Sabina, 1930) l'onorevole Orlando affermava: «Posso soltanto aggiungere come un chiarimento personale, che io ebbi allora la intuizione che una nuova fase era matura circa la maniera di essere dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato in Italia». E uguale testimonianza ci ha dato l'onorevole Sforza nel suo volume: L'Italia come io la vidi dal 1900 al 1944.

Se dunque la coscienza italiana era matura e questa testimonianza veniva e viene da uomini, che pur vissero il travaglio del passato, e che pur sono sostenitori di idee diverse dalle nostre, vuole dire che nel 1929 si verificò quanto poteva e doveva verificarsi nel 1920. La democrazia riprende il suo cammino e non può rinnegare un fatto storico. Quel fatto storico, su cui ancora, come per riconoscimento unanime, deve poggiare la forza costruttiva del Paese, il potenziamento della unità degli italiani e della coscienza della italianità.

E diciamolo: è inutile fare giuochi politici su questo punto. La pace religiosa in Italia è garantita dai Patti lateranensi. Ogni attacco contro di essi è turbamento di questa pace ed è sopraffazione della realtà sociale. In nome della storia d'Italia e della coscienza del popolo respingiamo ogni attacco e diciamo: «la pace l'abbiamo: eccola. Sono i Patti lateranensi». Manteniamoli. Non turbiamo l'equilibrio che esiste è che è stata faticosa conquista di tanti anni. Se qualche modifica sarà ritenuta necessaria, lo Stato potrà proporla e l'accordo certamente sarà raggiunto con la Chiesa.

Per di più, se la democrazia è la forma necessaria della ragione politica, occorre razionalizzare il potere attraverso la maggiore affermazione dei diritti dell'individuo e cioè la maggiore affermazione dell'indirizzo democratico del diritto. Tutto il mondo, e l'Europa in ispecie, è intento a questa opera. La tutela del bisogno religioso dei popoli nelle Carte costituzionali risponde a questa profonda esigenza democratica. Il superamento dell'individualismo assoluto nelle Costituzioni moderne ed il senso sociale penetrato in esse ci pongono di fronte alla tutela diversa degli stessi diritti. Si è parlato in quest'aula di libertà sociale, cioè della libertà individuale protetta e potenziata socialmente; ebbene, questo è un aspetto della democrazia nuova, per cui, anche nel campo di cui oggi ci occupiamo, occorre costituzionalmente stabilire e regolare non soltanto la libertà religiosa dei singoli, nei singoli e in rapporto allo Stato, ma anche delle e nelle organizzazioni religiose, che uniscono e trascendono i singoli, dal momento che divengono organismi viventi nello Stato e nella più grande società.

La religione, vista nel singolo, è libertà; riguardata nell'associazione, che affascia i singoli, è ancora e sempre libertà. Nei popoli ora si ha la organizzazione non soltanto giuridica, ma anche etica e religiosa; onde il problema religioso non è più ai margini o negli interstizi del diritto, ma si pone e s'impone come un problema centrale del diritto regolatore della vita associata. Una Costituzione non può ignorarlo: deve risolverlo.

La risoluzione non è in un richiamo generico alla libertà di coscienza del singolo. Se vi è la Chiesa, che è la organizzazione dei cattolici, questa non può essere ignorata dallo Stato; e lo Stato, ponendosi la Costituzione, deve necessariamente determinare il regolamento dei rapporti con la Chiesa. Non è, quindi, possibile in una nuova Costituzione ignorare il fatto religioso e tanto meno riguardarlo solo come espressione di mera libertà individuale, perché vi è un'altra ragione.

Lo Stato è l'organizzazione giuridica non solo degli individui, ma anche della Nazione. Nella Nazione l'elemento umano è contrassegnato da caratteri fisici e spirituali, nascenti da una civiltà tutta propria, creatrice di un tipo comune profondamente omogeneo; essa agisce sin dalla nascita, inavvertitamente ma continuamente, sulla persona, imprimendole quel complesso di elementi che le sono propri: lingua, religione, spirito, tradizione. Lo Stato questi elementi prende e li organizza giuridicamente, onde riceve anche una fondamentale unità morale. Al centro dello Stato-nazione vi è una tradizione ed una religione: una tradizione in Italia, che è poggiata sul cristianesimo; una religione, che è quella cattolica.

Quando noi poniamo la Carta dei diritti individuali e sociali, non possiamo dimenticare questa realtà ancora una volta. Se volessimo dimenticarla, ci verrebbe immediatamente richiamata dalla storia, dalla letteratura, dall'arte italiana, che il primato conquistò nel mondo sull'ala del cristianesimo.

È qui, dunque, in questa tradizione, che è la democrazia dei morti, la quale pur si pone come base della democrazia dei vivi; è qui, in questa entità naturale etica e morale, data dalla nazione, che troviamo gli argomenti per dire che nella Costituzione italiana i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica devono trovare necessaria regolamentazione. È la struttura dello Stato stesso che lo impone. In alcune Costituzioni sud-americane (Argentina, Bolivia, Columbia, Paraguay, Perù, ecc.) la Chiesa Cattolica è dichiaratamente riconosciuta e, sia pure con formule diverse, la religione cattolica è espressamente richiamata. Nella Costituzione boliviana, per esempio, è detto: «Lo Stato riconosce e sostiene la religione cattolica apostolica romana». In altre costituzioni, invece, concordati con la Santa Sede le integrano; così per l'Equatore, il Guatemala, l'Honduras, il Salvador, il Venezuela, ecc. Nella Costituzione lituana interessante è l'articolo 84 che dice: «A tutte le organizzazioni confessionali esistenti in Lituania, lo Stato riconosce un diritto eguale di amministrarsi conformemente ai propri canoni o statuti, con la libertà di professare pubblicamente la loro dottrina confessionale e di celebrare le cerimonie della loro religione, di fondare e dirigere gli edifici consacrati al loro culto, scuole ed istituti di educazione e di beneficenza, di fondare monasteri, associazioni confessionali ed associazioni fraterne, di imporre ai propri membri tasse destinate a sovvenire i bisogni delle organizzazioni confessionali, di acquistare beni mobili ed immobili e di amministrarli. Gli ecclesiastici sono esenti da obblighi militari».

Come è evidente, tutto il contenuto sostanziale del concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa è stato riportato.

Comunque, in tutte le Costituzioni europee più recenti (tra tutte è opportuno richiamare quella di Weimar, articoli 135-136) vi sono norme riflettenti la vita religiosa ed ecclesiastica e la libertà di coscienza è affermata non già in funzione di premesse indifferentistiche o laiche, ma in virtù del dovere esplicito dello Stato di contribuire, quale tutore del bene comune, allo sviluppo, come dell'arte e della scienza, anche della vita religiosa.

Solo in Italia dovremmo rinnegare la storia e la realtà sociale ed improntare la Costituzione a premesse agnostiche, per cui la religione sarebbe considerata come un fatto privato, quando addirittura non la si vorrebbe porre nella zona oscura del superato? La coscienza italiana a questo tentativo si ribella. Il fatto religioso non può essere ignorato nella Costituzione. La Chiesa cattolica, che fa di Roma anche la capitale del mondo, agendo sul territorio italiano in rapporto con cittadini italiani, dev'essere tenuta presente ed i suoi diritti non possono essere disconosciuti o rinnegati. Essa si pone ovunque di fronte allo Stato come una realtà sociale evidentemente molto diversa da altri fenomeni religiosi, che si concretizzano in altre confessioni o associazioni religiose. Questa realtà, se altrove non è evidente, in Italia è evidente. Onde il richiamo espresso alla sovranità della Chiesa ed ai Patti lateranensi è necessario nella Costituzione Italiana. Ciò non significa che l'Italia non potrà concordatariamente regolare i suoi rapporti con altre confessioni; ove queste lo chiedessero e lo Stato lo ritenesse, nulla vi sarebbe in contrario. Significa soltanto riconoscere un fatto storico e una situazione giuridica, in piena aderenza ad una realtà sociale.

Invero non è creata una situazione di privilegio, lesiva della eguaglianza. Alle confessioni religiose è garantita la piena libertà; ed esse, quando venissero eventualmente a trovarsi nella stessa situazione della Chiesa cattolica, ben potrebbero venire in contatto con lo Stato attraverso un atto bilaterale.

La concretezza storica non può non guidarci e non guidare gli uomini politici. Gli stessi materialisti storici, se vogliono rimanere veramente alla concretezza, devono riconoscere il fatto, e la sua importanza politica e sociale; ed in conseguenza concordare nel riflettere nella Costituzione la struttura reale della società italiana di oggi.

Ed a proposito è opportuno un rilievo. L'articolo 1 dello Statuto albertino non fu, come da più parti è stato affermato, tacitamente abrogato per desuetudine. Già la desuetudine non può invalidare una legge costituzionale; ma il cattolicesimo, in applicazione di quella norma, è stato sempre ritenuto come la religione della maggioranza del popolo italiano. Solo la scuola liberale ne sosteneva la inefficacia e l'apparenza di valore. La osservazione è inesatta, perché non soltanto l'articolo 1 stabiliva un orientamento della coscienza italiana, ma tutto un complesso di disposizioni di legge, come, in particolare, quelle relative ai tribunali ecclesiastici ed alla ammissione nelle carriere statali senza tener conto del requisito della confessione religiosa.

In conclusione, plaudiamo all'onorevole Togliatti quando afferma che la unità conquistata dev'essere mantenuta e difesa. Ma gli diciamo: «Vi è un bene che appartiene alla maggioranza degli italiani; questo è il cattolicesimo. In esso è la base della unità etica.

«Non lo attaccate; creereste la rottura e sareste i responsabili di questa frattura. L'unico mezzo per mantenere l'equilibrio è la riconferma dei Patti; e data la grande importanza di essi, nel momento della rinnovazione sostanziale della vita giuridica italiana, il loro richiamo nella Costituzione costituisce una necessità assoluta ed inderogabile. Questo richiamo è di garanzia che lo Stato domani non si allontani dalla volontà popolare e consideri la Chiesa come una qualunque società privata, invadendone il campo e perseguitandola».

Noi, costruttori di un domani democratico d'Italia (e crediamo che tali siano anche l'onorevole Marchesi e l'onorevole Nenni), non possiamo non volere la garanzia costituzionale delle libertà religiose con il richiamo al Concordato, che è fonte sicura di pace religiosa. La politica religiosa dello Stato Italiano dovrà essere ispirata alla leale realizzazione della Costituzione. Non avverrà, come avvenne in passato, e come è stato acutamente osservato dal professore Iemolo (Per la pace religiosa in Italia, «La nuova Italia», Firenze, pagine 6-7) che il paese legale sia diverso da quello reale, nel senso che si abbia la sopraffazione di una minoranza sulla maggioranza e nel senso che una minoranza ardita, impossessandosi del Governo, abbia a decidere dei destini della maggioranza.

Nel progetto sono stati affermati due principî sostanziali: a) la indipendenza e la sovranità della Chiesa; b) i Patti lateranensi come regolatori dei rapporti tra Stato e Chiesa. A dare la spiegazione della portata della norma e ad individuare l'esatto contenuto della norma stessa, basterebbe la meravigliosa sintesi fatta dall'onorevole Ruini nella relazione alla Presidenza dell'Assemblea e il discorso dallo stesso pronunciato in quest'aula. Pure è necessaria qualche precisazione.

È riconosciuta la sovranità, oltre l'indipendenza della Chiesa: è rinnegato, cioè, sia un giurisdizionalismo separatista, sia un separatismo giusnaturalista, mentre è affermata la originarietà dell'ordinamento giuridico della Chiesa. Questo principio è ormai pacifico, e non solo negli scrittori cattolici, in quanto non è stato affermato soltanto da Leone XIII, sopratutto nella Immortale Dei, ma anche in altri scrittori cattolici e non cattolici, tra cui Santi Romano (L'ordinamento giuridico, Sansoni, 1946), Gismondi (Il nuovo giurisdizionalismo italiano, Milano, Giuffrè, 1946), De Luca (Considerazioni sull'autonomia e la pubblicità della Chiesa nel diritto italiano, Giuffrè, 1946).

È opportuno ricordare soprattutto il pensiero lucidissimo di Santi Romano (pag. 98), per il quale la originarietà della Chiesa, quale ordinamento giuridico, diviene la base di un'altra concezione, quella della pluralità degli ordinamenti giuridici. Ed invero la differenza tra lo Stato e la Chiesa è che mentre il primo è una società, giuridicamente e politicamente organizzata su base territoriale, la seconda è una società giuridicamente ed eticamente organizzata su base non territoriale.

La originarietà dell'ordinamento giuridico della Chiesa significa che esso è a sé, distinto ed indipendente. La Chiesa ha una potestà normativa, che non le deriva dallo Stato, ma che è ad essa propria ed originaria, in quanto essa si presenta come una istituzione organizzata e che ha conseguita una giuridica unità, la quale oltrepassa i confini dello Stato. I caratteri della indipendenza e sovranità, fissati cumulativamente, indicano precisamente la originarietà di quell'ordinamento, cioè l'asseità, nel senso che esso è un ordinamento per sé stante, il cui fondamento non deriva dal riconoscimento di un altro ordinamento. La sovranità della Chiesa, che non è legata al territorio, ma è un dominio spirituale, e, perciò, supera ed abbraccia il territorio del singolo Stato, è una realtà storico-sociale, ormai non più disconoscibile. Rinnegarlo è assurdo; il non riconoscerlo è da politici ciechi. Non bastava, perciò, parlare d'indipendenza; era necessario precisare che si trattava anche di sovranità. E l'articolo 5 bene ha fatto a fissare l'uno e l'altro carattere.

Come bene ebbe ad osservare Iemolo, nelle sue lezioni: «Si può insegnare con assoluta tranquillità che il diritto della Chiesa va considerato dall'angolo visuale dello Stato italiano, così come lo considera la Chiesa, allorché lo ritiene diritto qualitativamente eguale a quello emanato dallo Stato, nel senso che entrambi i diritti emanano da istituzioni che sono fonti di ordinamenti giuridici indipendenti».

La formulazione della norma, quindi, risponde in pieno a principî giuridici ed agli orientamenti sociali.

Ma si osserva: occorreva proprio porre questo principio della sovranità nella Costituzione? E perché parlare anche della sovranità dello Stato?

Precisiamo subito che il richiamo alla sovranità dello Stato è posto soltanto in riferimento ed in coordinamento con la sovranità della Chiesa: è una specificazione particolare, posta soltanto sul piano logico, per individuare a contrario il contenuto della sovranità della Chiesa.

Comunque, Stato e Chiesa agiscono in rapporto agli stessi soggetti e sullo stesso, territorio; onde questa reciproca sovranità è opportuno riconoscere e stabilire, ad evitare equivoche interpretazioni della volontà costituzionale. Si potrebbe forse nel richiamo cogliere anche un richiamo di ordine storico. La questione romana fu chiusa definitivamente, per quanto atteneva al territorio dello Stato italiano, con la istituzione della Città del Vaticano. Come italiano questa affermazione la interpreto anche in un senso storico, cioè come richiamo della rinunzia fatta dalla Chiesa ad ogni ulteriore rivendicazione territoriale. Né si dica che lo Stato fa un soliloquio, perché esso riconferma nella Costituzione un patto, bilateralmente definitivo, e quindi rinnova un colloquio con la Chiesa. Ed è opportuno il richiamo, perché, se dopo è detto che le modificazioni bilateralmente accettate non hanno bisogno di procedimento costituzionale, vuol dire che esse sono possibili, essendo previste dallo Stato italiano. Questo Stato, però, una sola modifica non prevede possibile: quella relativa al territorio. Potrà essere modificato il Concordato, ma questo punto dovrà rimanere fermo. Ecco la volontà dello Stato italiano; ecco la sovranità dello Stato, nel suo ordine, e quindi anche in rapporto al territorio, espressamente richiamata.

Ed è proprio l'argomento portato dall'onorevole Crispo, che ci convince della esattezza di questa osservazione. La prima parte del preambolo al Trattato e la interpretazione logica dell'articolo 26 ne danno conferma. Nell'articolo 26 del Trattato, alla fine della prima parte, è detto: «riconosce il Regno d'Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano». E poi si soggiunge: «Alla sua volta l'Italia riconosce lo Stato della Città del Vaticano». La Repubblica deve riconfermare il suo riconoscimento, quando la Casa Savoia non c'è più, come la Chiesa ha riconosciuto la Repubblica. La soluzione della questione romana, rimane, nonostante che l'Italia sia repubblica e non regno. Così soltanto, come è detto nel surrichiamato preambolo, «ogni ragione di dissidio fra loro esistente» scompare «con l'addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti». Ma qui il potere temporale non c'entra più. C'entra la Città del Vaticano e c'entra prima di tutto e soprattutto la Chiesa, starei per dire esclusivamente la Chiesa.

Ed ecco il mio ragionamento, che dà la ragione giuridico-costituzionale dell'articolo 5.

Io appartengo allo Stato ed alla Chiesa. E desidero che lo Stato e la Chiesa siano d'accordo nel regolare la mia condotta, nel rispetto della mia libertà. Ho il diritto di conoscere, a mezzo della legge costituzionale, se la mia libertà religiosa di culto è garantita e se la mia attività religiosa, con l'accordo dello Stato, avrà a conseguire anche rilevanza giuridica nello Stato. Io come cattolico ho il diritto ed il dovere a contrarre matrimonio religioso, che per me è l'unica forma ammissibile. Che farà lo Stato di fronte a questo che io ritengo un diritto ed un dovere? Lo riconosce o lo nega? Ho il diritto di saperlo. Questa è tutela effettiva della mia libertà; e se è così, siamo nel campo strettamente costituzionale, quando viene riaffermata la sovranità della Chiesa e vengono richiamati i Patti lateranensi. Il riconoscimento della duplice sovranità è la base per il coordinamento delle azioni dei soggetti destinatari delle norme e per la precisazione dei limiti dei diritti dei cittadini credenti. Il riconoscimento è necessario, in quanto, a differenza dei trattati internazionali propriamente detti, che sono stipulati tra due organizzazioni statali, le quali agiscono su territori diversi e per lo più in rapporto a cittadini diversi; qui invece il territorio è lo stesso e i soggetti sono gli stessi. Non è fra la Città del Vaticano, come Stato, e lo Stato italiano che vennero stretti i Patti lateranensi; ma è tra la Chiesa e lo Stato. Però il Concordato, pur non essendo un rapporto internazionale in senso stretto, è un rapporto tra due diversi ordinamenti giuridici. Cioè, non siamo nel campo del diritto pubblico interno, ma invece sul terreno dei rapporti e del diritto esterno. È il rapporto, insomma, tra due società di ordine diverso, ma che in un certo senso rappresentano due cerchi concentrici, che hanno lo stesso volume: l'uomo, e la stessa superficie: il territorio.

Né si dimentichi che come lo Stato siamo noi, la Chiesa siamo noi; cioè noi uomini costituiamo lo Stato e la Chiesa che sono delle organizzazioni che devono servire al nostro fine, al conseguimento dei nostri scopi. Il loro regolamento concordatario è regolamento anche delle nostre attività. Incidendo, quindi, la questione sulle libertà e sui diritti dell'individuo, essa va risolta nella Costituzione. Se è stato reclamato da più parti il regolamento dell'attività dei partiti e dei sindacati — ed a me sembra giusto il regolare i rapporti fra lo Stato ed i partiti e lo Stato ed i sindacati — quanto più giusto è però che siano regolati costituzionalmente i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, cioè tra due ordinamenti sovrani!

La coesistenza, invero, di due ordinamenti giuridici sovrani presuppone necessariamente una regolamentazione, ad evitare il conflitto. Altrimenti il conflitto, come purtroppo si è verificato in qualche Stato anche in questi ultimi tempi, viene superato coll'accentramento da parte dell'entità sociale più potente, e cioè dello Stato.

Questo sarebbe un altro aspetto di un assolutismo statale che noi, per la tutela della nostra libertà, non possiamo volere. Forse poteva anche sostenersi l'agnosticismo dello Stato ai tempi del liberalismo, quando effettivamente lo Stato non intendeva entrare nei rapporti delle singole libertà; ma oggi, invece, quando lo Stato si pone anche come regolatore delle libertà economiche e sociali, questo agnosticismo sul terreno etico e religioso è incomprensibile. È strano davvero che in una teoria, la quale pone lo Stato come il creatore unico anche delle libertà individuali, le quali non sarebbero naturali ma troverebbero la loro origine nella concessione dello Stato, si possa sostenere uno Stato agnostico. È che sotto il concetto dell'agnosticismo e della laicità vi è un'altra tendenza ed un'altra realtà: ridurre la Chiesa e la religione a strumenti di governo; affermare la superiorità assoluta dello Stato. Noi questo non possiamo volerlo ed ecco perché ancora una volta diciamo che questi rapporti devono essere costituzionalmente garantiti. In sostanza vogliamo evitare ancora una volta che lo Stato abbia a ritenersi come valore assoluto ed abbia a porsi come negatore delle libertà dell'individuo, guardato non soltanto in sé come singolo, ma proiettato anche sul terreno sociale, e cioè sul terreno delle organizzazioni sociali, in cui egli entra, dalla famiglia alla Chiesa.

E giacché la norma concordataria, preesiste per la volontà dello Stato e della Chiesa, lo Stato, nel momento solenne in cui si dà una struttura costituzionale, non può che riconfermare questi Patti, ponendoli, come ha bene osservato l'onorevole Ruini, in un particolare e speciale rilievo.

Il richiamo espresso, quindi, ai Patti lateranensi, come il riconoscimento specifico della sovranità della Chiesa, rispondono a profonde esigenze di natura storica e giuridica.

Né questo richiamo contrasta, in linea di diritto o in linea di fatto, con il riconoscimento della libertà e della parità di culti, in quanto, come abbiamo più volte rilevato, essi potranno ben ricevere lo stesso regolamento concordato. Noi diciamo: elevate gli altri culti allo stesso trattamento della Chiesa cattolica, se volete, e quando ne sorgerà la opportunità politica in conseguenza della realtà sociale. Ma non abbassate oggi allo stesso piano degli altri culti la Chiesa cattolica, unicamente e solamente in vista della opportunità politica e della realtà sociale, che noi uomini politici non possiamo in nessun momento trascurare.

Una sola parola su alcune obiezioni particolari:

1°) È stato detto che non è opportuno il richiamo, perché il primo articolo del Trattato porterebbe in vita l'articolo 1 dello Statuto albertino. Noi abbiamo sempre parlato dei Patti lateranensi, cioè del Trattato e del Concordato. Ebbene, se non facciamo una questione di forma, ma una questione di sostanza, l'articolo 1 del Trattato bisogna integrarlo con l'articolo 1 del Concordato, che ne stabilisce il contenuto e la portata.

L'articolo 1 del Concordato dice: «L'Italia, ai sensi dell'articolo 1 del Trattato, assicura alla Chiesa cattolica il libero esercizio del potere spirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione in materia ecclesiastica, in conformità alle norme del presente Concordato; ove occorra, accorda agli ecclesiastici, per gli atti del loro ministero spirituale, la difesa da parte delle sue autorità». La semplice lettura della norma dà la risposta alle osservazioni dell'onorevole Crispo. Come è evidente, non è uno Stato confessionale, sostanzialmente confessionale, che viene ad essere riaffermato, ma soltanto uno Stato che riconosce e regola i diritti della Chiesa, in rapporto ai propri diritti ed in rapporto alle libertà del cittadino. Questo regolamento è indispensabile e non significa riconoscimento di una sola religione, come l'unica religione dello Stato, anche se significa riconoscimento di una situazione di rilievo particolare alla religione della maggioranza degli italiani, come del resto è voluto dalle stesse norme sostanzialmente democratiche, le quali devono garantire i diritti della minoranza, ma non disconoscere quelli della maggioranza, né evitarne in pieno la realizzazione. Ed in verità, in nome della maggioranza dei cattolici, organizzati in tutti i partiti, in quanto tutti i partiti hanno dichiarato di prescindere dalla religione per la iscrizione, noi avremmo il diritto di porre nella Costituzione una dichiarazione espressa che la religione degli italiani è la religione cattolica.

2°) Dall'onorevole Bruni è stato presentato un emendamento, in cui vi è il richiamo alla aconfessionalità dello Stato ed al principio della uguaglianza dei diritti, fissato negli articoli 7, 14 e 15 del progetto.

L'onorevole Crispo ha presentato altro emendamento più generico: «sono regolati dai Patti lateranensi, in quanto non siano contrari alla presente Costituzione», e crede di trovare dei contrasti tra l'articolo 36 del Concordato relativo all'insegnamento religioso e l'articolo 27 del progetto relativo alla libertà dell'arte e della scienza, e tra l'articolo 34 del Concordato relativo alla giurisdizione ecclesiastica e l'articolo 94 del progetto, in cui è posta la giurisdizione unica dello Stato sul territorio.

Non ci fermiamo neppure sul rilievo fatto in rapporto alla giurisdizione penale nella Città del Vaticano. Se la Città del Vaticano è Stato, userà di quel Codice di procedura penale di cui si vorrà servire; di quello del 1889 o di quello del 1930. Se vogliamo cogliere un significato anche in questo, potremmo dire che usa di quello, perché certamente è più rispondente ai principî democratici.

A parte questa risposta, la osservazione dell'onorevole Crispo non è rilevante; come non rilevante quella relativa alla piazza aperta di S. Pietro. Sono le altre osservazioni, a cui dobbiamo rispondere e che concordano con quelle già fatte da Cevolotto, da Basso, da Togliatti, da Marchesi, da Calamandrei; che tutti si sono riferiti al caso Buonaiuti.

Diciamo subito che non vi è nei patti lateranensi nulla che contrasti con i principî di libertà e di uguaglianza dei cittadini. Quando noi concepiamo la libertà sul terreno positivo e nei termini della legalità, ne portiamo la immediata convinzione. L'articolo 7 del progetto dà il fondamento della dignità economica e sociale dell'uomo; ma quanto più è necessario — e dev'essere nella essenza integrale della Costituzione — proclamare la dignità etica e religiosa dell'uomo. Questa, se lo Stato non vuole potenziarla seguendo una specifica direzione, non può disconoscerla o misconoscerla. Se noi cattolici siamo convinti che il completo sviluppo della persona umana si ha sul piano morale e religioso per la conquista dell'al di là, nessuno ci può rinnegare il conseguimento di tale sviluppo. Questo concetto è indicato negli articoli 14 e 15 in rapporto ai credenti di tutte le fedi; e perciò questi articoli non sono in contrasto con il contenuto dell'articolo 5.

Né si può parlare di contrasto tra l'articolo 36 del Concordato ed il 27 del progetto. La libertà della scienza e dell'arte non è in contrasto con l'insegnamento religioso. Per di più gli emendamenti sono assurdi e da un punto di vista logico e da un punto di vista costituzionale. Nello stesso momento in cui noi costruiamo l'edificio, verremmo volontariamente a creare delle crepe nell'edificio stesso; in quanto verremmo a riconoscere che vi potrebbero essere delle contraddizioni tra le diverse norme. Questo è inammissibile; sarebbe uno sfuggire alla risoluzione non dare la risoluzione.

Rimane il caso Buonaiuti. Studiando questo argomento, mi è capitato sotto gli occhi un articolo del professore Ezio Crisafulli, riportato in «Rinascita» (gennaio-febbraio 1947, pag. 15 e seguente). Egli in sostanza dice che il Concordato con l'Italia è più gravoso di quello con la Baviera, in quanto in quello per la Baviera è prevista solo la perdita dell'insegnamento di materie religiose e salvi i diritti del funzionario. Ma, dunque che insegnava il Buonaiuti, se non la Storia del cristianesimo? Ed allora perché scandalizzarsi tanto, quando anche nel concordato con la Baviera, richiamato a modello dal Crisafulli, questo principio è riconfermato?

Ma si noti che è nell'interesse dello Stato stesso che l'articolo 5 del Concordato trova la sua ragion d'essere. In esso non si parla di qualunque ufficio ed impiego; né è detto che i diritti del funzionario apostata o irretito da censura non vadano conservati. Si parla soltanto dell'impiego e dell'ufficio a contatto immediato con il pubblico, il che significa che si vuole evitare quella strana situazione di curiosità, che nasce nel popolo intorno al prete spretato, e si vuole evitare quel nocumento alla psicologia ed alla morale popolare, che fatalmente deriva dal contatto col prete apostata.

Dal punto di vista giuridico vi è di più. Chi va sacerdote, assume volontariamente una disciplina entrando a far parte di una organizzazione giuridica; assume cioè uno stato personale giuridico di fronte alla Chiesa, che ha e non può non avere riflessi anche in ogni altra collettività. Il prete non può essere membro del Governo, né Deputato, né magistrato, né ufficiale, né può divenire capo dello Stato da quando è stato sancito nel Concordato il divieto di iscriversi e militare nei partiti. È evidente che queste limitazioni, nascenti dallo stato particolare del sacerdote, hanno rilevanza soprattutto di fronte allo Stato; né esse offendono o limitano il diritto di nessuno.

Non vi è, quindi, limitazione di libertà, dal momento che quello stato personale, al quale erano connessi quei diritti e quei doveri e per il quale erano previste quelle determinate conseguenze, fu accettato liberamente; non vi è una situazione di privilegio per la Chiesa Cattolica, in quanto il principio può essere sancito per tutte le Chiese; vi è un interesse dello Stato, data la tradizione ed il sentimento religioso, e, vorrei dire anche, data la particolarissima conformazione psicologica del popolo italiano ad evitare nocumento alla morale popolare. In conclusione l'articolo 5 del Concordato non lede il diritto di eguaglianza di tutti i cittadini, non lede la sovranità dello Stato, dal momento che con il Concordato sono reciprocamente definiti i rapporti fra lo Stato e la Chiesa e indicati gli effetti di questo regolamento in rapporto alle libertà dei singoli; non lede la uguaglianza di tutte le confessioni di fronte allo Stato, dal momento che ogni confessione può trattare con lo Stato e concordare gli stessi effetti. Che anzi per i preti cattolici vi è una limitazione — e la Chiesa è stata lieta di concederla per evitare che la lotta politica potesse assumere particolare aspetto di lotta religiosa — in quanto essi non possono partecipare a determinati uffici dello Stato.

Ed io termino.

Nell'articolo 34 e nell'articolo 36 sono espressamente richiamate le tradizioni cattoliche del popolo italiano, ed in nome ed in virtù di esse sono tratte le conseguenze in rapporto alla dignità religiosa del matrimonio ed all'insegnamento religioso nelle scuole.

Neghiamo queste tradizioni e questa storia dell'Italia?

A me pare che neppure l'onorevole Togliatti lo voglia. Egli tra l'altro ha detto: «I problemi già risolti nel passato non ci interessano più, ma cerchiamo che quelle posizioni che hanno conquistato i nostri padri, i nostri avi, attraverso lotte memorabili, e che hanno un valore permanente, — in quanto rappresentano conquista della nostra coscienza, non vadano perdute».

Le conquiste dei nostri padri, e dei nostri avi costituiscono la essenza della tradizione e della civiltà italiana; questa è una conquista permanente della coscienza italiana e della coscienza dei singoli, in quanto, se il sentimento religioso è incancellabile dall'anima dei popoli, dall'anima del popolo italiano è incancellabile il suo sentimento religioso, che è quello cattolico.

In nome di questa anima del nostro popolo; in nome della pace interna e religiosa, che è bene, il quale non va distrutto per l'avvenire dell'Italia nostra, in nome di Dio che è rivelato da ogni pagina della nostra storia e da ogni pietra delle nostre città e dei nostri villaggi, noi sentiamo di aver il diritto di chiedere che l'articolo 5 del progetto sia approvato per il rispetto della volontà della maggioranza degli italiani.

Questo diritto vi chiediamo di rispettare e siamo convinti che tutti in questa Assemblea vorranno rispettarlo ed approvare l'articolo 5. (Vivi applausi al centro ed a destra Congratulazioni).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti