[Il 15 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Badini Confalonieri. [...] Inizio, rileggendo quegli articoli sostitutivi, dal 23 al 25, che io ho proposto al progetto di Costituzione.

[...]

Art. 25. — «L'educazione morale, intellettuale, fisica, sociale della prole è un diritto della famiglia.

«Lo Stato, nel rispetto della libertà del cittadino, sorveglia e, occorrendo, integra l'adempimento di tale compito, con speciale riguardo alle condizioni economiche necessarie alla formazione, difesa e sviluppo della famiglia.

«Provvede, inoltre, alla protezione della maternità, dell'infanzia e della gioventù, favorendo ed istituendo gli organi necessari allo scopo.

«La legge detta le norme per l'efficace protezione dei figli nati fuori del matrimonio e consente l'esperimento dei mezzi di prova idonei ad accertare la discendenza naturale».

[...]

Riguardo all'articolo 25 direi che i concetti di tutta la Commissione e penso di tutta l'Assemblea siano concordi nella sostanza, ma si tratta di dare una formulazione che sia esatta anche giuridicamente.

Bisogna innanzi tutto dire che l'educazione della prole è diritto della famiglia e questo concetto deve essere posto in risalto soprattutto nei confronti dello Stato, anche perché la nostra Costituzione viene alla luce dopo il regime fascista, nel quale lo Stato totalitario aveva cercato di invadere — come ogni altro campo — anche quello della famiglia. È d'uopo, quindi, riaffermare i diritti precisi della famiglia nei confronti di ogni altra entità, compresa l'entità statale.

Lo Stato potrà intervenire in determinati casi, con determinate cautele, a scopo integrativo. Questo è esatto. Questo è anche il concetto della Commissione. Ma mi pare — e lo dico schiettamente, se pur con tutta deferenza — che il concetto propugnato dalla Commissione sia nel progetto male espresso. Far riferimento «ai casi di provata incapacità morale o economica» è espressione troppo vaga, se — per deprecata ipotesi — il Governo dovesse cadere in mani di uomini non democratici, i quali nel fare l'accertamento potrebbero stabilire che questi casi, onorevole Maffi, potrebbero passare dal cinque al 95 per cento. Come vede, raccolgo qui una sua osservazione che a questo riguardo mi sembra appropriata. Perché quel «provata» del progetto non dice da chi né come si debba provare.

Con la formulazione sottoposta al vostro esame, onorevoli colleghi, si vogliono meglio porre in luce quei concetti di limitazione, di cautele, di carattere integrativo cui testé facevo riferimento. Il diritto è della famiglia; lo Stato sorveglia; solo occorrendo integra; ma integra con dei limiti, limiti che sono dati «dall'adempimento di tale compito» e dal «rispetto della libertà del cittadino». Ed è a questo punto, e non nel primo articolo del titolo secondo, che deve essere riservato alla impostazione di principio, la esatta collocazione dell'intervento economico. Perché, naturalmente, l'integrazione, che ha da fare lo Stato, sarà soprattutto sotto l'aspetto economico al fine che ognuno sia posto in grado di formarsi, di difendere e di favorire lo sviluppo della propria famiglia. Ecco perché, seguitando nella mia formulazione, propongo di dire: «con speciale riguardo alle condizioni economiche necessarie alla formazione, difesa e sviluppo della famiglia».

[...]

E siamo all'ultimo capoverso che prevede la posizione dei figli nati fuori del matrimonio.

E anche qui si impone una parola chiara, lontana da ogni sentimentalismo, che sarebbe fuor di luogo in un testo giuridico, una parola politicamente serena ed equilibrata.

Il problema dei figli nati fuori del matrimonio è problema complesso che non consente quell'unica, drastica soluzione che è proposta nel progetto di Costituzione: figli legittimi, figli naturali, figli prematrimoniali, figli adulterini, figli incestuosi, tutti in un fascio solo, misurati con unico metro, mentre sono in situazioni di fatto, nettamente diverse, che non lo consentono.

L'affermazione di principio ci trova tutti, evidentemente, d'accordo, nel senso che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli innocenti.

Ma qui si tratta di emanare una norma che sia attuabile.

Ora, l'equiparazione dei figli illegittimi ai legittimi in quella maniera crea in seno alla famiglia la stessa discrasia che, per altro verso, vi apporterebbe il divorzio; significa una coabitazione forzosa, che mina l'unità della famiglia; e quella soluzione che vorrebbe essere di giustizia, si manifesterebbe ingiusta nei confronti dei figli legittimi. Basta considerare una conseguenza anche se paradossale: chi ha figli legittimi ed illegittimi vorrà tenere nella sua casa la moglie legittima e quella illegittima.

Pensate al caos di quella famiglia!

Ritengo che a questo nessuno di noi voglia arrivare.

Maffi. È una logica speciale.

Badini Confalonieri. Io mi accontento di questa logica.

Dicevo, dunque, che l'argomento è complesso, ed è tema di Codice civile, anche perché non può essere valutato con una norma sola, drastica, assoluta.

Occorre valutare le diverse posizioni, le diverse conseguenze. Fissi però la Costituzione il principio generale, in ottemperanza al quale il Codice dovrà contenere le norme particolari: cioè che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli; che sono vietati i nomi e i dati anagrafici infamanti; che, comunque, l'ignota origine non può costituire marchio infamante per il bimbo innocente; che lo Stato non consente che la vita che gli si apre innanzi sia resa senza sua colpa e per ragion di nascita più dura e più difficile.

Ma tutto questo lo si può comprendere nella formula dell'emendamento che propongo:

«La legge detta le norme per l'efficace protezione dei figli nati fuori del matrimonio».

Si consenta piuttosto, e si consenta esplicitamente — perché il principio è innovatore delle norme vigenti — che ogni figlio possa conoscere il padre suo! (Applausi).

[...]

Crispo. [...] Sull'articolo 25 osservo che la seconda parte mi pare contenga in sé già il concetto e il contenuto della prima parte; perché, quando si dice che la legge garantisce ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico che escluda inferiorità civili e sociali, innegabilmente questo stato giuridico, garantito dalla legge, comprende i doveri dei genitori verso i figli nati fuori del matrimonio. Se non è consentita una condizione di inferiorità, come è stabilito nell'articolo 25, tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio, nel senso che deve essere esclusa ogni inferiorità, innegabilmente la eguaglianza giuridica dei figli legittimi e dei figli illegittimi comprende il dovere dei genitori, nel senso che allo stato giuridico dei figli deve corrispondere l'obbligo correlativo dei genitori.

Se non che, non vi siete resi conto che, a mio avviso, il voto generoso col quale si vuole tendere la mano ad innumerevoli creature incolpevoli rimane un voto senza possibilità di realizzazione, perché quando si stabilisce l'obbligo dei genitori, io vi domando: di quali genitori? Di quali genitori, se essi non si conoscono, e se il presupposto dell'obbligo è il riconoscimento dei figli illegittimi, riconoscimento che crea un problema complesso e grave in rapporto ai figli adulterini e, specialmente, in rapporto ai figli incestuosi?

Come potrà, dunque, il legislatore applicare il principio di giustizia sociale affermato nella Costituzione, dell'eguaglianza dei figli legittimi e dei figli illegittimi, come farà questo legislatore, se i genitori non si conoscono, e se non sarà possibile il riconoscimento?

Un'ultima osservazione: si dice nell'articolo 25: «È dovere e diritto dei genitori alimentare, istruire, educare la prole», e si contempla l'ipotesi in cui deve subentrare lo Stato nei casi di provata incapacità o di impossibilità da parte dei genitori a provvedere.

Mi permetto, innanzi tutto, di ricordare che, nel caso suddetto d'incapacità, subentrano negli obblighi dei genitori gli altri ascendenti, sì che dovrebbe tenersi conto di ciò, prima di stabilire l'intervento dello Stato.

L'intervento dello Stato si riferisce agli istituti di assistenza, contemplati già nel Codice civile fascista. Sorge così il problema dello Stato-educatore, dello Stato-scuola, dello Stato-famiglia, il problema per il quale vengono addossati allo Stato compiti che lo Stato non è in grado di adempiere.

Comunque, il principio posto nell'articolo 25 deve essere considerato in rapporto ai genitori più che in rapporto ai figli, perché fino a quando il padre e la madre saranno schiavi del bisogno, della miseria, della fame, non potrà costituirsi un saldo nucleo familiare, tale da concorrere alla saldezza morale dello Stato.

Se volete veramente sollevare alto la famiglia come la cellula fondamentale della Repubblica, cercate di provvedere prima ai genitori e poi ai figli. (Applausi).

[...]

Merlin Umberto. [...] Il mio dissenso cade sull'articolo 25, capoverso primo, là dove è detto: «I genitori hanno verso i figli nati fuori del matrimonio gli stessi doveri che verso quelli nati nel matrimonio. La legge garantisce ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico che escluda inferiorità civili e sociali».

[...]

Ma ho detto che noi non potevamo approvare l'articolo 25, capoverso 1°: «I genitori hanno verso i figli nati fuori del matrimonio gli stessi doveri che verso quelli nati nel matrimonio». Queste parole non le approviamo, quantunque ne sarà difficile poi la concreta applicazione da parte del legislatore, in quanto voi comprendete benissimo che se per ipotesi — che spero i colleghi vogliano escludere — io avessi un figlio illegittimo (Ilarità), io non potrei mai dare a quel figlio tutto ciò che do ai figli legittimi, neanche se gli dessi tutto il mio patrimonio. (Commenti).

Una voce. Molto male!

Merlin Umberto. Molto male, ma è una impossibilità assoluta, caro collega, perché il mio cognome appartiene anche a mia moglie e ai miei figli ed io da solo non posso disporne. (Commenti Interruzioni). Assisterlo, sì, economicamente, ma non dargli il mio cognome. Questo dimostra che la formula non potrà ottenere dal legislatore quell'applicazione piena e completa che le parole di essa direbbero. Ma dove soprattutto non possiamo accettare l'articolo è nella parte successiva in cui si dice che la legge garantisce ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico che escluda inferiorità civili e sociali.

La formula è dell'onorevole Togliatti. La onorevole Iotti aveva proposto una formula un po' diversa, là dove essa aveva chiesto la parità assoluta, cioè le stesse condizioni giuridiche tra figli legittimi e figli illegittimi; ma non credo alla diversità delle due formule e non lo credo sia per l'identità di pensiero politico che vi è tra i due proponenti, sia perché la formula negativa dell'«escludere inferiorità» equivale alla formula positiva di «assicurare la parità». Ora noi abbiamo ripetutamente detto, e il Presidente della nostra Commissione con noi durante le discussioni, che i democratici cristiani trattano questo argomento con animo di profonda pietà; i figli illegittimi sono degni della maggiore considerazione e della maggiore pietà. (Commenti).

Una voce. Figli di Dio, in sostanza.

Merlin Umberto. Ripeto la parola pietà perché non ne trovo altra adatta. Concorrere ad elevare la loro sorte è un dovere, a patto però di non offendere i terzi innocenti. I figli illegittimi, chiamati volgarmente frutto della colpa, sono innocenti, ma sono altrettanto innocenti i figli legittimi e il coniuge. (Commenti).

Noi non ci possiamo perciò lasciar trasportare in questo campo soltanto dal cuore, ma dobbiamo lasciarci trasportare dal cuore e dalla ragione. La famiglia legittima ha i suoi diritti, che noi dobbiamo gelosamente custodire, e per custodirli bisogna che siano consacrati nello Statuto. La famiglia legittima è soltanto quella costituita dal padre, dalla madre e dai figli che sono nati da loro. Se elevassimo i figli illegittimi alla parità, noi abbasseremmo i legittimi, e questo non si può fare se non a patto di danneggiare la difesa della famiglia legittima, l'unica che deve essere riconosciuta.

Adottare la formula come è proposta dal progetto sarebbe dunque un errore, vorrebbe dire aprire nella famiglia una breccia che la coscienza sana e morale dei più non accetterebbe. Ora, o signori, bisogna parlarci chiaro: anche qui vi possono essere dei sacrificati; ma fra il bene pubblico e quello privato, fra il bene collettivo e sociale e quello dell'individuo, noi legislatori costituenti dobbiamo scegliere il primo e abbandonare il secondo, se occorre. (Commenti a sinistra). Ho già parlato del cognome, e dell'impossibilità assoluta di darlo agli illegittimi. Quindi, quando si dice la parità o la non inferiorità, voi domandate una cosa impossibile. Ma a parte questo, che cosa volete dire con questa «non inferiorità» o con questa «parità»? Volete forse ammettere il figlio illegittimo alla stessa mensa, nella stessa casa della famiglia legittima, e magari con la madre diversa o il padre diverso?

Calosso. Tendenzialmente, sì.

Merlin Umberto. Lascio a voi di esprimere queste parole, ma di vedere poi quali conseguenze dolorose ne deriverebbero, quali lotte cruente, quali tremendi dissidi nell'ambito stesso della famiglia.

Perciò noi non possiamo accettare questa formula, e non la possiamo accettare anche per un'altra ragione, perché per potervi dare piena applicazione bisognerebbe anche affrontare il tema gravissimo della ricerca della paternità. Che vale scrivere nel Codice che i figli illegittimi sono pari ai legittimi, quando voi non deste ai figli illegittimi la piena completa ricerca della paternità?

Una voce a sinistra. La daremo!

Merlin Umberto. Ora, signori, badate che di legislatori ce ne sono stati tanti, e gli scandali che si sono verificati nei periodi in cui per breve ora il legislatore ha ammesso la più ampia ricerca della paternità — magari affidata alle prove testimoniali — sono state tali che nessun legislatore successivo si è sentito di ripetere quello sproposito e quell'errore. (Interruzioni a sinistra Commenti).

Ora, io credo che nessun legislatore si sentirebbe il coraggio di ampliare quei casi di ricerca della paternità che sono stati per esempio segnati dall'articolo 269 del Codice civile; la materia è delle più ampie e più delicate. Anche su questo punto io voglio concludere, a tranquillità magari anche di tutti quelli che, non avendo famiglia, sostengono un'opinione contraria alla mia, che le cifre nel loro linguaggio eloquente dimostrano quale è, per fortuna nostra, l'importanza del fenomeno nel nostro Paese. Perché il legislatore deve, sì, preoccuparsi di tutto e di tutti, ma deve anche guardare se il fenomeno abbia assunto un'importanza sociale considerevole.

Una voce a sinistra. Purtroppo, sì!

Merlin Umberto. Ora, per fortuna nostra, signori, le statistiche dimostrano che in Italia nascono un milione di creature all'anno; di questo milione di creature, il 97 per cento è di figli legittimi, il 3 per cento di figli illegittimi. (Interruzioni Commenti a sinistra).

Presidente Terracini. Per favore, non interrompano! Onorevole Merlin, la prego di tener presente che lei sta parlando da cinquanta minuti. Veda di concludere.

Merlin Umberto. Non è colpa mia: è colpa dei colleghi i quali non fanno che interrompere. Ad ogni modo, onorevole Presidente, vedrà che l'accontento subito.

Dicevo che, di questo 3 per cento, il 2 e mezzo per cento viene più tardi riconosciuto; per cui, fra figli legittimi e illegittimi riconosciuti, si arriva al 99 e mezzo per cento. La povera prole che rimane nella categoria non riconosciuta o di filiazione ignota rappresenta il mezzo per cento.

Povere creature anche queste, verso le quali va la nostra profonda pietà, ma non al punto da ferire la dignità e l'unità della famiglia legittima, non al punto di immettere in essa dei figli nati fuori del matrimonio.

Con questo assenso e con questo dissenso, io ho voluto, onorevoli colleghi, portare il mio contributo a questa discussione e, se possibile, dimostrare un sentimento che non è mio soltanto, ma è di tutta l'Assemblea, e cioè l'amore geloso, la cura affettuosa, l'adesione viva che ci legano all'istituto familiare, così profondamente custodito dalla sanità morale di tutto il popolo italiano. (Vivi applausi al centro Molte congratulazioni).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti