[Il 17 aprile 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali». — Presidenza del Vicepresidente Tupini.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Rodi. [...] Nell'articolo 25 si tratta della questione dei figli illegittimi. Io lascio ai giuristi il giudizio su questo articolo e lo considero soltanto dal punto di vista etico. Per me questo articolo contiene una legge violenta, una legge che pretende di guarire radicalmente e profondamente un male sociale, ma commette l'errore di aggravare un altro male sociale.

Io comprendo esattamente l'esigenza, da parte del legislatore, di tutelare quei figli che nascono fuori del matrimonio. Capisco l'esigenza di non far ricadere sui figli la colpa dei padri, capisco l'esigenza di non tenere questi figli in uno stato di inferiorità rispetto ai figli legittimi, ma non capisco come la violenza di questa legge, che è diretta alla tutela unilaterale di un fatto sociale, dimentichi completamente la questione morale nei confronti dei genitori. Quindi la Costituzione si è trovata di fronte a due problemi: uno che interessa i figli e l'altro che interessa i genitori; ed i relatori della Costituzione si sono riversati interamente sui figli, trascurando completamente la posizione morale dei genitori. È chiaro quindi che questo articolo, almeno dal punto di vista etico, dovrebbe essere modificato nel senso che si dia una garanzia morale anche per quanto riguarda i genitori e comunque una garanzia che serva a scardinare il male della illegittimità un po' per volta e non con una legge che tolga improvvisamente questo male sociale senza tuttavia guarirlo.

[...]

Gallico Spano Nadia. [...] A questo proposito mi ha stupito il titolo con il quale il Popolo presenta il discorso dell'onorevole Merlin: «Difesa della famiglia». Difesa contro chi? Nessuno minaccia la famiglia, tutti siamo decisi a ricostruirla, decisi a rinsaldarla; però non possiamo dimenticare che l'istituto familiare è stato distrutto e indebolito da un regime che troppo a lungo ha oppresso l'Italia, dal fascismo. Negli anni passati difendere la famiglia significava lottare effettivamente contro il fascismo. Oggi, rinsaldare, proteggere l'istituto familiare vuol dire lottare per la democrazia; costruire un regime nuovo, democratico, questo noi dobbiamo fare, questo dobbiamo sancire con la Costituzione italiana. Questo attendono da noi le donne italiane, che vogliono basi nuove per la loro famiglia. Ed infatti uno degli elementi che ha certamente spinto le donne a partecipare alla lotta antifascista è stato il rancore, l'odio che esse provavano per il regime che ha indebolito la saldezza della famiglia italiana. Prima ancora che la guerra voluta dal fascismo distruggesse materialmente le loro famiglie e le loro case, le donne italiane, umiliate per l'indegna campagna demografica, per le limitazioni che il fascismo imponeva all'esplicarsi della loro personalità, della loro missione di educatrici in seno alla famiglia, furono avverse a quel regime di oppressione. Esse lo odiavano per aver tolto l'educazione dei figli alle madri e per averla lasciata a quelle organizzazioni giovanili che inquadravano obbligatoriamente i bambini, i giovani, orientandoli verso la violenza e la guerra. Così come lo odiarono tutti in Italia, uomini e donne, perché per vent'anni nelle famiglie italiane non si è potuto insegnare ai bambini l'amore per la libertà, per la democrazia, perché i genitori hanno dovuto troppo spesso tacere di fronte ai figli, troppo spesso rinunziare ad agire contro il regime fascista, per via delle persecuzioni che i bambini, spie innocenti, potevano attirare su di loro e sulle famiglie stesse.

Nell'articolo 145 del Codice civile, che sancisce l'obbligo dei genitori di mantenere, educare ed istruire la prole, è detto che l'educazione deve essere conforme alla morale e ai sentimenti nazionali fascisti. Come fosse possibile conciliare la morale e i sentimenti nazionali fascisti non è certo evidente, ma comunque resta il fatto che per norma sancita dal Codice i figli dovevano essere educati dai genitori non ai fini della giustizia, della democrazia, ma soltanto per servire lo Stato secondo quei sentimenti nazionali fascisti che hanno portato l'Italia alla catastrofe.

Ecco perché noi dobbiamo dire al popolo che ci guarda e che attende da noi la Costituzione, una parola nuova, democratica.

Attualmente la famiglia non presenta ancora le caratteristiche che debbono corrispondere all'ordinamento democratico che stiamo costruendo: la Costituzione deve precisamente stabilire questo nuovo concetto dall'istituto familiare. Chiediamoci quindi se gli articoli della Costituzione rispondono a questa attesa delle masse, a questo desiderio del popolo italiano. In gran parte sì, ed è certamente utile che noi precisiamo le ragioni del nostro assenso.

[...]

A questo proposito è opportuno precisare che il contributo che l'istituto familiare può e deve dare al consolidamento della morale della nazione è condizionato dalle basi su cui viene fondata la famiglia. Solo una famiglia nuova, democratica può contribuire al rinnovamento della vita italiana. Ecco perché è importante stabilire quali debbono essere all'interno della famiglia i rapporti dei coniugi fra di loro e dei genitori verso i figli.

[...]

Ad altri rapporti interni della famiglia la Costituzione deve dedicare la sua attenzione: quelli dei genitori verso i figli.

Il primo comma afferma i doveri e i diritti dei genitori, e specialmente i doveri che i genitori hanno verso i figli. Lo approviamo senz'altro, quantunque nella seconda parte sia necessario di precisare meglio, per quali motivi e in quali condizioni lo Stato si deve sostituire ai genitori.

Vi è da chiarire la spinosa questione dei figli illegittimi: essa appassiona l'opinione pubblica, ma a me sembra che in questa Assemblea sia stata finora impostata male. È stata impostata infatti da alcuni oratori sulla pietà, sulla compassione; si è detto che i figli illegittimi non hanno nessuna colpa, che sarebbe opportuno potere impedire che la colpa dei genitori ricada sui figli innocenti, ma che praticamente non si può realizzare tale desiderio. Si è citato per sostenere questa tesi il paragone delle tare fisiche. Ma noi vogliamo appunto che anche per le questioni fisiche la colpa dei genitori non ricada sui figli ed in ogni modo non possiamo ammettere, senza tentare di arginarla, che questa piaga dell'eredità si estenda anche sul terreno morale. È la questione nel suo complesso che è impostata male, perché non si tratta né di compassione né di pietà; si tratta di stabilire prima di tutto un diritto di eguaglianza che è già stato sancito dall'articolo 3. Nell'articolo 3 non si è detto che vi era una categoria di cittadini che aveva diritto soltanto alla pietà e non alla eguaglianza di tutti i diritti; si è detto che tutti sono eguali di fronte alla legge. E le affermazioni fatte in quell'articolo debbono essere riconfermate e non si deve cercare su questioni particolari di infirmarne il valore.

L'affermazione di questo principio di eguaglianza a favore dei figli illegittimi è un richiamo al senso di responsabilità dei genitori, perché se vi è colpa vi è responsabilità e questa appartiene solo ai genitori.

È evidente che dobbiamo lasciare al legislatore il modo di risolvere praticamente la questione della parità dei diritti dei figli illegittimi, questione che interessa un gran numero di cittadini.

Ho sentito con stupore l'onorevole Merlin affermare che era una questione di poca importanza, perché interessava un numero infimo di persone. È certo strano questo disprezzo delle minoranze, disprezzo che non è affiorato soltanto in questo caso, ma è già apparso a proposito dell'articolo 14 per le minoranze religiose, ed a proposito dell'articolo 7, quando l'onorevole De Gasperi riteneva che si potevano non considerare le garanzie richieste dalle altre confessioni religiose perché queste hanno un numero esiguo di fedeli.

In realtà, e lo si vedrà in seguito, la soluzione del problema dei diritti dei figli illegittimi interessa un numero di cittadini non così infimo come si vorrebbe far credere.

Ma, prima di ciò, vorrei controbattere alcune affermazioni un po' stravaganti che sono state fatte qui: la parità di diritti tra i figli nati fuori dal matrimonio e quelli nati nel matrimonio vorrebbe dire il diritto di convivere sotto il medesimo tetto. Non solo, ma siccome il figlio illegittimo ha diritto all'assistenza della propria madre, la moglie illegittima avrebbe anch'essa diritto di convivere sotto lo stesso tetto. Prima ancora che la legge impedisca una simile aberrazione, sono certa che vi si opporrebbe il senso di dignità della donna italiana che non accetterebbe mai una situazione di questo genere; e se non altro questa supposizione mi pare abbastanza ingenua. Ma vi è un'altra interpretazione abbastanza strana: il fatto che i genitori non avessero nessun dovere verso i figli illegittimi e che potessero quindi impunemente abbandonarli, come avviene nella grande maggioranza dei casi, è certamente stato un elemento dell'aumentare spaventoso delle cosiddette «colpe» dei genitori. Ma è stato affermato in sede di Sottocommissione, che il dover riconoscere i figli illegittimi e dover garantire il loro sostentamento avrebbe certamente provocato un aumento delle nascite illegittime. Questa affermazione è certamente discutibile. Laddove il freno morale non riesce a richiamare i genitori al senso della responsabilità, le conseguenze della loro azione possono costituire una remora che andrà a vantaggio della morale familiare. Non solo, ma uno degli argomenti più ripetuti per negare la parità di diritti ai figli illegittimi è la necessità di proteggere la famiglia legittima. Ora chiediamoci: chi la minaccia? I figli legittimi non sono minacciati da nessuno; essi godono di tutti i diritti. Non si tratta quindi di proteggere dei cittadini che godono già pienamente dei loro diritti, ma di assicurarli a coloro che fino ad oggi ne sono stati privati. In primo luogo il diritto al nome, in modo che si cancelli quell'N.N. infamante che i figli illegittimi debbono sopportare per tutta la vita, che, anche nei certificati di nascita scompaia questo marchio che si è sempre imposto a dei cittadini che tutti riconoscono innocenti, ma che oggi sono menomati di fronte all'opinione pubblica. In secondo luogo il diritto ad una educazione sana. Sarebbe inutile portare qui delle statistiche, perché tutti i colleghi sapranno certamente che la grande maggioranza dei delinquenti sono dei figli illegittimi, che sono stati abbandonati a se stessi. In terzo luogo il diritto all'assistenza incondizionata dello Stato. Lo Stato interviene oggi ad assistere i figli illegittimi solo quando essi sono abbandonati da entrambi i genitori, e spinge quindi la madre a non riconoscere il proprio figlio. Sono assistiti nei brefotrofi soltanto coloro che sono veramente senza nessuna assistenza, salvo qualche eccezione. La cifra dei sussidi che percepiscono i figli illegittimi, non supera le 100 lire mensili: vero insulto alla loro miseria e alla loro situazione.

Ma vi è di più: c'è un diritto elementare che viene di fatto molto spesso negato ai figli illegittimi: il diritto alla vita. Il numero delle nascite illegittime non è così piccolo come si vorrebbe far credere. In certe province ha raggiunto perfino il 30 per cento delle nascite. Però, la cifra più impressionante è quella delle morti dei figli illegittimi, che, in certi periodi, ha superato, e di molto, il 50 per cento delle nascite. Non solo, ma è costume considerare che uccidere un bambino illegittimo è meno grave o ha certamente maggiori giustificazioni che uccidere un altro bambino. Quante madri infanticide sono state assolte, o per lo meno hanno ottenuto le circostante attenuanti, perché avevano difeso il proprio onore! Ma qual è l'onore per una donna? È quello di uccidere il proprio bambino o è quello di fare tutti gli sforzi, con l'aiuto che lo Stato deve garantire, per non troncare l'esistenza di un essere al quale essa stessa ha dato la vita?

Certamente il numero delle madri infanticide diminuirebbe di molto se lo Stato venisse loro in aiuto mettendole in condizioni di potere educare ed allevare i propri bambini.

D'altra parte affermare questo diritto vuol dire attuare veramente quello che è già sancito nella prima parte del primo comma di questo articolo: il dovere dei genitori verso la prole, verso tutti i figli, verso tutti gli esseri ai quali essi hanno dato la vita. Inoltre noi permettiamo così che il legislatore futuro studi le possibilità di eliminare le cause che producono questa situazione.

[...]

È evidente che con questo non è esaurita la questione della famiglia. Questa verrà formulata nei suoi particolari dalla futura legislazione, che qui però deve essere giustamente indirizzata. La questione è delicata ed interessa tutti i settori dell'Assemblea. Tutti dobbiamo collaborare a far sì che essa venga formulata nel modo più giusto possibile da questa Costituzione che per la prima volta in Italia sancisce i diritti della famiglia, e nell'ambito della famiglia, di ogni suo componente. Noi dobbiamo ricordarci che questa è la prima Assemblea della Repubblica italiana e che la Repubblica si deve distaccare dal passato anche per le nuove garanzie che darà alla famiglia, base di un orientamento sano verso una vita nuova, verso una vita democratica quale è quella che noi vogliamo costruire. (Applausi a sinistra).

[...]

Preti. [...] Sempre dalla contrapposizione fra i diritti originari della famiglia e l'ordinamento giuridico statuale, l'onorevole La Pira faceva derivare la naturale, dico naturale, impossibilità di equiparare il figlio illegittimo a quello legittimo, e negava quindi allo Stato, sostanzialmente, la potestà di emanare in questo senso delle norme. Sulla quale giustificazione teorica noi non potremo mai concordare, anche se, sul piano pratico, sarà forse possibile trovare un accordo circa la filiazione naturale.

Ma è nel campo della scuola che la contrapposizione fra famiglia e Stato rivela le sue più pericolose conseguenze. In questa materia la vera posizione cattolica è quella illustrata nel 1946 dall'onorevole Gonella nel programma della Democrazia cristiana.

Ivi si afferma, se non vado errato, che lo Stato svolge, in ordine alla scuola, una funzione ausiliaria rispetto alla famiglia, alla quale compete naturalmente, — e sottolineo quel «naturalmente» — la missione educativa. Dietro alla famiglia, come è ovvio, sta la Chiesa, la quale da secoli insegna che «diritto partecipato soprannaturale inalienabile di insegnamento è soltanto nella vera Chiesa di Cristo, la Chiesa cattolica, la quale sola possiede la verità rivelata infallibilmente». È lo stesso Pio XI il quale, nell'Enciclica del 31 dicembre 1929 della cristiana educazione della gioventù, subordina gli interessi dello Stato nel campo educativo a quelli della Chiesa e della famiglia. Prima la Chiesa, poi la famiglia e solamente terzo lo Stato! Così suonano le parole di Pio XI, che del resto i Deputati del settore democristiano conoscono certo a memoria: «Da tale primato della missione educativa della Chiesa e della famiglia, siccome grandissimi vantaggi, come abbiamo veduto, provengono a tutta la società, così nessun danno può venire ai veri e propri diritti dello Stato rispetto all'educazione del cittadino secondo l'ordine da Dio stabilito.

«Questi diritti sono partecipati alla società civile dall'autore stesso della natura, non per il titolo di paternità, come alla Chiesa e alla famiglia, ma bensì per il promovimento del bene, che è fine proprio. Per conseguenza l'educazione non può appartenere alla società civile nello stesso modo che appartiene alla Chiesa e alla famiglia, ma in modo diverso corrispondente al suo fine proprio».

Ma allora siamo sinceri; dite, colleghi della Democrazia cristiana, che volete l'educazione affidata alla Chiesa!

Caristia. Forse lo stesso ragionamento lo ha fatto Mussolini!

Preti. Non so che cosa c'entri Mussolini in questo momento. Ad ogni modo, dopo parlerò anche di Mussolini e ce ne sarà pure per voi.

Per noi l'educazione è uno dei fondamentali compiti dello Stato, il quale ne è il principale responsabile, proprio perché nulla è possibile porre più in alto di quel «promovimento del bene comune» che è il supremo fine dello Stato stesso.

[...]

La famiglia è, a nostro avviso, il cavallo di Troia, attraverso cui la Chiesa dà nuovamente l'assalto allo Stato. Sulla trincea della scuola noi difenderemo la libertà del cittadino e la dignità di questo Stato repubblicano che abbiamo fondato e che vogliamo difendere sul piano di una vera e sincera democrazia. (Applausi a sinistra Congratulazioni).

[...]

Giua. [...] A proposito dell'articolo 25, secondo periodo, che dice: «Nei casi di provata incapacità morale, ecc.», in sede di Sottocommissione io avevo proposto una formulazione alquanto diversa, cioè: «Qualora la famiglia si trovi nell'impossibilità di dare un'educazione civile ai figli, è compito dello Stato di provvedere con istituzioni appropriate. Tale educazione si deve compiere nel rispetto della libertà dei cittadini».

E questo io avevo proposto pensando appunto che lo Stato dovrebbe mantenersi agnostico nell'educazione dei cittadini, e che le famiglie che vengano a perdere i genitori, sia dal punto di vista materiale che dal punto di vista morale, debbano essere aiutate dallo Stato secondo i principî della vera laicità, che pongono lo Stato in posizione di agnosticismo.

[...]

Tumminelli. [...] Il titolo dei rapporti etico-sociali ci porta di peso sul disegno, non più larvato, dell'orientamento vincolistico e statalistico della Carta costituzionale in elaborazione.

«La Repubblica assume la tutela della famiglia per l'adempimento della sua missione e per la saldezza morale e la prosperità della Nazione».

Lo Stato dunque entra nel sacrario della famiglia, dichiarata società naturale e perciò originaria autonoma.

In base a questo articolo il bambino è colto ancora nel grembo materno, poi al primo affacciarsi alla conoscenza del mondo circostante, la famiglia virtualmente l'ha in custodia, nella vigilanza e sotto la tutela dello Stato. La famiglia è una vigilata speciale della Repubblica, nella sua stessa formazione naturale che ha per fine la continuità.

Quando il bambino cresce, la Repubblica provvede a proteggerlo «favorendo e istituendo gli organi necessari a tale scopo», il che vuol dire una nuova G.I.L. con i figli della lupa, gli avanguardisti, ecc.

Gli organismi sono già pronti: il fronte della gioventù da parte rossa, i boy-scouts da parte democristiana. Educazione spartana! Licurgo ed Hegel si danno la mano, per la prosperità della nazione e l'annullamento della persona umana, per il conformismo spirituale e mentale, nelle finalità del nuovo stato etico!

Tutto questo per combattere l'individualismo di Rousseau? Per favorire la libertà della persona umana? Per realizzare la res publica christianorum che fa sì che totus mundus est quasi unica res publica, in omaggio agli articoli terzo e quarto?

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti