[Il 17 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Bosco Lucarelli. [...] Necessario corollario della unità e della integrità della famiglia è che ai nati fuori della famiglia non possa concedersi parità di diritti con la prole legittima.

Pur tuttavia un adeguato stato giuridico bisogna pure ad essi dare, ma non di parità con i figli legittimi, e bisognerà che lo determini la legge.

La legislazione sugli esposti e sugli illegittimi va rivista.

Sono favorevole alla ricerca della paternità secondo il progetto Meda, con tutti i necessari accorgimenti e le precauzioni che la delicata materia richiede.

Ritengo che vada riesaminata la facoltà di non dichiarare allo stato civile il nome della madre dei nati illegittimi.

Se bisogna evitare gli arresti della maternità (e noi condanniamo anche l'aborto legale), gli infanticidi, l'abbandono di neonati, bisogna pur evitare che tanti bimbi ignorino il nome sacro di «mamma».

Abbiamo ricordato che la prole è il fine precipuo del matrimonio, ed i genitori debbono provvedere non solo al sostentamento materiale, ma anche ai bisogni morali e culturali di essa.

Onde bene afferma l'articolo 25 che diritto e dovere dei genitori è non solo quello di alimentare la prole, ma anche, ed io direi sopratutto, di istruirla ed educarla.

L'educazione della prole è per noi funzione essenzialmente familiare.

Essa si inizia su le braccia materne; e quante volte adulti abbiamo deposte sul seno materno le nostre lagrime, chiedendo guida e conforto!

La madre è una luce, che non si spegne, ed anche quando l'abbiamo perduta, il ricordo di lei seguita ancora ad ammaestrarci.

E se i genitori hanno il diritto ed il dovere di educare la prole, debbono essere liberi di scegliere la scuola ove mandare i loro figli.

Per cui noi affermiamo come un diritto familiare «la libertà di insegnamento».

[...]

Cevolotto. [...] Ma quello che veramente mi preoccupa, o deve preoccupare tutti, è il capoverso dell'articolo 23, in relazione specialmente con l'articolo 25:

Il capoverso dice: «La Repubblica assicura alla famiglia le condizioni economiche necessarie alla sua formazione, alla sua difesa ed al suo sviluppo, con speciale riguardo alle famiglie numerose».

L'articolo 25 aggiunge: «È dovere e diritto dei genitori alimentare, istruire, educare la prole. Nei casi di provata incapacità morale o economica la Repubblica cura che siano adempiuti tali compiti».

Cura che siano adempiuti tali compiti? Come cura? Se i genitori non possono adempierli evidentemente li dovrà adempiere la Repubblica. E allora, anche a prescindere dalla lettera e dal tono del testo, il primo capoverso dell'articolo 23 richiama involontariamente quella che fu la politica demografica del fascismo, che fu del regime uno dei più grossi errori, di cui portiamo anche adesso le conseguenze. Perché non è affatto vero che «il numero è potenza», e se fossimo un po' meno in questa povera Italia a disputarci il pane che non c'è, senza dubbio staremmo tutti meglio e avremmo avuto o potremmo ricostituire un'organizzazione più salda, più efficace e più potente.

Ma l'intenzione di chi ha redatto gli articoli non è stata probabilmente quella di tornare alla politica demografica, a quell'obbligo di fare figlioli per costringere al quale il fascismo avrebbe voluto collocare i carabinieri ai lati del talamo... per impedire le reticenze. L'intenzione non è stata questa: è stata un'altra, quella del remedium concupiscentiae, per cui è bene che i giovani appena possono si sposino, perché la natura esige certi sfoghi che la morale vuole siano legittimi.

Ma in questo modo si va incontro ad un pericolo. E il pericolo è questo, che quando un giovanotto non ha proprio voglia di lavorare, non ha voglia di far niente — e una volta lo si destinava in tal caso alla carriera militare — venga la voglia di consigliarlo di prendere moglie e metter su famiglia: la Repubblica penserà poi a mantenere i figlioli, e ci potrà scappare anche il modo di vivere e di sistemarsi per lui.

L'intenzione non sarà stata neanche questa in chi da redatto gli articoli. Ma, badate bene, voi finite per dire ai giovani: sposatevi, mettete al mondo figlioli, e poi ci penseremo noi. È un po' troppo, perché, fra l'altro, siamo noi in grado di provvedere, o facciamo delle promesse a vuoto?

Ecco la mia perplessità. Pur riconoscendo che vi è nella formulazione proposta un contenuto morale di cui non si può non tener conto, mi domando se da un lato, i principî che si affermano siano opportuni e utili, e se dall'altro non si mettano a carico di questa povera Repubblica impegni superiori a quelli che potrà mantenere.

[...]

E passo a dire soltanto due parole su ciò che riguarda la condizione dei figli illegittimi. Secondo me, molti colleghi sono stati dominati da una impressione, che hanno ricevuto da una prima lettura dell'articolo del progetto che probabilmente non è esatta. All'articolo 25, che esprime un concetto sul quale senza dubbio saremo tutti d'accordo, si è attribuito un significato e si è data una portata che vanno al di là del principio. Io avrei preferito la formula, magari forse un po' retorica, che era stata proposta nella prima Sottocommissione e cioè che la legge provvederà perché non possano ricadere sui figli illegittimi le conseguenze di uno stato coniugale non conforme al diritto.

Il testo del progetto di Costituzione dice invece: «I genitori hanno verso i figli nati fuori del matrimonio gli stessi doveri che verso quelli nati nel matrimonio». Il principio è sacrosanto. Si può ammettere che un genitore abbia dei doveri diversi verso il figlio che ha generato fuori del matrimonio, e che non ne ha colpa, e verso il figlio che ha generato nel matrimonio? Anzi, sotto un certo aspetto, i doveri sono più forti verso il figlio incolpevole che è nato da una colpa, e che perciò è in una posizione di inferiorità. Ma non si dice che la parificazione deve essere completa nel senso di introdurre il figlio illegittimo nella famiglia, di farlo sedere allo stesso desco, di considerarlo come membro che ha diritto di abitare nella stessa casa? Questo non è nel progetto? Se sorgesse un dubbio di interpretazione, converrebbe chiarire la portata del testo.

Nessuno può imporre alla moglie legittima, ai figli legittimi una vicinanza, una comunanza di vita che sarebbero fonti di discordie, di avversioni, di lotte, di cattiverie, di disgregazione, di male per tutti.

I doveri dei genitori verso tutti i figli sono gli stessi; cioè tutti i figli devono esser messi nello stato di parità giuridica, non che in fatto devono occupare lo stesso posto.

L'articolo prosegue dicendo che la legge garantisce ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico che escluda inferiorità civili e sociali. E anche questo è giusto e sacrosanto. Non vi è nessuna tutela della famiglia che possa prescindere dai doveri dei genitori, verso ciò che essi hanno creato. Se degli individui poco scrupolosi vanno a seminare fuori della casa, ebbene, devono portare le conseguenze di quanto hanno fatto. Non vi è nessuna ragione per cui i figli nati fuori del matrimonio non abbiano garanzia assoluta di una tutela che sia efficace. La formula non dice ciò che molti hanno supposto, ma è una formula che, con un senso di umana giustizia, dovrebbe essere da tutti accettata.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti