[Il 18 aprile 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali». — Presidenza del Vicepresidente Tupini.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Colonnetti. [...] Ma la persona, isolatamente presa, è soggetta ad insufficienze ed a limiti che si oppongono allo sviluppo ed al perfezionamento delle sue facoltà, e che essa può superare solo integrandosi con altre persone.

Questo perfezionamento, di cui l'educazione costituisce il momento caratteristico e saliente, trova la sua prima e naturale sede nella famiglia che a ciò è ordinata come a suo fine e dove il diritto dei figli ad essere educati si traduce nel dovere di educare proprio dei genitori, e reciprocamente, il diritto della famiglia ad educare soddisfa al dovere che i figli hanno di istruirsi e di perfezionarsi.

Sennonché i genitori, anche se animati dalla maggior buona volontà, non possono il più delle volte compiere da soli l'opera dell'educazione ed istruzione del fanciullo, e spetta alla scuola compiere quest'opera supplendo i genitori là dove questi non potrebbero assolutamente mai arrivare.

Vi sono però tanti modi di compiere quest'opera. Educazione e istruzione non si compendiano infatti nell'arido apprendimento di un certo numero di cognizioni positive incontrovertibili, ma hanno — e non potrebbero non avere — un contenuto spirituale che può essere diversamente orientato e che può a sua volta diversamente orientare la formazione della personalità del fanciullo. Perciò resta ai genitori il diritto di scegliere la scuola cui affidare i loro figli, in modo che essa risponda al loro ideale educativo ed alla loro concezione della vita; e compete allo Stato — che deve in questa loro opera tutelarli ed aiutarli — il dovere di lasciare alla scuola la più ampia libertà di realizzare quell'ideale nei limiti, ben s'intende, dell'ordine e del bene comune.

E qui io debbo rilevare il mio fondamentale dissenso dall'onorevole Binni, il quale ieri non esitava a definire «chiusa» la scuola orientata e «libera» quella di Stato, dove, proprio perché possono insegnarvi uomini di ogni fede, un orientamento può, in qualche caso almeno, venire a mancare.

Io non voglio contestare all'onorevole Binni il diritto di pensare e di sostenere che una scuola non orientata sia la più adatta per mettere fin dal principio il fanciullo dinnanzi alle perplessità di quella che dovrà essere in seguito la sua scelta di un certo ben determinato modo di concepire la vita. Ma vorrei che egli, con pari liberalità, mi riconoscesse il buon diritto di altri genitori, i quali pensano che più salutare sia per i loro figli l'essere fin dal principio avviati verso quella concezione della vita, che è, per loro, la più vera e la più sana. Vorrei che egli mi riconoscesse che vi possono essere dei genitori i quali, seguendo il pensiero di un grande Pontefice che ieri stesso è stato qui autorevolmente citato, sono convinti che al suo compito educativo la scuola non possa pienamente assolvere, se l'insegnamento di tutte le materie non è tutto permeato e saturato di spirito cristiano.

[...]

Zotta. [...] Si dice: «La famiglia è una società naturale. La Repubblica ne tutela i diritti».

Di quale famiglia si intende parlare? Vi è la famiglia cristiana, la quale si fonda sul carattere sacro del matrimonio, esige indissolubilità del vincolo coniugale, ripudia lo stato di concubinato, distingue la filiazione legittima da quella illegittima.

Vi sono anche nel mondo civile tanti altri tipi di società coniugale, da quelli che non riconoscono il crisma della santità, riconducendo il vincolo coniugale ad una mera convenzione di parte, risolubile quando che sia; a quelli che non riconoscono né il crisma sacramentale, né quello legale dello Stato civile, ravvisando il matrimonio nel concubinato.

Ora, io domando: questa dizione a quale di questi tipi si riferisce?

Alla famiglia, quale è intesa dalla coscienza areligiosa, sociale e giuridica del popolo italiano? Questo parrebbe desumersi dal successivo articolo 24, dove si consacra il principio della indissolubilità del matrimonio. Se è così, dobbiamo intendere la tutela statale, come diretta al potenziamento di tutti gli elementi, che rafforzano l'istituto familiare e alla lotta contro tutti i fattori che lo debilitano.

Ma, onorevoli colleghi, la dizione formale non autorizza questa sola interpretazione, specialmente se la raffrontiamo col capoverso dell'articolo 25, molto noto e già molto discusso, ove si stabilisce che per i figli nati fuori del matrimonio si crei uno stato giuridico e sociale non inferiore a quello dei figli legittimi, giungendosi per questa via alla parificazione della famiglia legittima con quella illegittima. Ed allora la dizione del testo non si riferisce più ad una famiglia cristiana, ma ad un'altra famiglia.

[...]

Veniamo adesso all'altro emendamento da me proposto; soppressione del capoverso dell'articolo 25. Dalle premesse fissate nell'articolo 23 e nell'articolo 24, scaturiscono inevitabilmente queste conseguenze: distinzione netta fra famiglia e concubinato, distinzione netta tra filiazione legittima e filiazione illegittima. Qui si inserisce una questione molto delicata, la quale ha un profondo contenuto di umanità; una questione che risale ai principî della solidarietà, della eguaglianza umana. Migliorare cioè la condizione degli illegittimi; perché la colpa dei genitori non ricada su chi non ha chiesto di venire al mondo. Questione umanissima, sulla quale devo fare questo rilievo, compiacendomene, che in sostanza, diversità di vedute tra i vari settori non esistono. La diversità è soltanto formale: e mi spiego. Questa formulazione, così come è espressa dal progetto, il quale stabilisce che venga garantito ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico, che escluda inferiorità civili e sociali, porta in una interpretazione logica a delle conseguenze, che non sono accettate da nessuno di questi settori, come è stato chiaramente specificato nei vari interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Vi è stata soltanto una voce, che poteva apparire discorde. Quando l'onorevole Merlin Umberto disse: «Ma in questo modo, amici miei, voi ponete il genitore nel dovere di introdurre nella sua casa dei figli naturali, e logicamente con essi anche la mamma, perché se i figli naturali hanno gli stessi diritti dei figli legittimi, è naturale che essi abbiano anche diritto all'assistenza della mamma», vi è stato un mormorio indistinto di protesta nei settori di sinistra. Ho notato però questa interruzione dell'onorevole Calosso: «tendenzialmente sì».

Ora, onorevoli colleghi, se dovessimo appagarci delle assicurazioni sulla interpretazione che viene data oggi a questa disposizione da tutti coloro che sono intervenuti nella discussione, noi saremmo tranquilli, perché questa interruzione dell'onorevole Calosso potrebbe essere anche presa così, come un motto di...

Una voce. ...di spirito.

Zotta. ...già di spirito; ma il fatto è che questo spirito, col decorso degli anni, diventa potente, come avviene per tutti gli spiriti, per tutte le essenze alcooliche; specialmente quando mutano le circostanze ambientali, sociali e politiche. Vi può essere tutta una evoluzione od involuzione inaspettata ed indesiderata in avvenire. E allora questa disposizione va intesa precisamente nel senso paventato, che cioè, il genitore abbia il dovere di introdurre nella casa — perché questo dovere gli viene da una chiara disposizione di legge, la quale parifica i figli naturali ai legittimi — i figli illegittimi, e con essi la madre. E allora, onorevoli colleghi, questi nostri tardi nepoti diranno che la nuova Costituzione del popolo italiano — la prima Costituzione che sa darsi il nostro popolo — ha distrutto la famiglia come organismo unitario, ha introdotto l'immoralità nella casa, ha legittimato la poligamia. (Commenti a sinistra).

Vi è un altro lato, è un dilemma questo, da cui non si esce, una volta affermata la posizione di eguaglianza. Il genitore crea un'altra casa per i figli illegittimi e per la madre di essi, cioè istituisce un'altra famiglia. E allora, onorevoli colleghi, è distrutta non solo l'unità della famiglia, ma anche il vincolo dell'indissolubilità, perché questo sarà un comodo ripiego per poter spezzare quel vincolo che noi dichiariamo adesso, nella Costituzione, indissolubile. Questo sarà il mezzo cui faranno ricorso tranquillamente tutti coloro che vogliano ripudiare il coniuge e la famiglia legittima, attratti dalla prospettiva di nuove nozze, perché hanno la tranquillità di costituire un'altra famiglia, che ha le stesse possibilità di una famiglia legittima.

Le provvidenze, sì, le condividiamo nella sostanza. Esse sono nostre. Ci muove uno spirito di pietà per questi derelitti. Che cosa si può fare per essi? Bisogna tentare tutto quello che è possibile e mi sembra che la questione possa essere posta in questi termini: commisurare il bene che si opera in una sfera con l'inevitabile male che si crea in un'altra sfera di esseri umani, che è molto più ampia della prima, perché se noi creiamo questa parità per gli uni, noi danneggiamo grandemente, in profondità e in estensione, gli altri.

Questo è il problema dal punto di vista umano, perché non è generosità quella che, per beneficare alcuni, ha bisogno di danneggiare molti altri; non è giustizia quella che elimina le conseguenze di un male, recando danno a chi non lo ha causato. La giustizia consiste nel ristabilire l'armonia, non nello spostare lo squilibrio da un punto ad un altro.

Si è solennemente dichiarato in quest'Aula che bisogna migliorare le condizioni dei figli illegittimi. Ma sì, senz'altro! Incominciamo, per esempio, col sollevare la condizione dei figli naturali, non adulterini né incestuosi, sancendo tutti gli obblighi da parte dei genitori verso questi derelitti, obblighi sia di indole morale che di indole patrimoniale. Consacrando questi obblighi, non c'è infatti pericolo per l'istituto familiare. Essi si possono anzi ampliare con una ricerca più ampia della paternità e della maternità. Ma altri casi vengono prospettati: sentivo stamane l'onorevole Ruini, il quale citava come questo problema fosse stato tormentosamente vissuto da Salandra, da Scialoia, da Gianturco, e proponeva che ci fosse una possibilità di legittimazione quando uno dei genitori naturali non fosse legato da matrimonio e nei confronti di questi. Negli altri casi è opportuno intensificare l'azione di assistenza da parte di istituzioni private o pubbliche.

In ogni caso occorre eliminare l'umiliazione del marchio d'infamia, che pesa dolorosamente sulla fronte di questi disgraziati, quando essi debbono dichiarare fra i consociati la loro paternità.

Bisogna insomma distruggere per legge ciò che ha carattere di inferiorità, ma purché si mantenga saldo l'istituto della famiglia.

Mancini. Concretizzi queste provvidenze.

Zotta. È compito del Codice civile, non della Costituzione. Io perciò ho presentato un emendamento per la soppressione del capoverso. Comunque non vi insisto, se altri emendamenti sono redatti in forma più aderente al mio pensiero. Io accedo senz'altro ad essi, perché il pericolo è che, pur approvando qui il concetto dell'indissolubilità del matrimonio, lo distruggiamo di fatto, facendo passare una norma che pone sullo stesso piano figli naturali e figli legittimi.

Non è chi non veda quanto sia esiziale questa visione. È esiziale a tutti. Anzitutto agli artefici del dramma, perché essi non saranno più trattenuti dal pensiero di rovinare una disgraziata quando sanno di poterne legalizzare la posizione; non saranno più tormentati dallo spettro di coloro che vengono al mondo. La possibilità stessa di costituire altri focolari costituisce un motivo di inconsiderazione, di leggerezza nella scelta del primo. La unione dell'uomo e della donna, che nella famiglia italiana, grazie a Dio, riposa finora sulla coesione delle anime, ove trova il più sicuro presidio per la sua saldezza morale, questa unione verrebbe ad essere occasionata, con una facilità di trasposizioni, da fattori effimeri, da capriccio, da curiosità, da libidine. Chi ne soffrirebbe enormemente sarebbe l'altro coniuge, la donna. È un fatto questo che non è stato valutato in questa discussione. La moglie, la quale è elemento fondamentale, essenziale, per la formazione della casa, per la costituzione e la conservazione del patrimonio familiare, dovrebbe assistere inerte con i propri figliuoli alla distruzione della sua casa, dovrebbe vedere i suoi risparmi alimentare altre case, dovrebbe vedere disgregarsi quel patrimonio affettivo ed economico cui essa ha dedicato le migliori energie nella sua sublime missione domestica. Esiziale per lo Stato, se è vero quello che abbiamo scritto che dalla famiglia lo Stato trae forza e impulso per il suo proprio sviluppo.

Salviamo la famiglia, onorevoli colleghi! In questa grande povertà, in questo grande travaglio, dopo tante sciagure belliche e politiche, ci sia conservato questo che è l'unico patrimonio del popolo italiano (Applausi), questo da cui il popolo trae motivo di conforto per credere ancora nel suo avvenire! (Applausi Molte congratulazioni).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti