[Il 18 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Gullo Fausto. [...] L'articolo 25, che nella sua prima parte fissa il dovere dei genitori di istruire, di alimentare e di educare la prole, nel suo capoverso afferma che i genitori hanno gli stessi doveri di fronte ai figli nati fuori del matrimonio. La frase o dice tutto o non dice nulla. Che cosa mai vorrà dire: «I genitori hanno verso i figli nati fuori del matrimonio gli stessi doveri che verso quelli nati nel matrimonio»? Quali genitori? Perché ci sia un genitore che abbia questo dovere, è chiaro che bisogna sapere chi è il genitore. Se con questa frase ci si riporta ai casi che ora fissa il Codice civile, perché la ricerca della paternità sia consentita, a me pare che la norma non porti nulla o ben poco di nuovo, perché questi genitori hanno anche ora, nella legislazione civile, fissati dei precisi doveri verso i figli nati fuori del matrimonio. Ma noi sappiamo che sono ben pochi i casi in cui ora è consentita la ricerca della paternità. Ma al di fuori di questi casi, che cosa accadrà dei figli illegittimi?

Non si fa — è stato già detto da altri, ma è bene ripeterlo — una questione di pietà o di compassione; o meglio, si fa anche questa; ma ciò è troppo poco: bisogna fare una questione più alta; bisogna fare una questione di dovere sociale, che è insieme una precisa questione giuridica.

Dall'onorevole Merlin, mio egregio e caro collaboratore, si diceva qualche cosa che io non mi sarei mai aspettato; ossia si cercava di giustificare la mancanza delle garanzie, onde pur debbono essere assistiti i figli nati fuori del matrimonio, con il fatto che essi sono pochi. Diceva: in definitiva non bisogna poi tanto formalizzarsi, dato che si è di fronte ad una percentuale minima di figli illegittimi, ad una percentuale che si aggira tra il 2 e il 3. Ma non è d'accordo con lui la statistica, perché se noi ci rifacciamo all'ultima statistica che si ha su questo argomento, a quella cioè del 1942, noi vediamo, per esempio, che si arriva, per citare il fenomeno là dove esso si presenta più acuto, a Ferrara, ad una percentuale del 12: 12 illegittimi su cento figli; nella provincia di Roma si ha una percentuale dell'8.

È un fenomeno sociale della massima importanza. E allora, quando si dice che i genitori hanno verso questi numerosi figli nati fuori del matrimonio gli stessi doveri che hanno verso quelli nati nel matrimonio, bisogna intendersi sulla parola genitori. Noi evidentemente non possiamo riferirci con questa parola ai soli pochi casi fissati dal Codice civile perché la ricerca della paternità sia consentita: noi dobbiamo andare oltre.

È necessario innanzi tutto risolvere il problema della ricerca della paternità; e lasciate che io manifesti il mio moto di sorpresa di fronte a quella parte dell'Assemblea che trova da ridire su questa ricerca, proprio quella parte che aveva finora il merito di essere all'avanguardia in questo campo.

Ricordo il progetto Meda il quale voleva appunto che questa ricerca della paternità fosse perseguita in ogni caso. Egli così si ricollegava, oltre che al diritto comune, anche a quello canonico, giacché anche quello canonico non pone alcun limite alla ricerca della paternità.

Molti ricorderanno il detto: creditur virgini parturienti; la vergine che partoriva e diceva il nome di colui che era il complice necessario del parto veniva senz'altro creduta, tanto era largo il campo della ricerca della paternità. (Commenti).

Né è da rispondere come il collega Merlin rispondeva, che cioè in questo campo la prova è difficile ed ardua e che bisogna ricorrere alla presunzione. Il dire ciò non significa affatto creare un ostacolo giuridico, si porta anzi un nuovo argomento, perché la paternità è sempre fondata sulla presunzione, anche quella legittima. (Ilarità). Sarebbe strano che, mentre di fronte al figlio legittimo questa presunzione deve avere un valore giuridico così categorico e preciso, lo stesso valore non debba avere di fronte al figlio illegittimo.

Merlin Umberto. Mater certa, pater incertus.

Gullo Fausto. Noi uomini ci dobbiamo acconciare a ciò: nel momento in cui siamo padri, siamo sempre presunti. (Ilarità). È strano che questa presunzione diventi un ostacolo allorché si tratta della paternità nel campo dei figli nati fuori il matrimonio. Anche per essi la paternità si presume. Non c'è niente di male. Ma perché la prima parte di questo capoverso dell'articolo 25 abbia un senso, abbia una portata, è mestieri che la ricerca della paternità senz'altro si allarghi, riprendendo la nostra tradizione. A restringerla fu il Codice napoleonico. Ma prima di esso la ricerca della paternità era libera, ogni mezzo di prova era ammesso. Non si vede il motivo perché oggi non si debba tornare a questa generosa tradizione. E soltanto così il capoverso acquisterà un senso ed un significato, perché, dando a ciascun figlio nato fuori del matrimonio la facoltà di ricercare il suo genitore, noi ne avremo reso possibile l'applicazione, che altrimenti resterebbe confinata nello stretto ambito segnato ora dalla nostra legge.

Sono quindi senz'altro perfettamente d'accordo con il collega onorevole Caroleo, che giustamente propone un emendamento in cui è detto che la legge garantisce ai figli nati fuori del matrimonio l'esperimento dei mezzi idonei ad accertare la paternità naturale ed assicura loro le stesse condizioni giuridiche dei figli legittimi.

Prima dunque che la norma dica che sono assicurate ai figli illegittimi le stesse garanzie dei figli legittimi, è necessario che la norma fissi la possibilità per ogni figlio nato fuori del matrimonio di ricercare i genitori.

Si dice anche: ma voi non pensate che bisogna tutelare la famiglia legittima?

Bisogna un po' fermarsi sulla tutela della famiglia legittima. Anche il fidecommesso era giustificato con la tutela della famiglia legittima; ma penso che nessuno di noi ardirebbe proporre il ritorno al fidecommesso.

Anche il principe manzoniano, nel momento in cui condannava Gertrude alla clausura perpetua, in realtà pensava di tutelare la famiglia. Dovremmo considerarlo altrimenti come un padre snaturato che aveva la voluttà di sacrificare la sua figliuola. Egli mirava a tutelare la famiglia; e poiché ogni figlio che nasceva, dopo il primo, non faceva altro che scuotere la solidità del nucleo familiare, egli, che sentiva di dover salvaguardarla per tramandarla a sua volta ai successori, condannava alla clausura la figliola e ciò faceva nella convinzione assoluta di compiere un dovere.

Ma nessuno di noi riesce a pensare oggi che ad un padre possa esser dato questo diritto.

Ma che cosa è questa tutela della famiglia?

Quando noi pensiamo, trincerandoci dietro di essa, di contestare ai figli nati fuori del matrimonio il conseguimento dei loro diritti, non è male che, invece di volgere il nostro sguardo soltanto ai nati legittimi, volgiamo un po' la nostra attenzione ai figli illegittimi che muoiono. Noi sappiamo, e mi riferisco sempre alle statistiche del 1942, che su mille nati vivi muoiono nel primo anno di età, nel Piemonte, 84 legittimi mentre ne muoiono 194 illegittimi; a Genova 68 legittimi e 130 illegittimi. Nel Lazio su mille bambini ne muoiono 82 legittimi, ma 207 illegittimi.

Ma che cos'è questa tutela della famiglia legittima che profonda le sue radici in un mucchio di morti?

Se, sul serio, un moto di pietà e di compassione deve suggerirci un atteggiamento diverso, è proprio ora che, esaminando così eloquenti e pietose statistiche, noi fissiamo le norme costituzionali che governeranno la nuova Italia. Sì, è vero, anche se non valessero le norme giuridiche, valgano la pietà e la compassione, perché in noi sia vivo il dovere preciso di tutelare la vita di tutti i nostri figli, tanto se nati sotto il crisma del matrimonio, quanto se nati fuori di esso. (Vivi applausi all'estrema sinistra).

Bettiol. L'Italia repubblicana non è illegittima!

Costantini. Cosa c'entra questo? I figli sono figli del sangue, e ancora prima sono figli del cuore. (Commenti).

Gullo Fausto. Noi vogliamo dunque che a questi figli illegittimi siano riconosciuti gli stessi diritti dei figli legittimi. E badate, noi così tuteleremo meglio la stessa famiglia legittima.

Quando noi avremo suscitato nell'animo di ogni uomo la convinzione precisa che creando un figlio illegittimo egli crea a se stesso gli stessi obblighi, gli stessi doveri, gli stessi carichi che ha di fronte al legittimo, non solo le statistiche presenteranno dei numeri meno spaventosi, ma ognuno procederà con maggiore senso di responsabilità e si avranno così mezzi più acconci e più idonei per tutelare la famiglia legittima.

Proponiamo quindi, in definitiva, che mentre in questo articolo debba esser posta la precisa norma con la quale si consente la ricerca della paternità, in ogni caso e con ogni mezzo di prova, si debba ancora più energicamente affermare che i figli nati fuori del matrimonio hanno gli stessi diritti dei figli nati nel matrimonio.

Perché, ripeto, sotto questo aspetto, va esaminata l'altra norma che: «La legge garantisce ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico che escluda inferiorità civili e sociali».

Mi sapete dire quale è l'inferiorità civile e sociale dei figli illegittimi fissata nella legislazione di oggi? Se si toglie il diritto successorio, non vedo altre inferiorità civili, e tanto meno sociali.

È ben altra la norma che si pretende venga inserita nella Costituzione della nuova Repubblica italiana: ed è che i figli illegittimi devono avere lo stesso diritto dei figli legittimi, non solo di fronte alla società, ma di fronte al genitore.

Coloro i quali pensano di superare una esigenza così giusta con lo specioso argomento che tutti, mogli legittime ed illegittime, figli legittimi ed illegittimi dovrebbero costituire un'unica famiglia, e si è detto, perfino, mangiare allo stesso desco, fanno ipotesi strane e fuori da ogni realtà.

Il necessario è che il figlio illegittimo abbia una sua famiglia, e che il genitore abbia il dovere di provvedervi.

È strano che, mentre egli è obbligato a dare tutto ciò che deve alla figliolanza legittima, consideri l'altra perfettamente estranea alla sfera dei suoi doveri, morali e giuridici.

Il figlio nato fuori del matrimonio deve avere verso il genitore tutti i diritti del figlio legittimo, e deve venire su nella vita, senza essere dannato, fin dalla nascita, a morte prematura.

Si è parlato di innocenza del coniuge legittimo, e pure a volte si è tratti a sollevare dei dubbi su tale innocenza.

Una innocenza, invece, su cui non può sorgere dubbio, è quella dei figli illegittimi; strano che questa innocenza venga trascurata per tutelare una innocenza, che qualche volta non è tale.

Noi vogliamo una norma che sancisca la perfetta parità fra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio, e che sancisca la possibilità per ognuno dei figli nati fuori del matrimonio, della ricerca della paternità.

[...]

Molè. [...] Onorevoli colleghi, voi non potete sovvertire la natura senza sovvertire la morale e il diritto. Dipende dal modo come si nasce. (Ilarità).

La natura dice che i figli li fa la madre; e la madre è sempre certa, il padre incerto. La legge segue la natura. Impone alla moglie il nome del marito e la coabitazione perché questi due elementi danno la certezza del padre e la sicurezza delle geniture. E senza la certezza del padre e la sicurezza della genitura non esiste la famiglia.

Tutela i figli nella famiglia. I figli soprattutto. Noi dobbiamo perciò mantenere i diritti che la legge dà al marito nell'interesse dei figli.

In cima a tutti i pensieri noi dobbiamo porre i figliuoli. E non solo perché sono di noi la parte migliore e continuano la nostra vita e sono la primavera umana da cui dipende l'avvenire, ma perché i figli hanno sui genitori questo maggior diritto alla protezione della legge: che nella loro debolezza, hanno bisogno di maggiore protezione e non chiesero di nascere a coloro che dettero loro la vita e con la vita il retaggio della sofferenza e del dolore.

E nell'interesse dei figli noi voteremo l'articolo 25 che sancisce il diritto dei figli, nati fuori del matrimonio, al nome paterno e a uno stato giuridico che escluda le attuali inferiorità.

Questo doloroso problema umano e sociale siamo lieti di risolverlo. È un dovere della Costituente repubblicana aiutare a sollevarsi dagli ultimi gradi dell'abiezione verso la normalità della vita civile e della sanità morale i figli di nessuno, i figli d'ignoti, i senza classe, i senza famiglia, i senza nome, cui la malvagità o la sventura sottrassero anche la sola ricchezza del povero: la carezza di una madre e la protezione di un padre. Bastardi. La frase brutale la usò Napoleone, in una seduta del Consiglio di Stato. A chi gli chiedeva perché non volesse concedere la ricerca della paternità l'imperatore rispose: «La Francia non ha nessun interesse che i bastardi abbiano un padre».

Bastardi! L'oltraggio sanguinoso che taglia la faccia come una staffilata, riaffermava contro questi infelici il bando dalla società, e fu pronunciato dal dittatore per allontanare il fantasma minaccioso di una persecuzione giudiziale dai placidi sonni del borghese del primo impero, ben pensante, egoista, libertino e immorale. Ma, come fu già rilevato, la storia ha risposto alla condanna sociale del bastardo con la violenta insurrezione dei bastardi contro la società.

Perché questo è lo spettacolo angoscioso e la sorte disumana dell'infanzia abbandonata al contagio della via: i suoi poveri piedini nudi muovono verso un destino sempre uguale: la morte fisica o la morte civile. Le statistiche della mortalità e della morbilità contano un numero più elevato fra i figli illegittimi. La tubercolosi li miete. Ma, quando sopravvivono, per qualcuno che si salva, quanti degradano nel delitto e finiscono nella estrema abiezione umana! Uno ne ricordo, eroico, che arrivò in quest'aula, risalendo la corrente della miseria, dopo una triste giovinezza di studi, di meditazioni, di stenti, e che quando diventò deputato e oratore fascinoso, il padre dimentico chiamò per offrirgli il nome del suo insigne casato: ed egli rifiutando l'offerta: «Io non voglio il tuo nome, rispose, perché non ho padre. Io sono il figlio di me stesso». (Commenti). Ma per uno che si salva e sale eroicamente, quanti non affondano, naufraghi della vita, quanti non si perdono, ribelli della legge, aggressori della società!

Sia dunque benvenuta l'affermazione, non di pietà, onorevole Merlin, ma di giustizia riparatrice, che consacra l'articolo 25! Noi affrontiamo, attraverso la riabilitazione civile dei figli illegittimi, uno degli aspetti più angosciosi del problema sociale che più abbiamo sentito fin dai tempi della giovinezza lontana: da quando sui banchi della scuola, sfuggendo alla sorveglianza del maestro scolopio che ci insegnava il latino, nascondevamo sotto le edizioni teubneriane dei classici e rigavamo di lagrime le storie dei miserabili, dei veri e falsi galeotti, gli splendori e le miserie delle cortigiane, il destino dei piccoli infanti abbandonati che si perdono nel grande deserto popolato di Parigi; e sorse in noi questo anelito di giustizia sociale, questo desiderio di sopprimere le ignominie e i privilegi della società ostile ed iniqua, che perpetua le tenebre dell'ignoranza e gli avvilimenti della miseria e aggrava le debolezze fisiche della donna e del fanciullo, degradando l'uomo in proletario, la donna in prostituta, e i figli in bastardi. Ed ecco che cominciamo l'opera riparatrice concedendo i diritti sul nome e sulle sostanze paterne ai figli illegittimi.

Quali sono gli argomenti che si oppongono a questo progetto? L'allarme, lo scandalo?

Siles. I diritti della moglie e nella famiglia legittima. (Proteste a sinistra Commenti).

Molè. Risponderò subito al rilievo già anticipato dall'onorevole Merlin. Voi dite: il mio nome appartiene a mia moglie e ai miei figli legittimi. E non sono vostri figli anche quelli nati da un'altra donna? O avete fatto una cessione totale del diritto personalissimo al nome, così che non ne potete disporre più? Avete anche obiettato: per il fallo di un'ora voi non potete condannare il genitore alla infelicità di tutta la vita. Ma al figlio nato dall'errore di un'ora non imponete la infelicità di tutta una vita? Ed egli è incolpevole, mentre voi siete colpevole. O volete punire la vostra colpa nella sua innocenza?

La questione ha riflessi economici e riflessi morali. Per il trattamento economico c'è una graduazione di opinioni. C'è chi pone il programma massimo di un trattamento successorio uguale per tutti i figli; chi afferma il principio di riservare agl'illegittimi una quota minore per mantenere la preferenza alla famiglia legittima ed evitare la concorrenza delle unioni naturali; chi si contenta di ribadire l'obbligazione alimentare. Sono discussioni e decisioni che vanno lasciate alla legge positiva, per coordinarle nel sistema del Codice. Ma il diritto al nome dobbiamo, in ogni caso, riconoscerlo.

Ecco il diritto di natura tipico, originario: il diritto che il figlio conosca suo padre. E i figli, di fronte a chi li generò, sono tutti uguali: illegittimi, legittimi, naturali, artificiali... (Si ride). Anche se figli della colpa, i figli sono sempre innocenti. Rispettate i diritti degli innocenti. Bisogna avere, come me, nella professione di avvocato, assistito ad alcuni episodi terribili, per conoscere questa materia umana dolorosa e sapere di che lagrime grondi e di che sangue. C'è qualche cosa che vi fa tremare quando dovete difendere, nei processi di assise, il figlio abbandonato dal padre e che in un momento di miseria, con i crampi della fame nello stomaco e la follia che urla sotto il cranio, uccide il padre. Ed il giudice dice: io non riconosco in questo delitto il parricidio; questo figlio non è figlio e questo padre non è padre; erano due uomini che la colpa o la sofferenza ha messo l'uno contro l'altro.

Io intendo tuttavia la necessità di non ferire la famiglia legittima con la intrusione dei figli illegittimi nel domicilio coniugale. Il rilievo è necessario, perché qualcuno ha affermato che non vede nulla di strano in questa comunione dei figli di più padri e di più madri. Non scherziamo, in un argomento così delicato. Sarebbe il ritorno al gineceo, una breccia nell'unità familiare a favore della poligamia e, peggio ancora, della poliandria.

No. Noi dobbiamo riaffermare la superiorità della famiglia legittima.

Per elevare i figli naturali non bisogna deprimere la famiglia regolare. Assicuriamone l'autonomia. Non feriamo i cuori innocenti.

La famiglia legittima deve essere tutelata nella sua compagine, che la intrusione sgretolerebbe. Questa comunione non gioverebbe a nessuno, perché non è spontanea. Voi potete imporre il nome, la concessione del nome, ma non l'amore, né la convivenza coatta. Se il genitore naturale dev'essere costretto a dare il nome e la sostanza, non può essere costretto a dare l'amore, sentimento spontaneo che non s'impone con la legge. Se l'amore sopravviene tanto meglio. Ma la legge non può imporre una vita comune, che nel maggior numero dei casi sarebbe un inferno per tutti ed esaspererebbe i contrasti e le avversioni reciproche.

Ma, tutelata l'autonomia della famiglia legittima, superate gli altri ostacoli. L'avversione della moglie legittima, di cui tanto si preoccupa l'onorevole Merlin, non è un ostacolo legittimo, perché ella non ha il diritto di annullare il diritto dei figli nati fuori del matrimonio. La moglie soffrirà, ma se è nobile di animo, nella superiorità del suo animo cristiano, mio caro onorevole Merlin, non vorrà impedire che il marito, che ha un altro figliolo, provveda a lui e gli dia il suo nome, sol perché ai suoi figliuoli nati dal matrimonio invece che la totalità delle sostanze perverrà la maggior parte delle sostanze.

E passiamo all'altra parte dell'articolo 25, la quale garantisce uno stato giuridico a tutti i figli nati fuori del matrimonio. Sono d'accordo con l'amico Gullo, che la dizione è monca, equivoca, e bisogna sia completata. Noi non possiamo garantire lo stato giuridico, ma la ricerca della paternità, presupposto necessario della concessione dello stato giuridico...

Presidente Terracini. Onorevole Molè, tutti seguiamo con estremo interesse quello che dice; ma sono costretto a ricordarle che ha superato già di mezz'ora il tempo fissato per queste discussioni.

Molè. Non me ne ero accorto.

Presidente Terracini. Non ce ne eravamo accorti neppure noi.

Molè. E allora riassumo, condenso, mi affretto alla fine. Bisogna riconoscere e disciplinare la ricerca della paternità. La disciplina della ricerca si farà in sede legislativa. In quella sede si risolveranno i due problemi così annosi quanto appassionanti. Il primo problema: se è opportuno, nell'interesse dei figli, allargare la ricerca della paternità nel caso dei filii nefarii, dei figli incestuosi: se sia loro più conveniente avere un nome infamante o rimanere senza nome, provvedendosi in altro modo al loro stato.

L'altro problema è la disciplina della prova, perché questa prova, che fu detta diabolica, sia ragionevole, sia idonea, e non dia al figlio naturale un padre posticcio ed eviti gl'inconvenienti scandalosi della speculazione, per cui alcuni giustificarono le inumane restrizioni del Codice napoleonico.

È una materia delicata e difficile, in cui il pericolo di errore è evidente, perché giocano molto le prove presuntive. Ma bisogna che le presunzioni siano univoche e dialetticamente rigorose. Il Ministro Guardasigilli, onorevole Gullo, ricordando, in proposito, il precetto famoso «creditur virgini parturienti...» lo interpretava in questo senso: che si dava valore di prova, nel diritto canonico, alla dichiarazione della vergine partoriente che affermava essere Tizio il padre del suo figliolo. Ma uno dei nostri più grandi maestri, Vittorio Scialoja, che fu anch'egli Ministro della giustizia e assertore autorevole e appassionato della ricerca della paternità, spiegò, con un memorabile discorso su questo argomento, che il precetto — che non è di diritto canonico, ma di diritto comune — fu dettato da Antonio Fabro, Presidente del Senato di Savoja, romanista inferiore solo a Cuiacio, e voleva significare soltanto che si doveva credere al giuramento della vergine sedotta, madre per la prima volta, non ai fini dell'affermazione della paternità, ma per riversare l'onere delle spese immediate del giudizio e degli alimenti su colui che avesse denunciato come padre del suo figliuolo.

Sono problemi tecnico-giuridici, come vedete. Ma la disciplina del sistema probatorio nella ricerca della paternità non è di nostra competenza. Riguarda l'Assemblea legislativa, non la Costituente.

Troverà il legislatore gli accorgimenti, la maniera per superare queste difficoltà, ma la Costituente non può intanto rifiutarsi di risolvere questo problema di giustizia sociale, affermando il diritto alla dignità umana e al riconoscimento giuridico dei figli illegittimi: i diseredati, i reietti, che quando sopravvivono alla miseria, si vendicano della società che li ha condannati, diventando i negatori della legge, i gregari del delitto, i ribelli della società.

Riportiamo questi esseri umani alla sanità fisica e alla sanità morale: restituiamo questi cittadini allo Stato. E se Napoleone disse che la Francia non aveva nessun interesse a tutelare i figli bastardi, noi diremo che l'Italia democratica ha interesse che i figli illegittimi conoscano il loro padre e che quest'onta secolare venga cancellata dal nostro costume, dalla nostra legislazione, dalla nostra civiltà. (Vivi applausi Molte congratulazioni).

[...]

Bruni. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli articoli 23, 24 e 26, che riconoscono i diritti della famiglia e l'indissolubilità del matrimonio, mi trovano consenziente, quanto alla loro sostanza.

Sull'articolo 26 — che disciplina le nascite illegittime — a suo tempo mi riserverò di accettare un lieve emendamento, che precisa meglio la portata del suo contenuto, proposto da uno dei miei colleghi.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti