[Il 6 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Tega. [...] Però, mentre sono non solamente solidale, ma addirittura riconoscente ai legislatori di questa nostra Costituzione per tutto il complesso delle rivendicazioni sociali che hanno voluto consacrare in questo terzo Titolo, non posso accettare, nell'attuale dizione, l'articolo, 35 che a mio modo di vedere è contraddittorio e oscuro per non dire ambiguo e può fornire alla futura Assemblea legislativa argomento e pretesto per eventuali amplificazioni che rendono completamente nulla la sua affermazione di principio o compromettono la stessa funzione morale e sociale del sindacato operaio. L'articolo 35 infatti comincia con la solenne dichiarazione che «L'organizzazione sindacale è libera», ma nel secondo capoverso corregge questa affermazione aggiungendo che «non può essere imposto al sindacato altro obbligo che la registrazione presso uffici locali e centrali, secondo le norme di legge» e continua con altre specificazioni di personalità giuridica dei sindacati e dei contratti collettivi con efficacia obbligatoria, ecc., il che in sostanza, seppure in forma confusa e reticente, viene a consentire un intervento permanente dello Stato, suscettibile di pericolosi sviluppi per la stessa libertà così recisamente proclamata nel primo capoverso. Ora, in questa delicatissima materia, bisogna essere chiari e precisi. Che cosa significa quell'obbligo di registrazione dei sindacati presso gli uffici governativi? Possiamo noi, per la stessa serietà dello Stato, credere effettivamente che, nel campo sindacale, la sua opera si riduca al semplice meccanismo della registrazione? A quale guazzabuglio prelude quella personalità giuridica che può essere reclamata contemporaneamente dai sindacati operai e dagli organismi padronali e quali rapporti si verrebbero a stabilire tra gli enti giuridici dei lavoratori statali e lo Stato stesso, che da un lato è l'espressione di tutti gli interessi della collettività e dall'altro è un datore di lavoro?

Perché si ha tanta premura di dare un riconoscimento governativo alle istituzioni operaie che sono — e non possono essere altro — che associazioni di fatto? Io temo che dietro queste caute, prudenti formule, che in sostanza non dicono nulla, ma fanno prevedere qualche cosa di non perfettamente democratico, si nasconda il proposito di lasciare alla futura Assemblea legislativa uno spiraglio aperto per introdurre tutto il pericoloso bagaglio del corporativismo, di cui in taluni ceti è troppo vivo il ricordo e cocente la nostalgia.

Ora, è bene parlarci chiaro su questo argomento. Io penso che talune correnti della pubblica opinione — e lo ha dimostrato l'oratore che mi ha preceduto — non conoscono neppure i sindacati operai, se non per quello che ne ha sempre detto una stampa interessata, la quale aveva ed ha bisogno di mantenere nella pubblica opinione nei loro riguardi quel concetto di elementi perturbatori e distruttori, che si tramanda dal tempo in cui eravamo scomunicati e maledetti.

Uberti. Che cosa c'entra? Scomunicati?

Tega. È vero, amico Uberti, scomunicati a suon di campane.

Manca purtroppo in Italia una letteratura sociale veramente italiana che, magari a puro titolo informativo, divulghi le origini, gli sforzi, i sacrifici delle organizzazioni operaie, non già per assicurare solo un po' di pane e di libertà ai lavoratori, ma per inserirli sempre più profondamente nel vasto e complicato processo della produzione nazionale.

Si parla ad esempio degli uffici di collocamento come di tanti magazzini di merce-lavoro a cui i proprietari accedono per richiedere la mano d'opera sufficiente ai bisogni della loro azienda e nulla più. Ma se questa è la funzione puramente meccanica degli uffici del lavoro governativi, permettetemi, signori, di dichiararvi in piena e sicura coscienza che gli uffici di collocamento di classe sono tutt'altra cosa. Innanzi tutto, e questo che sto per dirvi rende praticamente pleonastico ed inutile il capoverso dell'articolo 35 che si riferisce all'efficacia obbligatoria dei contratti collettivi, innanzi tutto il Comitato comunale delle organizzazioni operaie, cui fanno capo tutte le leghe di mestiere del comune, assume nella loro totalità i lavori di ogni azienda agricola, impegnandosi a compierli, nel termine prescritto ed a perfetta regola d'arte. Ne consegue che, mentre dal Comitato comunale per assolvere degnamente a tale impegno, scaturisce un complesso di cooperative di lavoro in cui il mondo operaio è tenuto a produrre di più e meglio dell'iniziativa privata, dal canto suo l'ufficio di collocamento di classe è obbligato a disimpegnare un duplice compito tecnico e morale: il primo è quello di provvedere sempre più meticolosamente alla specializzazione delle maestranze, soprattutto per promuovere la trasformazione della conduzione dei fondi da coltura estensiva a coltura intensiva.

Il secondo compito dell'ufficio di collocamento, che ha un valore insuperabile di solidarietà umana e di tranquillità sociale, è quello di adeguare le giornate lavorative alla esigenza di ciascuna famiglia, in modo che a fine di anno queste abbiano guadagnato in proporzione dei loro bisogni. Ciò che induce i giovani operai ad affinare la loro intelligenza e a perfezionare la loro capacità per agevolare il proprio collocamento e vi dirò che tale, funzione classista ha dato sempre così promettenti risultati, che molti proprietari, superate le prime giustificabili ritrosie, (per non poter più essi stessi scegliere i loro operai) hanno superato l'orgoglio di essere i soli dirigenti delle proprie aziende e non solo hanno volentieri stipulato i contratti globali di lavoro col Comitato comunale delle organizzazioni operaie, ma hanno desistito dall'adoperare macchine proprie in quanto non guadagnavano in tempestività, tempo e perfezione di lavoro, ed hanno affidato alle cooperative operaie anche la prima lavorazione dei loro prodotti. Quest'opera completa di educazione sociale e di alto senso di responsabilità, ha dato i suoi frutti. Voi, che applaudite a piene mani ogni volta che si lancia uno strale contro le organizzazioni operaie, non conoscete o fingete di non conoscere, tanto nel campo nazionale, quanto in quello assai più vasto della solidarietà umana, che, quando nel 1916 l'agraria reclamò dal Governo una maggiorazione del prezzo di imperio del riso, furono proprio i Comitati comunali delle organizzazioni operaie che, con la documentazione dei conti colturali, dimostrarono allo Stato che il prezzo allora praticato era più che sufficiente per garantire onesti profitti alla proprietà privata. Nel tempo stesso le organizzazioni operaie costituivano i loro asili infantili per la raccolta e l'educazione dei figli del popolo e, per tutto il periodo della guerra 1915-18, aprirono questi asili a tutti i figli dei richiamati, senza distinzione di parte, e più tardi ivi raccolsero come pegno di rinnovata fraternità dei popoli, i bimbi di Vienna, riaffermando nella realtà il principio della classe operaia di tutti i paesi, di una pacifica e solidale intesa internazionale. Ci si dice che la registrazione dei sindacati e dei loro organismi cooperativi è per essi stessi anche una garanzia di sicurezza, in quanto li pone sotto l'egida della legge comune e dell'autorità dello Stato. Noi lo neghiamo e con noi lo nega la realtà storica di recentissimi avvenimenti.

Quando si disfrenò in tutta la sua vandalica violenza la reazione agraria, esisteva nella regione emiliana tutta una fitta rete di cooperative, la maggior parte riconosciute e registrate, le altre fiorenti ugualmente, quantunque fossero rimaste cooperative di fatto. Orbene, tutti questi enti senza alcuna discriminazione e così pure le case del popolo, le associazioni di mutuo soccorso, e le altre similari, furono ugualmente saccheggiate, dilapidate e distrutte. A nulla servì dunque la loro personalità giuridica, a nulla la loro registrazione negli albi governativi.

La realtà è, o signori, che l'epicentro della lotta tra l'umanità lavoratrice e la classe capitalistica si era spostata, dal campo della resistenza, a quello della produzione. Noi dimostravamo nel fatto, attraverso le nostre istituzioni intimamente collegate tra di loro e sorrette da un unico spirito e da una sola finalità, che la grande proprietà agricola non soltanto era ormai ingombrante e inutile, ma costituiva, come costituisce, un ostacolo all'incremento e al disciplinamento della produzione, alla trasformazione dell'industria agricola del nostro Paese. Di fronte alla concorrenza vittoriosa dei nostri organismi collettivi contro la speculazione privata, concorrenza che invadeva tutti i campi, da quello della quantità e qualità dei prodotti, attraverso l'opera infaticabile e bonificatrice delle nostre cooperative agricole, a quello del lavoro e del consumo, l'agraria sentì la frenetica necessità di violare la legge, ogni legge civile ed umana e sfrenò il terrore fascista nelle nostre campagne. Non dunque lo spauracchio di violente espropriazioni, non la preoccupazione di esperimenti bolscevichi, ma la considerazione meditata e fredda di stroncare la legittima e civile concorrenza del movimento operaio nelle sue realistiche manifestazioni, feconde per tutti, ma pericolose per il privilegio capitalistico, indusse i padroni della terra all'incendio, all'omicidio e al saccheggio. Ed è per questo che fu cercato a morte il sindaco di Bologna che, con l'istituzione dell'ente autonomo dei consumi, limitando le speculazioni dei bottegai, durante il primo conflitto mondiale, aveva salvaguardato il pane del popolo ed il salario del povero, è per questo che noi organizzatori socialisti, comunisti, repubblicani e democristiani, fummo caricati di randellate e cacciati in galera.

Ma non certo le nostre personali sofferenze, sebbene la distruzione di queste istituzioni di civiltà del nostro proletariato, ci hanno aperto un solco nell'anima e, con l'esperienza di un recente passato, ci hanno insegnato ad essere non solo diffidenti, ma a respingere tutto ciò che non è chiaro e che insinua pericolose e tutt'altro che protettive intrusioni. Voi non avete veduto l'orda degli agrari, scortata e fiancheggiata dalla cavalleria e dalla polizia, abbattersi contro le nostre modeste sedi, infrangere le bussole e le vetrine, ed uscirne stringendosi al petto come trofeo di vittoria le nostre pentole di terracotta, il pezzo di lardo o di formaggio, i poveri commestibili della gente del lavoro. Voi non avete veduto trascinato, a torme a colpi di randello e tra canti osceni, il nostro bestiame, che era il vanto di tutta la provincia e che fu venduto all'incanto in un simulacro di pubblica asta, come preda di guerra strappata al nemico. Voi non avete veduto il nostro bel macchinario agricolo che abbandonando i nostri villaggi con l'urlo rauco sembrava salutare per l'ultima volta gli operai, i quali, assediati nelle loro case, piangevano il loro patrimonio distrutto. (Approvazioni). Voi non avete assistito all'incendio dei nostri spacci e dei nostri uffici, al rogo della povera mobilia dell'apostolo e maestro del cooperativismo emiliano, Massarenti Giuseppe (Applausi) cui il fascismo riservava la più atroce e terribile delle morti, quella morale e civile con una condanna di pazzia che ancora offende la nostra umanità e la nostra civiltà.

So bene che oggi si tentano postume spiegazioni, con inqualificabili pretesti, so bene che tale scempio del patrimonio collettivo di un popolo, sebbene ammesso dal Governo, non ha ancora la giusta e doverosa riparazione con la restituzione almeno del maltolto, tante volte promessa, ma certamente ostacolata dall'agraria. So bene che si fanno circolare denunce quasi sempre anonime ed accuse tendenti per lo meno a soprassedere a quell'atto di giustizia riparatrice che i cooperatori italiani da troppo tempo attendono. Ma noi da questi banchi dichiariamo tranquillamente di essere sempre disposti a discutere con chiunque senza limiti di tempo o di spazio, tutta la situazione agricola emiliana, da quando gli agrari impegnavano con minacce il Governo a rispettare le loro «riserve di caccia e di pesca» mentre i lavoratori affrontavano la cavalleria per reclamare la bonificazione delle terre paludose, fino all'epoca presente, in cui, mentre in talune regioni dove si ostenta la defunta monarchia come simbolo della Patria e i raccolti si disperdono nei mille rigagnoli sotterranei della borsa nera e quasi mai raggiungono gli ammassi, nella regione emiliana, dove da tempo la Repubblica si identifica con la Nazione i granai del popolo hanno dato e danno i più lusinghieri risultati.

Signori, non vi fate sorprendere dagli avvenimenti ascoltando troppo le vociferazioni di chi è interessato a nascondervi la realtà. L'agraria è in disfacimento appunto perché si ostina a conservare la mentalità di una volta, propria di coloro che la dirigono, i quali hanno fatto la loro fortuna, da fattori e guardiani che erano, usurpando le terre degli antichi proprietari, con i mezzi più illeciti fino a provocare artificiose agitazioni operaie. La maggior parte degli agricoltori che ama la terra e vuole fermamente la trasformazione agricola e la collaborazione proficua con la classe lavoratrice, abbandona il vecchio organismo padronale ed affluisce nelle file dell'Upra, nuova associazione di rinnovamento agricolo, la quale vuol portare un po' di luce, di progresso, e di moralità su tutto l'ambiente e soprattutto su certi organismi nazionali, come il Consorzio canapa, che è infeudato ad un esiguo gruppo di speculatori e di funzionari, cui sta a cuore il particolare profitto, non l'armonico vantaggio e la difesa dello Stato e delle categorie interessate.

Onorevoli colleghi, lasciate che le organizzazioni operaie crescano e si sviluppino in piena autonomia. Questa spontanea catena di solidarietà che vincola gli organismi di resistenza con quella della cooperazione di classe; può rappresentare la salvezza comune. La resistenza afferma e realizza i diritti del lavoro, la cooperazione li consolida e ne estende i vantaggi a tutta la collettività. Non abbiate timori e preoccupazioni che noi possiamo eventualmente abusare di questa nostra autonomia. Noi abbiamo sempre amato e difeso tutte le libertà. Due sole saranno sempre da noi combattute ad oltranza: la libertà di non lavorare la terra e l'altra di pugnalare alle spalle i compagni di lavoro. Siano dunque liberi i sindacati, senza obbligo di registrazione e senza interventi che ne spengano l'anima e l'impulso vivificatore. Ed allora senza paternalismi governativi che potrebbero tutt'al più giustificare una deplorevole inerzia ed una più che deplorevole aspettazione messianica, voi vedrete sorgere dal basso, dalle masse operaie, gli elementi fondamentali e costruttori della civiltà del lavoro e della società socialista. (Applausi a sinistra).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti