[Il 7 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Della Seta. [...] Abbiamo bisogno di manifestare la nostra piena adesione alla libertà delle organizzazioni sindacali, sancita nell'articolo 35? Negarla sarebbe negare, nel campo sociale, quel diritto di libera associazione che, già nell'articolo 13, è stato riconosciuto per tutti i cittadini.

È libertà tanto per i datori di lavoro, come per i lavoratori; è libertà di poter costituire più sindacati anche per una medesima categoria; è sopratutto libertà interna, come attuazione di una interna democrazia, nel senso che sia permessa agli associati la libera scelta dei dirigenti senza subire la imposizione degli elementi delegati dai partiti.

Noi non condividiamo la preoccupazione che qualche collega socialista ha manifestato circa l'obbligo della registrazione per quei sindacati che intendono assumere una vera personalità giuridica. Ci rendiamo conto, psicologicamente, di questa preoccupazione. Dopo il regime dittatoriale, non poteva non diffondersi uno stato di insofferenza verso lo Stato, di cui si teme la invadenza soffocatrice, una invadenza che, nel caso specifico, tenderebbe a inceppare la vita del sindacato sotto una forma, più o meno larvata, di corporativismo. Comprendiamo tutto questo; ma non possiamo non far presente che, quando diciamo Stato, noi intendiamo uno Stato realmente repubblicano; uno Stato che non può, in tutti i gangli della vita sociale, non portare lo spirito di una sana democrazia; uno Stato quindi che, col riconoscimento, attraverso la registrazione, dei sindacati, non vuol menomare, minimamente, l'autonomia interna dei sindacati, ma si propone anzi di più valorizzarli e potenziarli, ad essi conferendo una piena personalità giuridica. Libere associazioni di lavoratori in libero Stato vigilante e cooperante, questa per noi, nel campo sociale, la formula della vera democrazia.

[...]

Di Vittorio. [...] Permettete, onorevoli colleghi, che io insista un momento sull'articolo 35 del nostro progetto di Costituzione, che pone in modo sintetico la base di principio del nuovo ordinamento sindacale italiano. Già altri colleghi hanno sottolineato i principî generali ai quali si ispira questo nuovo ordinamento: in primo luogo, la libertà nel campo sindacale. Perciò il nuovo sindacato è concepito come una organizzazione libera dei lavoratori, una organizzazione alla quale si accede volontariamente, nella quale il pagamento dei contributi sia volontario. Tutto l'ordinamento sindacale si ispira a questo principio di libertà, di indipendenza del sindacato, di autonomia del movimento sindacale dei lavoratori.

Ho sentito testé l'onorevole Della Seta lamentare il fatto che si esprimano alcuni sospetti verso la stessa registrazione dei sindacati, perché si temerebbe che una dipendenza qualsiasi dei sindacati dallo Stato potrebbe menomarne la libertà d'azione: l'onorevole Della Seta osservava che se ciò era giusto nei confronti di uno Stato fascista, non è giusto nei confronti di uno Stato democratico repubblicano. Comprendo ed apprezzo la natura dell'osservazione dell'onorevole Della Seta. Infatti per noi fra uno Stato fascista e uno Stato democratico; fra uno Stato reazionario e uno Stato democratico e repubblicano vi è una profonda differenza e l'atteggiamento dei lavoratori nei confronti dell'uno o dell'altro tipo di Stato è molto differente e in molti casi anche opposto. Però per noi è una questione di principio. È una necessità per i lavoratori che la loro organizzazione sindacale, lo strumento fondamentale della difesa dei propri interessi e della conquista di nuovi diritti nel campo economico e sociale, sia completamente autonoma e completamente libera da ogni ingerenza statale.

Mazza. E politica.

Di Vittorio. Da ogni ingerenza statale e da ogni ingerenza politica.

Ma quando noi, tenendo conto della tradizione che si è stabilita nel nostro Paese, abbiamo voluto affermare che il riconoscimento giuridico dei sindacati non deve implicare una dipendenza dei sindacati stessi dallo Stato, non abbiamo voluto esprimere nessuna diffidenza verso lo Stato democratico repubblicano; tanto è ciò vero, che nello statuto della Confederazione generale italiana del lavoro è affermato nettamente il principio che i sindacati, oltre a difendere gli interessi economici dei lavoratori, si preoccupano anche della difesa delle libertà democratiche e della Repubblica.

Perciò, nessun sospetto dei lavoratori verso lo Stato democratico e repubblicano; ma noi crediamo che la esigenza dell'autonomia e dell'indipendenza completa dei sindacati rispetto ai poteri dello Stato non sia incompatibile col rispetto che i lavoratori hanno verso lo Stato democratico, ed anzi con la loro volontà di impiegare tutti i mezzi a loro disposizione per difendere lo Stato democratico contro qualsiasi assalto o tentativo di assalto reazionario e monarchico.

In questo stesso articolo è affermato il principio della obbligatorietà dei contratti di lavoro. Io desidero per un momento attirare l'attenzione dei colleghi sulla necessità di questa obbligatorietà.

I sindacati sono abbastanza forti per tutelare efficacemente gl'interessi dei lavoratori, per ottenere la stipulazione di contratti collettivi, che, nei limiti delle possibilità reali, soddisfino le loro esigenze. Però ci si trova molto spesso di fronte a dei datori di lavoro tanto egoisti e tanto antisociali, da non volere riconoscere nemmeno i contratti di lavoro, che sono stipulati liberamente fra le organizzazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori.

In questo caso, l'organizzazione dei lavoratori non ha che un mezzo per far valere il proprio diritto: l'agitazione, lo sciopero, la lotta contro quel datore di lavoro egoista che si rifiuta di accogliere i giusti diritti dei lavoratori. E, naturalmente, siccome il numero di questi datori di lavoro non è così esiguo, come si potrebbe pensare, ciò ci porterebbe a dover scatenare una serie di agitazioni e di lotte, che noi vogliamo evitare al nostro Paese.

Attualmente, il datore di lavoro che non voglia rispettare i contratti (o che non voglia più rispettarli, se ad un certo momento li trova poco convenienti o se, sotto la pressione della disoccupazione, viene ad ottenere l'offerta di lavoratori affamati, a condizioni inferiori a quelle stabilite nei contratti di lavoro), dichiara che il contratto stipulato fra le due organizzazioni non lo impegna personalmente — o perché non è socio o perché, se lo era, si è dimesso —; quindi egli non avrebbe nessun obbligo di osservarlo.

Questa disposizione, sancita nell'articolo 35 della Costituzione e che verrà, naturalmente, come tutti i principî sanciti dalla Costituzione, regolata da una legge, eviterà queste agitazioni, dando efficacia di legge ai contratti di lavoro, e quindi obbligando anche quei datori di lavoro egoisti, antisociali, ai quali ho accennato, a rispettare i contratti collettivi come le leggi sociali.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti