[Il 7 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Della Seta. [...] Occorre proprio, come all'articolo 38, specificare quali economici i beni che appartengono allo Stato, ad enti od a privati?

[...]

Concordiamo pienamente col testo della Commissione — articolo 38 — per quanto concerne il diritto di proprietà. Da un lato il riconoscimento di questo diritto che, affermazione pur esso della personalità sul mondo della materia, non può non essere legittimo quando frutto di un lavoro compiuto; dall'altro tutti quei limiti che della funzione sociale della proprietà sono il riconoscimento. Nell'interesse dello Stato i limiti alla successione legittima e testamentaria. Da parte dello Stato, per pubblico interesse, la espropriazione, salvo indennizzo, della proprietà privata.

[...]

Taviani. [...] Per l'articolo 38, si è detto da qualcuno che, dopo aver affermato e riconosciuto il diritto naturale di proprietà privata, viene a negarla con dei limiti e delle norme.

Non è così: c'è un diritto naturale di proprietà privata, ma, oltre al diritto naturale della proprietà privata, c'è anche il diritto di tutti all'uso dei beni. Ambedue sono diritti naturali e fondamentali nell'ordine economico della società. Non si può negare né l'uno né l'altro. Ed allora abbiamo che, fissato il principio del diritto generale astratto della proprietà privata, la legge positiva lo deve concretare e determinare con norme specifiche, con dei limiti che tengano conto anche del diritto di tutti all'uso comune dei beni. Perciò all'articolo 38 è detto che la legge, nel determinare modalità e limiti, tiene conto di un duplice ordine di scopi: la funzione sociale della proprietà e la possibilità per tutti di accedervi, sicché la proprietà non sia un privilegio di poche persone, ma sia invece un diritto di tutte le persone umane.

[...]

Presidente Terracini. [...] Ha facoltà di parlare l'onorevole Ghidini, a nome della Commissione.

[...]

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. [...] Il solo che abbia portato la discussione in un campo veramente generale e fondamentale è stato l'onorevole Maffioli che ha posto a base del suo ragionamento una concezione dello Stato profondamente diversa da quelle che ha animato la parola de' suoi stessi colleghi. Infatti è certo che non tutti i suoi amici accedono all'opinione da lui espressa. Egli in sostanza professa la concezione dello Stato agnostico; dello Stato che non deve intervenire nel campo economico; che lascia completamente libera l'iniziativa privata; dello Stato che non agisce come elemento attivo di coordinazione, di controllo e di propulsione del fatto economico, ma piuttosto come gendarme dell'ordine esteriore, di quell'ordine dietro il quale si riparano il privilegio di pochi, la miseria di molti e la ingiustizia per tutti.

Ma l'onorevole Maffioli stesso ha sentito tutta l'anacronisticità dal suo pensiero tanto che a un certo punto (se ho ben compreso) ha soggiunto, per temperarne l'asprezza, che bisogna impedire il formarsi del super-capitalismo. Ma egli non si è accorto che in tal modo contraddiceva alle sue stesse premesse. Se si lascia libero sfogo alla legge della libera concorrenza e alla libera iniziativa animata solo dal fine del profitto personale, si arriva pur sempre al supercapitalismo e così a quelle conseguenze che lo stesso onorevole Maffioli depreca, fra le quali primeggia la guerra tremenda che fu la rovina di tanti popoli.

[...]

È possibile parlare di un progetto social-comunista quando si afferma all'articolo 38 che la proprietà privata è assicurata e garantita e all'articolo 39 che l'iniziativa privata è libera?

Non è dunque un progetto social-comunista. È vero che sono affermati vincoli e limiti al diritto di proprietà. Ci sono limiti, perché non si vuole che si formino delle grandi concentrazioni di proprietà che sottraggono all'iniziativa privata grandi strati di produttori e costituiscono a un tempo delle potenze economiche tali che, se anche potessero condurre ad un grado di produttività più elevato, portano altresì a quella potenza politica che, non avendo altro intento che il vantaggio patrimoniale privato, disconosce e travolge gli interessi materiali, morali e politici della collettività scatenando quelle conflagrazioni che ci hanno portato alla miseria attuale.

Noi invece vogliamo che la proprietà si conformi alla sua funzione sociale. Del resto non è cosa nuova se tale concetto è affermato anche nel Codice civile fascista. Non è che io voglia mutuare questo concetto dal fascismo, per quanto, se c'è una cosa buona, io non abbia difficoltà ad accoglierla dovunque provenga perché la mia intransigenza non arriva fino alla cecità. Ma il concetto esisteva anche prima del fascismo ed esiste in tutte le legislazioni del mondo civile.

Quando l'onorevole Maffioli si lamenta dei vincoli posti alla proprietà, egli deve pensare che vincoli ci sono sempre stati. Sarà questione di limiti, e il nostro progetto non dice se questi vincoli dovranno essere più o meno gravi. Essi sono già nel nostro Codice civile per quanto riguarda la bonifica integrale; ci sono vincoli idrogeologici, vincoli al fine del rimboschimento e della sistemazione delle terre; per evitare che sia compromesso il regime delle acque, ecc., e nessuno ha mai sognato di avere in questo modo abolito la proprietà o che i vincoli siano tali da condurre alla paralisi dell'iniziativa privata.

L'onorevole Maffioli ha parlato anche (mi permetta che insista ancora sulle sue osservazioni, onorevole Maffioli, non solo per deferenza ma anche perché ella è stato il solo che veramente abbia portato la questione sopra un campo di indole generale) di altri vincoli, ad esempio dell'espropriazione. Ma basterà che gli ricordi la legge del 1865. Egli ha parlato anche del diritto successorio, lamentando che nel Progetto si alluda ad eventuali diritti dello Stato sulle eredità come se nella nostra legislazione civile, non solo in quella mussoliniana, ma anche in quelle anteriori al fascismo non esistesse già la disposizione che, quando un Tizio muore «intestato» e non vi è parente entro il sesto grado; la proprietà è devoluta allo Stato, il quale diventa così erede legittimo. E poi, indipendentemente da questa disposizione, non va dimenticata la tassa di successione, che in effetti non è una tassa perché non è proporzionata alla spesa del servizio ma un vero e proprio prelievo sul capitale: potrei aggiungere, se non temessi di spaventare ancora di più il collega, che nulla di strano ci sarebbe se questo prelievo che oggi è fatto in denaro domani venisse fatto piuttosto in natura. Concludendo io vorrei persuadere lo stesso onorevole Maffioli che non si trova di fronte a una cosa tanto paurosa come egli crede, ma che si tratta piuttosto di un progetto semplicemente ma indubbiamente progressivo. È un progetto che tende a sbarrare la via al passato regressivo e reazionario e contemporaneamente ad aprire la strada all'avvenire, cioè al progresso, alle profonde riforme, agraria, industriale e bancaria, che qui non vengono affermate, o codificate sotto forma di norma cogente, ma delle quali vengono poste le premesse in base alle quali il legislatore futuro, cioè la volontà popolare futura, possa attuare queste riforme creatrici della auspicata giustizia sociale.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti