[Il 3 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Malvestiti. [...] Mi si permetta perciò di credere che la coordinazione delle attività economiche da parte dello Stato, di cui si parla all'articolo 40, non è utile e feconda se non a due condizioni: che si tratti di difendersi contro la formazione di egemonie monopolistiche, o che, in determinate condizioni di tempo e di luogo, venga in questo modo garantita l'economicità della produzione.
[...]
Cortese. [...] A proposito dell'iniziativa privata e di questo articolo, voglio soffermarmi un attimo sull'emendamento aggiuntivo che ho proposto. L'oratore che mi ha preceduto si è scagliato contro i monopoli, contro queste degenerazioni dell'economia di mercato. Io ritengo che se v'è davvero una rivoluzione liberale da compiere, questa rivoluzione liberale nel campo dell'economia è proprio la rivoluzione diretta a ristabilire l'economia di mercato contro le degenerazioni capitalistiche, contro i cartelli, contro i trusts, contro i pools, contro i monopoli, e contro le sopravvivenze corporativistiche.
Ma non basta, diciamo noi, facendo un passo avanti oltre quello che è stato fatto dai relatori: non basta intervenire per reprimere con l'articolo 40; bisogna prevenire, bisogna impedire che si formino le situazioni monopolistiche. Come? Non potete certo attendervi, o amici e colleghi comunisti, che io dica «collettivizzando»; non sarei più liberale. D'altra parte, collettivizzando faremmo il più grande dei monopoli: l'unico monopolio statale. Noi diciamo: ispirando non solo la politica economica e sociale, ma anche la legislazione nel campo economico, a questa lotta; perché monopoli e cartelli, trusts e pools si formano sempre all'ombra di privilegi legali. Se noi volgeremo la nostra legislazione economica a questa finalità, di sopprimere questi privilegi, di impedire che all'ombra di questi privilegi, di questi protezionismi, mediante monopoli, trusts, brevetti a catena, si possano costituire concentrazioni che, manovrando artificialmente le condizioni del mercato, determinino soprattutto il danno del consumatore, noi potremo ricondurre l'economia di mercato alle sue norme fondamentali; correggendo le degenerazioni del capitalismo, riaffermeremo la economia di concorrenza, e nello stesso tempo non saremo passati ad un'altra concezione economica che non condividiamo.
E vi è anche un aspetto politico: noi diciamo e affermiamo ogni giorno che la libertà economica è collegata più che non si creda alla libertà politica, perché attraverso l'economia controllata e statizzata ci si avvia, per inevitabile necessità, alla dittatura politica, diciamo anche che queste degenerazioni capitalistiche, questo formarsi di feudalismi industriali, incidono sulla libertà politica, perché anche qui si forma una dittatura economica che diventa una dittatura politica. E come il feudalismo medioevale dovette cedere di fronte alla monarchia assoluta, noi affermiamo che se il feudalismo industriale non ritornerà alle leggi della libera concorrenza, esso si piegherà alla monarchia del collettivismo centralizzato.
Ho perciò presentato il seguente emendamento aggiuntivo all'articolo 39: «La legge regola l'esercizio dell'attività economica al fine di difendere gli interessi e la libertà del consumatore». Il che significa vigilare ed intervenire, prevenire e reprimere, attraverso una legislazione antiprotezionistica e antimonopolistica, affinché la vita economica, fondata sull'iniziativa privata, si svolga nel rispetto della legge della concorrenza e dei principî che sono propri all'economia di mercato.
L'articolo 40, invece, si limita a trasferire i monopoli dal privato allo Stato o a comunità «per coordinare le attività economiche».
Noi, anche per questo articolo abbiamo proposto un emendamento. Noi diciamo che non è già per coordinare le attività economiche che la legge interviene. Questo, se è necessario ai fini sociali, è stabilito dall'articolo precedente. Ma volere intervenire per trasferire i monopoli allo Stato, finalizzando l'intervento col coordinamento delle attività economiche, può essere l'espressione di una concezione particolare, o colleghi comunisti, ma non può essere l'espressione di una concezione condivisa da tutti, perché dietro questa norma, attraverso queste parole che finalizzano la norma, vi è innegabilmente l'ombra della pianificazione. Noi diciamo che non è già per coordinare in un piano le attività economiche, che lo Stato debba intervenire, ma per assicurare il benessere della collettività, e per difendere soprattutto quel tale consumatore che io non vedo ricordato in questo Titolo dei rapporti economici, non vedo nominato in nessun articolo; eppure è lui il protagonista vero, perché tutti siamo consumatori, tutti i cittadini sono consumatori, e difendere, il consumatore significa soprattutto difendere gli interessi delle categorie meno abbienti. La difesa del consumatore diventa anche difesa sociale per l'affermazione di una migliore giustizia sociale. L'imposizione del prezzo manovrato in situazioni monopolistiche rende più aspra la diversità del tenore di vita. Non è già dunque per coordinare le attività economiche, ma è per assicurare questa difesa, per tutelare questi interessi che lo Stato può riservare originariamente a sé o trasferire i monopoli. Perché diciamo «può» e non «deve»? Perché lo Stato può anche non essere in grado di farlo. Oggi l'onorevole Campilli ci direbbe che lo Stato non è in grado di farlo, perché non può assumersi un onere finanziario in questo momento per la gestione di certi complessi industriali. Affermiamo il principio; se lo Stato potrà farlo, lo farà. Lo farà con un criterio di gradualità, lo farà man mano che potrà essere possibile farlo, attraverso una selezione; ma se si stabilisce qui «deve», ci sarebbe il dovere giuridico, il dovere costituzionale dello Stato di farlo, tutto ad un tratto e con contemporaneità di attuazione.
Una voce. Ma non c'è «deve».
Cortese. C'è, perché quando si dice che «per coordinare le attività economiche la legge riserva o trasferisce...» vi è qualcosa di imperativo in questa espressione, che non consente discrezionalità. Quando si verificano talune condizioni previste nella parte successiva dell'articolo, cioè quando ci si trova di fronte a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio che hanno carattere di preminente interesse generale, alla stregua della lettera di questo articolo, lo Stato deve senz'altro procedere al trasferimento o all'assunzione del monopolio.
Dicendo «può», lo Stato non si impegna in modo assoluto. Lo farà di volta in volta, in considerazione di condizioni contingenti, con specifiche e determinate leggi.
[...]
Colitto. [...] Ma dire «funzione sociale» è dire, in sostanza, «limiti» alla signoria dominicale. Ecco, quindi, la Costituzione, negli articoli 38, 40 e 41 occuparsi di essi, rimandandone, peraltro, la precisazione alla legge. Sarà la legge che: a) determinerà della proprietà i modi di acquisto e di godimento; b) autorizzerà (ripeto qui l'espressione, a mio avviso, inesatta dell'articolo 38) la espropriazione, per motivi d'interesse generale, della proprietà privata, salvo indennizzo; c) determinerà i limiti della proprietà, allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti; d) imporrà obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, ne fisserà i limiti in estensione, abolirà il latifondo, promuoverà la bonifica delle terre e l'elevazione professionale dei lavoratori, aiuterà la piccola e la media proprietà.
Come si vede, si parla ora di «vincoli», ora di «limiti», ora di «obblighi», da imporre alla proprietà privata, usandosi termini diversi per indicare la stessa cosa, il che non è certo da approvarsi in un testo di legge; si stabilisce che «la legge» dovrebbe «autorizzare la espropriazione» per motivi di interesse generale, mentre la legge deve indicare soltanto i motivi, l'autorizzazione alla espropriazione derivando dalla norma primaria, che è la Costituzione; si parla di elevazione professionale dei lavoratori a proposito dello sfruttamento del suolo, mentre non è dubbio che di elevazione professionale dei lavoratori è a parlare in ogni campo nel quale una attività lavorativa si svolga; si parla di aiuti alla piccola e media proprietà, quasi che la grande proprietà fosse da ritenere senz'altro un elemento negativo per il progresso agricolo.
Bisogna, a mio avviso, chiarire, semplificare, precisare. Basterà, all'uopo, fondere insieme gli articoli 38 e 41 in un solo articolo, che io ho proposto doversi redigere così:
«La proprietà privata è garantita entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi che l'ordinamento giuridico stabilisce anche allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Può essere espropriata per motivi di interesse generale, dichiarati con legge, contro indennizzo».
A tale norma potrebbe seguire l'articolo 40 redatto così:
«Per soddisfare esigenze preminenti di servizi pubblici od utilizzare fonti di energia o rimuovere monopoli privati, non confacenti all'interesse generale, lo Stato e gli enti pubblici possono, in base a disposizioni di legge, assumere direttamente o indirettamente determinate imprese o categorie di imprese con trasferimenti di beni e complessi di beni, salvi gli espropri e gli indennizzi da stabilire con legge».
[...]
g) La nuova formulazione, da me proposta, dell'articolo 40 sembrami più precisa. Nel testo del progetto si parla di: «determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio».
Non mi pare che sia esatto parlare di imprese, che «si riferiscano» a situazioni di monopolio e mi sembra strano, poi, che si esproprino le imprese «per coordinare» le attività economiche. È preferibile, invece, dire che l'assunzione di esse da parte dello Stato e degli enti pubblici ha luogo «per soddisfare esigenze preminenti di servizi pubblici od utilizzare fonti di energia o rimuovere monopoli privati». È bene anche sottolineare che non basta che una impresa assuma carattere di monopolio, perché la si possa espropriare: occorre ancora che il monopolio contrasti con l'interesse generale. Vi deve essere incompatibilità fra il dominio privato e l'interesse pubblico. Se così non fosse, si arriverebbe alla conseguenza che, mentre da una parte si affermerebbe la necessità della libera iniziativa e della proprietà privata, dall'altra si darebbe allo Stato la più vasta ed indeterminata possibilità di togliere ai cittadini il prodotto della propria attività per trasferirlo o ad enti pubblici o a comunità di utenti.
[...]
Maffioli. [...] Dunque non si può più parlare di libera iniziativa economica privata, ma al più di iniziativa controllata o pianificata, quando la proprietà privata di cui la libera iniziativa è l'attributo essenziale, sia limitata ad ogni momento dallo Stato nel suo modo di acquisto e di godimento.
[...]
Né basta. Nell'articolo 40 si riconferma per l'ennesima volta il diritto dello Stato di espropriare ciò che meglio creda in fatto di imprese singole o addirittura di categorie di imprese.
A cura di Fabrizio Calzaretti