[Il 7 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Della Seta. [...] Per quanto riguarda l'attività produttrice, ben si trovano, nel progetto, riconosciute le tre forme: la iniziativa privata individuale (art. 39); la iniziativa privata collettiva, cioè la cooperazione (art. 42); nonché la iniziativa esclusivamente collettiva, cioè la socializzazione (art. 40).

Noi repubblicani siamo troppo assertori di libertà, per non apprezzare, pur nel campo economico, il valore della iniziativa privata, che altro limite non può avere se non il pubblico interesse. E troppo, conforme agli insegnamenti del Maestro, siamo stati e siamo, sempre, caldi fautori del cooperativismo, per non aderire a questa forma, morale e moralizzatrice, dell'attività produttrice e per la quale l'opportuna vigilanza dello Stato — vigilanza diciamo e non tutela — non può limitare quella interna autonomia che è la condizione prima del suo retto funzionamento e del suo sviluppo. Se un qualche riserbo noi abbiamo è per la socializzazione. Riserbo diciamo e non preconcetta avversione. Noi non neghiamo che un qualche complesso industriale possa, per il pubblico interesse, essere socializzato; ma questa socializzazione deve essere suggerita, caso per caso, dalla esperienza e non obbedire ad un piano prestabilito di una radicale e totalitaria pianificazione. In questa pianificazione il cittadino lavoratore e produttore perde pur l'ombra della sua personalità. Molto apprezziamo perciò la grande sobrietà con la quale l'articolo 40 è stato formulato.

[...]

Taviani. [...] Dell'articolo 40 l'onorevole Della Seta ha lodato la sobrietà, ed effettivamente esso non vuole precludere alcuna delle nuove formule di soluzione dei problemi industriali, che possono affiorare dallo sviluppo della tecnica e della economia. Anche noi aderiremmo ad un eventuale emendamento, che fissasse meglio lo scopo dell'intervento dello Stato per una socializzazione o nazionalizzazione, che non si limitasse al solo aspetto di coordinare le attività economiche, ma lo riferisse più ampiamente al bene comune, o, se si vuole, all'utilità generale; cioè che solo al fine dell'utilità generale la legge possa riservare o trasferire la proprietà di singoli beni o di categorie di beni alla comunità.

[...]

Di Vittorio. [...] I monopoli economici, la cui realizzazione scandalizza ancora qualcuno anche nella nostra Assemblea, non hanno nessuna funzione socialmente utile. Sono i monopoli economici che anche nel nostro Paese sono giunti a limitare artificialmente la produzione e in molti Paesi sono giunti a distruggere anche quantità di prodotti per mantenerne elevati i prezzi, mentre una parte notevole delle masse lavoratrici e popolari non aveva la possibilità di accedere a quei prodotti, di cui avrebbe avuto estremo bisogno. Bisogna liberare la nostra economia nazionale dai monopoli e dal latifondo per riuscire a realizzare le premesse di una rinascita economica ed effettiva del nostro Paese ed anche di un profondo rinnovamento democratico dell'Italia. Bisogna persuadersi, onorevoli colleghi, che nelle masse popolari del nostro Paese è penetrata profondamente la coscienza che i diritti esclusivamente politici non bastano più; è penetrata la coscienza della necessità della realizzazione delle riforme sociali di struttura della economia, che sono la sola garanzia effettiva e positiva del godimento dei buoni diritti che la Carta costituzionale riconoscerà ai lavoratori italiani.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti