[Il 13 maggio 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 41 per il testo completo della discussione.]

Einaudi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Einaudi. Ricordo di aver proposto due emendamenti all'articolo 39, il quale verrebbe ora fuso con l'articolo 37. Tali emendamenti decadrebbero, senza che avessi avuto modo di svolgerli.

Presidente Terracini. Onorevole Einaudi, lei ha proposto due emendamenti all'articolo 39:

«Sopprimere le parole: in contrasto con l'utilità sociale o»;

«Aggiungere il seguente comma:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

Ritengo che possano essere considerati come emendamenti al testo concordato dell'articolo 37 e quindi ha facoltà di svolgerli ora.

Einaudi. [...] E passo quindi all'emendamento, all'aggiunta che ho proposto. Questa aggiunta deriva dalla necessità, da me sentita, di cercare di scoprire cioè quale era il vero contenuto di tutte queste norme, sia dell'articolo 37 congiunto coll'articolo 39, sia dell'emendamento dell'onorevole Arata, accettato da tanta parte dell'Assemblea.

Le disposizioni contenute in quegli articoli non segnavano in realtà alcun indirizzo al legislatore; non dicevano al legislatore ciò che egli doveva fare; dicevano semplicemente che il legislatore in avvenire farà tante belle cose e darà tanti indirizzi, e stabilirà dei controlli e dei programmi e dei piani. Io credo che fra programmi e piani nel dizionario dei sinonimi del Tommaseo non vi sia alcuna differenza: le due parole esprimono lo stesso concetto.

Malagugini. Una parola fa paura e l'altra no.

Einaudi. Sono parole che esprimono il medesimo concetto. In nessuno di questi due articoli è espresso il concetto che principalmente il legislatore deve enunciare.

Ora, ciò che il legislatore principalmente deve dire e proporsi come scopo è la lotta contro quello che è il male più profondo della società presente: e il male più profondo della società presente non è la mancanza di programmi e di piani — ché ne abbiamo avuti fin troppi — ma è invece l'esistenza di monopoli. Cento anni fa Proudhon ha detto che «la propriété c'est un vol», proposizione gravemente erronea allora come adesso, e testimonianza della incompetenza in cui egli versava intorno alle conquiste della scienza di quel tempo. Dieci anni prima era infatti stato pubblicato da Agostino Cournot un libro fondamentale sui principî della scienza della ricchezza dove Proudhon avrebbe appreso che non è la proprietà un furto, ma è il monopolio il furto, è il monopolio il danno supremo dell'economia moderna. Noi, in questa Costituzione, del monopolio non ne parliamo affatto. Ne parliamo solo all'articolo 40 incidentalmente, per dire che lo Stato deve farsi seguitatore e quasi complice dei monopolisti nel senso dell'assumere esso quei monopoli con cui i monopolisti privati riescono a fare il danno della collettività. È come se dinanzi al ladrone pubblico che svaligia i viandanti, noi si dicesse al carabiniere: tu non arresterai il ladrone, ma anzi ti convertirai in ladrone e a tua volta spoglierai coloro che camminano per le strade. Questo è in sostanza quello che abbiamo detto nell'articolo 40 a seguito dei principî posti negli articoli 37 e 39, trascurando la novità fondamentale dell'economia moderna, il frutto maggiore degli studi che in un secolo sono stati compiuti per vedere qual è l'origine dei mali sociali. L'origine più profonda e vera dei mali sociali è il monopolio e noi nel testo costituzionale non diciamo niente, non facciamo niente per combattere, per lottare contro il monopolio.

Chiedo perciò che nella Costituzione sia sancito il principio che la legge non deve creare il monopolio e che quando i monopoli esistono, questi monopoli devono essere controllati. La legge non deve istituire essa i monopoli, non deve farsi essa stessa strumento di creazione di monopoli.

Monopolio che cosa vuol dire? Monopolio vuol dire semplicemente rialzo, ad opera del monopolista, dei prezzi al di sopra di quelli che esisterebbero in regime di libera concorrenza, e se i prezzi sono alti i consumatori devono rinunziare ad una parte dei beni che altrimenti avrebbero consumato, mentre altri che avrebbero potuto essere invogliati a produrre quei beni non li possono, per la mancanza di domanda, produrre. Di qui la disoccupazione. L'origine più profonda della disoccupazione è nell'esistenza dei monopoli che riducono la quantità dei beni, che aumentano i prezzi del resto dei beni che ancora si producono, che aumentano i profitti dell'imprenditore al di sopra di quello che sarebbe dovuto quale compenso normale al capitale investito, al di sopra di quello che sarebbe il compenso normale dell'opera dell'imprenditore. Il monopolio crea quelle disuguaglianze sociali che in tanti articoli della Costituzione si vorrebbero eliminare, e noi non diciamo nulla, non stabiliamo neppure il principio che la legge non deve operare in modo che sorgano i monopoli, vera fonte della disuguaglianza, vera fonte della diminuzione dei beni prodotti, vera fonte della disoccupazione delle masse operaie. Non dicendo nulla creiamo una profonda lacuna nel nostro sistema legislativo. Io non affermo che nello statuto fondamentale dello Stato si debbano indicare le norme con le quali la legge debba cessare dal creare dei monopoli, perché cadremmo nel vizio del legiferare senza adeguata meditazione. Affermo soltanto che è necessario che nella Costituzione sia stabilito il principio che la legge non deve creare i monopoli.

Purtroppo da noi la legge ha creato e sta creando monopoli. Li crea quando stabilisce un sistema di brevetti così congegnato da non attribuire soltanto il dovuto premio agli inventori, ma da non consentire alla collettività di utilizzare per un periodo di tempo indefinito e troppo lungo le invenzioni. Crea i monopoli, in quanto rende possibile la esistenza non solo delle società anonime che sono uno strumento utile, ma ne consente la degenerazione quando esse si svolgono a catena. La legge, stabilendo limitazioni ai nuovi impianti industriali, crea monopoli a favore degli stabilimenti già esistenti. La legge, decretando protezione doganale, la quale non sia strettamente limitata nel tempo — e quasi nessuna protezione doganale è limitata nel tempo — crea i monopoli di coloro che non hanno più timore della concorrenza straniera, e sono liberi di taglieggiare congruamente i consumatori.

Noi dobbiamo perciò stabilire, per lo meno, il principio che la legge non debba essere essa stessa a creare dei monopoli. Quando poi i monopoli esistono, indipendentemente dall'opera della legge, noi dobbiamo chiedere che siano soppressi ed eliminati, quando esistono, noi dobbiamo affermare, in generale, che opportuni metodi siano adottati per controllare i monopoli medesimi.

Non è necessario che nella Costituzione siano stabilite le modalità precise del controllo. Nell'emendamento, dopo aver detto che la legge non è strumento di formazione di monopoli economici, si aggiunge che, ove questi esistano, essa li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazioni pubbliche delegate o dirette.

I mezzi per controllare i monopoli sono infiniti e vari. Non dobbiamo adesso stabilire quali devono essere, ma dobbiamo dire che vi debbono essere mezzi per controllare i monopoli. Il controllo deve effettuarsi sempre per via di una amministrazione pubblica ma il compito può essere anche delegato. Esempi numerosi ed antichi di delegazione si possono citare. Tutti i consorzi dei porti italiani non sono forse delegazioni a speciali enti pubblici per controllare una gestione che, se lasciata ai privati senza limiti, darebbe luogo al monopolio dell'esercizio di un determinato porto? Il legislatore italiano ha sottoposto alcuni principali porti a controllo unitario, ossia secondo un piano o programma od ordinamento (quante parole per esprimere il medesimo concetto!), fin da un mezzo secolo, e l'esempio può essere continuato ed allargato. Quando noi abbiamo stabilito che l'istituto di emissione sia un ente pubblico e non vi debbano essere più azionisti privati, ma soltanto partecipanti pubblici, quando abbiamo detto che i dirigenti degli istituti di emissione devono essere nominati e graditi dal Governo, non abbiamo forse noi creato un'amministrazione pubblica e sottoposta al controllo da parte dello Stato?

Quando si creano dei consorzi di irrigazione, quando si regolano le casse di risparmio, in fin dei conti, noi costituiamo amministrazioni pubbliche delegate dallo Stato ad esercitare una funzione alla quale per il suo carattere eventualmente monopolistico o per altre ragioni noi attribuiamo carattere pubblicistico.

Può darsi sia conveniente usare anche altre forme e le abbiamo usate anche in Italia. Vi sono società anonime, il cui azionista, l'unico azionista, è lo Stato. Talvolta lo Stato è solo un azionista preponderante. Che male c'è? Se ci sono delle brave persone le quali affidano il proprio capitale allo Stato sotto forma di sottoscrizione alle azioni di una società anonima e lasciano che lo Stato, che ha il pacchetto della maggioranza, regoli i criteri dell'amministrazione, distribuisca o non dividendi, abbiamo creato, con un costo bassissimo per lo Stato, una collaborazione non certo dannosa alla cosa pubblica, fra risparmiatori privati e lo Stato.

Nella Costituzione non deve certamente essere affermato debba darsi la prevalenza all'uno o all'altro sistema concreto; può anche darsi si passi da un sistema all'altro. Le circostanze di ogni momento ed industria monopolistica consiglieranno la soluzione più opportuna.

In Italia il monopolio delle ferrovie, il monopolio che sino adesso è stato il più importante e perfetto che esistesse — ora non è più perfetto, perché contro il monopolio dei trasporti da parte delle ferrovie sono sorti i trasportatori privati con autocarri e automobili — ha dato luogo ai sistemi più diversi: dall'esercizio di Stato puro, siamo passati nel 1886 ad un sistema misto di tre società delegate private. Nel 1906 siamo tornati all'esercizio di un'amministrazione autonoma statale. Oggi siamo praticamente in regime d'amministrazione diretta di Stato delle ferrovie. I metodi di esercizio delle imprese monopolistiche pubbliche sono infiniti. Forse, fra i diversi metodi, quello dell'amministrazione delegata a un ente pubblico è preferibile a quello dell'amministrazione diretta. Ma in questa sede non dobbiamo dare soluzioni concrete; dobbiamo soltanto affermare il principio fondamentale che la legge non deve creare monopoli e quando questi monopoli esistono, essi devono essere controllati per via d'una amministrazione pubblica o privata. La mia aggiunta coincide con le norme che sono state proposte da altre parti dell'Assemblea. Specifico però e indico quale è in realtà il male fondamentale, la causa dei mali sociali odierni. Ove non ci si rendesse conto dell'importanza del problema noi mancheremmo al nostro dovere che è di combattere il fondamentale fra i mali sociali.

[...]

Presidente Terracini. [...] Passiamo alla votazione del comma aggiuntivo presentato dall'onorevole Einaudi:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

Cortese. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Cortese. Avevo presentato e svolto il seguente emendamento aggiuntivo all'articolo 39, emendamento che voleva, appunto, orientare il legislatore futuro ad una legislazione antiprotezionista:

«La legge regola l'esercizio dell'attività economica al fine di tutelare gli interessi e la libertà del consumatore».

Aderisco, ora, all'emendamento Einaudi, ritirando il mio.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dire rapidamente le ragioni per le quali, pur apprezzando l'emendamento presentato dall'onorevole Einaudi, non siamo favorevoli ad accoglierlo.

L'onorevole Einaudi ha qui, con un'interessante esposizione contro il monopolio, ribadito concetti che ha sempre sostenuto con grande nobiltà e dignità scientifica. Il suo atteggiamento contro il monopolio risponde ad una concezione profondamente liberale; ma non presuppone l'ipotesi di una libera concorrenza, che spontaneamente ed automaticamente divide ogni monopolio. Su quest'ipotesi è sorta — due secoli fa — la scienza allora nuova dell'economia politica. Tutta una fase del pensiero scientifico, in economia, riteneva che bastasse la libertà e la concorrenza, perché l'optimum si verificasse e non vi fossero monopoli. Si è constatato invece che questo non avviene; che la libera concorrenza fa sorgere deviazioni, approfittamenti, monopoli, ed allora la corrente liberale o neoliberista, di cui l'onorevole Einaudi è autorevole campione, vuole che, per combattere il monopolio, si restauri la libera concorrenza, una libera concorrenza che sarebbe non dirò artificiale, ma non spontanea e naturale. Occorrono interventi dello Stato per ristabilire e mantenere la libera economia di mercato: ed io ho avuto occasione, poco fa, di accennare che in alcuni casi si richiederebbero interventi, a fine di libertà, macchinosi come gli interventi che spaventano i liberisti.

È una posizione legittima, ma non così semplice... Dopo aver premesso questo rilievo, con tutta riverenza per un maestro come l'onorevole Einaudi, osservo che la direzione al suo emendamento è molto accentuata, e può giungere appunto alle ingerenze che ho ricordato. Dice da un lato: «La legge non è strumento di formazione di monopoli economici»; ma non sembra probabile che una legge dichiari apertamente che vuol introdurre un monopolio a favore di privati; e non è facile colpire se lo fa indirettamente o nascostamente. L'emendamento sottopone poi a pubblico controllo i monopoli a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta. Ed è qui che si dispiega la macchina antiliberista dei controlli. Controlli di squisita essenza interventista, con uffici, organi, burocrazia di vigilanza.

Vi è infine un'altra osservazione che mi parrebbe decisiva. Il nostro progetto di Costituzione consente già armi sufficienti contro il monopolio. Nell'articolo che ora abbiamo votato, che ammette il coordinamento ed i controlli a fini sociali, vi è la facoltà di impedire la formazione dei monopoli. Nell'articolo 40 si prevede che quando si sono formati i monopoli, si può intervenire per nazionalizzarli. Lo scopo dell'onorevole Einaudi può essere raggiunto senza una formula, che presuppone una concezione economica discutibile. Ad ogni modo, lo ripeto, c'è già nella Costituzione quanto basta per combattere i monopoli.

Dominedò. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Dominedò. Noi siamo profondamente sensibili alla esigenza di aggredire il monopolio. Pensiamo che l'esistenza di monopoli, naturali o volontari, sia il maggiore ostacolo perché la democrazia economica irrompa negli schemi della democrazia politica.

Ma, ciò premesso, dobbiamo osservare, dopo le considerazioni del professore Einaudi, che il problema dei monopoli, materia centrale della Costituzione in sede sociale ed economica, risulta affrontato di proposito nell'articolo 40, dove il sistema monopolistico, oggi in fatto operante, è affrontato sotto più aspetti ai fini della trasformazione dell'impresa monopolistica in impresa socializzata. Cosicché, si arriva quivi alla ipotesi estrema: l'avocazione, in forza della quale il monopolio privato passa allo Stato o alla collettività. Resta l'ipotesi minore, laddove eventualmente non si possa giungere alla tesi della trasformazione dell'impresa monopolistica privata in impresa socializzata pubblica.

Ora, per tale caso, opera pienamente l'articolo che abbiamo testé votato, il quale contempla la possibilità o la necessità dei controlli nei confronti di ogni formazione non rispondente ad utilità sociale, fra le quali in primo luogo sono da considerare quelle monopolistiche. Posto tale spirito di tutta la Carta costituzionale, la quale affronta il problema dei privilegi e dei monopoli giungendo sino alla loro socializzazione, appare evidente che resta così assorbita anche la prima parte dell'emendamento Einaudi, laddove si vorrebbe espressamente che la legge non possa creare sistemi monopolistici: a fortiori questa eventualità sarà normalmente preclusa, una volta che la Costituzione già si cura, nei confronti di quelli esistenti, di arrivare al loro controllo o addirittura alla loro soppressione.

Per tutto ciò noi, pur comprendendo e condividendo lo spirito al quale si informa l'emendamento Einaudi, siamo formalmente contrari al suo accoglimento, ritenendo che i criteri da esso espressi siano esplicitamente od implicitamente contenuti nello schema delle disposizioni votate o votande. (Approvazioni al centro).

Einaudi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Einaudi. Volevo osservare soltanto che la configurazione storica che è stata posta innanzi dal Presidente della Commissione, che la concorrenza crei i monopoli, è una configurazione non conforme ai fatti. (Interruzione dell'onorevole Ruini).

Non occorre fare in questo momento valutazioni intorno all'importanza storica relativa delle varie cause dei monopoli. La importanza relativa dei monopoli creati dalla legge è minore di quella dei monopoli sorti da altre cause? Lasciamo la soluzione del problema storico agli storici dell'economia. Affermo soltanto che, laddove il monopolio è creato dalla legge, si debbono stabilire norme che facciano sì che l'indirizzo del legislatore sia quello di non creare nuovi monopoli. Quando poi i monopoli sono nati, bisogna affermare il diritto dello Stato ad esercitare controlli sui monopoli medesimi. L'inclusione, nell'articolo 40, della norma che i monopoli saranno nazionalizzati, non è sufficiente ed è simile, ripeto, a quella norma che stabilisse che il custode della pubblica sicurezza si faccia lui svaligiatore dei viandanti in luogo dei delinquenti. Se non vogliamo rendere lo Stato complice dei monopolisti, noi dobbiamo stabilire il principio che la legge non debba creare monopoli, e se questi sono creati, debba sottoporli a pubblici controlli. Se noi non stabiliremo questo principio fondamentale, noi non avremo adempiuto in questa materia al nostro ufficio essenziale.

Presidente Terracini. Pongo in votazione il comma aggiuntivo proposto dall'onorevole Einaudi:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

(Non è approvato).

[Per la parte qui di seguito si rimanda al commento all'articolo 42 per il testo completo della discussione.]

[...]

Presidente Terracini. [...] L'onorevole Bruni ha già svolto il seguente emendamento:

Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43 coi tre seguenti:

I.

«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.

«Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune».

II.

«I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.

«Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione».

III.

«La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».

[...]

Presidente Terracini. Prego l'onorevole Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione, di esprimere il parere della Commissione per la Costituzione sugli emendamenti presentati all'articolo 38.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. [...] Vi è poi un emendamento che per verità precede ma che avevo dimenticato. È l'emendamento sostitutivo degli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43, presentato dall'onorevole Bruni.

Sono tre articoli costituenti un unico emendamento. Mi limito a leggere solamente il primo:

«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale».

Ci troviamo di fronte alla proposta di una rivoluzione completa dell'ordinamento economico del nostro Paese. Non è il comunismo statale, che vi si propone, ma il comunismo delle associazioni, il comunismo delle collettività.

Io non voglio dire che il pensiero dell'onorevole Bruni non sia un pensiero elevato e non possa in un domani, più o meno prossimo, diventare una realtà, ma devo dire che noi non abbiamo inteso col progetto di Costituzione di mutare essenzialmente il sistema economico vigente.

Diamo atto che l'attuale è una situazione di transizione, ma non è tale da consentire una rivoluzione così profonda, come questa che egli ha suggerito nel suo emendamento.

È per questa ragione di acronisticità che la Commissione non ritiene di potere accogliere l'emendamento dell'onorevole Bruni.

[...]

Presidente Terracini. Chiederò ai presentatori di emendamenti se, dopo le dichiarazioni della Commissione, intendano mantenerli. L'onorevole Bruni ha presentato un nuovo testo integrale che dovrebbe sostituire sei articoli del testo. Intende mantenere, onorevole Bruni, la sua proposta?

Bruni. La mantengo.

[...]

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento dell'onorevole Bruni:

«Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42, e 43 coi tre seguenti:

I.

Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.

Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune.

II.

I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.

Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione.

III.

La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».

Questi articoli rappresentano un complesso che non è possibile suddividere in parti corrispondenti alle disposizioni dell'articolo 38.

Occorre perciò che io chieda all'Assemblea se accetta di assumere i tre articoli proposti dall'onorevole Bruni come eventuale base di una discussione sui problemi che abbiamo esaminato in quest'ultima ora e su quelli che dovremo esaminare prima di concludere l'esame del Titolo III. Pongo pertanto ai voti questa questione generale di principio.

Nel caso che la proposta fosse accettata dall'Assemblea, dovremmo esaminare nel loro complesso tutte le disposizioni dei sei articoli considerati dall'onorevole Bruni; altrimenti riprenderemo la strada che abbiamo percorsa fino ad ora.

(Non è approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti