[Il 2 ottobre 1946, nella seduta pomeridiana, la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'intrapresa economica.]

Il Presidente Ghidini rende noto che l'onorevole Taviani ha dichiarato di mantenere per il suo articolo la seguente formulazione: «Lo Stato ha il diritto di controllare la ripartizione e l'utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell'interesse di tutto il popolo.

«In vista di questi scopi lo Stato impedirà l'esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

Taviani, Relatore, fa presente che non trattasi punto di una formulazione precisa, volendo prima sentire l'opinione dei colleghi sui due singoli punti.

Canevari, desiderando fare anche un'affermazione relativamente alle imprese agricole, propone il seguente testo:

«L'impresa agricola deve avere di mira il benessere della collettività nazionale ed una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra.

«La legge dovrà promuovere un movimento di trasformazione che, sviluppandosi nel tempo, determini negli uomini, nella politica e nella economia del Paese le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un'agricoltura in via di continuo progresso, condotta dal lavoro associato per il maggiore benessere dei singoli e della collettività».

Taviani, Relatore, accetta la proposta dell'onorevole Canevari quale concetto da inserire nella relazione, come illustrazione dell'articolo sulla proprietà terriera.

Presidente Ghidini, salvo il riferimento alle imprese agricole, che potrebbe trovare posto in altra sede, gli sembra che le due formulazioni si equivalgano.

Assennato, premesso che la Costituzione deve contenere anche quelle dichiarazioni che servano ad imprimere un moto propulsivo alla società, propone il seguente testo:

«Allo scopo di assicurare il benessere della collettività ed una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra, la Repubblica controllerà la ripartizione e l'utilizzazione del suolo, favorendo la trasformazione agraria ed impedendo l'esistenza e la formazione di grandi proprietà fondiarie».

Corbi propone a sua volta la formula seguente, che gli pare più concreta e sintetica di quella proposta dall'onorevole Canevari, abbracciando nel medesimo tempo sia i concetti dell'onorevole Canevari stesso che quelli dell'onorevole Taviani:

«Nell'interesse della collettività e per assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra, la Repubblica ha il diritto di controllare la ripartizione e l'utilizzazione del suolo.

«La Repubblica impedirà l'esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere private».

Precisa che nella espressione: «interesse della collettività», si deve intendere anche implicitamente il concetto di una maggiore produttività.

Il Presidente Ghidini sarebbe contrario a porre troppo in evidenza il concetto esposto dall'onorevole Corbi, esprimendo il timore di eventuali opposizioni che renderebbero meno agevole l'approvazione dell'articolo. È del parere invece che la formula dell'onorevole Taviani sia semplice e completa, andando nel medesimo tempo incontro alle comuni aspirazioni. Sopprimerebbe però la parola: «ripartizione».

Corbi non condivide il pensiero del Presidente, né sopprimerebbe la parola: «ripartizione», poiché in essa è implicito il concetto di riforma.

Il Presidente Ghidini ritiene che la parola «ripartizione» non esprima il concetto della riforma agraria come egli la intende e che si attuerebbe in due modi: il primo mediante il controllo della produzione, e il secondo mediante lo sfruttamento della terra da parte di organi della comunità.

Corbi insiste sulla necessità del controllo da parte dello Stato della ripartizione del suolo. Esprime poi l'avviso che un articolo che tratta della proprietà terriera deve particolarmente menzionare chi la terra vive e la lavora. Per questo motivo ritiene necessario insistere nel proprio punto di vista, onde evitare di ricadere negli errori del passato, allorché le esigenze dei lavoratori della terra erano totalmente misconosciute.

Canevari afferma di non preoccuparsi della grande proprietà terriera che, anzi, preferisce alla piccola, ma della riforma agraria, la quale deve trovare la sua effettiva attuazione in altri provvedimenti, diversi da quelli proposti, come la trasformazione delle colture, la vigilanza dello Stato, l'incremento delle aziende agricole condotte da lavoratori associati, le facilitazioni per l'associazione della piccola proprietà e l'abbinamento all'agricoltura delle industrie ad essa attinenti. Questi dovrebbero essere i criteri base in relazione al problema della riforma agraria.

Colitto ritiene opportuno, anzi necessario, che si parli nella Costituzione di intervento dello Stato diretto a controllare l'utilizzazione del suolo. Non ritiene, invece, che si debba approvare l'articolo per quanto si riferisce al controllo circa la ripartizione del suolo. Se tale controllo non è semplicemente platonico, ma tende ad una espropriazione, è inutile ripetere quello che s'è già detto in altro articolo. A parte il rilievo che è assurdo parlare ad ogni piè sospinto di espropriazione, egualmente ritiene che non meriti approvazione l'ultima parte dell'articolo, sia perché vi si parla di proprietà terriera e non anche di proprietà urbanistica e non si comprende la ragione del trattamento di favore fatto a quest'ultima nei confronti della prima, sia perché è molto generica la dizione, essendo difficile distinguere la grande dalla media e piccola proprietà, sia infine perché in tanto l'esistenza o il formarsi della grande proprietà sono da impedire, in quanto ciò rechi pregiudizio alla collettività. Propone, quindi, che almeno di tale rilievo si tenga conto nel comma proposto.

Dominedò dà lettura della seguente formulazione da lui proposta come base di discussione per una possibile intesa:

«Allo scopo di assicurare il benessere della collettività e di favorire l'elevazione dei lavoratori della terra, lo Stato può controllare l'utilizzazione del suolo nell'interesse nazionale, promovendo la trasformazione agraria a vantaggio della produzione».

Rileva che con questa formulazione, la quale prende come punto di partenza l'articolo formulato dall'onorevole Taviani, si introduce, in relazione alla proposta dell'onorevole Assennato, l'accenno a quella tutela particolare del lavoratore che costituisce una nota dominante rispetto alla tutela dell'interesse generale, mentre si tiene altresì conto dell'accenno fatto dall'onorevole Canevari circa la trasformazione agraria, la quale costituisce un'esigenza sovrastante il singolo problema del latifondo improduttivo.

Colitto non vede come possa estrinsecarsi un controllo sulla ripartizione.

Togni riprendendo a grandi linee le osservazioni dell'onorevole Colitto riguardanti le grandi proprietà terriere, senza entrare nel merito, osserva che gli interessi che muovono attualmente la Sottocommissione nel volere l'intervento dello Stato sono di far sì che le grandi proprietà non arrivino ad essere, ad un certo punto, per la loro potenza, un pericolo per l'organizzazione dello Stato, e, in secondo luogo, che le grandi proprietà non siano messe in condizioni da non poter essere sfruttate adeguatamente, ma che diano il maggior benessere possibile nell'interesse generale.

Partendo da queste considerazioni, riterrebbe opportuno parlare di questo argomento nella parte che riguarda i monopoli industriali.

Taviani, Relatore, non concorda, trattandosi di due differenti questioni.

Togni condivide l'esigenza a cui si ispira la Sottocommissione, ma non può fare a meno di domandare perché non dovrebbero essere considerate anche le grandi proprietà edilizie. Ritiene, a suo avviso, altrettanto dannoso all'interesse sociale una proprietà di 700 o 1000 appartamenti che una proprietà di 2000 ettari di terra.

Colitto, circa l'articolo proposto dal relatore, sopprimerebbe la parola: «ripartizione» e aggiungerebbe il concetto che la Repubblica impedirà l'esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere, solo se siano di danno alla collettività.

Taviani, Relatore, dichiara che, se come relatore dovesse esprimere il suo parere definitivo sulle proposte presentate, non approverebbe neppure la sua.

Non ritiene che abbia valore l'obiezione del Presidente circa il termine: «ripartizione», perché, evidentemente, «controllo e intervento nella ripartizione» non vuol dire soltanto divisione di grandi proprietà in piccole, ma può voler dire anche, per esempio, attribuzione di una proprietà privata ad enti pubblici. Non sarebbe contrario, comunque, a sostituire tale parola con un'altra più chiara, come il termine: «distribuzione»; circa poi l'obiezione sollevata dagli onorevoli Colitto, Canevari ed altri, nel senso che lo Stato non dovrebbe controllare la «ripartizione», ma limitarsi al controllo della utilizzazione, fa presente che, dovendosi formulare un articolo che apra la strada alla riforma agraria, si deve controllare la ripartizione anche fino a giungere alla possibilità di espropriazione. Non si sente, quindi, di rinunziare al termine «ripartizione» o «distribuzione».

Per quanto riguarda la proposta Canevari, è d'accordo in linea di principio, ma non ravvisa la necessità di inserirla nella Costituzione, nella quale è sufficiente un articolo che valga a precisare quale sarà il comportamento dello Stato nel campo della proprietà terriera. Perciò, pur essendo d'accordo sulla necessità della riforma agraria, considera che la formulazione del collega Canevari possa servire piuttosto come base per la relativa legge.

In relazione, poi, alle proposte dei colleghi Corbi, Assennato, Dominedò e Noce, rileva la quasi identità della espressione: «Nell'interesse della collettività», con la sua: «Nell'interesse di tutto il popolo». Invece la dizione: «per assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra», pur comprendendone l'importanza e la giustezza, tanto che non sarebbe contrario ad un'affermazione del genere, gli fa sorgere il dubbio che non si possa in un articolo della Costituzione parlare isolatamente dei contadini, senza poi, in quelli successivi, fare un identico accenno alle altre categorie.

Né, a questo proposito, può ritenere valida l'obiezione che i contadini sono in tristi condizioni, mentre gli operai e gli impiegati hanno un tenore di vita più elevato, perché questa, per alcune zone, è la situazione di oggi, mentre la Costituzione deve guardare anche all'avvenire. Nella Costituzione quindi non metterebbe una simile specificazione, ma inserirebbe un'espressione che, in relazione alle esigenze messe in luce dall'onorevole Corbi, precisasse che il controllo dello Stato deve avere di mira il benessere non soltanto della collettività, ma anche di coloro che lavorano la terra.

È d'accordo con l'onorevole Togni che anche la eccessiva proprietà immobiliare urbana non è morale, ma osserva che una limitazione di essa può trovare la sua sede più opportuna nella interpretazione degli articoli sulla proprietà in genere e sull'impresa.

Quanto alla formulazione proposta dall'onorevole Canevari, ritiene che essa troverebbe più adeguata sede in una legge di riforma agraria, anziché nella Carta Costituzionale.

Circa il pericolo di un grave danno che deriverebbe all'agricoltura da una complessa riforma della distribuzione della proprietà fondiaria, non nasconde la sua preoccupazione, ma d'altra parte deve ricordare che qualsiasi progresso sociale implica un costo economico. A tale proposito si domanda se si debba oggi precludere la possibilità di un progresso sociale nell'agricoltura, per il solo fatto di volere eliminare il costo che esso comporterebbe.

Ricorda che quando fu attuato lo spezzettamento del latifondo in Bessarabia, la produzione subì una forte diminuzione e occorsero più di dieci anni per riportarla alle primitive proporzioni. Tuttavia i risultati sociali furono ottimi. I contadini della Bessarabia, prima in continue agitazioni, divennero i migliori cittadini dello Stato rumeno. Dubita infine che il mantenimento della grande proprietà fondiaria sia necessario agli effetti della produzione.

Assennato non ritiene conforme alla struttura economica del Paese la riserva dell'onorevole Taviani circa l'inclusione nella Costituzione di una dichiarazione impegnativa per la elevazione dei lavoratori della terra, le condizioni economiche dei quali esigono invece che si faccia un preciso accenno per il loro miglioramento.

Prende atto che l'onorevole Taviani si dichiara convinto di questa necessità, ma un riconoscimento non espresso e non impegnativo avrebbe un valore puramente platonico. Prega quindi l'onorevole Taviani, quale relatore, di considerare l'opportunità di una simile dichiarazione statutaria.

La circostanza che in qualche regione la vita del lavoratore della terra è già ad un livello civile tale da non richiedere un'esplicita dichiarazione nella Costituzione, non è sufficiente per sconsigliarla, poiché essa va formulata in vista delle condizioni della generalità della società nazionale. Né d'altra parte può ritenersi che il concetto del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori della terra possa essere sottinteso nella semplice espressione relativa all'interesse della collettività.

Il Presidente Ghidini comunica che l'onorevole Colitto propone, per la prima parte dell'articolo, la seguente formulazione:

«Lo Stato, al fine di potenziare la produzione, ha il diritto di controllare la utilizzazione della proprietà terriera».

Canevari ritiene che l'onorevole Taviani non abbia interpretato in senso esatto quello che egli ha voluto dire nei riguardi della grande proprietà. Le osservazioni storiche da lui ricordate non hanno alcun riferimento con la situazione attuale, perché la riforma agraria, in qualunque tempo verrà effettuata, determinerà sempre gravi problemi, rendendo pensosi sulla opportunità di spezzettare o mantenere unita la proprietà. In alta Italia vi sono grandi proprietà fondiarie condotte industrialmente in modo tale che onorano il Paese. Ricorda il fenomeno avvenuto dopo l'altra guerra, quando speculatori arricchiti, acquistate grandi proprietà, le rivendettero spezzettate, causando un enorme danno all'agricoltura.

Nella provincia di Pavia, ad esempio, esistevano grandi aziende agricole cooperative perfettamente organizzate, con rotazione delle colture e direttori preparati tecnicamente e praticamente per conseguire i migliori risultati, affiancate da tutta una serie di attività attinenti all'agricoltura, come latterie e caseifici, che alimentavano le cooperative dei lavoratori. Tale organizzazione — e questo è il concetto sociale — permetteva che su quei fondi vivesse una popolazione superiore del 30 o 40 per cento di quella che vi vive attualmente.

Quelle aziende cooperative sono state sciolte dal fascismo ed i terreni sono stati venduti a speculatori, e smembrati. Non è vero quindi che sempre la piccola proprietà possa sostituire la grande proprietà.

Dichiara, perciò, di non poter accedere alle proposte degli onorevoli Corbi, Assennato, Noce e Dominedò, perché tutte concordano sullo stesso concetto, del controllo dello Stato sulla ripartizione e utilizzazione del suolo, concetto che non è sufficiente per aprire le porte alla riforma agraria. La riforma agraria deve, invece, essere effettuata lavorando e preparando gli uomini. Ecco la necessità di scuole per poter guidare i contadini ad assumere la responsabilità di utilizzare la terra nel modo migliore.

Lo Stato, a suo avviso, non può intervenire efficacemente, perché l'agricoltura è la cosa più locale che si possa immaginare. Lo Stato può fissare delle linee e delle direttive generali, ma saranno gli organi creati localmente che dovranno interessarsi dei problemi della terra e dettare le norme necessarie per la loro soluzione. Personalmente si dichiara favorevole alla costituzione di comunità provinciali o regionali che rappresentino gli interessi dei lavoratori e dei consumatori. Necessità, quindi, di organi competenti che dovranno occuparsi anche di creare o di favorire il sorgere di industrie particolarmente attinenti all'agricoltura come caseifici, oleifici sociali, enopoli, ecc., iniziative queste che potranno essere assunte direttamente da organi locali appositamente creati, che conoscano i bisogni e le necessità del posto.

Come ha affermato nella sua formulazione, la Costituzione dovrebbe anche contenere il principio che la legge deve promuovere un movimento di trasformazione atto a determinare le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un'agricoltura in via di continuo progresso. L'agricoltura, infatti, non si ferma; ma è e sarà in continua trasformazione e nessuno oggi può dire dove avrà fine tale trasformazione agraria per conseguire una sempre maggiore e migliore produzione.

Nella sua proposta vi è poi un'altra affermazione, che non trova nelle altre, relativa ad una agricoltura «condotta dal lavoro associato» che ritiene non possa non essere fatta, perché, se si vogliono dare direttive per una radicale riforma agraria, bisogna dire fin da ora quali fini essa si deve proporre indicandone altresì i mezzi preminenti che fin da ora si ravvisano.

Togni, in relazione alla dichiarazione dell'onorevole Assennato, tiene a dichiarare che pur essendo favorevole al riconoscimento della necessità di accennare al miglioramento dei lavoratori in genere, non intende che tale riconoscimento sia per essi né limitativo, nel senso di considerare solo una determinata categoria, né offensivo, nei riguardi dei lavoratori di determinate parti d'Italia.

Taviani, Relatore, si associa alle dichiarazioni del collega Togni.

Assennato desidera proporre una modifica alla sua formulazione, sostituendo alle parole «favorendo la trasformazione», le altre «provvedendo alla trasformazione agraria». Infatti, quando si parla del problema della riforma agraria, si sente da tutti rispondere che è un problema che riguarda la Costituente. È indispensabile, quindi, che in sede di Costituzione si stabilisca almeno il fondamento della riforma. Per questo motivo aderisce al principio che informa la proposta dell'onorevole Canevari, invitando a studiare una formula che sia comprensiva dei concetti da lui esposti.

Il Presidente Ghidini è perfettamente d'accordo sulla necessità della riforma agraria, ma ripete la sua contrarietà al controllo dello Stato nella ripartizione in cui è inclusa l'esigenza di frazionare la grande proprietà, mentre, come ha già detto, è favorevole allo spezzettamento solo in certi particolari casi.

Fanfani osserva che la Commissione ha tralasciato di considerare le condizioni attuali dell'agricoltura italiana, che non è in grado di garantire la maggior possibile produzione e le migliori condizioni di vita ai produttori e coltivatori.

Dall'esame degli articoli presentati, ad eccezione di quello dell'onorevole Canevari, si potrebbe avere l'impressione che le cause dell'attuale malessere dell'agricoltura siano dovute esclusivamente alla cattiva ripartizione delle terre e alla loro irrazionale utilizzazione, per cui più che di riforma agraria, si dovrebbe parlare di riforma fondiaria. Ma la riforma fondiaria non è sufficiente, a suo avviso, a risolvere né il problema di maggior benessere dei coltivatori, né a garantire all'agricoltura quello sviluppo che le condizioni naturali e di territorio e quelle della tecnica, italiana e mondiale, le consentono. Afferma quindi che, più che sulla riforma fondiaria, il problema agricolo italiano si basa attualmente sulla trasformazione agraria. A tale proposito non si nasconde l'immensità dei problemi; basti pensare alla riforma dei patti agrari, a quella del credito agrario e fondiario e — problema importantissimo — alla diffusione dell'istruzione dei coltivatori.

Tutti questi problemi, egregiamente illustrati nel volume edito dal Ministero della Costituente, si presentano in modo così diverso da regione a regione, da provincia a provincia e anche nell'ambito delle singole province, da far rimanere perplessi allorché si pensi di considerarli in un articolo della Costituzione. Le infinite divisioni e sottodistinzioni delle zone italiane (zone alpine, appenniniche, a coltura intensiva o estensiva, appoderate, ecc.) sono tali e tante che indubbiamente non si può pensare di risolvere il problema della trasformazione agraria parlando di controllo sulla ripartizione del suolo e quindi solo di limiti della proprietà. Queste argomentazioni, anziché essere fuori tema, come alcuno potrebbe ritenere, tendono invece a far presenti le estreme difficoltà che si incontrano nella risoluzione del complicatissimo problema ed a segnalare l'imprudenza con la quale la Sottocommissione affronta la questione parlando di ripartizione — cioè di limiti — senza aver dato incarico all'ente regione, o ad altro istituto, di scendere alla determinazione, zona per zona, delle riforme che in ciascuna di esse è necessario attuare. Afferma perciò che una riforma agraria uguale per tutta l'Italia non è concepibile; ed anzi una riforma fondiaria ed agraria, considerate come un tutt'uno — senza tener presenti le esigenze delle singole zone — sarebbero la premessa di una rovina generale. Parimenti ritiene che un controllo dello Stato sulla utilizzazione del suolo potrebbe provocare la paralisi totale dell'agricoltura italiana, perché ogni contadino prima di procedere a qualche semina, dovrebbe ricorrere all'Ispettorato agrario per conoscere se l'azione che si propone di fare rientri nei criteri generali.

Rileva, tuttavia, che se queste sue considerazioni sono volutamente esagerate per spirito polemico, il suo intendimento è quello di richiamare l'attenzione di tutti sulla necessità di arrivare ad una articolazione che eviti, per quanto possibile, gli inconvenienti delle frasi generiche, e che sia armonizzata con l'affermazione del terzo comma dell'articolo sulla proprietà.

Dopo aver affermato che le esigenze fondamentali sono quelle della massima produzione ai minimi costi e del massimo benessere possibile per tutti coloro che attendono alle trasformazioni nel campo agricolo, conclude proponendo che l'onorevole Taviani, alla luce di tali richieste, affacci la soluzione per le varie questioni, tenendo presente che si tratta di un problema complesso e grave — il più grave di tutti i problemi economici italiani — in quanto il 50 per cento della popolazione italiana vive sulla terra.

Il Presidente Ghidini ritiene che una statuizione si possa fare anche con una formulazione generica, che apra però la strada alla riforma agraria.

Taviani, Relatore, riconosce la giustezza delle affermazioni del collega Fanfani. Ritiene implicito che qualsiasi riforma agraria, come qualsiasi limite o vincolo da porsi nel campo dell'agricoltura, debbano avere carattere regionale e tener conto delle diversità della natura dei terreni e delle colture. Ciò risulta già chiaramente dalla sua originaria relazione sul tema ora in discussione. Afferma tuttavia che una Costituzione non può addentrarsi nei particolari della riforma agraria. Ritiene quindi che la Sottocommissione o si dovrà accontentare dell'articolo relativo alla proprietà, che lascia già la possibilità di una qualsiasi riforma agraria, oppure, se vuole formulare un articolo speciale per la proprietà terriera, non potrà entrare in eccessive specificazioni.

Dominedò rileva che le osservazioni critiche dell'onorevole Fanfani rispondono a esigenze che sono vivamente sentite. Bisognerebbe pertanto che si fondessero insieme le varie esigenze in giuoco, per arrivare ad una formulazione il più possibile sintetica e comprensiva; del che ha inteso dare un primo esempio sostituendo il concetto generale di trasformazione agraria a quello particolaristico di divisione del latifondo.

Il Presidente Ghidini è d'accordo.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti