[Il 20 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti politici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Preziosi. [...] E passo all'articolo 47 del nostro progetto di Costituzione. A me pare che l'articolo 47 sia non troppo esplicativo, quando afferma che «tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la vita politica nazionale». Bisogna dire qualcosa di più per quello che concerne il metodo democratico che debbono adottare questi partiti che possono sorgere liberamente, come libere associazioni di cittadini. Bisogna dire qualcosa di più, nell'interesse supremo della Nazione e dello Stato repubblicano, cioè bisogna impedire a qualunque costo il sorgere di partiti che apparentemente possano dire di avere un metodo democratico, ma che in effetti non fanno che sostenere i metodi dittatoriali del passato regime. È necessario impedire che il sorgere libero di certi partiti possa procurare enorme danno al nostro paese. A tal proposito penso che è giusto quello che dice il collega onorevole Mastino nel suo emendamento, quando sostiene la necessità di una esplicazione maggiore di questo metodo democratico, messo nel nostro progetto di Costituzione. Allorché il collega Mastino sostiene che: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti, per concorrere, nel rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti dalla presente Costituzione, a determinare la politica nazionale» a me pare che esprima un concetto abbastanza chiaro, assai più chiaro che il progetto di Costituzione, perché fissa in maniera precisa gli obblighi che debbono rispettare questi partiti che sorgono con metodo democratico; debbono rispettare certi obblighi perché solo così la Nazione non sarà minacciata da nuovi metodi dittatoriali.

[...]

Di Giovanni. [...] All'articolo 47, laddove è detto: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», a me sembra che la particella «per» limiti quasi la funzione della organizzazione dei partiti al concorso nella determinazione della politica nazionale; ritengo che possa essere utilmente sostituita dalla congiunzione «e»; perché l'organizzazione libera dei partiti può anche prescindere dal concorso alla politica nazionale.

Quindi: «Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi liberamente in partiti e concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

[...]

Sullo. [...] Per quanto riguarda l'articolo 47, devo dire di non essere completamente soddisfatto della sua formulazione. Vi sono anche qui due tesi in contrasto. Sulla organizzazione dei partiti vi sono infatti coloro che ritengono che i partiti debbono essere concepiti in forma adatta ad una democrazia organica, con una personalità giuridicamente riconosciuta, se mai con funzioni di rilevanza costituzionale, e d'altra parte vi sono coloro i quali vogliono conservare ai partiti soltanto il carattere di comitati, di persone private senza nessuna rilevanza costituzionale e giuridica.

Io credo che in questa questione giochi molto il ricordo del partito di Stato fascista e che quando noi ci opponiamo ad un riconoscimento sul piano giuridico dei partiti, in effetti, non facciamo che subire ancora sentimentalmente le conseguenze di quel disagio interiore che soffrivamo allorché vedevamo un segretario di partito diventare per questa sua stessa funzione ministro di Stato. Ma quando più pacatamente ci convinciamo che il terreno debba essere sgombro da questi sentimentalismi e che, permettendo e difendendo la pluralità dei partiti, non potremo ricadere, comunque, anche con il riconoscimento della personalità giuridica, negli inconvenienti che abbiamo lamentato per il passato, noi troviamo la vera chiave che ci può far comprendere lo stato d'animo di coloro che vorrebbero unicamente riconoscere il partito come un comitato di privati.

Onorevoli colleghi, noi non dobbiamo dimenticare un altro dato ormai acquisito e cioè che nel nostro Stato, nella nostra Costituzione vi sono altri organi che potrebbero anche essi essere chiamati comitati, associazioni e che tuttavia sono stati giuridicamente riconosciuti. Vi è stato infatti il riconoscimento giuridico, in un altro articolo della nostra Costituzione, dei sindacati. Noi abbiamo ammesso la registrazione dei sindacati, abbiamo preteso che vi debba essere uno statuto democratico dei sindacati, come elemento da accertare per il riconoscimento giuridico dei sindacati.

Ora, non v'è chi non veda come, non dico a controbilanciare, ma, per lo meno, a dare una maggiore organicità a questa struttura di uno Stato in cui si sono riconosciuti i sindacati, occorra dare un riconoscimento giuridico anche ai partiti. Non è a dire che i partiti trovino la loro naturale lotta, il loro naturale terreno di azione nel Parlamento. Si sa bene che oggi, come oggi, il Parlamento non è più quello che era un tempo. Io ho sentito molto spesso in quest'Aula delle giuste lagnanze da parte di autorevoli colleghi i quali hanno lamentato che il Parlamento non ha più quel valore di prima, e probabilmente chi è studioso di storia dell'800, non può non ricordare, con un certo romanticismo e con una certa simpatia, il Parlamento subalpino. Ma questo Parlamento, anche se può rappresentare il sogno di noi tutti, tuttavia è molto lontano dalla realtà dei tempi moderni. Non si può dire certamente che un Gruppo parlamentare oggi rappresenti tutta la vita politica del Paese; non rappresenta forse altro che un'arma del partito, che nello stesso tempo si serve di quest'arma e da quest'arma riceve delle indicazioni.

È un male? È un bene? Comunque si risponda, non è in nostra facoltà modificare lo stato di fatto che è questo: i Gruppi parlamentari non si può dire che assorbano in se stessi tutta la vita e l'attività molteplice dei partiti. Ora, l'uomo è l'homo oeconomicus sotto un certo aspetto, ma non è soltanto questo, non è soltanto quello che partecipa dei sindacati ed ha una sua attività professionale specifica, e che, pertanto, per questa sua attività professionale, ha bisogno dell'azione dell'associazione professionale; l'uomo è anche quello che, indipendentemente dalla sua struttura sociale, si organizza seguendo moventi psicologici, culturali, religiosi, intellettuali, direi con termine comprensivo, spirituali oppure, tanto per intenderci, extrasindacali, immateriali.

L'uomo ha bisogno di essere riconosciuto non soltanto quindi sotto l'aspetto di lavoratore che si organizza in sindacato, ma anche sotto l'aspetto di collaboratore della vita pubblica, di amministratore associato della ricchezza o della povertà collettiva, differenziato a seconda delle tendenze.

A me pare, quindi, che l'articolo 47, così come formulato, di fatto, non faccia che cercare di trovare, ma non trovi, una strada media fra quello che è il misconoscimento effettivo dei partiti sul piano giuridico e quello che può essere il riconoscimento dei partiti sul medesimo piano.

Noi non sappiamo quello che potrà accadere domani.

Domani i partiti potranno avere funzioni molto più larghe, che potranno essere date dalla legge; se i partiti funzioneranno bene, come ci auguriamo, non dobbiamo lasciarci chiusa la porta per attribuire ad essi determinate funzioni che possono anche non essere strettamente costituzionali ma sono di un certo valore sul piano sociale e che la legge dovrà non ignorare.

Io, pertanto, ho presentato un emendamento in cui si dice che ai partiti è riconosciuta la personalità giuridica quando concorrono determinate condizioni.

Ora il problema è quello di stabilire quali sono queste condizioni. Nel '45 la Commissione per la Costituzione in Francia aveva proposto delle condizioni che dovevano essersi verificate nel caso che si dovesse concedere ai partiti una personalità giuridica. Erano quattro: 1) salvaguardare la loro pluralità; 2) garantire l'adesione alle dichiarazioni dei diritti; 3) assicurare il carattere democratico dell'ordinamento interno; 4) permettere il controllo delle spese e delle risorse. Indubbiamente, il principio della pluralità è affermato già costituzionalmente in questo nostro articolo ed è un bene, è una conquista su cui ognuno di noi non vuole neppure discutere: speriamo di non discutere mai a parole né a fatti di andar contro questo principio! Ma il secondo e il terzo principio, cioè quello della garanzia della adesione alle dichiarazioni dei diritti e del carattere democratico dell'ordinamento interno sono indubbiamente principî necessari a verificarsi perché un partito abbia un riconoscimento giuridico.

Per quel che riguarda il quarto punto, cioè il controllo delle spese e delle risorse, sarebbe in teoria da attuarsi, ma di fatto è molto lontana la possibilità pratica di realizzarlo, perché altrimenti apriremmo una via pericolosa all'ingerenza del potere esecutivo, del potere legislativo o della magistratura nella vita interna del partito, cosicché in uno Stato che adottasse un sindacato di tal genere si potrebbe non permettere affatto che i partiti (certi partiti) possano vivere. Mentre in linea teorica il quarto punto dovrebbe essere il più importante, di fatto è il meno attuabile. Ma il riconoscimento della personalità giuridica dei partiti, quando sussistano queste condizioni, una struttura democratica interna e l'affermazione teorica e pratica che si vuol concorrere a determinare la politica del Paese attraverso il metodo della libertà, può essere un mezzo per dare effettivamente la possibilità (a questi partiti) di un riconoscimento giuridico di cui domani il legislatore si potrà valere secondo quello che sarà il cammino della società moderna e secondo quella che sarà l'evoluzione politica della nostra Italia.

[...]

Giolitti. [...] Una formulazione che, a nostro avviso, ha una notevole importanza e concorre a dare un senso moderno a questa parte della nostra Costituzione, è quella dell'articolo 47, dove a noi pare importante il riconoscimento specifico che viene dato al diritto di organizzazione dei cittadini in partiti politici. È un concetto, dicevo, che risponde ad un criterio più moderno della democrazia, e, se vogliamo, accoglie anche una istanza che era stata formulata, in una dotta relazione del collega democratico cristiano La Pira, quella del pluralismo, della considerazione cioè dei diversi gradi di organizzazione sociale in cui il cittadino esplica il suo diritto, esplica la sua partecipazione alla vita pubblica.

Però a questo proposito, cioè a proposito di questo articolo 47, noi crediamo che sarebbe prematuro oggi andare oltre questa semplice formulazione del riconoscimento specifico del diritto di associazione dei partiti politici, anche per la considerazione che, nella ancora instabile situazione politica del nostro Paese e negli instabili rapporti di forze fra i partiti, noi pensiamo che una formulazione più avanzata, come quella che si trova proposta nell'emendamento dell'onorevole Mortati, possa determinare uno svantaggio a danno dei partiti di minoranza, fornendo l'occasione di abusi da parte dei partiti più forti. Per queste ragioni, noi crediamo che la menzione dei partiti nel testo della Costituzione non debba andare al di là della formulazione predisposta dalla Commissione all'articolo 47 del progetto medesimo.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti