[Il 21 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti politici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Ruggiero. Onorevoli colleghi, prendo la parola per richiamare la vostra attenzione su un solo articolo del titolo che ci occupa: precisamente sull'articolo 47. Mi sembra che questo articolo possa diventare, onorevoli colleghi, il più significativo e anche il più importante della Carta costituzionale per la grande influenza che può esercitare sulla vita politica nazionale. Questo articolo dice: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Come vedete, con questo articolo si stabilisce la norma per cui tutti i partiti, quando esprimano una attività che vada al di là dell'ambito del partito stesso, cioè un'attività che concorra alla formazione della politica nazionale, devono usare il metodo democratico. È un articolo il quale ha un contenuto di grande portata politica ed etica ed io penso che noi concordemente lo voteremo. Però, modestamente, mi pare che debba essere completato da una proposizione integrativa che dovrebbe risolversi in un piccolo emendamento da me proposto. L'emendamento è questo:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi in partiti che si formino e concorrano, attraverso il metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale».

Dirò subito che questo emendamento trova i suoi precedenti nei lavori della prima Sottocommissione, dove fu fatta una proposta che aveva affinità con l'emendamento, una proposta un poco vaga, che non aveva limiti di completezza precisa. Gli onorevoli Togliatti e Marchesi vi si opposero e quindi non se ne fece più niente in sede di Sottocommissione.

In che cosa sta la divergenza tra l'articolo 47 contenuto nel progetto ed il mio emendamento? Sta in questo: che mentre l'articolo 47 considera l'attività dei partiti come fatto esterno, cioè come fatto che vada al di là dell'ambito del partito, come attività la quale opera in un campo nazionale per la determinazione della politica del Paese, nel mio emendamento, invece, si chiede che il metodo democratico venga affermato, usato ed esercitato anche nell'ambito della vita del partito, cioè venga considerato come un principio imprescindibile anche per la struttura interna di un partito.

Ripeto, la proposta fu avversata dagli onorevoli Togliatti e Marchesi. L'onorevole Togliatti ebbe a dire in proposito: «Domani potrebbe svilupparsi in Italia un movimento nuovo, anarchico, per esempio. E io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Io sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione politica democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee. Ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinunzia al metodo democratico».

L'onorevole Togliatti affermava così il principio imprescindibile della libertà di riunione da parte di tutti i cittadini; però, naturalmente, implicitamente anzi, riconosceva il diritto anche alla esistenza delle formazioni antidemocratiche. E per far valere la sua tesi faceva rilevare, come voi stessi avete osservato, che sarebbe leso quello che è il sacro principio della associazione da parte di tutti i cittadini nel caso (in ciò consiste il mio emendamento) in cui venisse imposto il metodo democratico anche nell'interno dei partiti.

Io mi permetto di osservare che non vi sarebbe nessuna lesione e nessuna menomazione al diritto di associazione in caso di approvazione del mio emendamento. E ciò per motivi i quali, secondo me, hanno una grande evidenza pratica ed anche un contenuto giuridico certo.

Primo motivo: possiamo noi tutelare e garantire il diritto di libertà, nella specie di libertà di associazione, nei confronti di quelli i quali spontaneamente, con una forma di cosciente, volontaria, deliberata abdicazione, hanno rinunziato a questo diritto? Perché in effetti quando c'è della gente che dice: io accetto il metodo antidemocratico nella struttura intima del mio partito, questa gente rinunzia implicitamente, anzi esplicitamente, al principio della libertà; onde, quando la legge intervenga per dire: non è concesso a voi il diritto della esistenza, perché voi non volete portare alla libertà il rispetto che a questo principio è dovuto, mi sembra che dall'altra parte non si possa muovere legittimamente nessuna forma di lagnanza o protesta o querela, perché in effetti si nega a costoro il diritto che costoro hanno già calpestato, inquantochè il metodo antidemocratico è incompatibile con il principio della libertà.

Vi è un secondo motivo, questo di ordine, diremo, strettamente pratico, perché trova la sua applicazione nell'azione concreta di cui è fatta la politica.

Coloro i quali abbiano adottato il principio dell'antidemocraticità nella struttura interna, cioè nei confronti di sé stessi, direi quasi contro sé stessi, quando poi entrano in rapporto con altri, quando operano cioè in campo nazionale, quando entrano nella lotta politica, avendo già questo principio, questa concezione, questa natura, questo carattere, rinunceranno al metodo antidemocratico? Mi pare che se fossimo di questa opinione urteremmo un po' contro la logica ed anche un po' contro il principio che la storia ci suggerisce attraverso la sua grande esperienza; perché la storia dice che tutti i grandi partiti i quali adottano, nell'ambito interno, la forma antidemocratica, hanno per principio la conquista violenta del potere e quindi la soppressione della libertà. Quindi per questo secondo motivo mi pare che non vi sia ragione di lagnarsi da parte degli enti democratici della menomazione o della lesione del principio della libertà.

Vi è un terzo ed ultimo motivo che dovrebbe, secondo me, legittimare e giustificare giuridicamente la richiesta contenuta nell'emendamento.

Che cosa succederebbe nel caso in cui una formazione antidemocratica venisse soppressa, appunto perché antidemocratica? Avremmo una soppressione di diritto, e sia pure. Però, tutti sappiamo che non tutte le soppressioni di diritto sono illegittime e che non tutti i diritti meritano una tutela e una garanzia. Se, nella specie, ci troviamo di fronte ad un diritto che è un diritto particolare, cioè il particolare diritto all'esistenza da parte dell'associazione antidemocratica, si vede come questo principio automaticamente si pone in una posizione di antitesi, di conflitto, di dissidio con l'interesse generale, cioè con l'interesse della collettività; perché l'interesse della collettività è quello di vedere rispettato il principio della libertà. Il principio che viene adottato dalla singola formazione è un principio particolare che deve essere considerato in rapporto al principio generale; per cui non possiamo non far valere quella grande affermazione di diritto secondo la quale tutti i principî particolari ed individuali, anche quando meritano la tutela e la garanzia della legge, devono cedere se si trovano in contrasto con quello che è il diritto della collettività, che è un diritto veramente sovrano ed intangibile. Quindi, anche per questo motivo di ordine strettamente giuridico, mi sembra che non patisca il diritto della libertà nessuna forma di menomazione o di lesione.

Vi è un'altra considerazione. Non tutte le associazioni, per il solo fatto che esiste il principio della libertà di associazione, hanno diritto ad essere tutelate, perché il diritto all'esistenza di ogni associazione è subordinato al fine, cioè alla natura ed al carattere del fine che l'associazione persegue. Se l'associazione ha fini antisociali o antigiuridici, o contrari ai principî del diritto o dell'etica, essa non ha diritto di esistere. Quindi, se noi riconosciamo, onorevoli colleghi, che la formazione antidemocratica, per il fatto stesso che è antidemocratica, cioè costituisce una minaccia immanente a quello che è l'apparato democratico della vita nazionale, non persegue un fine legittimo o giuridico, per questa ragione, l'eventuale soppressione di questa formazione non costituisce nessuna lesione di diritto.

Io vi dirò (per portare il principio alle estreme conseguenze, perché, come si dice generalmente, il principio si saggia, nella sua portata e nel suo valore normativo, quando è portato ai suoi limiti estremi) che nessuno di voi potrebbe lagnarsi nel caso che la legge colpisse, per esempio, un'associazione di carattere terroristico. Nessuno di voi potrebbe querelarsi. Perché? Perché il fine che quell'associazione persegue è antigiuridico e contrario agli ordinamenti sociali, e non è concepibile, per le leggi che regolano la nostra vita, che quella istituzione possa esistere. E la legge non aspetta che una organizzazione terroristica abbia dato una manifestazione concreta della sua esistenza, per impedirla; la legge interviene per il solo fatto che il fine perseguito dall'associazione è antigiuridico e contrario all'ordinamento sociale.

Voi vedete dunque che, nella specie, non vi può essere diritto di asilo in una repubblica veramente democratica, per queste formazioni che, come prima dicevo, si risolvono in una minaccia immanente per i principî così faticosamente raggiunti dalla democrazia in Italia. Vi è l'obiezione dell'onorevole Marchesi, il quale nella Sottocommissione, citando l'esempio del partito comunista che molti ritengono come favorevole ed incline alla violenza ed alla dittatura, faceva osservare che un governo, sulla base di questa falsa interpretazione del partito comunista, servendosi del disposto del testo del progetto, potrebbe arbitrariamente abolire tale partito.

L'obiezione dell'onorevole Marchesi si risolve nella tema che il Governo, in malafede o per una falsa interpretazione della norma, possa metter fuori legge il partito comunista sotto l'incriminazione di essere un partito antidemocratico. Io non debbo entrare in merito alla questione, ma faccio osservare che non si può tener presente questa osservazione fatta dall'onorevole Marchesi, per questi motivi: se tutte le volte che si fa un complesso di norme, si pensa a quella che potrà esserne l'applicazione eventuale, e si considera quali possano essere le difficoltà di interpretazione, noi non avremo mai nessun complesso di norme che possano essere tradotte nel fatto concretamente normativo.

Le difficoltà di interpretazione sorgono per ogni legge perché la legge passa attraverso quello che è il vaglio dell'uomo. Ora, io penso che dalla Carta costituzionale fino al regolamento, per esempio, di polizia urbana, non si avrebbe mai la possibilità di creare una legge, se si sia sempre tenuti dalla tema di una falsa interpretazione da parte di chi deve considerare ed applicare la norma stessa. Quindi, mi pare che non possa essere sostenuta questa tesi, anche perché il rischio di essere colpito da questa sanzione da parte del partito comunista secondo me non ha ragione di essere, perché è un rischio che potrebbe correre ogni partito. Ogni partito il quale si mettesse su una via illegittima potrebbe essere colpito da questa sanzione, né mi pare che le idee arbitrarie che da parte di qualcuno si possono fare sul partito comunista valgano a determinare una struttura ed una natura diversa in questo partito. Questo partito è quello che è, e quindi necessariamente non subirà arbitrarie interpretazioni.

Del resto, non è detto che la valutazione sulla struttura democratica di un partito debba essere fatta necessariamente dal Governo. Può essere fatta da una Corte costituzionale o da una Commissione paritetica di tutti i partiti esistenti.

A me pare che non possa reggere l'obiezione dell'onorevole Marchesi per questo altro motivo: perché in tutti gli articoli consacrati nella Carta costituzionale noi possiamo trovare difficoltà di una giusta interpretazione. Potrei farvi moltissimi esempi; basta invece farvene uno: quello dell'articolo 50, e ve lo faccio perché è molto prossimo all'articolo 47, di cui mi occupo. Il secondo comma dell'articolo 50 dice: «Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino». Come vedete, questa norma è affidata, per la sua interpretazione, a 45 milioni di cittadini italiani. Molti di questi cittadini possono interpretare la norma onestamente, molti arbitrariamente; molti gruppi facinorosi potrebbero approfittare di questa norma per ritenere illegittima l'azione del Governo e per insorgere. Quindi, è inerente a questa norma la difficoltà di interpretazione. Ma, non per questo, secondo la mia modesta opinione, si deve rinunciare all'articolo 50. Non si può rinunciare all'articolo 50 per il fatto accessorio ed estrinseco dell'interpretazione; non si può rinunciare alla sua portata essenziale, etica e giuridica, perché noi siamo convinti che l'articolo 50 costituisce una remora per tutti i poteri ed una garanzia per i diritti del cittadino.

Quindi, dicendo che vi è difficoltà di interpretazione di una norma, noi ci troviamo di fronte a tanti esempi, che potrebbero moltiplicarsi. Potrei fare un altro esempio: noi abbiamo approvato, in questa Assemblea, l'articolo che consacra il diritto da parte di un agente di pubblica sicurezza di sequestrare la stampa. Ora, se ciò è avvenuto, che cosa significa? Significa che noi abbiamo affidato ad un agente di pubblica sicurezza la valutazione di un'attività che è fondamentale per il diritto della libertà del cittadino.

Ora, mi domando se questo, che è stato fatto nei confronti della stampa, non possa anche essere fatto per ciò che ha riferimento alla struttura democratica di un partito. D'altra parte mi pare che non sia logico dare tanto affidamento ad un agente di pubblica sicurezza e non dare correlativamente la stessa fiducia nel Governo che dovrebbe valutare la struttura interna di un partito. Specie se consideriamo che, in effetti, il Governo è formato da un complesso di organi responsabili ed è sottoposto al controllo del Paese e deve dare conto di tutto a tutti e offrire quindi una garanzia assai maggiore di quella che può offrire un agente di pubblica sicurezza.

A me pare che sia più esposto il diritto di libertà di stampa in confronto di quello che è il diritto di organizzazione di un partito. Quando un partito antidemocratico si vedrà colpito da una sanzione, questo partito cercherà di far valere le sue ragioni, ed io penso che ove ci siano dei motivi legittimi potrà essere anche reintegrato nei suoi diritti di esistenza e di formazione. Ma lo stesso non può avvenire per la stampa. Perché la stampa, per sua natura, ha una vita effimera e contingente che dura un giorno o una settimana. Quindi, se la stampa viene colpita da quel provvedimento fulmineo che è il sequestro dell'agente di pubblica sicurezza, anche quando essa viene posta in mano al giudice per essere reintegrata nei suoi diritti, potrà anche conseguire la reintegrazione, ma tale reintegrazione dei suoi diritti ha luogo quando la stampa è stata superata nel tempo ed ha perso tutto il suo valore. Quindi, se è vero che noi abbiamo usato il principio della valutazione e della soppressone per la stampa, non vedo perché questo principio stesso, che ha una portata minore, non debba essere usato per i partiti eventualmente antidemocratici. Non mi pare dunque che ci sia serio motivo perché non debba essere accettato quell'emendamento mio che rappresenterebbe proprio una garanzia per la vita democratica del popolo italiano.

Si fa anche un'altra obiezione, ed è questa: si dice che sarebbe assai difficile individuare e valutare la struttura o la volontà antidemocratiche di un partito. Perché? Perché sfuggono certi elementi, oppure certi elementi non sono suscettibili di una valutazione esatta e precisa, per cui si può restare perplessi verso un partito e non saper determinare se questo sia o meno democratico.

A questo proposito faccio osservare che un partito, per lo stesso fatto che è una collettività, ha necessariamente una vita esteriore, che non può sfuggire alla valutazione di chi è chiamato a compierla. Che, se questa formazione è un'associazione segreta e quindi tale da non poter essere sottoposta a nessuna valutazione, allora noi cadremmo nella disposizione di cui all'articolo 13, dove è detto che le associazioni segrete non possono trovare asilo in Italia. Quindi, o questa associazione non è segreta, o è segreta. Nel primo caso cade nelle sanzioni della disposizione citata; nel secondo caso può essere agevolmente giudicata alla stregua del mio emendamento. A questo proposito, io debbo richiamare opportunamente quella che fu una istanza avanzata in sede di Commissione dall'onorevole Togliatti, una istanza che era intesa a consacrare che una norma vietasse esplicitamente l'organizzazione del partito fascista. In effetti, noi troviamo che all'articolo primo delle disposizioni transitorie, l'istanza è diventata disposizione. Infatti l'articolo primo delle disposizioni transitorie dice: «È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Condividendo naturalmente l'opinione dell'onorevole Togliatti, non posso non pensare che anche qui sarebbe molto difficile individuare in una formazione politica, in una organizzazione qualsiasi, un carattere tale da poter identificare in questa organizzazione il carattere fascista.

Anche qui, permane quindi la stessa difficoltà di valutazione ravvisata dagli onorevoli Togliatti e Marchesi circa quello che è l'oggetto ed il fine del mio emendamento. È evidente infatti che, se si forma un'associazione che sia intimamente fascista, questa non verrà mai alla ribalta con il corteggio dei fasci littori e col volo delle aquile imperiali; ma verrà sotto mentite spoglie ed allora noi ci troveremo nella condizione di non poterla individuare.

Allora io mi domando: se è stata riconosciuta, da parte della Sottocommissione, la necessità di questa disposizione, pur esistendo per questa motivi di ardua individuazione ed applicazione, mi pare non ci debba essere luogo ad opposizione, quando si chiede un emendamento mirante a che vengano soppressi tutti quei partiti i quali non abbiano un'istanza profondamente democratica e non portino il rispetto necessario verso il principio della libertà. Infatti, per la disposizione dell'articolo 13 e per il mio emendamento, le difficoltà tecniche sono le stesse.

Passando ad altro, io penso, — e credo che pensiamo un po' tutti in questa maniera — che forse una disposizione del genere, cioè una disposizione la quale tenda alla soppressione di tutte le organizzazioni a struttura antidemocratica, si inserisca, direi quasi naturalmente, nel processo storico della vita nazionale che faticosamente si sta svolgendo ai nostri giorni.

Il popolo italiano infatti, in certe sue sfere, non ha potuto ancora permearsi, nella sua intima sostanza spirituale, di quello che è il concetto della libertà, perché abbiamo avuto una dittatura lunga e grave: lunga, perché è durata un quarto di secolo; grave, perché ha inciso in tutti i settori della coscienza nazionale.

Le nuove generazioni infatti non intendono certe forme della democrazia, perché non vi sono abituate; le vecchie generazioni, molte volte per desuetudine della prassi democratica, non intendono anch'esse qualche volta la democrazia. E allora si impone questa norma, per imporre il dovere della libertà, più che il diritto, il dovere di tutti alla libertà.

Ma c'è poi anche un'altra considerazione, ed è che il popolo italiano appare un po' disancorato e disorientato. Il popolo italiano infatti è premuto da tante esigenze, da tante ansie, da tante angosce, per cui è lontano dal principio della democrazia.

Ecco quindi perché io penso che, una volta che il popolo non partecipa ancora, nella sua più grande maggioranza, alla vita politica, una volta che il popolo non sente ancora profondamente la democrazia, non sarebbe molto difficile che domani una fazione bene organizzata potesse approfittare di questo stato di impreparazione per instaurare un nuovo regime antidemocratico e compiere una nuova marcia su Roma.

Quindi è necessario spezzare alla base, quando sono ancora allo stato potenziale, inespresso, queste associazioni anti-democratiche che poi si sviluppano e si configurano e prendono fisionomia e struttura e lineamento che possono risolversi veramente nella minaccia a cui accennavo poco fa, cioè nella minaccia al principio della libertà. E ritengo che quando una disposizione che vieti ogni forma anti-democratica venga consacrata nella Carta costituzionale — che è sempre un documento della civiltà di un popolo — questo potrebbe accrescere il prestigio del nostro popolo anche presso gli altri popoli, perché non dobbiamo dimenticare che chi ha voluto la guerra, la grande, feroce, selvaggia guerra, è stata la dittatura; e noi appartenevamo purtroppo ad una dittatura. Quando si è inserita nella Costituzione una norma di questo genere, io penso che ciò potrebbe accrescere il nostro prestigio nei confronti degli altri popoli, perché noi dobbiamo apparire come quelli che vogliono, ad ogni modo rinnovati da questo nuovo spirito democratico, affermare sempre e categoricamente in forma veramente solenne il principio della libertà.

Questo non dico perché la Carta costituzionale debba essere subordinata all'approvazione anche morale degli altri popoli, no; ma perché io penso — e forse anche voi pensate così — che una politica interna nello stretto senso della parola, che non debba avere nessun riferimento col grande mondo internazionale, oggi non ci può essere. Quindi dobbiamo inserirci in questo mondo internazionale; non — badate bene — in questo o quel blocco che oggi si contendono il mondo. Io penso che dovremmo inserirci nel mondo internazionale, in quello che esso ha di universale, cioè attraverso i principî della libertà, della giustizia che sono i cardini della civiltà per ogni popolo.

Vi dirò un'ultima cosa, ed ho finito. Badate che larghi strati del popolo italiano oggi non sentono la politica in forma ideologica, ma in una forma che io chiamerei economica. Questo è un po' il vizio profondo della nostra democrazia: vi sono larghi strati i quali oggi vanno orientandosi verso forme di destra estremistiche, che vanno al di là degli stessi programmi dei partiti di destra che siedono nell'Assemblea, perché questi larghi strati intendono la politica come una forma di tutela degli interessi capitalistici, come irriducibile, tenace difesa di interessi capitalistici; quindi in termini economici. Dall'altra parte esistono larghi strati del nostro popolo che vanno orientandosi verso forme di sinistra estremistiche, che vanno al di là degli stessi partiti di sinistra che siedono in questa Assemblea. Sapete perché? Perché intendono la politica come uno spossessamento violento, come una forma di attacco feroce alla proprietà che dovrebbe risolversi a loro vantaggio: cioè intendono la politica anche in termini prettamente economici.

Ora, badate bene, se è vero che questi larghi strati di popolo che appartengono all'uno o all'altro gruppo sono presi da forme estremistiche, se è vero che questi strati non sentono la politica in forma ideologica, ma in forma bruta, sarà anche vero che questi strati vogliono far valere le loro istanze attraverso metodi antidemocratici.

Questi gruppi, automaticamente, per il fatto che si trovano in posizione di contrasto, di dissidio, di conflitto, cercano di buttarsi l'uno addosso all'altro per la prevalenza dell'uno sull'altro. Il che significa pericolo di dittatura. Quindi è necessario porre freno a questa forma di enucleazione, che non trova nessuna sistemazione attraverso un partito che abbia il suo statuto, la sua insegna, tendendo fatalmente all'organizzazione che domani o in avvenire prossimo si presenterà anti-democratica.

Per tutti questi motivi, penso che il mio emendamento dovrebbe essere accolto, perché in effetti porta con sé questa grande istanza verso la libertà, che è il bene di cui oggi abbiamo più bisogno, più che di ogni altro bene, forse anche più del pane.

Io penso, onorevoli colleghi, e mi auguro che questa disposizione non dovrà essere applicata perché — alla fine — anche il popolo italiano, che è un gran popolo, ritroverà la sua grande anima nelle tradizioni che non possono essere rinnegate o smentite. È vero che l'anima italiana è stata umiliata, percossa, vergognosamente calpestata, è vero che l'anima italiana ha subìto la disfatta e la dittatura, che sono le più grandi sventure della storia, ma ciò non toglie e non diminuisce la grandezza del popolo italiano. Io spero che questo mio emendamento non trovi mai concreta applicazione, perché penso che non vi sarà un'associazione antidemocratica in Italia, e questo per il bene superiore della libertà, ed anche perché sono convinto che il popolo italiano ritroverà — sia pure faticosamente — la sua grande anima. (Applausi).

[...]

Condorelli. [...] Vi è un secondo punto di questo titolo, l'articolo 47, il quale veramente costituisce una delusione, perché mi pare che siamo venuti meno ad uno dei temi fondamentali della nostra Costituzione: un tema che peraltro era stato annunciato nel solenne discorso con cui il nostro grande maestro Vittorio Emanuele Orlando aprì, come decano, i lavori di questa Assemblea. Noi eravamo chiamati a prendere atto di questa nuova realtà, di questa realtà che, se non è totalmente nuova, adesso si colorisce di nuovi aspetti e di nuova importanza: del partito e dello stato di partiti, che, non so se per un processo fisiologico o patologico dello Stato moderno, sono alla base della presente politica. A me pare che la Costituzione abbia rinunciato non solo a regolare questa realtà, ma addirittura a conoscerla, perché si occupa del partito in una norma che è perfettamente superflua, che non è che un inutile scolio della norma che pone la libertà di associazione. Si reca, alla norma che pone la libertà di associarsi, l'aggiunta che ci si può associare anche in vista di fini politici. Non si aggiunge altro che questo. E, del resto, è ovvio che è fine perfettamente lecito, per il quale, dunque, ci si può associare, quello di concorrere alla formazione ed alla determinazione della politica del proprio Paese. Nessuno ne poteva dubitare.

Il diritto di associazione produce di per se stesso, per ovvia conseguenza, il diritto di associarsi in partiti.

L'articolo, se rimane quale è, è perfettamente inutile; dunque, da togliersi, perché le cose inutili in un testo legislativo non hanno ragione di essere. Le ridondanze sono già un difetto. Credo che l'unica ragione che potrebbe giustificare la presenza di questo articolo nella Costituzione si potrebbe ricavare da qualcuno degli emendamenti presentati; per esempio da quello che testé ha illustrato l'onorevole Ruggiero: far divenire il metodo democratico non soltanto elemento del fine, che l'associazione vuole raggiungere, ma principio regolatore della struttura dei partiti.

Ed allora, sì, avremmo dettato una regola della esistenza dei partiti.

Poi, è superfluo andare ad indagare oggi, in sede costituzionale, chi dovrà affermare o negare la democraticità d'un partito. Ci penserà il legislatore. Certo, onorevole Ruggiero, non potrà essere il Governo ad indagare ciò; sarà la Corte costituzionale, come propone l'onorevole Mortati, o sarà l'autorità giudiziaria.

Non dobbiamo essere noi a tirare queste conseguenze.

Non sarà certo male, per la stessa sincerità della funzione che i partiti devono avere, che essi si organizzino democraticamente, in modo che la loro azione sia veramente espressione della volontà dei consociati.

[...]

Colombi. [...] Noi siamo d'accordo con l'articolo 47 così come è redatto nel progetto di Costituzione. Nessuno può disconoscere l'alta e importante funzione che hanno i partiti nella vita democratica del Paese. Essi non sono solo uno strumento di organizzazione delle masse, ma sono anche uno strumento di educazione politica, di educazione civile, sono un mezzo per elevare la coscienza delle masse. Sono i partiti democratici, uniti nei Comitati di liberazione, che hanno organizzato la resistenza e l'insurrezione nazionale salvando l'Italia dall'estrema rovina. È l'azione dei partiti democratici che ha gettato le fondamenta della nuova democrazia italiana che è una conquista delle masse popolari, e non una concessione graziosa. Sono i partiti, con la loro organizzazione, con la loro politica, che hanno contenuto entro limiti democratici e civili la lotta politica e sociale di questo travagliato dopo guerra portando la vita democratica verso un livello più elevato. Da taluna parte si è parlato di introdurre degli emendamenti che comportino «un controllo dello Stato sui partiti», si è parlato di «riconoscere solo quei partiti che abbiano una natura e una struttura democratiche». Noi respingiamo ogni formulazione che possa fornire pretesti a misure antidemocratiche, prestandosi ad interpretazioni diverse ed arbitrarie.

Vi è chi ha detto, per esempio, che «certi partiti potrebbero esprimere pensieri solo apparentemente democratici, ma che poi sotto sotto vi potrebbero essere chissà quali diabolici disegni». È evidente che lo stabilire un controllo sui partiti creerebbe situazioni per cui l'arbitrio potrebbe manifestarsi. Noi respingiamo perciò ogni formulazione dell'articolo che possa fornire pretesti a misure antidemocratiche; noi pensiamo che ogni controllo statale sui partiti costituirebbe una limitazione della libertà e ogni limitazione posta al principio della libertà costituisce un pericolo per la democrazia stessa. I partiti hanno un controllo: il controllo sui partiti lo esercita il Parlamento, lo esercita sopra tutto il Paese. È evidente che in regime democratico i partiti hanno tutte le possibilità per combattere democraticamente e con efficacia eventuali partiti o movimenti che si ispirassero ad idee false o antidemocratiche. È evidente che il Paese, attraverso le elezioni, attraverso le più diverse manifestazioni della vita democratica, giudica i partiti e i loro programmi e le loro azioni; è questo il vaglio migliore, il vaglio più democratico dei partiti, è questo il controllo, il vero controllo che il popolo esercita democraticamente sui partiti stessi. Noi pensiamo che, qualora sorgano partiti e correnti che nella loro attività escano dalla legalità democratica e impieghino la violenza come metodo di lotta politica, vi sono le leggi di pubblica sicurezza, vi sono le leggi dello Stato democratico per reprimere gli attentati alla vita democratica. Se fosse necessario, altre leggi possono essere fatte per difendere la Repubblica e la libertà, ma in ogni caso la repressione della illegalità deve essere fatta senza portare pregiudizio ai principî della libertà e della democrazia. (Applausi).

[...]

Presidente Terracini. Dichiaro chiusa la discussione generale. Ha facoltà di parlare il Relatore, onorevole Merlin Umberto.

Merlin Umberto, Relatore. [...] Restano due punti soltanto, ed io li ho tenuti per ultimo volutamente per sottolinearne l'importanza.

Vi è il punto che riguarda la organizzazione dei partiti e vi è il punto del voto degli italiani all'estero. Per la organizzazione dei partiti, coloro fra i colleghi (non saranno certamente tutti, ma spero almeno alcuni) che abbiano letto la mia relazione, sanno che le stesse preoccupazioni, che ha manifestato il collega Ruggiero in questa Assemblea, le ho scritte prima io nella mia relazione. Quindi ho sentito anch'io questo desiderio di perfezionare la norma. Però, faccio osservare che con la formula votata nella Costituzione tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale; il principio che sta a cuore al collega Ruggiero è sufficientemente affermato.

Qui si potrebbe discutere se questa formula riguardi il lato esterno o interno dei partiti; ma faccio osservare che l'articolo 47 fu pesato parola per parola dalla Commissione, che esso è frutto indubbiamente di qualche transazione fra i commissari, ma che molti altri punti restano ancora da definire, per esempio il riconoscimento giuridico dei partiti, il loro spirito e metodo democratico, i fini che i partiti si propongono, l'esame dei bilanci dei partiti, e soprattutto le funzioni costituzionali da affidare ai partiti. Lasciamo fare qualche cosa anche al legislatore futuro. Non preoccupiamoci di scrivere nella Costituzione tutto quello che su ciascun argomento può essere detto. Qui affermiamo il principio del riconoscimento dei partiti. Venire poi all'applicazione di questo riconoscimento e vedere l'ampiezza che avrà, sarà compito importante del legislatore futuro.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti