[Il 21 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti politici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Nobile. Onorevoli colleghi, nell'occuparmi dell'articolo 49 del progetto di Costituzione non mi lascerò trasportare a discutere di questioni generali. Sono un pacifista, ma attivo, non passivo del genere dell'onorevole Calosso: di quelli, cioè, che vogliono rimuovere le guerre rimuovendo le cause che le provocano. Sono convinto che fino a quando il mondo continuerà ad essere diviso in stati sovrani, fino a quando l'assetto economico delle società umane continuerà ad essere basato sulla libertà incontrollata di intraprese capitalistiche private, fino a quando non verrà applicato in tutto il mondo un sistema economico che eviti la disoccupazione, i conflitti armati tra Paese e Paese non potranno essere eliminati.

Certo non si può non rimanere spaventati all'idea che possa scoppiare una terza guerra mondiale. Con le armi terribili di cui oggi l'uomo dispone la guerra moderna è qualche cosa di assolutamente diverso da quello che è stata nel passato: essa produce devastazioni che al solo pensarle fanno inorridire. È possibile, forse probabile, che una terza guerra mondiale costituisca il crollo definitivo ed irreparabile della civiltà umana. Ma tale questione non ci interessa in questa discussione. L'onorevole Calosso, con la sua fosforescente oratoria, ha tentato convincerci della inutilità di avere un esercito. L'Italia, egli ha detto, è ormai ridotta al ruolo di una potenza minore, destinata a vivere come satellite nella scia di uno dei grandi astri che oggi dominano l'orizzonte internazionale. La sua forza militare, qualunque essa possa essere, non potrebbe che avere un peso trascurabile sulle sorti di una terza guerra mondiale, perché la preparazione alla guerra moderna richiede una potenza industriale ed una disponibilità di materie prime, che noi non abbiamo, che probabilmente non avremo mai. Ma il fatto è che un esercito dovremo pure averlo, non fosse altro che per metterci in condizione di adempiere agli obblighi che assumeremo il giorno in cui avremo chiesto ed ottenuto di far parte delle Nazioni Unite.

D'altra parte nessuno degli emendamenti presentati, nemmeno quello firmato dall'onorevole Calosso, ha il coraggio di proporre la soppressione del primo comma, che proclama essere la difesa della Patria sacro dovere del cittadino. Da questo obbligo deriva immediatamente la necessità di avere delle forze armate, altrimenti non si saprebbe in che modo quella difesa possa essere fatta. Certo, a quel comma si potrebbe obiettare che la distinzione fra guerre difensive e guerre aggressive è quanto mai incerta. Credo non vi sia stato fin oggi nessuno Stato aggressore che non abbia dimostrato che la guerra da esso scatenata non era altro che un atto di difesa. Ma qualunque origine abbia la guerra, una volta stabilito che il cittadino è tenuto a difendere il proprio Paese, segue la necessità di prepararlo. Di qui il secondo comma dell'articolo, conseguenza logica del primo.

Nel testo della Commissione questo secondo comma suona così:

«Il servizio militare è obbligatorio. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici».

Fermiamoci alla prima proposizione: «Il servizio militare è obbligatorio». Contro di essa sono insorti quelli che vogliono che l'arruolamento sia fatto volontariamente, non per coscrizione. Ma, come osservavo, la obbligatorietà nasce dal principio stesso che il cittadino è tenuto a difendere il proprio Paese, a meno che non si voglia intendere che tale obbligo sia limitato al caso di guerra e non si estenda altresì al periodo di pace, come ad esempio è, fin oggi, avvenuto in Inghilterra e negli Stati Uniti, che sono i soli due Paesi dove non esiste la coscrizione obbligatoria o, per lo meno, non esisteva all'inizio di questa guerra. L'onorevole Calosso, per sostenere il suo emendamento, il quale dichiara la non obbligatorietà del servizio militare, si è riportato per l'appunto alla tradizione inglese, e ci ha ricordato che le ragazze inglesi erano tanto poco affascinate dalle uniformi militari da considerare che solo uno sfaccendato, un poco di buono, potesse decidersi ad arruolarsi. Un tale argomento, se ha valore, si rivolge se mai contro la obbligatorietà. In Italia, e credo anche negli altri Paesi dove il servizio militare è obbligatorio (e sono la quasi totalità), avviene precisamente il contrario. Mi piace a questo riguardo citare uno studio statistico del Gini, il quale giunge alla conclusione che i giovani sottoposti alla ferma militare si sposano con maggior frequenza degli altri, quasi che l'aver compiuto il servizio militare costituisca un titolo di preferenza nella selezione matrimoniale. Vi è di più: gli ex-militari, benché si ammoglino più tardi, danno luogo ad accoppiamenti più prolifici, come se il favore di cui godono permetta loro di sposare donne più giovani o, indipendentemente dall'età, più robuste e sane. Ma mi affretto a dichiarare che l'obbligatorietà del servizio militare in tempo di pace trova argomenti ben più importanti di quello ora accennato. Per continuare a citare statistiche è, intanto, un fatto assodato che l'intelligenza media, il grado di educazione, e la varietà degli strati sociali rappresentati sono, negli eserciti di coscritti, assai più grandi che negli eserciti professionali. A parte questo, il servizio militare obbligatorio, esteso a tutti i giovani fisicamente idonei, può e deve, anzi, servire alla loro educazione. Nessuno potrebbe negare che il servizio militare costituisca un potente fattore di educazione dei giovani, come quello che li abitua alla disciplina, all'ordine, e sopratutto a considerare il bene collettivo della Nazione talmente al di sopra di ogni interesse particolaristico da comportare per la sua difesa perfino il sacrificio supremo, che è quello della vita.

Il sistema di coscrizione agisce come strumento di democrazia assai meglio, assai più efficacemente che non il diritto stesso di voto: esso converte il governo del proprio Paese in una realtà concreta. Esso è profondamente democratico, perché sotto l'uniforme del militare ogni differenza di ceto sociale scompare. Fra uomini accomunati nella vita di caserma le differenze di educazione, di strati sociali tendono ad eliminarsi. Un profondo processo di democratizzazione ed unificazione ha luogo fra giovani, che, provenienti da varie parti del Paese, parlando diversi dialetti, ed aventi diverse mentalità ed educazione, sono obbligati a vivere in comune. Se ci riflettete bene, due sono i tipi di organismi collettivi oggi esistenti, che, facendo appello alle qualità superiori dell'animo umano, rappresentano esempi quasi perfetti di organizzazione democratica: un reggimento di soldati e un ordine religioso.

È indubitabile che un esercito i cui effettivi vengano reclutati mediante la coscrizione obbligatoria costituisca un fattore unificatore tra i vari elementi nazionali di cui è composto. Da questo punto di vista bisogna riconoscere che l'esercito in Italia ha efficacemente contribuito a cementare l'unità nazionale; e ora che davanti a noi è la prospettiva di un ordinamento regionale che comporta i più gravi rischi di disgregazione del Paese si rende più che mai necessario conservare quel grande fattore di unificazione, che è rappresentato dal servizio militare obbligatorio, purché, ben inteso, non si commetta l'enorme errore di adottare un reclutamento regionale. Questo, invero, sarebbe il più grande dei mali che dall'ordinamento regionale potessero derivarci: l'esercito, allora, anziché unire, tenderebbe a disunire ancora più gli italiani.

Contro l'obbligatorietà del servizio militare si sono levate obiezioni. Si è detto anzitutto che il servizio obbligatorio non si potrebbe estendere alla totalità dei giovani fisicamente idonei a causa dei ristretti effettivi consentitici dal Trattato di pace. Tale obiezione mi sembra destituita di fondamento. Rilevo infatti, dalle statistiche delle leve militari di un decennio antecedente alla prima guerra mondiale, che in Italia in media si arruolano otto giovani per ogni mille abitanti. Con l'attuale popolazione la leva ammonterebbe, quindi, a 360.000 uomini, mentre il Trattato di pace ci consente un esercito che, carabinieri compresi, non deve superare le 250.000 unità, cui si aggiungono poi 25.000 unità per la Marina ed altrettante per l'aviazione, giungendo così a un totale di 300.000 uomini sotto le armi.

Ma qui entra in gioco la durata del servizio militare, che può e deve essere inferiore ad un anno. Lo stesso onorevole Gasparotto ha sostenuto tale tesi. Del resto la cosa non è nuova. Nel '32, come si rileva da una pubblicazione della Società delle Nazioni, vi erano già paesi d'Europa nei quali la durata del servizio militare era di un solo anno: il Belgio e la Francia. In Olanda, essa era di soli sette mesi!

In Italia, basterebbe ridurre il servizio militare a nove mesi perché, pur restando entro i limiti degli effettivi impostici dal Trattato di pace, si potessero chiamare sotto le armi, ogni anno, nei vari corpi armati, 400.000 uomini, cioè anche più di quell'8 per mille che costituiva il numero degli arruolati negli anni antecedenti la prima guerra mondiale.

Né si dica che un periodo di nove mesi sia insufficiente per l'addestramento: questo non è. Non è vero specialmente se si intensifica l'addestramento, come può farsi allorquando il servizio è limitato a un periodo così ristretto. Il giovane soldato, se è ben nutrito, ben alloggiato, ben curato in tutto, sia fisicamente che moralmente, può senza inconvenienti essere sottoposto, durante un breve servizio militare, ad una attività intensa.

Nove mesi, a mio avviso, non soltanto sono sufficienti per addestrare militarmente il coscritto, ma, se bene utilizzati, possono servire anche a completarne l'istruzione professionale, o ad iniziarla, nel caso che il soldato non abbia già da civile appreso un mestiere.

Da questo punto di vista sarebbe anzi ottima cosa se l'istruzione professionale venisse impartita non soltanto agli operai, che nel 1908 non raggiungevano che il quaranta per cento degli arruolati, ma anche a tutti gli altri. Bisognerebbe cioè, io penso, approfittare del servizio militare per ovviare ad una fra le più gravi manchevolezze dell'attuale ordinamento scolastico italiano: che una quantità di giovani, al termine degli studi liceali od universitari, non abbiano appreso il maneggio nemmeno dei più semplici utensili, quali la pialla o la lima. Il servizio militare potrebbe ben rimediare a questa deficienza che non si presenta in altri paesi più progrediti: non in Russia, dove generalmente non si perviene agli studi superiori senza essere passati prima per l'officina; non nell'America del Nord dove i ragazzi vengono nei collegi abituati ad eseguire lavori di carattere pratico. A tale riguardo sono d'avviso che dovrebbero completamente cessare le facilitazioni che si sono fino ad oggi accordate agli studenti universitari, consentendo loro di rimandare il servizio militare al 26° anno di età, la qual cosa poteva forse giustificarsi allorquando la durata del servizio militare era di due o tre anni o più; ma che, con un servizio che durasse solo pochi mesi, non sarebbe più giustificabile. Neppure si dovrebbe facilitare ai giovani universitari l'accesso ai ranghi degli ufficiali di complemento. Tutti indistintamente i giovani, da qualunque ceto provenienti, dovrebbero fare il loro servizio militare nelle medesime condizioni; altrimenti quell'opera di educazione che deve essere uno dei principali obiettivi del servizio militare in tempo di pace viene ad essere intralciata.

Per terminare con questo argomento dell'obbligatorietà del servizio militare, vorrei permettermi di togliere all'onorevole Gasparotto un'illusione che egli sembra avere, e cioè che il volontariato militare in Italia tenda a svilupparsi. Non credo che sia così; e per mio conto me ne rallegro, perché ritengo che il volontariato non debba incoraggiarsi all'infuori del periodo di guerra. L'onorevole Gasparotto a sostegno della sua tesi ha citato alcune cifre secondo le quali attualmente si avrebbero nell'Esercito il 24 per cento di volontari, nella Marina il 61 per cento e in Aeronautica il 64 per cento. Sta bene, ma questo gran numero di volontari si spiega col fatto che oggi vi sono soldati, marinai, avieri, i quali non avendo la possibilità di trovare facilmente un'occupazione civile preferiscono arruolarsi, o se arruolati continuare a restare sotto le armi. Siamo, dunque, in presenza di un fenomeno transitorio. Permanente potrebbe, forse, considerarsi soltanto l'afflusso di volontari in Marina e in Aeronautica; ma si tratta, credo, di giovani che, obbligati al servizio militare, preferiscono scegliere quelle due armi invece dell'esercito.

E vengo ora alla seconda proposizione dell'articolo 49, la quale stabilisce che l'adempimento del servizio militare non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino né l'esercizio dei diritti politici. Qui, anzitutto, osservo che il privilegio di mantenere inalterata la posizione di lavoro deve naturalmente intendersi limitato solo a quelli che sono arruolati obbligatoriamente, ed ai volontari in tempo di guerra. Tale limitazione è, forse, implicita nel testo del comma; ma, a scanso di ambiguità sarebbe, forse, opportuno precisare meglio.

In quanto ai diritti politici, sarebbe forse preferibile che durante il breve periodo di tempo del servizio militare obbligatorio, se la mia proposta di un servizio obbligatorio non superiore ai nove mesi venisse accolta, come mi auguro, sarebbe forse opportuno che essi fossero sospesi. Non si può ammettere che la caserma si tramuti in un circolo di propaganda politica, qualunque essa sia.

Eccoci infine al terzo comma: «L'ordinamento dell'esercito si informa allo spirito democratico della Repubblica italiana». Che vuole dire questo? L'onorevole Azzi ne ha dato una interpretazione che, per mio conto, non posso in alcun modo accettare.

Se ho bene inteso quello che egli diceva ieri in quest'aula, democratizzare l'esercito vorrebbe per lui sostanzialmente significare questo: diminuire la severità del regolamento di disciplina militare! Pare che egli dia molta importanza al fatto che un militare non debba salutare in istrada il superiore se lo sorpassa venendo dalla medesima direzione, o che debba essere consentito ad un ufficiale di mostrarsi in pubblico in dimestichezza con un inferiore. Tutte queste sono quisquilie assai discutibili, perché — secondo me — la disciplina militare o è o non è, e un esercito non è un esercito senza una severa disciplina. Non credo che la Commissione dei settantacinque, nel proporci quel testo, abbia voluto intenderlo nel senso in cui l'ha interpretato l'onorevole Azzi. L'esercito, quando è costituito da soldati arruolati in base ad una coscrizione generale, è per se stesso una istituzione capace di rispecchiare le istituzioni del Paese a cui appartiene. Se queste non sono democratiche, l'esercito nemmeno è tale. Non era democratico, essenzialmente democratico, l'esercito nazista, ma lo è sempre stato quello dell'Unione Sovietica. Comprendo perciò, onorevoli colleghi, che taluni abbiano proposto la soppressione di questo terzo comma, che, se interpretato nel senso giusto, può apparire superfluo, e se interpretato nel senso che l'ha interpretato l'onorevole Azzi, sarebbe assurdo. Del resto bisogna riconoscere che l'espressione in esso adoperata per lo meno non è felice, giacché si presta a interpretazioni così meschine come quella cui ho accennato.

Un ordinamento delle forze armate che si conformi allo spirito delle istituzioni democratiche della Repubblica vuol dire per me — e credo anche per gli amici di questa parte dell'Assemblea — un esercito il quale anzitutto abbracci tutto intero il Paese: che non si distacchi dalla nazione, come fatalmente avverrebbe per un esercito di professionisti; un esercito che sia alla nazione intimamente collegato, i cui quadri siano — in parte almeno — i quadri stessi industriali della nazione, sicché in questo legame fra esercito e nazione, fra quadri dell'esercito e quadri della nazione, risieda la forza vera dell'esercito. Solo così la sua potenza potrà risultare considerevole, anche se la sua forza numerica sia piccola.

Ho terminato, onorevoli colleghi. Purtroppo sull'orizzonte internazionale le nubi foriere di temporale non sono ancora dileguate. La tragica possibilità di un terzo immane conflitto mondiale, sia pure a lontana scadenza, è davanti a noi. L'incubo di una nuova spaventosa conflagrazione in cui decine, forse centinaia, di milioni di esseri umani periranno, opprime il nostro animo. Dio voglia che i due mondi oggi in antagonismo si avvicinino e s'intendano per creare finalmente quella democrazia mondiale, la quale significhi eliminazione di ogni violenza; che metta fine agli Stati sovrani; che significhi giustizia per tutti e che permetta di raggiungere quel benessere economico di cui oggi la scienza assicura la possibilità a tutti gli umani: di quella democrazia universale nella quale a ogni fanciullo, dovunque nato, siano assicurate le medesime possibilità di sviluppo intellettuale e morale. Per una tale democrazia varrà bene la pena di vivere e di morire; ed a baluardo di essa staranno gli eserciti nazionali, non più chiamati a combattere l'uno contro l'altro, ma a salvaguardare la comune libertà ed il comune benessere.

[...]

Colombi. Onorevoli colleghi, noi siamo d'accordo sull'articolo 49 del progetto di Costituzione che stabilisce il servizio militare obbligatorio. Noi pensiamo che sia fare della cattiva poesia allorché si parla di neutralità assoluta o di pace perpetua. La terribile esperienza dell'ultima guerra, dove i diritti delle genti sono stati calpestati con una assenza completa di scrupoli, ci insegna che non vi può essere una neutralità disarmata e ci insegna soprattutto quanto sia pericoloso creare o fomentare illusioni pacifiste.

Una politica di pace può essere una politica forte, può essere una politica virile; ma un atteggiamento pacifista ci abbandonerebbe alla mercé del primo Paese straniero che volesse fare dell'Italia una terra di conquista o un campo di battaglia.

Noi non vogliamo che il nostro Paese divenga né una cosa né l'altra; e perciò dobbiamo fare una politica di pace, una politica di amicizia con tutti, con le potenze occidentali e con le potenze orientali; soprattutto dobbiamo fare una politica di pace con i nostri vicini.

Ma ciò non basta; l'esperienza ha provato infatti che non è sufficiente volere la pace, voler essere neutrali, per avere effettivamente pace e tranquillità. Noi pensiamo che sia necessario uno strumento per difendere la neutralità e per difendere la pace. È certo che l'Italia oggi, e forse anche domani, non può e non potrà pensare di possedere un grande esercito, una grande flotta aerea e navale, così da potere affrontare battaglie campali con le grandi nazioni del mondo. Tuttavia, dato che non abbiamo alcuna velleità imperialistica, che non vogliamo far guerra a nessuno, che non abbiamo mire di conquista, non abbiamo neppure bisogno di avere un grande potenziale offensivo.

Ma per difendere la nostra neutralità e la nostra pace, è necessario che abbiamo un'armata capace di farlo, un'armata cui affidare il compito di difendere le nostre frontiere e che soprattutto, sia in grado di dimostrare a qualsiasi eventuale nemico che, se intenda minacciare le nostre frontiere, o tenti occupare il nostro suolo, non potrà farlo impunemente. Bisogna cioè che l'eventuale nemico sappia che troverà una forza armata capace di affrontarlo, che in ogni città, in ogni borgata, in ogni casolare, troverà un centro di resistenza e che in ogni caso troverà chi gli rende la vita difficile nel nostro territorio.

Le nostre forze armate saranno certamente di modesta entità; bisognerà quindi curarne al massimo grado l'efficienza qualitativa. Ma se noi vogliamo creare le condizioni per cui il nostro esercito sia un esercito popolare, sia un esercito in condizioni di assicurare la difesa del nostro Paese, è necessario che riusciamo a dare l'istruzione militare al maggior numero possibile di cittadini italiani. Il nostro esercito, nel momento del pericolo, deve poter essere integrato coll'accorrere sotto le bandiere di tutti i cittadini validi; ed essi non potranno farlo, se non saranno stati in precedenza addestrati all'uso delle armi e alla guerra di difesa.

A questo proposito, è necessario che utilizziamo a fondo l'esperienza della guerra partigiana, la quale non è stata soltanto un fatto politico di estrema importanza, ma anche una grande esperienza militare, della quale bisogna tenere conto.

Nelle condizioni in cui ci troviamo, non potendo avere un esercito che abbia la forza e i mezzi necessari per affrontare battaglie campali con gli eserciti meccanizzati dei grandi Paesi, la guerra partigiana costituisce per noi un elemento difensivo di primo ordine.

Noi dobbiamo riuscire ad ottenere una forza difensiva efficiente con il minimo di peso per i cittadini e per lo Stato italiano. La ferma di dodici mesi può essere sufficiente per fare di un giovane un ottimo soldato, a condizione che le forze armate della Repubblica sappiano liberarsi dei gravami morali, burocratici ed economici delle forze armate della monarchia.

Vi potranno essere diverse forme di reclutamento; vi potrà essere una seconda e una terza categoria, a ferma più breve, che sia tuttavia sufficiente per dare un addestramento militare e guerrigliero. L'essenziale è che il principio affermato nella Costituzione, che la difesa della Patria è un sacro dovere del cittadino, non rimanga un'affermazione retorica, ma si traduca nella vita, mettendo il cittadino nella condizione materiale e spirituale di poter adempiere con onore questo sacro dovere.

È giusto quello che è stato osservato: che non si tratta solo di un'educazione militare: si tratta anche di educazione morale; che non si tratta solo di fare dei soldati, ma anche di fare degli uomini, dei patrioti. Il servizio militare obbligatorio fa dell'esercito una scuola di unità nazionale: lo è stato in una certa misura nel passato; noi vogliamo che esso lo sia sempre di più nella nuova Italia democratica.

Noi respingiamo l'idea di un esercito di quadri; non possiamo pensare di affidare la difesa della libertà e dell'indipendenza della Patria esclusivamente a dei militari di mestiere, che finirebbero per estraniarsi dalla Nazione, diventando una casta chiusa e reazionaria, costituendo un pericolo per la pace e per la libertà. L'esempio della Germania ci ammonisce a questo proposito. È evidente che senza la casta militare degli «Junkers» prussiani, Hitler non avrebbe potuto mettere sotto i piedi la democrazia in Germania, né avrebbe potuto mettere a ferro e a fuoco l'intera Europa.

Si è parlato qui dell'Inghilterra, la quale avrebbe trovato la sua prosperità e la ragione delle sue fortune nel fatto di non avere un esercito con coscrizione obbligatoria. È sufficiente ricordare che l'Inghilterra è una isola e che l'Italia non lo è. Del resto, anche i tempi aurei, nei quali l'Inghilterra poteva espandersi e impadronirsi di gran parte del mondo facendo combattere gli altri, sono ormai passati, anche in Inghilterra si ricorre al servizio militare obbligatorio. L'Italia non è un'isola, l'Italia non è l'Inghilterra; non ha le sue risorse e le sue possibilità; l'Italia non è nemmeno un giardino, come l'hanno decantata i poeti; purtroppo noi dobbiamo fare dei grandi sforzi per strappare alla nostra terra il pane per le nostre popolazioni; dobbiamo fare dei grandi sforzi per far sì che le nostre fabbriche diano i mezzi e gli strumenti necessari per la vita; noi dobbiamo lottare ancora per conquistare e affermare la nostra indipendenza nazionale, dobbiamo preoccuparci della difesa della nostra indipendenza e della nostra libertà che sono ancora minacciate.

[...]

Chatrian. Dopo quanto è stato detto così degnamente e ampiamente dai colleghi di vari settori dell'Assemblea sugli articoli del Titolo quarto, io mi limito ad illustrare, anzi ad ampliare la illustrazione — perché mi sembra un contributo doveroso ed opportuno — del seguente emendamento relativo all'articolo 49: «La prestazione del servizio militare è obbligatoria. Le modalità sono stabilite dalla legge». L'emendamento ha due scopi: di chiarificazione e di completamento.

Nobilmente affermato nel primo comma che la difesa militare è sacro dovere del cittadino, il corollario della obbligatorietà del servizio militare ne è naturale conseguenza in linea morale, in linea equitativa ed in linea tecnica. Tanto più questa obbligatorietà si rivolgerà ad un numero ampio di cittadini, tanto più il comandamento del sacro dovere di difesa della Patria sarà concreto ed effettivo: in guerra, ove il sacrifizio richiesto è quello supremo, l'olocausto della vita; in tempo di pace, quando ogni prestazione militare per il cittadino costituisce pure un onere e un peso, una parentesi nella vita normale del cittadino stesso.

Questa obbligatorietà è la forma che meglio risponde al carattere etico degli Stati moderni, ed è indubbiamente la più democratica. Sennonché, l'espressione del testo della Commissione — il servizio militare è obbligatorio — può, a mio avviso, determinare qualche equivoco e qualche limitazione in linea tecnica, specie se lo si interpreti, o lo si voglia interpretare, troppo letteralmente.

Servizio militare obbligatorio significa, tecnicamente: coscrizione; come servizio militare volontario significa volontariato.

Sono le note due diverse forme storiche, classiche, della prestazione del servizio militare. Ora, nel testo della Costituzione, noi vogliamo affermare che la prestazione del servizio di sacra difesa della Patria è obbligatoria, non stabilire delle modalità tecniche: vogliamo precisare un rapporto politico, come tutti quelli considerati dal Titolo quarto, non vogliamo formulare un criterio tecnico.

Desidero d'altronde sgomberare, cercare di sgomberare, subito un equivoco o, per lo meno, un errore di prospettiva, che è stato segnalato poco fa dall'onorevole Nobile, circa il volontariato: invocato dagli uni, deprecato dagli altri.

Esistono, onorevoli colleghi, anzi, forse meglio, sono esistiti, tre sistemi di volontariato: quello mercenario delle compagnie di ventura, delle truppe straniere assoldate, del racolage, dei quali fece giustizia la rivoluzione francese con la legge Carnot sulla leva obbligatoria e, successivamente, con la legge Jourdan, prima legge moderna sulla coscrizione; un secondo sistema di volontariato è quello cosidetto professionale, proprio, o già proprio, dei paesi anglosassoni, noto nella sua struttura, ben diverso dalla coscrizione, che i due Stati hanno peraltro abbandonato nei due conflitti mondiali ed anche nel presente periodo storico. Sistema d'altronde di lusso, fuori causa per noi, perché non consentito dalla finanza italiana, a prescindere da ogni altra considerazione. Ma esiste un terzo sistema di volontariato, che definirò «volontariato integrativo della coscrizione»; per cui determinati cittadini che sono vincolati al servizio militare nei termini e con le modalità ordinarie danno invece una prestazione più ampia: nel tempo, per determinati vincoli, con particolari obblighi. Ora, questo volontariato integrativo è imposto da esigenze di inquadramento e di addestramento (ufficiali, sottufficiali, determinate categorie di graduati di truppa) e da esigenze di tecnicismo (specialisti che devono impiegare determinati materiali più delicati, da quelli di collegamento a quelli meccanizzati ovvero che assolvono a particolari incarichi e cariche speciali). Ma, mentre i due sistemi di volontariato, mercenario e professionale, sono sostitutivi della coscrizione — e perciò possono essere ravvisati in contrasto con il sacro dovere di difesa della Patria, perché esimono parte dei cittadini a vantaggio di altri cittadini — il sistema di volontariato integrativo non è assolutamente in contrasto con questo obbligo generale e personale; solo esso determina un'attenuazione del peso e dell'onere dell'obbligo generale stesso. Nessun sistema di volontariato sostitutivo esiste nell'attuale legislazione militare italiana. L'ultimo istituto, che alcuni di noi ancora ricordano, è stata la surrogazione di fratello la quale pure aveva un fondamento di utilità e, vorrei dire, di equità familiare.

In conclusione, di fatto, la prestazione del servizio militare viene oggi resa, in tempo di pace, con un sistema misto, basato sulla coscrizione, ma sussidiato, per ragioni tecniche ed anche a vantaggio di numerose categorie di cittadini, dal volontariato integrativo. Sembra che, entro certi limiti, questo sistema misto possa soddisfare anche gli zelatori del volontariato. Do alcuni indici dell'apporto di questo volontariato, già citati da altri oratori, ma che non ritengo inopportuno ripetere: il volontariato integrativo costituisce circa il 64 per cento nell'Aeronautica, il 61 per cento nella Marina, il 25 per cento nell'Esercito esclusi i carabinieri (il 30 per cento compresi i carabinieri); esso concerne, poi, la totalità dei carabinieri e delle guardie di finanza.

Ma anche l'espressione «la prestazione del servizio militare è obbligatoria», sic et simpliciter, è troppo generica. In realtà, questa obbligatorietà soffre notevoli e ampie eccezioni: in tempo di guerra, quelle del sesso e dell'età, per accennare solo alle principali; in tempo di pace, esenzioni e temperamenti nell'interesse: della famiglia, degli studi, dell'economia, della religione, dei residenti all'estero ed in colonia, della selezione fisica del contingente: quest'ultima, si noti, non solo a vantaggio delle forze armate, ma anche a tutela dei giovani meno robusti, specie in questo duro periodo di denutrizione.

Quali le conseguenze di fatto?

Che si verifica una notevolissima differenza tra contingente chiamato alle armi e contingente incorporato, o, se mi consentite di usare altra espressione, tra contingente al lordo e contingente al netto.

Alcuni dati relativi alle ultime classi chiamate regolarmente alle armi o in corso di richiamo. Per la classe 1925, il contingente chiamato alle armi è stato di 354.000 uomini (compresi i rinviati da classi precedenti); viceversa, sono stati incorporati soltanto 97.000 uomini, ossia il 27 per cento del contingente al lordo. Per il primo quadrimestre, in corso di chiamata, del 1946, i chiamati sono 185.000, mentre si prevede di incorporarne soltanto 40 mila; ossia il 22 per cento.

Esiste, infine, un secondo aspetto della prestazione del servizio militare obbligatorio, su cui reputo opportuno richiamare l'attenzione degli onorevoli colleghi, che dovrà essere regolato dal futuro legislatore, e del quale non mi pare sia stato fatto cenno.

Il servizio militare di pace è, ancora oggi, per molti, sinonimo di servizio alle armi, di ferma una volta tanto.

Ora, le moderne forze belligeranti, come ci hanno insegnato i due più recenti conflitti mondiali, non sono più costituite, se non in minima parte (sovrattutto per quanto concerne le forze terrestri e, alquanto meno, le forze aeree) dagli armati sotto le bandiere al momento dello scoppio delle ostilità, ma sono costituite, nella quasi totalità, da riservisti, ossia da militari in congedo.

È noto ai colleghi che l'Italia mobilitò nel primo conflitto mondiale circa 5 milioni e mezzo di uomini, e nel conflitto ultimo circa 6 milioni.

Ora, non basta che questi riservisti di ogni grado abbiano ricevuto a suo tempo una preparazione militare; occorre che lo Stato conservi loro, entro certi limiti, tale capacità, per la difesa del Paese ed anche per la difesa loro personale, fino all'età limite dell'obbligo del servizio militare (ora ridotta dal 55° al 45° anno di età).

Il continuo evolversi della tecnica dei mezzi e dei procedimenti di lotta fa sì — non si può disconoscerlo — che, a pochi anni di distanza dalla prestazione del servizio militare alle armi, il militare non sia più aggiornato.

Non solo per ragioni tecniche, ma anche per ragioni di coscienza occorre, invece, che questo aggiornamento venga conferito con adeguati periodi di richiamo; come nella quasi totalità degli Stati avveniva, prima di questo conflitto, ed è previsto tuttora.

Un tecnico — che può non esserci simpatico, ma che va ricordato come un tecnico di valore — il Von Seckt, affermava: «Le riserve non istruite, chiamate in guerra, sono greggi consegnati alla brutalità del nemico».

Gli otto milioni di baionette che, per la teorica e balorda affermazione della riserva unica e per l'inesistenza di una sistematica dei richiami, ignoravano molti procedimenti e molti mezzi fondamentali relativi alla loro arma, sono un indice di questo grave errore di prospettiva. Ora, un sì tragico errore, una così grave omissione non dovranno essere ripetuti dal futuro legislatore.

E perciò, la prestazione di servizio militare del cittadino dovrà, dalle leggi di reclutamento, essere impostata in due distinti cicli: il primo, breve ferma alle armi (ferma organica, non soltanto ferma istruttiva) riducibile, a mio parere, a nove mesi; il secondo, periodi di richiami, indispensabili, fra il congedamento e il 45° anno di età (nel complesso, ad esempio, tre mesi).

Solo così, onorevoli colleghi, si avranno militari adeguatamente preparati alla difesa della Patria: alla difesa di quel bel giardino d'Europa che tutti i cittadini, militari o civili, degni di tal nome auspicano sia coltivato e fecondato dal lavoro italiano; non percorso da carri armati od arato dalle bombe degli aerei di forze armate nemiche che, una volta di più nella storia, vogliano presceglierlo per le sue allettanti basi navali e aeree (se non per esse soltanto) come campo di battaglia per le loro contese.

Per le ragioni di chiarificazione e di completamento che ho accennato, per orientare il legislatore ordinario in linea politica, senza per contro vincolarlo in linea tecnica, io ritengo che la formula proposta possa essere accolta dalla Costituente.

A puro titolo informativo leggo, molto brevemente, alcune formulazioni di Costituzioni estere moderne e contemporanee, relative all'obbligo del servizio militare ed alla formulazione che lo concerne:

Costituzione di Weimar (articolo 133): «Gli obblighi militari sono fissati dalle norme della legge del Reich sulle forze armate».

Costituzione cecoslovacca: «Ogni suddito valido della Repubblica cecoslovacca è tenuto a sottomettersi agli obblighi militari e a rispondere alla chiamata disposta per la difesa dello Stato. I particolari sono regolati dalla legge».

Costituzione polacca: «Tutti i cittadini sono obbligati al servizio militare e ai servizi per la difesa dello Stato. Il Presidente della Repubblica ordina ogni anno la leva delle reclute entro i limiti di un contingente stabilito. Il contingente di leva può essere stabilito mediante disposizioni di legge».

Costituzione estone: «Tutti i cittadini sono obbligati a partecipare alla difesa della Repubblica secondo i principî e le norme stabilite dalla legge».

Costituzione finlandese: «Ogni cittadino finlandese è obbligato a partecipare alla difesa della Patria o a contribuirvi, in conformità alle disposizioni di legge».

Costituzione lituana: «Tutti i cittadini partecipano alla difesa dello Stato».

Costituzione sovietica (articolo 132): «La legge prevede l'obbligo militare generale. Il servizio militare nell'Armata rossa è un dovere onorevole per ogni cittadino dell'URSS».

Progetto di Costituzione francese (elaborato dalla prima Assemblea Costituente, dichiarazione dei diritti, articolo 39): «Les citoyens doivent servir la République, la défendre au prix de leur vie». (Applausi).

[...]

Presidente Terracini. Dichiaro chiusa la discussione generale. Ha facoltà di parlare il Relatore, onorevole Merlin Umberto.

Merlin Umberto, Relatore. [...] Più serie critiche vennero fatte agli articoli 49, 50 e 51. L'onorevole Gasparotto con l'autorità che gli deriva dal suo ufficio attuale, ed oggi il collega Chatrian — che gli è venuto, per quanto superfluo, in aiuto — si sono battuti per una formula diversa da quella che la Commissione ha proposta. Il pensiero dell'onorevole Gasparotto fu ripreso poi dagli onorevoli Azzi e Calosso.

Io prima di scendere a qualche delucidazione sul pensiero della Commissione su questo punto, voglio sottolineare la prima parte di questo articolo, e lo faccio perché è un dovere; lo faccio perché è giusto che la Camera ripeta quello che tutti sentiamo. L'articolo dice: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».

Ora, queste sono parole da fondersi nel bronzo o da scolpirsi nel marmo, parole che noi vorremmo penetrate così nella coscienza del nostro popolo da non doversi mai più discutere su di esse, ed è con soddisfazione che io ricordo all'Assemblea che la Commissione fu unanime nel votare questa formula, e ricordo ancora le parole di pochi minuti fa, che il collega onorevole Colombi ha pronunciato e che dimostrano essersi raggiunto (ricordiamolo noi che siamo sempre avvezzi a dirci male l'un l'altro ed a roderci tra di noi) sul concetto della Patria e sull'amore verso di essa, una unanimità che deve essere e sarà cresimata indubbiamente dal voto dell'Assemblea. (Applausi).

La Patria non è più la matrigna che il fascismo aveva tentato di creare, ma è la madre generosa che accetta ed accoglie tutti i suoi figli con identico animo. (Applausi).

Ma l'onorevole Gasparotto ha spezzato una lancia per il volontariato. Ho detto prima quanto io sia ignorante e come di questo argomento debba trattare molto superficialmente; ora, ho sentito qui il parere dei competenti e mi inchino al parere del mio ottimo collega Chatrian, che può insegnare a me come a tutti, ho sentito il parere anche del valorosissimo generale Bencivenga, e non intendo in nessuna maniera discutere o mettere in dubbio quello che fu nella storia il valore del volontarismo; perché il volontarismo ha creato sempre spiriti generosi, capaci di ogni sacrificio, i quali hanno formato la storia. Quindi, lungi da me qualsiasi idea di mettere in dubbio o diminuire questo valore. Ma io parlo come uomo politico, e ricordo che i miei maestri, fino dai banchi dell'università, insegnandomi proprio le leggi create dalla Rivoluzione francese e dopo di essa, mi dicevano che la coscrizione obbligatoria è segno di democrazia, che il servizio militare deve essere generale per tutti, perché solo così si mettono tutti i cittadini nella condizione di adempiere al loro dovere in perfetta parità, senza eccezioni, senza distinzioni di classi e senza privilegi.

Vogliamo tornare indietro? No, certo. L'articolo 61 del Trattato di pace, che ci è stato dettato, dà all'Italia un contingente di 185.000 uomini per il suo esercito e di 75.000 uomini per i carabinieri. Però in quel dettato c'è una parte che io amo sottolineare: che, a differenza di quello che ha fatto il Trattato di Versailles per la Germania, non ha imposto il volontarismo. Ora, io sono d'accordo con l'onorevole Gasparotto che il nostro esercito, anche per la sua modestia come numero, non deve avere altro compito se non quello di assicurare la pace; ma, con le opportune ferme e con le opportune rotazioni, vogliamo dare a tutti i cittadini un minimo di conoscenza delle armi? Certamente, perché io conosco l'animo dell'onorevole Gasparotto e sono sicuro che egli risponde affermativamente a questa mia domanda.

Sono infatti di certo presenti alla mente di tutti i pericoli cui si andrebbe incontro se così non fosse. Voglio dire anzi all'onorevole Calosso che è vero che l'Italia è il giardino d'Europa, ma molto spesso sono calati su questo giardino gli stranieri da tutte le parti del mondo ed hanno colto le rose più belle, lasciando agli italiani soltanto le spine. (Applausi).

È perciò che la Commissione non può accogliere il principio della non obbligatorietà del servizio militare. Tuttavia, per non aver l'aria di volerci irrigidire in una formula che sia incompleta, e venendo incontro alle giuste osservazioni che il collega onorevole Chatrian ha fatto oggi, ed ammettendo precisamente che il volontarismo è sempre stato una delle forme di reclutamento dell'esercito italiano, noi siamo disposti ad accettare una formula che dica così:

«Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge».

Ma l'emendamento che la Commissione non può accogliere è quello che l'onorevole Calosso ha sostenuto ieri, in un discorso come al solito spumeggiante.

La Commissione plaude all'intenzione dei presentatori e trova che queste idee sono degne di considerazione e di studio; ma non basta venire all'Assemblea ad esporre delle belle idee, perché allora, per esempio, io potrei esporne una migliore di quella dell'onorevole Calosso, ove io proponessi un emendamento il quale suonasse: «Le spese per la pubblica istruzione devono essere il doppio di quelle per l'esercito e per la difesa del Paese».

Ma come è possibile interloquire, su questi argomenti, se ancora non abbiamo visto un bilancio? Come è possibile porre dei limiti, se non sappiamo ancora quello che tale piccolo esercito ci costerà? Questa idea dell'onorevole Calosso della parità fra le spese della pubblica istruzione e quelle militari fu già accennata anche dall'onorevole ministro Gonella; è un'idea che sentiamo tutti, è un'idea che corrisponde a una nobilissima aspirazione: ma lasciamo tempo al tempo e non vogliamo, in questa Assemblea, dissertare de omnibus rebus et quibusdam aliis; non vogliamo ragionare di tutto, anche di quello su cui non abbiamo potuto meditare; lasciamo cioè che questi bilanci siano esaminati, siano discussi e sopratutto studiati con quella competenza che è necessaria.

Ma l'onorevole Calosso, che ha certamente un ingegno portentoso, ha detto che la riorganizzazione dell'esercito deve essere compito dei politici e non dei tecnici. Sarebbe come dire che la ricostruzione delle nostre ferrovie e delle nostre case deve essere compito degli avvocati e non degli ingegneri. Ora, io non posso associarmi a queste sue affermazioni; io credo che la riorganizzazione dell'esercito debba essere invece prevalentemente ed essenzialmente oggetto dello studio dei tecnici, di coloro cioè che hanno consumato la loro vita al servizio del Paese e che concorsero in ogni momento a dare lustro al nostro esercito, che noi vogliamo sempre che sia presente al nostro affetto ed al nostro cuore. (Applausi).

L'onorevole Rodi e qualche altro collega hanno vivamente criticato il comma 3° dell'articolo 49 che dice così:

«L'ordinamento dell'esercito si informa allo spirito democratico della Repubblica italiana».

Ora qui io espongo il pensiero della Commissione e spero che esso possa soddisfare tutti gli onorevoli colleghi. Non si intese dalla Commissione di far penetrare la politica nell'esercito; questo fu lontano dalla nostra mente nel senso più assoluto; no, noi vogliamo l'esercito come istituzione al di fuori e al di sopra della politica, composto di uomini dediti soltanto al servizio della Patria. Ma la democrazia in Italia non è un partito: è il regime che il popolo italiano si è dato con piena libertà; e nella democrazia vivono e lottano tra di loro numerosi partiti. Ora, domandare che l'ordinamento dell'esercito si informi allo spirito democratico che deve informare tutta la vita del Paese, è domandare cosa lecita. La democrazia è lo stato non di fatto, ma di diritto del nostro Paese; domandare che l'esercito lo riconosca è fare opera d'unione e di concordia, non divisione politica. Vuol dire ancora quella formula che l'esercito, senza venire meno al principio di unità e di disciplina, nella sua organizzazione e nei suoi regolamenti non deve venir meno a quel rispetto della dignità e della libertà umana che è l'elemento fondamentale del progresso civile. Con ciò non si nuoce all'esercito, ma lo si rafforza rendendolo aderente allo spirito ed alla volontà nazionale.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti