[L'11 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Jacometti. [...] Il partito socialista fu sempre e continua ad essere (ed io penso che lo sarà anche per l'avvenire), in linea di principio, per una Camera unica. Perché? Perché noi riteniamo che una Camera che sia espressione del suffragio universale, sia la rappresentanza diretta, integrale e genuina della volontà popolare. L'aderenza fra Paese e Camera è così perfetta, la rispondenza è rapida, integrale e sensibilissima.

Contro questa concezione, contro questo nostro modo di pensare, si levano parecchie critiche. Io le raggrupperò in tre.

La prima è questa: proprio per l'aderenza fra Paese e Camera dei rappresentanti, si dice che la Camera può prendere sovente dei dirizzoni, può dare adito a delle svolte improvvise.

Credo che sia questo un modo non giusto di pensare, anzi credo di più: che ci sia in questo concetto qualcosa di eminentemente conservatore: si vuol impedire alla volontà popolare di esprimersi direttamente, naturalmente e genuinamente.

Che cosa si vuole in realtà? Si dice: sì, rappresentanza diretta, sì, suffragio universale; però con la palla di piombo al piede, però con dei freni. La seconda Camera, da questo punto di vista, potrebbe essere definita la Camera della paura. Si teme, cioè, che la prima Camera, espressione diretta del popolo, possa fare delle riforme troppo rapide, possa cioè realizzare, attuare, con grande immediatezza, la volontà della Nazione, del popolo. Ecco perché si vuole la seconda Camera e si tenta di impedire alle forze popolari di far valere il proprio pensiero; perché si ha paura della politica delle masse, della politica popolare.

La seconda critica che si fa alla Camera unica è di natura diversa; si dice: la Camera unica può diventare una Camera dittatoriale, può sfociare in una rappresentanza di interessi di partiti, in una dittatura di gruppi politici. È una critica che io non ho mai concepito, che io non ho mai capito. Ma perché si deve temere una dittatura, quando la prima Camera è la rappresentanza vera e propria del Paese e della maggioranza del Paese? Ma che cosa significa allora democrazia in questo caso? Perché mi pare, onorevoli colleghi, che il Governo democratico non si identifichi con un calderone in cui ci sia un po' di tutto, il calderone che noi abbiamo avuto dalla liberazione in poi in Italia, in cui tutti i partiti o molti partiti siano rappresentati.

A questo punto permettetemi di aprire una parentesi, di dire che non sono in contraddizione con me stesso e col mio partito, quando affermo questo; perché se noi oggi siamo contro il Governo di colore, lo siamo perché oggi il potere legislativo non è affidato all'Assemblea, ma al Governo. Domani, quando il potere legislativo fosse ripassato alla Camera, noi saremmo per quella democrazia che riteniamo la vera e che si esprime con una maggioranza che governa e con una minoranza che critica e che controlla.

Una terza critica, che ho sentito fare da un uomo che oggi siede ai banchi del Governo, è quella che una Camera unica porta quasi inevitabilmente alla dittatura di un uomo, ed a conforto di questa tesi furono fatti i nomi del primo e del terzo Napoleone. La cosa avvenne in un contraddittorio che io sostenni alla vigilia del 2 giugno dell'anno scorso; potei allora facilmente rispondere che quando il 28 ottobre 1922 il fascismo si impadroniva del potere, non vi era una Camera unica in Italia, ma ve n'erano due di cui una di nomina regia.

Ma se per tutte queste ragioni noi siamo sempre stati per la Camera unica, comprendiamo però che nella situazione italiana di oggi, forse le simpatie, forse la volontà dei più va verso le due Camere, né noi vi siamo ostili per partito preso; ma poniamo una condizione, che cioè le due Camere siano espressione integrale, democratica, della volontà popolare. Ora, nel Progetto a noi presentato, si parla di Senato come della seconda Camera ed io vorrei esaminare rapidissimamente, nella forma e nella sostanza, la progettata istituzione. Non capisco innanzitutto, perché si sia adottato il nome di Senato. Oh! lo so che è vecchio di secoli, ma le impressioni che riceviamo sono sempre quelle più vicine a noi; e quando si dice «Senato» pensiamo sopratutto all'ultimo Senato, a quel fiacco, osceno, ultimo Senato che tanto male fece all'Italia, che si piegò al fascismo come forse nessun'altra forza d'Italia si piegò al fascismo. E non sarà certamente il giudizio della Corte di cassazione a farci mutare pensiero su questo argomento. Ma la cosa principale è la sostanza.

Ci sono due tipi di seconde Camere: quello dei paesi federali, in cui la seconda Camera rappresenta gli interessi dei singoli Stati, e non è il caso di parlarne; c'è poi il Senato che proviene dalla nomina regia. Che cosa era il Senato di nomina regia? Era un vero e proprio modo di protezione della monarchia. Quando la monarchia si trova di fronte all'incalzare delle classi popolari, essa cerca di proteggersi ed allora crea questa seconda Camera che dovrebbe fare da contrappeso ed impedire ogni vero progresso, forma cioè una trincea davanti all'istituto monarchico per impedire che possa essere travolto. Quando la corona poi passa da un uomo a una classe, dal re alla borghesia, abbiamo la stessa difesa fatta attraverso il Senato con forme diverse: con modi diversi si cerca di controbilanciare sempre la diretta volontà popolare, salvaguardando gli interessi di classe.

Comunque sia, noi siamo sul cammino della creazione di una seconda Camera. A me pare si debbano, a questo punto, tener presenti due concetti: quello della funzione della seconda Camera e quello del metodo di formazione di essa. Noi crediamo che una Camera sia tanto più operante e vitale quanto più precisa e utile ne è la funzione, crediamo che la seconda Camera debba avere una funzione distinta dalla prima, una funzione sua propria.

Ora, nel Progetto noi troviamo, salvo alcune differenze di cui parlerò subito, nella seconda Camera un doppione della prima. La seconda Camera dovrebbe fare esattamente quello che fa al prima Camera: e questo noi non lo concepiamo.

Si era parlato di un Consiglio superiore dell'economia, e noi dichiariamo che l'idea ci seduceva: un Consiglio superiore in cui tutte le forze produttive del Paese fossero rappresentate ci avrebbe trovato consenzienti. Fummo noi a lanciarne l'idea. Si trattava di vedere se questa seconda Camera avesse dovuto avere voto deliberativo o consultivo: ma insomma c'era qualche cosa di nuovo e di diverso, c'era una funzione specifica, c'era una collaborazione con la prima Camera che poteva diventare seriamente vitale.

Si poteva concepire anche una specializzazione tecnica della seconda Camera. Molte forme sarebbero state possibili, concepibili. Invece, no! Invece, si è andati a creare un doppione.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti