[Il 9 ottobre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Parlamento».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo ora all'esame dell'articolo 56. Se ne dia lettura.

De Vita, Segretario, legge:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni d'età, e sono o sono stati:

decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-1945, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione;

Presidenti della Repubblica, Ministri o Sottosegretari di Stato, Deputati all'Assemblea Costituente o alla Camera dei deputati, membri non dichiarati decaduti del disciolto Senato;

membri per quattro anni complessivi di Consigli regionali o comunali;

professori ordinari di università e di istituti superiori, membri dell'Accademia dei Lincei e di corpi assimilati;

magistrati e funzionari dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni di gradi non inferiori o equiparati a quelli di consigliere di cassazione o direttore generale;

membri elettivi per quattro anni di consigli superiori presso le amministrazioni centrali; di consigli di ordini professionali; di consigli di Camere di commercio, industria ed agricoltura; di consigli direttivi nazionali, regionali o provinciali di organizzazioni sindacali;

membri per quattro anni di consigli di amministrazione o di gestione di aziende private o cooperative con almeno cento dipendenti o soci; imprenditori individuali, proprietari conduttori, dirigenti tecnici ed amministrativi di aziende di eguale importanza».

Presidente Terracini. Sono stati presentati a questo articolo vari emendamenti.

Il primo è quello dell'onorevole De Vita, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto quaranta anni di età».

L'onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

De Vita. A parte ogni considerazione sulla opportunità di mantenere nelle categorie di eleggibili a senatori alcuni componenti, come i magistrati e i funzionari dello Stato di grado non inferiore al quarto, essendo assai discutibile se sia opportuno che alti magistrati e alti funzionari dello Stato partecipino alla viva lotta politica, ritengo che la Commissione si sia trovata dinanzi a difficoltà assai gravi nello stabilire le categorie elencate all'articolo 56.

È completa l'elencazione? Sono assai ristrette o sono troppo ampie le categorie elencate?

Mi pare che queste domande contengano la condanna al criterio seguito dalla Commissione, perché è assai difficile — direi quasi impossibile — trovare un criterio assoluto che valga a stabilire se una elencazione sia completa e se le categorie siano troppo ampie o assai ristrette.

Ritengo, peraltro, che ogni limitazione posta in questo campo sia non soltanto arbitraria, ma anche antidemocratica.

Per quanto riguarda il limite minimo di età — con la mia proposta elevato da 35 a 40 anni — ritengo di non dovere spendere troppe parole. L'emendamento è ispirato dalla considerazione che il Senato debba essere composto da elementi che, anche per la loro età, diano garanzia di serenità, di obiettività e soprattutto di maggiore ponderatezza nelle deliberazioni che saranno chiamati ad adottare.

Presidente Terracini. L'onorevole Carboni Angelo ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Preti, Lami Starnuti, Rossi Paolo, Di Giovanni, Ruggiero.

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età al momento delle elezioni».

L'onorevole Carboni ha facoltà di svolgerlo.

Carboni Angelo. Il mio emendamento coincide esattamente con quello ora svolto dall'onorevole De Vita, salvo per quanto riguarda il limite di età, perché io mi sono attenuto a quello di 35 anni proposto dalla Commissione. L'onorevole De Vita propone invece che questo limite sia elevato a 40 anni, ed io non ho obiezioni da fare.

A quanto ha detto l'onorevole De Vita sul contenuto sostanziale del suo emendamento, coincidente — ripeto — col mio, cioè che l'elencazione degli eleggibili a senatori non corrisponde ad un criterio di opportunità, perché quelle categorie da un lato appaiono troppo ristrette, dall'altro troppo larghe, a me pare si debba aggiungere un'altra considerazione, cioè che limitare l'eleggibilità a senatore a determinate categorie di cittadini, ritenuti presuntivamente più capaci ed idonei, sia un criterio antidemocratico, che offende la libertà di scelta da parte del corpo elettorale in base ad una valutazione concreta della capacità e dell'attitudine di ciascuno.

Però io credo che ormai questo della determinazione delle categorie degli eleggibili sia un argomento superato dagli eventi.

La formulazione dell'articolo in esame è il risultato della laboriosa ricerca, nella Commissione dei settantacinque, di un criterio differenziatore fra le due Camere, il Senato e la Camera dei deputati. Si volle fissare qualche cosa che differenziasse la formazione delle due Camere, e si credette di trovare questo elemento differenziatore, stabilendo l'obbligatorietà della scelta dei senatori in determinate categorie di cittadini.

Ora l'Assemblea ha fissato il criterio differenziatore in qualche cosa di molto più saldo e più efficace, perché ha votato due ordini del giorno, uno che determina in linea di massima che la Camera dei deputati debba essere eletta col sistema proporzionale, l'altro che il Senato debba essere eletto col sistema del collegio uninominale.

In questa maniera si viene a differenziare la formazione dell'una e dell'altra Camera in tale modo, da rendere inutile l'espediente dell'elencazione delle categorie di eleggibili a senatori.

Raccomando, quindi, il mio emendamento ai voti dell'Assemblea.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo, Malagugini, così concepito:

«Sostituirlo col seguente:

«A senatori sono eleggibili gli elettori che hanno compiuto trentacinque anni di età.

«Subordinatamente:

«Al terzo alinea sopprimere: o comunali, e sostituire: Deputazione provinciale o Giunta comunale.

«Al quarto alinea sopprimere: e di corpi assimilati.

«Sopprimere il settimo alinea».

Non essendo presente alcuno dei firmatari, si intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

L'onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a sanatori i cittadini elettori che abbiano compiuto i trentacinque anni di età».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobili Tito Oro. Onorevoli colleghi, l'articolo 56 stabilisce le norme per la eleggibilità dei senatori e le relative limitazioni per età, per naturalità o domicilio e per categoria.

L'emendamento da me proposto, lasciando inalterata l'età stabilita dal progetto in trentacinque anni, elimina ogni altra limitazione, sia in ordine alla naturalità o al domicilio, sia in ordine alle categorie sociali, economiche, culturali, ecc.

Del requisito dell'età si è preoccupato pel nostro Gruppo il collega Targetti, il quale ha proposto che essa sia elevata a quaranta anni; e lo stesso Targetti, con altri colleghi, ha pure proposta la soppressione delle altre limitazioni sopra indicate. Tale emendamento, essendo decaduto per assenza dei proponenti, viene ripreso col mio, col quale perfettamente coincide, salvo per quanto riflette il requisito dell'età.

In ordine a questa, riconoscendo che l'unico giustificato criterio differenziale fra le due Camere può essere rappresentato dalla maggiore prudenza che contraddistingue gli uomini più maturi negli anni, ho lasciata inalterata l'età proposta dal progetto in trentacinque anni almeno.

L'emendamento Targetti invece appoggia, come ho detto, la tendenza a portare l'età degli eligendi a un limite minimo più elevato, e almeno ai quaranta anni. Su questo punto vi è pertanto disaccordo fra la proposta mia e quella dei colleghi; la mia è più aderente a criteri di democrazia, l'altra maggiormente seconda la preoccupazione di creare un organo dotato di maggiore esperienza della vita, e quindi di maggiore prudenza. Mi permetto però di far presente all'Assemblea che trattasi tuttavia di una differenza così lieve da rendersi irrilevante: onde, per riguardo ai colleghi proponenti che non potranno intervenire nella discussione, preferisco, anziché prender partito per l'una piuttosto che per l'altra risoluzione, di rimettere la scelta all'Assemblea.

Sugli emendamenti da portare alle altre parti del testo sono invece pienamente d'accordo col collega Targetti. Noi non possiamo accettare la limitazione della eleggibilità in ragione di naturalità o di domicilio, nel senso di esigere che il candidato sia nato o domiciliato nella Regione che dovrebbe eleggerlo.

La nostra tradizione unitaria ha precedenti chiari: non gioverebbe ricercarla nelle disposizioni dello Statuto albertino riguardanti il Senato, perché esso contemplava un Senato di nomina regia.

Ma il principio dello Stato-Nazione, cioè dello stato unitario attraverso la rappresentanza estensiva degli interessi generali dell'intero Paese per parte di ogni singolo parlamentare, era ben definito nelle disposizioni riguardanti la Camera dei deputati. Era ivi espressamente dichiarato, mi pare all'articolo 41, che il deputato non rappresenta soltanto il collegio dal quale è stato eletto, ma la intiera Nazione. D'altra parte in nessuna delle leggi elettorali dello Stato italiano è stato mai prescritto che per la eleggibilità del deputato occorresse che egli fosse o nato o domiciliato entro l'ambito del collegio dove si fosse presentato candidato. Siffatta pretesa non trova del resto riscontro in alcuna altra Carta costituzionale, che non siano quelle di Paesi governati a sistema federale o a Federazione di stati. Ognuno comprende come questo non sia il caso nostro. Noi abbiamo continuamente riaffermato la decisa volontà del Paese di ispirarsi sempre a quell'indirizzo unitario al quale si è ispirato il nostro Risorgimento, rispetto al quale la nostra fede rappresenta un superamento, non un rinnegamento.

L'unità d'Italia, nel moto spontaneo dei popoli verso le grandi formazioni che sollecitano l'abbattimento delle «barriere scellerate» e la fratellanza di tutte le genti, ha una tradizione degna di epopea, costellata di lotte, di sacrifici, di martiriologio; e la convinzione della sua necessità formò il substrato etico e passionale delle lotte, delle rivolte insurrezionali che condussero alla costituzione dello Stato nazionale italiano. C'è qualcuno che si illuda di poter oggi, profittando della sciagura, dare il colpo di spugna alle conquiste che di tale movimento furono le conseguenze?

Di questo spirito, che le calamità mai non riuscirono a spegnere, è documento la Costituzione della Repubblica romana, che ammetteva alla propria Assemblea non i naturali soltanto del proprio territorio, ma i cittadini degli Stati tutti d'Italia che da sei mesi vi avessero preso stanza. Lo ricordino gli immemori!

Il Senato è uno dei due rami del Parlamento nazionale; e legifera, vigile tutore dell'interessi generali di tutto il Paese, sugli interessi medesimi; e attinge, nella formazione della propria Assemblea, a tutto il territorio nazionale, senza distinzioni territoriali: sotto tale riflesso tutti i cittadini devono poter partecipare all'Assemblea medesima, in qualunque parte del territorio siano nati, in qualunque parte siano stati proclamati candidati ed eletti. La limitazione della eleggibilità dei senatori in ragione della naturalità e del domicilio nell'ambito della Regione che dovrebbe eleggerlo, offende dunque la coscienza unitaria del Paese e le origini dello Stato italiano; essa può essere stata ispirata soltanto dalla esasperazione di quello spirito regionalista che mina ormai la compagine statale e che di recente faceva emettere in quest'Aula a un membro del Governo, una esclamazione di angoscia: «Nel 1947 si sono create le Regioni, e si è spenta l'Italia!». (Commenti).

Il grido non è mio, è di un membro di questo Governo; ma io sento tutta la portata di questa onesta preoccupazione.

È una preoccupazione alla quale bisogna reagire. Ma bisogna reagire anche alla infatuazione regionalista, come a un fenomeno patologico, di panico, di egoismo localistico, di incipiente disinteressamento per il risollevamento della Nazione nel mondo. Quando indicammo il pericolo, ci si rispose che la creazione dell'ente Regione era la conseguenza necessaria dell'accettato principio delle autonomie locali, l'applicazione pura e semplice di quel decentramento amministrativo che noi stessi avevamo invocato. Ma qui si rende più evidente che non si fosse visto fin'ora, che la riforma non vuole limitarsi a quel ragionevole decentramento che avrebbe potuto con successo svilupparsi sugli enti Provincia e Comune, ma arditamente si spinge sul terreno politico, tende a formare delle Regioni le circoscrizioni elettorali del Senato, dei Consigli regionali altrettanti grandi elettori di ben un terzo dei Senatori (e questo tentativo è fortunatamente naufragato), a imporre che questi siano scelti in seno ai nativi e ai domiciliati nella Regione stessa, e a considerarli come portatori in seno al Senato, della voce della Regione, come rappresentanti, in seno ad esso, degli interessi particolaristi di questa, anziché di quelli generali della Nazione. Di guisa che non potrebbe più parlarsi di semplice prefederalismo; si tratterebbe ormai di dar vita a un Senato in funzione di Camera Federale delle Regioni. Ecco perché è proprio necessario eliminare il sospetto che si tenda alla graduale distruzione dell'unità italiana a soddisfazione del tradizionale spirito guelfo. Ecco perché occorre eliminare la preoccupazione che i propositi dei sostenitori vadano molto al di là della lettera del progetto, come ha fatto dubitare l'onorevole Ambrosini, quando, a conclusione della sua dotta relazione orale, nella discussione generale sulle Regioni, ha ricordato il rimprovero fattogli dal suo Partito «di aver troppo contenuto la riforma».

Questa preoccupazione e quel sospetto noi non vogliamo che si diffonda, ma bisogna anche evitare che ad essi si dia esca in maniera da far credere che il nostro ordinamento si inoltri per la via del federalismo. La rappresentanza che si vuol dare ad interessi di Regione in una Assemblea a funzione e a fini nazionali, è completamente ingiustificata. Ingiustificata sotto tutti i rapporti, anche sotto quello della opportunità e dell'utilità. È logico che in ciascuna circoscrizione, sia ristretta, sia allargata, i Partiti prima, ed il popolo poi, il corpo elettorale in altri termini, abbiano sempre interesse di scegliere, per quanto possibile, gli elementi locali e di preferirli a quelli estranei. E ciò basta a far ritenere superflua e non necessaria la odiosa limitazione. Il peggio è che, per effetto di questa, il progetto preclude la via alle circoscrizioni di cercare i propri candidati in altre località, anche nel caso che una scelta soddisfacente ne sia stata impossibile nel proprio seno. Il vizio del progetto della tendenza maggioritaria è dunque individuato: essa antepone ai fini generali e unitari quelli particolaristici: così quando si batte per un Senato corporativo, a categorie d'interessi; così quando si batte per un Senato a rappresentanza d'interessi regionali; così quando, caduto il tentativo precedente, si batterà per un Senato aperto esclusivamente a limitate categorie culturali, economiche e sociali che non includono però le forze vive del lavoro. Per questi motivi noi ci batteremo contro questa prima parte dell'articolo 56 e sosterremo ad oltranza l'emendamento che abbiamo proposto.

E ora vengo all'ultima parte dell'emendamento, con la quale, contro la proposta della Commissione di accordare la eleggibilità a limitate categorie di cittadini, proponiamo la soppressione dell'elenco che lo sviluppa, per lasciare aperto, anche pel Senato il diritto di elettorato passivo a tutti i cittadini elettori indistintamente. Prima di tutto mi propongo questo quesito: l'elenco delle categorie proposte ha un carattere tassativo o vuole essere soltanto esemplificativo, un elenco tipo insomma, che permetta un allargamento per analogia, come ad esempio farebbe supporre a rafforzamento del principio favores sunt ampliandi, il fatto che là dove si parla dei membri dell'Accademia dei Lincei si soggiunge immediatamente «o di altri corpi assimilati»? Nell'uno e nell'altro caso s'impongono dei rilievi.

Nella ipotesi che l'elenco voglia essere tassativo, non appare evidente che alcune categorie di eleggibili sono state incomprensibilmente pretermesse, senza che ne sia stata data alcuna spiegazione? Confrontando (questa non è una preoccupazione di partito, ed io la esprimo a titolo di puntualità costituzionale) lo Statuto albertino col nostro articolo 56, trovo, per esempio, che è omessa la categoria degli Arcivescovi e dei Vescovi dello Stato, e non si è voluto certamente escludere con ciò che costoro abbiano i requisiti per poter portare l'espressione della loro esperienza e della loro prudenza nelle deliberazioni interessanti il Paese. Non è da pensarlo, perché troppi elementi vigilavano a che una deliberazione di questo genere, e con questa portata non fosse assunta. E allora, quale è la ragione recondita di questa esclusione? Forse la preoccupazione rispettosa ne ludibrio exponentur in una Assemblea agitata da passioni di parte? O forse per lasciare più libere, senza la preoccupazione del doveroso riguardo ai presuli dovuto, le manifestazioni dell'Assemblea? Non si tratta di una curiosità; era un nostro diritto saperlo, anche per la soddisfazione dovuta alle nostre coscienze. Il quesito resterà forse senza risposta.

A questa strana e inesplicata omissione si contrappone una intrusione storicamente ingiustificata, quella della categoria «degli imprenditori individuali, proprietari, conduttori... di aziende con almeno 100 dipendenti o soci».

Questa categoria mira ad introdurre, sebbene mascherata, l'antica categoria del censo; e ciò tanto più si rende evidente quando si pensi che oggi anche i maggiori tenimenti terrieri sono tutti organizzati ad impresa. E in contrapposto non c'è una categoria che riguardi le forze vive del lavoro, quelle forze che la Repubblica italiana, fondata sul lavoro, coll'articolo 1 della sua Costituzione, ha chiamato alla partecipazione effettiva a tutta l'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il Senato fa o non fa parte della organizzazione politica del Paese?

L'esclusione dalla eleggibilità al Senato della Repubblica delle forze vive del lavoro, malgrado la proclamazione dell'articolo 1 della Costituzione, perpetrerebbe la più flagrante violazione di quei diritti essenziali che si vollero garentiti cogli articoli 2 e 3 della Costituzione, che a tutti i cittadini, di qualunque condizione sociale, assicurano eguaglianza assoluta anche nel godimento dei diritti politici; e susciterebbe il sospetto che la elencazione dell'articolo 56 sia stata adottata o, se vuolsi, mantenuta proprio allo scopo precipuo di escludere dal Senato i lavoratori. Né varrebbe opporre di avervi inclusi membri dei consigli direttivi nazionali, regionali e provinciali, delle organizzazioni sindacali, già che ciò non basterebbe a rendere eleggibili i lavoratori che non intraprendano la missione organizzativa.

Eppure sarebbe oltreché doveroso, socialmente e politicamente utilissimo aprire ai lavoratori tutte le vie, comprese quelle che conducono alle supreme Magistrature, eccitando in loro il desiderio di formarsi e di pervenire, sviluppandone l'amore allo studio e al perfezionamento tecnico. Conosco operai dei più svariati settori che, autodidatti, hanno raggiunto i gradi di coltura e di addestramento più sorprendente nelle lettere, nelle scienze, e nelle arti. Perché tenerli lontani dall'esercizio di un diritto politico che procede dalla sovranità popolare? Bisogna sapere ormai reagire al pregiudizio delle distinzioni aristocratiche. Ecco perché, noi combattiamo l'elencazione dell'articolo 56, che è in funzione di una ingiustizia sociale che sarebbe delittuosa; e tanto più la combattiamo in quanto la si voglia considerare tassativa.

Passo all'esame dell'altra ipotesi. Se l'elenco dovesse considerarsi esemplificativo, occorrerebbe domandarsi chi sarà il giudice dell'analogia? Quanto dire della eleggibilità. Sarà l'ufficio del collegio uninominale? Sarà l'ufficio del collegio centrale oppure l'organo del Senato per la verifica dei poteri?

Comunque, quali garanzie di obiettività potranno avere le minoranze di fronte ad un giudizio di tal natura, devoluto ad uomini che non possono dare se non giudizi soggettivi e non sempre sono in grado di mantenersi obiettivi?

I quesiti propostici servono dunque a dimostrare che, dal punto di vista strutturale, il progetto di Costituzione rivela prima facie nell'articolo 56, i vizi che vi si annidano e ne fanno presentire le conseguenze.

Ma, indipendentemente da ciò, s'impone anche qui il rilievo di carattere politico. Come si concilia colla nostra Carta (che cogli articoli 6 e 7 esalta i cosiddetti diritti essenziali, e primo fra tutti quello dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte ai diritti politici) la esclusione dal Senato della categoria dei lavoratori, la più numerosa, e certamente la più benemerita, specie in questo momento di febbrile ricostruzione, e colla esclusione altresì dei ceti professionali e di tante altre categorie di cittadini, per milioni e milioni? Nessuna giustificazione potrà purtroppo valere a dimostrare che qui il principio democratico della eguaglianza dei cittadini e quello della sovranità popolare non siano stati sopraffatti dalla nostalgia anacronistica del privilegio di casta, mal dissimulata dall'adito al Senato che il progetto consente poi, evidente beffa, al consigliere comunale di Roccacannuccia.

Il rimedio esiste ed è nei principî: la scelta dei senatori, come quella dei deputati, spetta completamente e liberamente alla sovranità popolare. E il popolo la eserciterà sotto la guida dei partiti, attraverso il criterio che essi ne faranno nel loro senso di responsabilità e attraverso l'ulteriore selezione che sulle candidature sarà fatta dal corpo elettorale.

Alla direzione dei partiti politici è il fiore della intelligenza e dell'accorgimento che ciascuno di essi può dare: è di tutta certezza che questi uomini sapranno, nell'interesse stesso dei partiti, esercitare la scelta, in collaborazione dei comitati locali, con ogni avvedimento e colla precipua preoccupazione di non creare rappresentanze che nella contesa parlamentare siano preventivamente condannate alla inferiorità nei confronti degli altri partiti. E il buon senso del corpo elettorale farà il resto, nell'esercizio della più delicata funzione della sovranità popolare.

Non si deve rappresentare la funzione dei partiti come contrapposta a quella della sovranità popolare e parlare di sopraggiunta partitocrazia, quasi essi quella sovranità abbiano detronizzata o mirino a detronizzare: i partiti, non è chi non possa comprenderlo, sono invece gli organi di questa sovranità, che si esprime e si esercita sotto la loro guida, perché non potrebbe esprimersi ed esercitarsi se non per via di organizzazione.

Garenzie dunque ne abbiamo a sufficienza, perché il Senato, senza bisogno di ricorrere a limitazioni odiose e antistoriche, risulti dalla accurata scelta degli elementi più probi, più capaci, più prudenti. La caratteristica di questo ramo del Parlamento, alla quale conferirà anche la limitazione dell'età che sarà richiesta per la eleggibilità, sarà la prudenza, intesa non come spirito reattivo agli impulsi di progresso, ma come preoccupazione di quel maggiore avvedimento che solo la più lunga esperienza della vita può fornire. E, pertanto, questa caratteristica non potrà costituire motivo di minor simpatia da parte del popolo per il nascente Senato della Repubblica; e il popolo ne accompagnerà la nascita col fiducioso ricordo che quando prudentia senium spreta est res publica periclitavit.

Si sopprimano, dunque, le anacronistiche limitazioni così contrastanti collo spirito dello stesso progetto di Costituzione; si riconosca in pieno, anche per la elezione dei senatori, la sovranità del popolo; non si creino sospetti d'insincerità sull'opera nostra. Solo così potremo dimostrare che la nostra Carta costituzionale non per vana lustra ha fatto le proclamazioni contenute nei suoi primi tre articoli, ma col fermo proposito di garantire a tutti i cittadini indistintamente una assoluta eguaglianza sostanziale, politica e sociale. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. L'onorevole Donati ha presentato il seguente emendamento:

Dopo la parola: elettori, togliere l'inciso: nati o domiciliati nella Regione.

Ha facoltà di svolgerlo.

Donati. Onorevoli colleghi, non ho nulla da aggiungere a quanto è stato già a suo tempo esposto dall'onorevole Nitti ed ora dall'onorevole Nobili Oro in merito all'inopportunità di fare delle Regioni tanti compartimenti-stagni agli effetti dell'eleggibilità dei senatori. Voglio soltanto osservare, che, anche a voler tenere nella maggiore evidenza la base regionale, l'inciso di cui propongo la soppressione, non presenta alcuna utilità. Anzitutto è sempre inutile, e quindi dannosa una norma che può essere facilmente violata: tale è la norma proposta dalla Commissione perché, se il luogo di nascita non può essere cambiato, il domicilio può essere facilmente mutato, anche soltanto in vista delle elezioni.

D'altro canto, è frequente l'ipotesi di persone che hanno illustrato nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti o dell'attività industriale o nel campo della beneficienza la Regione dalla quale traggono origine, pur non essendovi nati perché, ad esempio, figli di impiegati che prestavano servizio fuori della Regione di origine e pure non essendovi neppure domiciliati. In tali casi, col testo della Commissione si preclude agli elettori di una regione la possibilità di elevare al Senato i suoi figli più degni.

Pertanto ritengo questo provvedimento dannoso ed insisto per la sua soppressione.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Cifaldi e Cairo hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere l'inciso: nati o domiciliati nella Regione».

Poiché nessuno dei presentatori è presente, si intende che abbiamo rinunziato a svolgerlo.

Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Castelli Avolio, Chatrian, Cingolani, Ermini, Tupini, Tozzi Condivi, De Palma hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma sopprimere le parole: nati o domiciliati nella Regione».

«Nel caso che il detto emendamento soppressivo non fosse approvato dall'Assemblea, aggiungere, alla fine dell'articolo stesso, il seguente comma:

«Il requisito della nascita o del domicilio nella Regione, di cui alla prima parte del presente articolo, non si applica a coloro che siano stati, in uno dei collegi della Regione, deputati alla Costituente o alla Camera dei deputati».

L'onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerli.

Codacci Pisanelli. L'emendamento proposto ha bisogno appena di essere illustrato. Si riferisce in realtà al problema testé prospettato dall'oratore che mi ha preceduto, cioè quello di non esigere il requisito del domicilio, tanto più che il domicilio potrebbe essere eletto con tale facilità da non costituire garanzia di rapporto di particolare legame con la Regione o con la circoscrizione nella quale si aspira ad essere eletti. Non voglio dilungarmi su quanto è stato già illustrato dal collega. Ritengo che si possa fare a meno di porre i requisiti stabiliti nel progetto e quindi che questo emendamento possa essere accolto senza difficoltà, ove non si voglia escludere del tutto il requisito del domicilio.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Bastianetto, Bazoli, Montini, Caso, Bettiol, Lizier, Corsanego, Martinelli, Spataro e Cotellessa hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere: nati o domiciliati nella Regione».

Onorevole Bastianetto ha facoltà di svolgerlo.

Bastianetto. È già stato svolto dall'onorevole Donati alle cui conclusioni mi associo.

Presidente Terracini. L'onorevole Conti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Alle parole: trentacinque anni di età, sostituire le altre: quaranta anni di età».

«Sopprimere le categorie».

Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerli.

L'onorevole Rodi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo alinea col seguente:

«I decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre, che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione».

Fo presente che questo è il primo degli emendamenti che si riferiscono alle categorie.

L'onorevole Rodi ha facoltà di svolgerlo.

Rodi. Ho presentato questo emendamento, proponendomi di variarlo a seconda della discussione, perché il testo della Commissione mi sembra ambiguo, non soltanto nello spirito, ma anche, direi, nel senso grammaticale, perché dice: «Sono eleggibili a senatori i decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-45, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione».

Questa virgola, che ha separato la prima parte del periodo dalla seconda, lascia dei dubbi, nel senso cioè che siano compresi in questa categoria i decorati e poi i generali, oppure i generali di divisione che siano stati decorati al valore nella guerra del 1943-45? Per me già la stesura grammaticale non è troppo chiara. Ad ogni modo ho presentato questo emendamento: «i decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione», nel senso cioè che ho voluto precisare che accanto ai decorati, poiché questo comma è destinato a chi è stato valoroso in guerra, si includessero anche gli invalidi e mutilati di tutte le guerre ed a questo proposito ho anche firmato un emendamento presentato da altri colleghi, affinché questa categoria sia compresa fra gli eleggibili a senatore. E poi ho desiderato eliminare le limitazioni riguardanti la guerra di liberazione 1943-45 perché, francamente, mi sembra ingiusto disconoscere in maniera così chiara e mortificante che le medaglie d'oro della guerra 1940-43 non debbano avere da parte del popolo italiano quel riconoscimento che loro spetta, perché, per quanto la si voglia dire una guerra fascista, per quanto si voglia dare a questa guerra un valore politico, non è meno vero che questa guerra l'abbiamo fatta come italiani e se in quel periodo ci sono state delle medaglie d'oro è addirittura offensivo escluderle a bella posta dall'elenco degli eleggibili a senatori.

Pertanto il mio emendamento tende a questo: a comprendere tutti gli eroi indistintamente, poi gli invalidi e i mutilati di guerra. (Applausi a destra).

Arata. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Arata. Noi qui ora abbiamo iniziato la discussione degli emendamenti che riguardano le categorie degli eleggibili.

Proporrei, per economia della discussione, che si votasse senz'altro il primo comma dell'articolo 56 con gli emendamenti che lo riguardano, in quanto che, nel caso di votazione positiva, l'elencazione delle categorie verrebbe senz'altro a cadere e quindi elimineremmo la discussione di numerosi emendamenti che riguardano le varie categorie degli eleggibili.

Presidente Terracini. L'onorevole Arata, partendo dal presupposto che molti degli emendamenti sostitutivi, già svolti dai proponenti, concludono con la proposta di soppressione delle categorie, propone che si passi alla votazione di questi primi emendamenti che, se fossero accolti, renderebbero poi inutile ogni altra votazione.

C'è qualcuno che domanda la parola su questa proposta?

Moro. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Moro. Io credo che siano assennate le considerazioni dell'onorevole Arata. Solo vorrei fare osservare che, in fondo, la valutazione della opportunità di mantenere o meno le categorie deriva anche dall'apprezzamento che si faccia delle singole categorie così come sono presentate negli emendamenti proposti. È chiaro che non si può decidere in astratto. È opportuno che il principio della limitazione delle categorie di eleggibili sia considerato in concreto, in relazione alle categorie che sono effettivamente proposte.

Mi rendo conto che si guadagnerebbe del tempo, ma mi domando se non sia opportuno prolungare la discussione per illuminare meglio il punto di principio attraverso l'esame dei successivi emendamenti.

Presidente Terracini. L'onorevole Moro ha veramente obiettato che sarebbe necessaria ancora una certa chiarificazione per sapere se si accetta o meno il criterio.

Questa chiarificazione deriverebbe dall'esame delle categorie proposte; a seconda del carattere di queste categorie ritiene l'onorevole Moro che si possa o non si possa accettare il principio stesso.

Ma il criterio dell'onorevole Moro significa, in sostanza, respingere la proposta dell'onorevole Arata.

Se non vi sono altre osservazioni, pongo in votazione la proposta dell'onorevole Arata tendente a far precedere la votazione del primo comma dell'articolo 56 all'eventuale svolgimento degli emendamenti che riguardano le singole categorie di eleggibili alla carica di senatore.

(È approvata).

Invito l'onorevole Ruini a esprimere il pensiero della Commissione in ordine agli emendamenti svolti.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, riferirò su ciò che ha stabilito il Comitato, non sicuro però, per ripetute esperienze, che i colleghi i quali hanno votato in un modo nel Comitato voteranno nello stesso modo anche nell'Assemblea. Veniamo ai gruppi di emendamenti presentati. Abbiamo innanzitutto gli emendamenti degli onorevoli Targetti, e quelli degli onorevoli Nobili Tito Oro, Donati, Cifaldi, Nitti, ed altri e, in via subordinata, anche quello Codacci Pisanelli, che voglion sopprimere la condizione «nati e domiciliati nella Regione». A questo proposito, il Comitato ha tenuto presente che vi sono dei casi i quali dimostrano che la nascita o il domicilio nella Regione non assicurano il nesso di appartenenza diretta ed efficiente alla Regione stessa. Vi può essere un cittadino, figlio di un impiegato, il quale sia nato per combinazione in una Regione, ma non vi abbia più rimesso piede: questi potrebbe essere candidato. Viceversa vi possono essere altri, di genitori e di gente ab antiquo d'una Regione che sono nati fuori ed hanno domicilio altrove (un decisivo peso ha il domicilio legale), ma han conservato i vincoli più stretti, vi sono stati eletti deputati (l'amico Tupini ha citato il suo caso), e non potrebbero esservi nominati senatori.

Tutto sommato, il Comitato ha ritenuto a maggioranza che si debba togliere questa condizione, in quanto non raggiunge l'effetto voluto di imprimere un carattere di sicura regionalità.

Veniamo ora alla questione dell'età: il testo propone 35 anni, ma alcuni colleghi, gli onorevoli Nitti, De Vita, Conti, Carboni, hanno proposto che questo limite venga elevato sino ai 40 anni. Il Comitato ha aderito a tale emendamento, che gli è parso più consono al carattere del Senato: senato viene infatti da seniores.

Per quanto concerne le categorie degli eleggibili al Senato, ho già altra volta accennato, e debbo ora ricordare, come è stata impostata la loro formulazione. Il motivo fondamentale che le giustifica era di trovare, anche nella qualificazione dei senatori, una differenziazione del Senato dall'altra Camera, ed una accentuazione del suo carattere più particolare di competenza e di tecnicità. Per il criterio di qualificazione la seconda Sottocommissione, presieduta dall'onorevole Terracini, partì col proposito di andare incontro, se era possibile, all'idea sostenuta dall'onorevole Piccioni e da altri colleghi, delle categorie professionali, ispirate alla rappresentanza organica; era una via di mezzo; il corpo elettorale unico avrebbe scelto gli appartenenti a tali categorie. La Sottocommissione si pose al lavoro. Ma per strada si è trasformata la cosa: ed invece di categorie più propriamente professionali e di rappresentanza organica, si sono avute categorie di più complesso e vario ordine; così che l'intento originario della loro configurazione è andato perduto. L'elenco che è risultato dà luogo ad incertezze e fa sorgere il dubbio se convenga mantenere il sistema delle categorie od abbandonarlo.

Debbo ad ogni modo, rilevando un'osservazione dell'onorevole Nobili Tito Oro, che trova come la formula proposta, dimenticando e trascurando gli elementi operai, offenda e ferisca i principî del lavoro e della democrazia, osservare che fra le categorie vi sono quelle dei membri di Consigli, non solo nazionali o regionali, ma provinciali di organizzazioni sindacali, e ciò per gli operai come per i datori di lavoro; così che non vi è stata la dimenticanza denunciata.

Ma altri rilievi si possono fare. Vi è stato, in Sottocommissione e poi in Commissione plenaria, uno sforzo notevole per trovare un ordine logico e graduato delle categorie. Si è fatto capo soprattutto, al concetto di comprendervi chi già ha ed ha avuto in qualche modo un mandato, una designazione, una funzione di rappresentanza in un'assemblea politica o amministrativa, o professionale o, persino, in una società anonima o cooperativa. Ma si è poi creduto di dover ammettere anche chi, non avendo un titolo di questo genere, ad esempio dirigesse personalmente un'azienda della stessa vastità di quella stabilita nelle anonime e cooperative per renderne eleggibili gli amministratori.

Si è cercato di ricondurre le categorie a gruppi abbastanza organici che, in sostanza, oltre a quello dei decorati al valore, sarebbero quattro: cariche politiche, amministrative, ordini professionali e culturali, sindacati. Ma bisogna confessare che la formulazione ottenuta, con ogni sforzo, non è riuscita soddisfacente e sufficiente, anche per alcuni di quelli che avevano partecipato alla formulazione stessa; e poi, ha provocato così numerose proposte di soppressione. Il Comitato, pur ritenendo che sarebbe opportuno richiedere qualifiche speciali pei senatori, ha d'altra parte considerato che, essendo avvenuta in altro modo — con l'adozione dei sistemi elettorali — la differenziazione delle due Camere, vien meno la ragione più forte per il sistema delle categorie. Pertanto il Comitato ha aderito, a maggioranza, agli emendamenti soppressivi.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Gasparotto, Veroni, Villabruna, Bocconi, Lami Starnuti, Carboni Angelo, Filippini, Rossi Paolo, Arata, Bordon, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, oltre alle parole: nati o domiciliati, anche le altre: o residenti».

L'onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgerlo.

Gasparotto. Sono favorevole alla soppressione delle categorie, ma ove a questo non si addivenisse, io dico che bisogna parlare non soltanto del luogo di nascita e del domicilio, ma anche della residenza, la quale ha grande importanza nell'attività dell'individuo. Il domicilio si confonde quasi sempre col luogo di nascita, ed è mantenuto soprattutto per ragioni affettive. La residenza, per definizione data dal Codice civile, è la sede principale dei propri affari ed interessi, ed è nella residenza che si esplica la maggior parte dell'attività del cittadino. Dunque, si potrebbe eventualmente sopprimere la voce «domicilio», per sostituirla con «residenza»; ma, per non perderci in quisquilie, proponiamo semplicemente di aggiungere «o residenti».

Clerici. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Clerici. Chiedo all'onorevole Presidente che sia messo in votazione per divisione il punto dell'articolo 56, là dove dice: «nati o domiciliati nella Regione», perché — e faccio così anche una dichiarazione di voto — a me pare — ed il punto non è stato ancora rilevato dagli onorevoli colleghi — che con questa statuizione noi verremmo ad urtare il principio stabilito dall'articolo che voteremo tra poco, cioè dall'articolo 64 del progetto di Costituzione, il quale statuisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione».

Ricordo a me stesso che ciò è perfettamente conforme al moderno concetto di rappresentanza, in contrapposto a quello antico che stabiliva i cahiers, cioè mandato proprio e vincolativo. Oggi, adunque, al pari del deputato, il senatore rappresenta la Nazione. Per cui è assurdo che, poiché anche il Senato rappresenta la Nazione, debba porsi questa limitazione localistica.

Presidente Terracini. E allora, onorevoli colleghi, passiamo alla votazione che — secondo lo spirito della proposta dell'onorevole Arata, che l'Assemblea ha approvato — avverrà per divisione. Voteremo sul primo comma dell'articolo 56:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età, e sono o sono stati».

Poiché, d'altra parte, sono stati presentati emendamenti a diverse parti di questo primo comma, e precisamente alla prima parte, dove si afferma il principio della nascita o del domicilio nella Regione; e alla seconda che si riferisce all'età; e, infine, alle categorie, procederemo alla votazione in tre parti distinte, votando prima l'inciso:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione».

Faccio presente che hanno chiesto la soppressione dell'ultima parte di questo inciso «nati o domiciliati nella Regione» gli onorevoli Targetti, Donati, Nobili Tito Oro, Cifaldi, Codacci Pisanelli, Bastianetto.

Lussu. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lussu. Io voterò la dichiarazione contemplata nel primo comma: «Sono eleggibili a senatori gli elettori nati e domiciliati» e sono disposto anche a votare l'aggiunta introdotta dal collega Gasparotto, se sarà votata.

Dichiaro che voterò questo perché nessuna delle ragioni esposte dall'onorevole Ruini mi ha minimamente convinto e non mi ha neppure convinto l'ultima ragione espressa dall'onorevole Clerici. Sono tutte finzioni, falsi ragionamenti che non possono far dimenticare quello che inizialmente la Commissione aveva inteso affermare. È chiaro che ogni deputato ed ogni senatore rappresenta la Nazione. Questo avveniva anche nel periodo in cui il sistema di elezione era il collegio uninominale; era una questione teorica, ma era ovvio ed ammesso da tutti che il deputato rappresentasse la Nazione. Così può rappresentare perfettamente la Nazione, conciliando gli interessi della Regione con quelli dello Stato e della Nazione, chi sia senatore con il requisito voluto di essere nato e domiciliato nella determinata Regione dove ha presentato la propria candidatura.

Nobile. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Nobile. Io voterò contro.

In un secolo in cui l'aeroplano ha raggiunto mille chilometri all'ora e l'automobile ha sorpassato i seicento, quando è possibile lavorare durante la giornata a Roma e dormire la notte a Milano, trovo assolutamente anacronistica ed assurda una tale disposizione nella nuova Costituzione della Repubblica.

Presidente Terracini. Passiamo ai voti.

Per necessità di chiarezza, metterò in votazione la formula:

«Sono eleggibili a senatore gli elettori».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole:

«nati o domiciliati nella Regione».

(Non sono approvate).

Pertanto decade anche l'emendamento aggiuntivo dell'onorevole Gasparotto.

Sulla questione dell'età necessaria per porre la candidatura al Senato vi sono due sole proposte: la proposta di trentacinque anni, che è della Commissione, e l'altra, sostenuta dagli onorevoli De Vita, Conti e Nitti, di quaranta anni.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. I quarant'anni sono stati accettati anche da noi.

Presidente Terracini. Sta bene.

Pongo dunque in votazione la proposta di fissare l'eleggibilità dei senatori in quarant'anni.

(Dopo prova e controprova è approvata).

Passiamo ora alla votazione delle ultime parole del comma:

«e sono o sono stati».

I due verbi implicano evidentemente l'accettazione o meno del principio dell'elencazione delle categorie. Pertanto chi approva questa formulazione, implicitamente approva che esista una elencazione, salvo a definirla. Chi non approva esclude ogni elencazione di categoria, quindi ogni altro limite di eleggibilità all'infuori di quelli già votati con le due votazioni fatte or ora.

Faccio presente che è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Bertola, Burato, Ferrarese, Tambroni, Vicentini, Nicotra Maria, Caso, Bosco Lucarelli, De Martino, Restagno. È stata anche presentata domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Laconi, Scoccimarro, Grieco, Corbi, Moranino, Cavallari, Maltagliati, Scotti Francesco, Ravagnan, Rossi Maria Maddalena, Lombardi Carlo, Longo, Maffi, Pellegrini, Barontini Anelito, Saccenti, D'Onofrio, Musolino, Pastore Raffaele, Barontini Ilio, Minio.

Targetti. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Targetti. Ho chiesto la parola soltanto per ricordare che il nostro Gruppo aveva presentato un emendamento che portava all'abolizione delle categorie.

Presidente Terracini. Avverto che non si procede alla votazione delle proposte soppressive.

A norma del Regolamento, ha la precedenza la votazione a scrutinio segreto.

Presidente Terracini. Procediamo alla votazione segreta.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono alla numerazione dei voti).

Presidente Terracini. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti............ 360
Maggioranza.............. 181
Voti favorevoli........... 180
Voti contrari.............. 180

(Non essendo stata raggiunta la maggioranza, l'Assemblea non approva).

[Nel resoconto stenografico della seduta segue l'elenco dei deputati che hanno preso parte alla votazione.]

Codacci Pisanelli. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Codacci Pisanelli. Sottopongo soltanto un quesito, signor Presidente. Non sono ben addentro nella prassi parlamentare; ma mi sembra che, trattandosi di votare il testo proposto nel progetto costituzionale e non un emendamento, il fatto che non sia stata raggiunta la maggioranza implica l'approvazione del testo. (Interruzioni a sinistra).

Presidente Terracini. Gradirei, onorevole Codacci Pisanelli, che lei precisasse il suo concetto.

Codacci Pisanelli. Se permette, preciso. Quando ci troviamo di fronte agli emendamenti, sappiamo che, qualora l'emendamento raggiunga la parità, è respinto, perché non ha la maggioranza; ma quando si tratta di un articolo del progetto di Costituzione, presentato dalla Commissione dei Settantacinque, il fatto che non sia stato respinto dalla maggioranza implica l'approvazione di questo testo.

Presidente Terracini. Onorevole Codacci Pisanelli, le confesso che non riesco a cogliere la sua sottile distinzione. Mi sembra pacifico che, affinché un testo qualunque sia approvato, deve avere la maggioranza e, per calcolare la maggioranza, il computo è molto semplice. C'è una norma che ognuno conosce ed io, ogni volta che comunico i risultati di una votazione, indico per prima cosa qual è la quota di maggioranza. Poco fa ho letto queste cifre, che rileggo: presenti e votanti: 360; maggioranza: 181. Ciò significa che, perché si raggiunga il quoziente necessario all'approvazione, occorre avere almeno 181 voti, e tuttavia i voti favorevoli sono stati 180. Onorevole Codacci, mi pare che non ci sia discussione possibile.

Codacci Pisanelli. Quanto alla distinzione che all'onorevole Presidente è sembrata molto sottile, mi pare che in realtà, sia differente l'ipotesi dell'emendamento da quella del testo presentato. L'emendamento porta modificazioni al testo, e quindi si richiede questa maggioranza; viceversa, quando si tratta di un progetto di legge, che è presentato per l'approvazione, a mio avviso il fatto che vi sia la parità implica l'approvazione e non il rigetto. È una questione che sottopongo all'Assemblea perché potrebbe presentarsi ancora in avvenire.

Presidente Terracini. Credevo di averla convinta La maggioranza non è una ipotesi, è una realtà immutabile. Data una certa cifra di votanti, qualunque cosa si voti (un testo, un emendamento, una mozione, un ordine del giorno), la maggioranza è un dato fisso ed immutabile, che si computa — le ripeto, onorevole Codacci Pisanelli — secondo regole elementari contenute in tutti i manuali. Applicata questa regola al numero di 360 presenti e votanti in quest'Aula, la maggioranza si fissa in 181. Si sono raccolti 180 voti, la conclusione è evidente.

Passeremo, ora, all'esame dell'articolo 57. Se ne dia lettura.

De Vita, Segretario, legge:

«Il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera è stabilito con legge in base all'ultimo censimento generale della popolazione».

Presidente Terracini. Pregherei l'onorevole Mortati di voler rispondere ad un quesito che gli pongo. Egli ha presentato a questo articolo un emendamento del seguente tenore:

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Ora, forse, penso che sarebbe meglio esaminare subito questa proposta Mortati, non come emendamento all'articolo 57; salvo poi a determinare la collocazione della norma.

Onorevole Mortati, vorrei il suo avviso al riguardo.

Mortati. Propongo che l'esame dell'emendamento sia rinviato, e ciò per poter procedere ad una migliore sua elaborazione.

Infatti, se il principio affermato fosse accolto, occorrerebbe estenderne la portata oltre che alla elezione al Parlamento ad altre cariche parimenti elettive. Occorrerà inoltre forse elaborare meglio la formula, che, così come è stata proposta, vorrebbe tradurre la vecchia dizione di «italiani non regnicoli». Sennonché, mentre questa aveva un suo significato consacrato dall'uso, la nuova formulazione potrebbe dar luogo a dubbi di interpretazione. Mi pare quindi sufficientemente giustificato il rinvio proposto.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta di rinvio dell'onorevole Mortati mi pare accettabile. Egli ha esposto due ragioni: la prima è che per la posizione sarebbe più opportuno collocare il suo emendamento nell'articolo 45, ove si parla della eleggibilità in generale; la seconda è di sostanza: si tratta di una questione, che desta subito interesse e simpatia, ma va esaminata attentamente per tutti i possibili riflessi, anche internazionali. È quindi opportuno rinviarla al Comitato.

Presidente Terracini. Se non vi sono altre osservazioni, l'esame della proposta Mortati è rinviato.

(Così rimane stabilito).

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti