[Il 21 ottobre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo secondo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Capo dello Stato».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo ora al Titolo II:

«Il Capo dello Stato».

Si dia lettura dell'articolo 79.

Riccio, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall'Assemblea Nazionale, con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi a maggioranza assoluta.

«L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri che compongono l'Assemblea a questo fine».

Presidente Terracini. L'onorevole Damiani ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto, a maggioranza assoluta».

Non essendo presente, s'intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L'onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo italiano a suffragio universale e diretto».

L'onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.

Russo Perez. I sistemi per l'elezione del Capo dello Stato possono essere diversi: suffragio diretto da parte di tutta la massa degli elettori; elezione da parte delle due Camere riunite, che sarebbe il sistema classico; e la elezione da parte di un Collegio speciale, per il quale la fantasia può sbizzarrirsi ad immaginare un'infinità di sottoclassi.

La nostra Commissione ha scelto il secondo sistema, leggermente contaminato dal terzo, cioè l'elezione da parte dell'Assemblea Nazionale con la partecipazione, come dice qualcuno, simbolica di alcuni membri espressi dalle Assemblee regionali; simbolica perché il numero dei partecipanti è lieve, una quarantina in tutto.

I motivi della scelta non sono esplicitamente detti, ma sono impliciti nei motivi che portarono alla reiezione del primo sistema. Il suffragio diretto del popolo è stato escluso per un motivo di pura teoria, e perciò assolutamente inconsistente (La Rocca), e cioè che la elezione diretta muterebbe la caratteristica del sistema parlamentare, introducendovi un elemento del sistema presidenziale; e per un motivo pratico, la necessità di evitare che il Capo dello Stato, sentendosi troppo forte e troppo indipendente dai due rami del Parlamento, possa assumere atteggiamenti alla Giulio Cesare, la necessità di evitare quel che si dice appunto cesarismo, che, in lingua povera significa dittatura, tirannia. E si cita la esperienza di altri paesi, tra i quali la troppo citata Repubblica di Weimar. Sta di fatto che il Presidente della Repubblica, nel nostro ordinamento, non è un personaggio coreografico. A parte il considerare che egli, come ben dice l'onorevole Ruini, è il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale prima che temporale della Repubblica, a parte il considerare che rappresenta l'unità e la continuità della Nazione, la forza dello Stato, che rimane ferma ed uguale nel fluttuare e nel mutare di uomini e di partiti, egli ha dei poteri veramente eccezionali, come per esempio la nomina e quindi la revoca del Primo Ministro e dei Ministri (e si pensi che la scelta di un uomo può avere, a volte, influenza decisiva sulla situazione politica di un Paese), la facoltà di indire il referendum in caso di dissenso legislativo fra i due rami del Parlamento ed infine lo scioglimento delle Camere per dare il passo all'opinione pubblica, scioglimento che da taluno (Blum) è ritenuto la chiave di volta di ogni ordinamento democratico.

In queste condizioni mi pare che il Capo dello Stato abbia bisogno di forza morale e di indipendenza, e non vedo perché non debba ripeterle direttamente dal popolo.

È risaputo da tutti che il Presidente non deve avere funzioni di partito e che l'elezione da parte delle due Camere lo rende appunto troppo prigioniero di esse. È per questo che taluni preferiscono (Mortati) il collegio speciale, mentre è chiaro che il vero modo di distaccare il Capo dello Stato dai movimenti politici e di renderlo imparziale è l'elezione diretta. Difatti anche il Relatore Tosato afferma che tale esigenza è soddisfatta, ma solo in parte, dal sistema adottato dall'articolo 79 del nostro progetto di Costituzione.

Intanto il suffragio diretto è stato respinto all'unanimità da quel collegio di 8 membri che fu nominato dalla seconda Sottocommissione, prima Sezione. Esso ritenne imprudente che il Capo dello Stato fosse esponente diretto del popolo e opinò che tale forma avrebbe reso difficile il funzionamento del sistema parlamentare. Di quel Comitato facevano parte uomini dell'Unione democratica nazionale (Bozzi), e della Democrazia cristiana (Tosato-Mortati): democrazia, demos, popolo; repubblicani storici come Perassi e Conti, uomini dal motto «Dio e Popolo», quasi due divinità; socialisti e comunisti, che si credono i soli autentici rappresentanti del popolo, di cui invocano spesso la sovranità, quando non invocano addirittura quella della piazza. Mancavano i monarchici, che credono alla sovranità del re; i liberali e i qualunquisti, che si dice credano alla sovranità dei blasoni e dei forzieri. Ebbene, proprio gli idolatri del popolo hanno avuto paura del popolo! Perché ciò? Bisogna pensare che ognuno sogni un Capo dello Stato tutto di suo gusto, che possa secondare i suoi interessi? Che i migliori tra noi ne sognino uno che possa seguire le loro ideologie e servire i loro partiti?

I pericoli dell'elezione diretta sono immaginari. Weimar non espresse Hitler ma Hindenburg. L'investitura da parte di Hindenburg fu per Hitler più producente del suffragio popolare. Il resto nacque dalla megalomania di Hitler e dalle follie di Versailles. Perché un dittatore nasca non è necessario che costui riceva i pieni poteri dal popolo. Ho l'impressione che Mussolini non li abbia ricevuti dal popolo e sulla maniera con cui li ricevette vi sono qui, in questa Assemblea, alcuni che potrebbero illuminarci. Il cesarismo nasce dal temperamento degli uomini e dalla situazione delle cose. Bisogna augurarsi che i temperamenti dei Presidenti futuri non siano inclini alla tirannia e, quanto alle cose, siamo noi che dobbiamo agire in modo da non creare le condizioni propizie al nascere delle dittature.

Ma poi, un'altra osservazione: il senso dell'eccesso della propria forza può derivare, non dal fatto di essere stato eletto dal popolo anziché dall'Assemblea, ma, se mai, dalla certezza di poter contare per l'avvenire sul favore popolare, qualunque cosa si faccia, comunque ci si regoli.

Una volta eletto, con qualsivoglia sistema, il Capo dello Stato, i suoi poteri non mutano, sono quelli che promanano dalla legge.

Il solo modo di evitare quella certezza di cui parlavamo, quella che concerne l'avvenire, sta nel proibire la rielezione. Non vi è dubbio, secondo me, che un giorno la storia, seppur già la cronaca non lo dice, chiamerà dittatura quella di Roosevelt. Da che nacque quell'eccesso di forza che permise a lui, dopo aver promesso alle madri americane non far versare in Europa una sola goccia di sangue dei loro figli, di portare il popolo americano alla guerra? Non dalla elezione diretta, ma dalla prima e, soprattutto, dalla seconda rielezione. Si dirà che il divieto della rielezione impedisce la riconferma del migliore, ove il Paese abbia avuto la fortuna di esprimerlo e di portarlo a Capo dello Stato; ma si ricordi che il migliore cesserà d'esser tale quando sarà diventato l'insostituibile. No, non esistono ragioni serie per respingere la proposta mia e di altri colleghi per il suffragio diretto. Solo il suffragio diretto può portare alla suprema magistratura l'uomo che sia, come noi vogliamo, non uno strumento, ma un moderatore dei partiti.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole De Vita:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto».

L'onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

De Vita. L'onorevole Russo Perez ha fatto cenno ai repubblicani storici, anzi a quelli storici e a quelli preistorici; ma, manco a farlo apposta, è proprio un repubblicano storico, e non preistorico, che ha presentato un emendamento che è identico al suo. Forse però i motivi che mi hanno ispirato sono diversi, ma io sono fermamente convinto che il sistema di elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Repubblica sia il sistema più democratico.

Ma, oltre questa considerazione, un'altra considerazione, a mio avviso importante, mi ha indotto a presentare questo mio emendamento. Il Presidente della Repubblica ha, ad esempio, il potere di sciogliere le due Camere. Ora è chiaro che con l'emendamento proposto dalla Commissione, il Presidente viene ad essere eletto dalle due Assemblee, sia pure integrate da una piccola aggiunta. Ma io non comprendo come il Presidente della Repubblica, espressione delle due Camere, possa avere i poteri per sciogliere le Camere stesse. Ora, perché il Presidente della Repubblica abbia effettivamente questi poteri, io ritengo, anche necessari, occorre che abbia un maggior prestigio, e questo maggior prestigio gli può derivare soltanto dalla elezione diretta da parte del popolo.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Romano:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo».

L'onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

Romano. L'emendamento che ho proposto presuppone un piccolo rilievo, perché io penso che gli articoli riguardanti il Capo dello Stato avrebbero trovato migliore collocazione sotto il Titolo primo della parte seconda del progetto. Il collocamento sotto il Titolo secondo in qualche modo sminuisce il prestigio del Capo dello Stato. Questa collocazione non è in armonia con l'alta funzione morale e con le prerogative attribuite dalla Costituzione al Presidente della Repubblica

Prescindendo da questo rilievo, che ha la sua importanza e che formerà oggetto di discussione per quanti in avvenire esamineranno la Carta costituzionale, è certo che un Presidente eletto dall'Assemblea non potrà essere che espressione dei partiti e quindi di questi sarà prigioniero.

Quello che più lascia perplessi è che, data la struttura dell'organizzazione politica di oggi, l'elezione in realtà sarà l'espressione della volontà di pochi uomini, di quelli cioè che detengono le redini dei partiti.

Un capo dello Stato asservito ai partiti non potrà essere né libero, né sereno. Egli arriva all'apice della piramide dello Stato con degli obblighi, che se non gli saranno rinfacciati, certo gli saranno ricordati.

Questo rientra tra i numeri negativi della democrazia indiretta, la quale il più delle volte finisce per essere un travisamento della volontà originaria, cioè della volontà del popolo.

Ma io mi domando: quali sono i nostri poteri, quali i limiti del mandato datoci dal popolo?

Pur sapendoci investiti di un mandato in bianco, dobbiamo considerare che il popolo ci ha dato incarico, per la compilazione della Carta costituzionale, di fare quello che da sé non avrebbe potuto fare, non già quello che può direttamente compiere.

Penso quindi che andremmo al di là del mandato se togliessimo al popolo il diritto dell'elezione diretta del Capo dello Stato. I compilatori del progetto spiegano l'elezione del Capo dello Stato da parte dell'Assemblea adducendo la preoccupazione dello strapotere del Presidente, il pericolo della dittatura. Un Presidente, eletto con suffragio diretto, se raccogliesse in Italia una ventina di milioni di voti, si sentirebbe indubbiamente lusingato della fiducia quasi totalitaria; quindi egli potrebbe sentirsi al disopra dell'Assemblea.

Il rilievo è esatto, ma solo in parte, giacché è anche giusto che il Presidente rimanga al disopra dell'Assemblea.

Solo così egli potrà mantenersi estraneo alla competizione dei partiti e potrà assicurare l'armonia e la solidarietà delle diverse istituzioni, elevandosi a simbolo dell'unità del Paese.

Questa estraneità, che è una non trascurabile garanzia, non potrebbe avere un Presidente eletto dall'Assemblea.

In questo caso sorgerebbe anche la preoccupazione dell'intrigo del giuoco politico nella nomina degli alti funzionari dello Stato, demandata al Presidente della Repubblica dal comma terzo dell'articolo 83.

Va poi rilevato che la possibilità di uno strapotere è esclusa dal comma primo dell'articolo 85 ove è detto che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal primo Ministro e dai Ministri competenti che assumono la responsabilità.

A questo punto potrebbe affacciarsi un rilievo. Si può dire: per l'articolo 83 il Presidente della Repubblica emana decreti legislativi e regolamenti, nomina ai gradi indicati dalla legge i funzionari dello Stato, può concedere grazie e commutare pene.

Per questi atti, giusto il disposto dell'articolo 85, potrebbe essere rifiutata la controfirma dal Primo Ministro e dai Ministri responsabili.

Quindi possibilità di contrasto!

Il Presidente della Repubblica può reagire e sciogliere le Camere dopo aver semplicemente sentito i due Presidenti. Qui sta il pericolo dello strapotere. Ma questo potrà essere frenato, sensibilmente frenato, disponendosi che al rinnovo delle due Camere deve seguire la elezione del Presidente della Repubblica.

Sciogliere le due Camere significa constatazione della esistenza di un contrasto tra il paese ed i suoi rappresentanti.

Fra questi deve comprendersi anche il Presidente della Repubblica.

Quando questi saprà che allo scioglimento delle due Camere è legata anche la sua fine, sarà molto pensoso prima di addivenire ad un provvedimento di tanta gravità.

Si creerebbe così un validissimo freno al potere concesso dal comma primo dell'articolo 84 al Presidente della Repubblica.

Aggiungasi che la nomina del Presidente della Repubblica demandata al popolo alleggerirebbe la responsabilità dell'Assemblea.

Concludendo, una volta eliminato il pericolo dello strapotere non mi pare giusto ricorrere al suffragio indiretto, che costituirebbe violazione di un diritto spettante al popolo, diritto al quale il popolo col mandato in bianco datoci non ha rinunziato.

Presidente Terracini. L'onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dalle Camere riunite in Assemblea Nazionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Fuschini. Dirò brevemente le ragioni, per le quali io sono convinto che l'elezione del Presidente della Repubblica, in questo inizio della vita della Repubblica stessa, non sia politicamente opportuno deferirla al popolo.

Si dice che, se è eletto direttamente dal popolo, il Presidente della Repubblica acquisterebbe maggiore prestigio.

Io contesto questa affermazione: ritengo che un Presidente della Repubblica, il quale ottenga i voti dei due terzi dell'Assemblea Nazionale, avrebbe lo stesso prestigio.

Devo osservare che, per quella deficienza di educazione politica — mi si permetta il dirlo — della grande massa elettorale, la quale si lascia guidare più dalle impressioni e dai sentimenti che dal raziocinio e dalla valutazione politica, sarebbe un grave pericolo affidare a questo corpo elettorale la scelta del primo Magistrato della Repubblica.

Si crede e si afferma, erroneamente, che il popolo agirebbe di sua spontanea volontà, come se fra il popolo non si dovessero contare anche coloro, ed in prima linea, che formano i partiti politici. Non è possibile pensare che la elezione del Presidente della Repubblica venga da un corpo elettorale distaccato dai partiti. Questi indirizzeranno, oltreché le elezioni politiche, anche l'elezione del Presidente della Repubblica. Non pensare a questo vuol dire non pensare alla realtà politica, che si prospetta. Non si può sfuggire all'intervento dei partiti. La cosiddetta volontà degli elettori sarà sempre influenzata dai partiti. Ed io non mi preoccupo dei partiti, ma di quelle correnti sentimentali, che affiorano troppo spesso nel nostro corpo elettorale e fanno che esso — come disse un grande politico italiano, Don Luigi Sturzo — vada, per sentimenti e risentimenti, ora all'estrema destra ed ora all'estrema sinistra. Il pendolo della situazione politica è sempre oscillante verso le forme estreme; ed è oscillante, perché è guidato più che da educazione politica, da sentimenti e da impressioni. Ma se non sbaglio, essere guidato anche da sentimenti e da impressioni è una caratteristica dei popoli latini; è lo stesso difetto che credo abbia il popolo francese come si è visto anche nelle elezioni avvenute l'altro ieri. Insisto comunque nel dire che non si libera la nomina del Presidente della Repubblica dalla influenza dei partiti deferendola al popolo con il suffragio universale. E se non ci si libera, allora è opportuno e politicamente più saggio che il Presidente sia nominato dai rappresentanti che il popolo ha liberamente eletti, i quali hanno maggiore possibilità di scegliere elementi adatti per questa alta funzione, senza dimenticare che vi è una situazione in Italia che dobbiamo aver presente. Ed è questa: noi non vorremmo che attraverso la nomina popolare del Presidente della Repubblica si riaccendesse un contrasto — molto facile ad accendersi nel nostro Paese — tra nord e sud. Questo è stato sempre un lato pericoloso della nostra situazione interna che, se si può superare in un'Assemblea, è difficile superarlo in un vastissimo corpo elettorale, così tormentato da opposti sentimenti, qual è quello italiano. È necessario, se vogliamo l'unità del nostro Paese, evitare tutto ciò che possa mettere in pericolo questa unità. Sempre mirando a questo scopo, sarei in via di massima d'avviso che non sia opportuno inserire nell'Assemblea, che dovrà provvedere alla nomina del Presidente della Repubblica, i rappresentanti dei Consigli regionali. Sono stato e sono un sostenitore della Regione — sia pure con accenti di meditata ponderazione — e ritengo che sia doveroso attendere la formazione dei Consigli regionali e rendersi conto del loro funzionamento, prima di decidere se rappresentanti di tali Consigli debbano partecipare alla nomina del Presidente della Repubblica.

Comunque, anche quando l'Assemblea volesse stabilire che i Consigli regionali debbano partecipare a tale nomina occorrerà emendare l'articolo. In questo si dà la facoltà ai Consigli regionali di mandare due rappresentanti, cioè il Presidente del Consiglio regionale, che sarà naturalmente il rappresentante della maggioranza del Consiglio regionale stesso, ed un altro delegato, nominato dal Consiglio regionale, che sarà anche questo un rappresentante della maggioranza. Orbene, perché le minoranze dei Consigli regionali dovrebbero essere trascurate in questa altissima funzione della nomina del Presidente della Repubblica? Basta accennare a questa lacuna che offende il sistema democratico per comprendere l'opportunità di correggere la disposizione che esaminiamo. Ma vi è ancora da rilevare che fra questi partecipanti alla nomina del Presidente della Repubblica e i membri delle due Camere vi è anche una differenza elettorale di grado. Infatti i rappresentanti dei Consigli regionali sarebbero elementi di terzo grado, mentre la elezione del Presidente della Repubblica affidata ai componenti le due Camere rappresenterebbe un'elezione di secondo grado.

Ritengo che queste considerazioni abbiano un certo peso per cui confido che l'Assemblea non vorrà trascurarle nel prendere le sue decisioni.

La nomina da parte del popolo del Presidente della Repubblica non ci preoccupa, ma ci preoccupano gli inconvenienti che possono derivare da una campagna elettorale relativa a una nomina di così alto rilievo. I partiti avranno maggiori difficoltà di accordarsi e ciascuno di essi vorrà avere il proprio candidato e si dovrà impegnare a fondo per farlo riuscire. Ogni candidato sarà quindi soggetto a polemiche vivaci e forse durissime e sarà bersaglio di tutti i moderni mezzi di propaganda e di pubblicità. Anche quel candidato che riuscirà vittorioso non sarà stato risparmiato dagli attacchi della passione politica e il suo prestigio personale riuscirà in qualche modo ferito.

Io ritengo dunque che bisogna evitare questi inconvenienti ed aver fede nel Parlamento di domani che sarà certamente capace di dare alla Repubblica un Presidente degno e capace. Né si dica che un Presidente nominato dalle Camere sarebbe vincolato alle Camere stesse. No, signori: le funzioni ed i poteri che si danno al Presidente della Repubblica lo pongono al di sopra dell'Assemblea che lo ha eletto, per cui dal momento stesso in cui è eletto, egli sovrasta l'Assemblea stessa dalla quale proviene, e diventa il supremo collaboratore e moderatore insieme. Basti pensare al potere, riconosciutogli dall'articolo 84, di sciogliere le Camere, per intuire come il Presidente sia in una condizione di peculiare prestigio di fronte alle Camere e possa per ciò stesso essere in grado di guidare rettilineamente e in maniera saggia il Paese. Questo è il suo compito; e a questo compito il Presidente nominato dall'Assemblea non verrà meno perché sarà responsabile non solo di fronte all'Assemblea, ma anche di fronte all'intero Paese. (Applausi).

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Nobili Tito Oro:

«Al primo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobili Tito Oro. Mi pare, onorevoli colleghi, che l'emendamento del Gruppo socialista trovi già aperta la porta dall'autorevole parola del collega Fuschini nello svolgimento del suo emendamento che nella parte centrale coincide perfettamente col nostro.

L'articolo 79 affida l'elezione del Presidente della Repubblica alle due Camere riunite (le chiameremo eventualmente, con nome risonante di sacri ricordi, Assemblea Nazionale), con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e del Consigliere designato dai Consigli medesimi a maggioranza assoluta. Noi gli contrapponiamo la proposta di escludere la partecipazione dei rappresentanti dei Consigli regionali e chiediamo che l'elezione del Presidente avvenga a maggioranza assoluta, senza bisogno del triplice esperimento per il raggiungimento della maggioranza speciale di due terzi. Detto questo, occorrono poche considerazioni a chiarimento dell'emendamento. La prima parte di esso, relativa alla devoluzione alle due Camere riunite della elezione del Presidente della Repubblica, è stata esaurientemente svolta già dal collega Fuschini; per questo, e perché l'ora tarda non consentirebbe una trattazione sistematica, mi limiterò a poche osservazioni.

Si dice da alcuni, e se ne sono fatti eco gli emendamenti dei quali abbiamo ascoltato lo svolgimento, che la elezione del Presidente della Repubblica da parte del popolo, a suffragio universale diretto, darebbe alla sua figura un maggior rilievo, prestigio ed autorità. La relazione scritta dell'onorevole Ruini, pur senza criticare il progetto, sottolinea questa tendenza; e afferma anche che gli conferirebbe una maggiore indipendenza; indipendenza che procederebbe dal fatto che egli non dovrebbe al giuoco dei partiti, nelle due Camere riunite, la propria elezione, ma la dovrebbe direttamente al popolo. In conseguenza di ciò non si creerebbero quei vincoli di riconoscenza che sono atti a turbare, in momenti decisivi, l'obiettivo orientamento di un Capo di Stato.

Egregi colleghi, si è detto sempre in questa Assemblea che ormai il movimento elettorale è nelle mani dei partiti politici: è vero o non è vero ciò? Se è vero, non si comprende la distinzione che si fa a questo riguardo tra elezione da parte delle Camere riunite, ossia del Parlamento, e la elezione a suffragio universale, da parte del popolo.

I partiti politici sono presenti e dominanti nell'una e nell'altra manifestazione. Essi agiscono indifferentemente sulla consultazione popolare come sul Parlamento. E pertanto il temuto vincolo di riconoscenza dovrebbe, se mai, crearsi più potente dopo il più poderoso intervento occorso nella consultazione popolare che non per effetto della ordinaria azione svolta sul Parlamento. La verità più vera e meno indegna di questo sacro istituto è che un uomo ritenuto meritevole di ascendere alla prima Magistratura nazionale non sarebbe mai capace di subordinarsi, nell'esercizio delle sue alte funzioni, a sentimenti di compromesso politico.

D'altra parte una distinzione si sarebbe dovuta fare dai critici della risoluzione adottata all'unanimità dal Comitato di redazione: quale è la forma di reggimento repubblicano verso la quale la nostra Costituzione si è decisamente orientata? Non è certamente la forma presidenziale, ma quella parlamentare. Io comprendo che nelle forme presidenziali il Presidente, che ha la somma dei poteri se pur controllati da altri organi elettivi, costituiti per lo più a suffragio indiretto, debba ripetere la elezione direttamente dal popolo; ma non so vedere come e perché il Presidente non potrebbe ripeterla dal Parlamento in quelle Costituzioni che al Parlamento hanno conferito tutti i poteri del popolo medesimo.

Col passaggio del potere dal popolo al Parlamento, questo è automaticamente investito del diritto di formare e di eleggere gli altri organi necessari alla compagine statale: dal Governo al Capo dello Stato. Eppertanto mi pare che il nostro emendamento (che fa propria su questo punto la risoluzione della Commissione) debba incontrare l'approvazione della nostra Assemblea.

Quanto poi alla parte soppressiva del nostro emendamento, e cioè alla esclusione della partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, io sento il dovere, di fronte allo svolgimento che l'onorevole Fuschini ha onestamente dato al coincidente emendamento proprio, di accennare soltanto, nello svolgimento del mio, le ragioni che lo consigliano. Queste ragioni sono state già esposte anche da me, in precedenti incontri.

Non credo di commettere, così facendo, un errore di valutazione: a parte l'autorità che l'onorevole Fuschini meritamente gode in quest'Assemblea ed esercita sul proprio Gruppo, io devo tener conto che egli, non avendo dichiarato di esprimere soltanto un pensiero personale, abbia parlato in nome e per incarico del suo partito.

Comunque, il nostro pensiero si può riassumere in poche parole: le Regioni, se debbono essere (e per questo sono state istituite) organo di decentramento amministrativo, non si debbono ingerire in quella che è l'azione politica del Parlamento della Repubblica. Qui, in questa Assemblea, che si chiamerà «Nazionale» o delle «Camere riunite», che cosa rappresenterebbero i membri delle Regioni? Una estensione del suffragio diretta a costituire qualche cosa di mezzo fra la elezione parlamentare e la elezione diretta da parte del popolo? Non sarebbe serio nemmeno il pensarlo. E tuttavia, se il fine fosse questo, perché non estendere la partecipazione alla elezione anche ad un limitato numero di rappresentanti dei comuni, da eleggersi nell'ambito di ciascuna provincia? Questo concetto io ebbi già occasione di illustrare quando si tentò di varare la proposta di far partecipare i Consigli regionali alla elezione dei senatori.

La verità è che il progetto si inspira al criterio di fare delle Regioni veri organi politici destinati a creare lo Stato federativo. E va tenuta presente anche una considerazione che faceva l'onorevole Fuschini e che risponde ai principî di sana democrazia: perché far risultare i rappresentanti delle Regioni solo dalla maggioranza dei Consigli regionali, e non anche eventualmente dalle minoranze col sistema di designazione proporzionale? Anche questo motivo, per quanto subordinatamente ed incidentalmente, è stato da noi considerato, sebbene non sia stato assunto come determinante della nostra opposizione. I sostenitori del progetto hanno rilevato, in sua difesa, che si tratta comunque di una rappresentanza puramente simbolica.

Ma questa rappresentanza simbolica, che per lo meno oscillerebbe attorno ai quarantaquattro membri, potrebbe o non potrebbe assumere una influenza decisiva sul risultato della elezione? Se nel comma secondo dell'articolo 79 la Commissione si è preoccupata di prevedere la difficoltà di raggiungere la maggioranza speciale dei due terzi, è da presumere che anche un solo voto possa essere decisivo nella elezione del Presidente. Chi non ha presente che importanti nostre deliberazioni sono emerse dal pareggio assoluto dei voti contrastanti? Non si dica dunque che quarantaquattro voti non costituiscano se non una rappresentanza simbolica.

Per questi motivi, e senza ripetere tutte le ragioni che concorrono ad escludere le Regioni dall'attività politica centrale, noi siamo nettamente contrari alla partecipazione dei rappresentanti regionali alla riunione delle Camere che dovrà eleggere il Presidente della Repubblica. Questa esclusione avrà anche il merito di distruggere un sospetto largamente diffuso dai sostenitori della Regione colla pretesa d'impiegare tali enti in funzioni che vanno troppo al di là di quelle per le quali furono creati. In proposito ricordo una dichiarazione eloquente fatta in questa Assemblea dall'onorevole Ambrosini nella relazione di chiusura della discussione generale sulle Regioni. Egli disse, in quell'occasione, di essere stato rimproverato dal suo partito per aver troppo contenuto la riforma. Dunque, il suo partito avrebbe avuto l'intenzione che le Regioni fossero andate anche al di là di quel troppo che disgraziatamente si è fatto. La constatazione è grave e deve farci pensosi.

Per questo, onorevoli colleghi, noi risolutamente insistiamo nella soppressione della partecipazione delle Regioni alla elezione presidenziale; essa sarebbe estranea, incompatibile, ingiustificata sotto tutti i punti di vista.

E ora passo a illustrare brevemente l'altra parte dell'emendamento. Ho conservato nel primo comma, onorevoli colleghi, la locuzione «a maggioranza assoluta».

Questa maggioranza assoluta prima si riferiva alla designazione dei consiglieri da parte dei Consigli regionali. Soppressa tale designazione, essa si riferisce alla elezione del Presidente. Viene così soppressa la corrispondente indicazione nel secondo comma e trasferita al primo. Il secondo comma rimane così circoscritto alla prescrizione della votazione a scrutinio segreto; scompare dunque la parte relativa alla prescrizione della maggioranza speciale dei due terzi, che si dovrebbe tentare di raggiungere, in esperimenti successivi, fino a tre volte, per passare poi alla proclamazione a semplice maggioranza assoluta dopo il terzo insuccesso.

Orbene, onorevoli colleghi, noi pensiamo che esporre un candidato alla prima Magistratura del Paese a tentativi ripetuti di elezioni prima che se ne affermi il risultato positivo, prima che si formi la maggioranza prescritta, sarebbe un indebolire in partenza la sua autorità ed il suo prestigio. Accontentiamoci invece che la elezione avvenga subito a maggioranza assoluta; e quando tale maggioranza, in una Assemblea composta di tanti e così diversi partiti, si sarà raggiunta, si dovrà tranquillamente riconoscere che il Presidente della Repubblica ha riscosso la fiducia dei rappresentanti veri e genuini della grande maggioranza del popolo italiano; e, non in virtù di un'antiquata formula sacramentale, ma in forza di una realtà attuale e sempre più profondamente operante, avrà diritto di essere da questo momento considerato il Capo, atteso e veramente voluto, di tutti e singoli i cittadini italiani!

Presidente Terracini. Gli onorevoli Carboni Angelo, Gullo Rocco, Villani, Ghidini, Arata, Fietta, Montemartini, Bocconi, Preti e Treves hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l'articolo 79 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall'Assemblea Nazionale per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri dell'Assemblea».

L'onorevole Carboni Angelo ha facoltà di svolgerlo.

Carboni Angelo. Il nostro emendamento concorda nella sostanza con quelli presentati dagli onorevoli Fuschini e Nobili Tito Oro. Un mio lungo discorso su questa materia non avrebbe, a quest'ora, altro effetto se non quello di sciupare quanto già egregiamente è stato detto dall'onorevole Fuschini e ribadito dall'onorevole Nobili Tito Oro. Mi limiterò pertanto a rilevare solo la differenza che corre tra il mio emendamento e quello dell'onorevole Nobili Tito Oro, per quanto riguarda la maggioranza richiesta per l'elezione del Presidente della Repubblica. L'onorevole Nobili ha spiegato poco fa che egli intende ridurre questa maggioranza, fin dal primo scrutinio, alla maggioranza assoluta dei membri dell'Assemblea. Noi invece aderiamo al concetto espresso dall'articolo 79 del progetto di Costituzione e cioè che sia opportuno richiedere in un primo momento la maggioranza di due terzi, mentre soltanto dopo i primi due scrutini sarebbe giocoforza accontentarsi della maggioranza assoluta.

L'onorevole Nobili Tito Oro eccepisce che in questa maniera si finisce con il diminuire la figura del Presidente eletto da uno scrutinio che sia il terzo o successivo al terzo. Orbene, questa obiezione non mi pare fondata, perché sarà molto probabile che i componenti delle due Camere riunite — o come altro vorremo chiamarle — nel loro senso di responsabilità e di patriottismo faranno confluire le loro simpatie verso un determinato candidato, il quale non sarà più il candidato di una parte, ma sarà il candidato della grande maggioranza del Paese.

Noi abbiamo avuto l'esempio di ciò nell'elezione del Capo provvisorio dello Stato, il quale, entrambe le volte, è stato eletto a maggioranza qualificata; maggioranza qualificata che serve appunto a conferire alla figura del Presidente della Repubblica quel rilievo, quel prestigio e quell'altezza che veramente ne fanno grande la funzione e atta a contribuire efficacemente alla vita del Paese.

Noi siamo quindi d'accordo con coloro che propongono di deferire la nomina del Presidente della Repubblica alle Camere, riunite insieme; concordiamo sul punto che questa nomina si faccia a scrutinio segreto e su quello, che, in un primo momento, essa si faccia a maggioranza qualificata di due terzi.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Dominedò e Benvenuti hanno presentato un emendamento tendente a sostituire l'articolo 79 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto da tutto il popolo».

L'onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

Dominedò. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che basteranno brevi rilievi, dopo l'impostazione e lo svolgimento che al tema hanno dato altri oratori sotto diversi angoli visuali. Ma conviene prospettare all'Assemblea quanto da più parti sia profondamente sentita l'esigenza dell'investitura diretta ai fini del rafforzamento di potere e dell'elevazione di prestigio del Capo dello Stato.

Se si vuole, secondo lo spirito della Costituzione, che il Capo dello Stato sia il supremo moderatore dell'indirizzo politico del Paese, il tutore e custode della Costituzione, se questo si vuole (come è comprovato dall'articolo 84, che rappresenta la chiave di volta del sistema, conferendo al nostro Presidente della Repubblica il potere di scioglimento delle Camere, nello stesso modo in cui la Costituzione di Weimar conferiva al Presidente della Repubblica tedesca, eletto per suffragio diretto, il potere di congedare il Gabinetto), se tutto ciò è, come è, spetta a noi compiere un passo oltre.

Allo scopo di rendere effettivo il ruolo di supremo moderatore del Capo dello Stato, a noi pare che, in coerenza con tale punto di partenza, postulato e premessa di tutta la materia, occorra apprestare i mezzi adeguati per la realizzazione del fine. E allora l'esigenza è questa: che il Capo dello Stato, il quale, allo scopo di assicurare l'unità e la stabilità della politica del Paese, domani potrà sovrapporsi alle stesse Camere dalle quali promana, evidentemente dovrà essere messo in una tale condizione per cui, se si vorrà rendere pieno ed operante l'esercizio del suo potere, egli risulti in un rapporto di investitura diretta idoneo al fine. Si tratta cioè di porre al di sopra delle Camere, che dovranno essere giudicate, il supremo organo che sta al vertice della nostra costruzione costituzionale, ed è chiamato ad esprimere il giudizio. Si tratta di creare un rapporto di democrazia diretta, che sovrasti all'ipotesi della pura e semplice democrazia rappresentativa.

Questo dal punto di vista della impostazione costituzionale. Il tema è così grave e profondo, che meriterebbe evidentemente un'analisi ulteriore. Ma il fatto che siamo in sede di esame di emendamenti e non di discussione generale, nonché la circostanza che altri colleghi hanno sotto diverso aspetto toccato il tema, mi mettono nella necessità di enunciare la sola impostazione della materia, rimettendomi per il resto alla valutazione che di essa saprà dare l'Assemblea.

Si obietta — con vivezza lo ha fatto il collega e amico Fuschini — che questo ricorso alla democrazia diretta, sovrapponentesi alla democrazia rappresentativa, allo scopo di conferire al supremo magistrato del Paese la pienezza dei suoi poteri, ci pone nella possibilità di dubitare di quella maturità del corpo elettorale, la quale costituisce la premessa di fatto acciocché un sistema, che in via di principio appare l'ideale, possa in concreto rispondere alle proprie finalità.

Mi permetto di rispondere che se volessimo dubitare dell'adeguato grado di maturità popolare, dell'educazione politica del corpo elettorale, ci troveremmo allora dinanzi ad un argomento che corre il rischio di non provare perché altrimenti proverebbe troppo. Il preteso e ripetuto difetto di maturità potrebbe infatti coinvolgere anche le correnti, i movimenti e i gruppi espressi dallo stesso corpo elettorale immaturo. Non abusiamo di argomenti che, applicati per absurdum, finiscono per ritorcersi contro l'intendimento di coloro stessi che li proposero.

D'altra parte, è innegabile che il principio della democrazia diretta è destinato a prevalere su quello della democrazia rappresentativa anche da un punto di vista politico oltre che costituzionale. Perché, se è vero che il giuoco dei partiti risulta insopprimibile anche nella ipotesi di ricorso diretto alla consultazione popolare, evidentemente tale giuoco assume in tal caso un ruolo inferiore, proprio perché indiretto o mediato. Nessuno potrà in definitiva contestare la priorità dell'ipotesi in cui l'investitura sia rimessa alla parola diretta ed ultima del Paese, analogamente a quanto avviene tutte le volte che per la deliberazione in materie di suprema importanza si sostituisca il principio del referendum a quello della creazione di meri organi rappresentativi della volontà popolare.

Dopo aver così visto l'aspetto costituzionale e quello politico del problema, non resta che un'obiezione da tener presente. Se nella redazione costituzionale noi ci siamo ispirati al concetto del Governo parlamentare, non finiamo invece per gravitare verso il concetto del regime presidenziale con una innovazione che può sotto taluni aspetti apparire radicale?

Mi permetto e credo di poter obiettivamente rispondere che il regime parlamentare è nella sua attuazione concreta suscettibile di ricevere diversi adattamenti, i quali non daranno storicamente luogo a forme atipiche in senso stretto, bensì potranno determinare sintesi nuove e vitali. Nulla esclude infatti che mentre si sorregge la suprema potestà mediante un'investitura superiore, perché diretta e popolare, si possa ad un tempo preferire l'essenza del principio parlamentare, per cui il Governo promana dal Parlamento e dinanzi a questo è responsabile.

Per queste considerazioni noi desideriamo sottoporre alla valutazione dell'Assemblea un problema di così alta portata, nell'intendimento ultimo di servire al prestigio delle nuove istituzioni dello Stato italiano. (Applausi).

Presidente Terracini. Sono stati svolti così tutti gli emendamenti proposti all'articolo 79.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti