[L'8 novembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Colitto. [...] Ho proposto, poi, che solennemente si proclami nella Costituzione che «la giustizia è amministrata in nome del popolo». Ritengo che tale dizione sia da preferirsi a quella «la funzione giurisdizionale è esercitata», adottata dal progetto. Forse tecnicamente questa è più precisa; ma, se si vuole davvero che la Costituzione sia appresa dal popolo, bisogna abbandonare l'eccessivo tecnicismo ed usare frasi, che pienamente, e soprattutto agevolmente, dal popolo siano intese, apprese, ricordate.

Non si parla, del resto, proprio di amministrazione della giustizia nell'articolo 96, allorché si proclama che il popolo ad essa partecipa mediante l'istituto della giuria nei processi di Corte d'assise? Se queste parole sono usate nell'articolo 96, non mi rendo conto perché dovrebbero parole diverse essere usate in altri articoli del testo della Costituzione.

È appena il caso di aggiungere che le parole «espressione della sovranità della Repubblica», con le quali nella prima parte dell'articolo 94 del progetto si intende qualificare la «funzione giurisdizionale», sono da sopprimere, non fosse altro che per la ragione che anche la funzione legislativa è espressione della sovranità della Repubblica, e davvero non si comprende perché ciò si debba ricordare per l'una funzione e tacere per l'altra.

[...]

E a che giova aggiungere che «i magistrati dipendono soltanto dalla legge» e che la legge essi «interpretano ed applicano secondo coscienza»? Tutti dipendiamo dalla legge. È sempre vivo ed attuale l'ammonimento di Cicerone: servi legum esse debemus, si liberi esse volumus. Ed è intuitivo che, quale che sia lo stato della pubblica opinione, quali che siano le influenze dei partiti, della stampa, dello Stato, il magistrato deve pensare a compiere il dovere che la legge, e solo la legge gli assegna, avendo come guida, che gli illumina la via, la serenità della propria coscienza.

[...]

Cappi. [...] Mi occuperò di un punto solo; e voi consentirete che io prenda le mosse da uno studio pubblicato sopra una rivista da uno scrittore, figlio di un alto magistrato della Suprema Corte ed egli stesso valoroso giurista; studio acuto e profondo. Da esso prenderò le mosse, sia per il suo pregio intrinseco, sia per riguardo, che ben merita, a quella rivista, La Civiltà Cattolica, la quale, fra l'indifferenza quasi generale del pubblico, si è sempre occupata con non superficiale interessamento, con vigile cura, con sincero spirito di collaborazione, dei nostri lavori di costituenti.

Il punto di cui mi occupo è l'articolo 97, il cosidetto «autogoverno della Magistratura».

L'autore di cui ho fatto parola è fervido sostenitore dell'assoluto autogoverno della Magistratura; ed in questo io mi permetto di dissentire da lui. Ma il suo studio, che riguarda il più ampio tema dell'indipendenza giudiziaria, ha il merito di sostenere le sue tesi non con argomenti vaghi o superficiali, bensì con rigore scientifico; con una intelaiatura logica chiara e forte.

[...]

Secondo punto: «che nell'esercizio concreto delle sue funzioni il giudice non dipenda che dalla legge, interpretata secondo la sua coscienza». Noi abbiamo inserito testualmente questo principio nel progetto di Costituzione.

[...]

Cosicché, se noi badiamo alla sostanza più che alla forma, questi primi due aspetti della indipendenza sono garantiti.

[...]

Bellavista. [...] Vengo subito, perciò, ad illustrare gli emendamenti proposti a proposito del Titolo IV. Ne ho presentato uno che si riferisce alla prima parte dell'articolo 94, concernente, in particolare, la espressione: «La funzione giurisdizionale è esercitata nel nome del popolo». Io ho proposto la seguente variante: «...è esercitata in nome della Repubblica». A simiglianza infatti, di quanto si pratica nella vicina Francia, le sentenze dovrebbero darsi nel nome della Repubblica. Che cosa è la Repubblica se non il popolo italiano giuridicamente organizzato sotto l'aspetto istituzionale? Mi pare quindi che questa dizione si adegui meglio al nostro nuovo volto istituzionale.

[...]

Persico. [...] Passo subito all'articolo 94, che è veramente un ben congegnato articolo, per la forma drastica con cui è compilato, con una frase, che potrebbe essere iscritta lapidariamente sui palazzi di giustizia: «I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza». Vorrei proporre un'aggiunta al primo comma di questo articolo. Quando si afferma che «la giustizia è esercitata in nome del popolo», cioè che le sentenze sono intestate in nome del popolo — e si scelse questa forma come preferibile a quella «in nome della legge» — vorrei che si dicesse: «in nome del popolo italiano», perché mi pare giusto che si renda a tutti noto che «in nome del popolo italiano» — di questa comunità millenaria del popolo italiano, che risorge e risorgerà sempre indomita dalle più dure cadute, compresa l'ultima recentemente e ingiustamente subita — è data al giudice la facoltà di emanare le sue sentenze.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti