[Il 17 dicembre 1946 la seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere giudiziario.]

Il Presidente Conti apre la discussione sull'articolo 12 del progetto Calamandrei:

«Unicità della giurisdizione.

«L'esercizio del potere giudiziario in materia civile, penale e amministrativa, appartiene esclusivamente ai giudici[i] ordinari, cioè ai giudici singoli (conciliatori e pretori), ai Tribunali e alle Corti, istituiti e regolati dalla legge sull'ordinamento giudiziario.

«Al vertice dell'ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in ..... la Corte di cassazione istituita per mantenere l'unità del diritto nazionale attraverso la uniformità della interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze fra i giudici».

Calamandrei, Relatore, crede necessaria una precisazione dei vari punti del problema.

Innanzi tutto, quando si parla di «unicità della giurisdizione», si intende dire che l'amministrazione della giustizia, in qualsiasi materia (civile, penale e amministrativa), deve essere affidata esclusivamente ad organi previsti e disciplinati dalla legge sull'ordinamento giudiziario, cioè ai giudici ordinari. All'infuori di questi giudici ordinari non debbono esservene altri; se ve ne fossero, non potrebbero che chiamarsi giudici speciali.

Per definire quali sono i giudici ordinari e quali sono gli speciali, occorre seguire un criterio empirico: chiamare, cioè, ordinari soltanto quelli regolati dalla legge sull'ordinamento giudiziario; onde la necessità di fare nella Costituzione un riferimento a quegli organi che si chiamano ordinari. A questo criterio ed al principio della unicità della giurisdizione è informato l'articolo 12 da lui proposto.

Dall'affermazione di questo principio discende il divieto di istituzione di nuovi organi giurisdizionali, diversi da quelli ordinari.

Viene poi il problema di ciò che si deve fare degli organi speciali attualmente esistenti. Si devono abolire tutti, oppure qualcuno di essi deve essere conservato? Ed ecco il problema del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, dei Tribunali militari e del Contenzioso tributario, problema che sarà trattato in seguito.

Potrebbe però manifestarsi la necessità, per determinate materie, che al giudice si accompagnasse l'elemento tecnico, e questa esigenza potrebbe, a suo avviso, essere soddisfatta creando non già delle giurisdizioni speciali, ma delle sezioni specializzate da inserirsi nell'ordinamento della Magistratura ordinaria, e questo è appunto preveduto dall'articolo 13 del suo progetto, così formulato:

«Divieto di istituire organi speciali di giurisdizione: abolizione di quelli esistenti.

«Non potranno essere creati neanche per legge organi speciali di giurisdizione. Qualora per determinate materie (esclusa in ogni caso quella penale) si ritenga opportuno che i giudici siano forniti di speciali cognizioni tecniche, saranno istituite presso gli organi giudiziari ordinari apposite sezioni specializzate, colla partecipazione di magistrati forniti di una preparazione approfondita nelle materie stesse, ovvero colla partecipazione di cittadini esperti temporaneamente investiti di funzioni giudiziarie.

«Gli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti saranno aboliti o trasformati in sezioni specializzate nel termine di ... In seguito all'abolizione delle funzioni giurisdizionali delle Giunte provinciali amministrative e delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, saranno istituite presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate nelle quali sarà concentrata la competenza a decidere tutte le controversie tra i cittadini e la pubblica amministrazione, a norma dell'articolo seguente.

«(Eccezioni al divieto? Corte dei conti? Contenzioso tributario? Tribunali militari?)».

Il Presidente Conti fa notare che l'articolo 13 del progetto Calamandrei trova riscontro nell'articolo 14 di quello Leone:

«Non possono essere creati tribunali straordinari o speciali.

«Possono istituirsi con legge per determinate materie sezioni speciali presso i Tribunali ordinari con partecipazione di estranei al potere giudiziario in misura non superiore ad un terzo.

«I Tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra.

«Sono soppresse tutte le giurisdizioni straordinarie e speciali esistenti».

Leone Giovanni, Relatore, si dichiara d'accordo con l'onorevole Calamandrei nella impostazione del problema; nella ricerca di un criterio, più o meno empirico, per definire gli organi ordinari del potere giudiziario, in confronto di quelli speciali ed infine nella determinazione di un modo per impedire al legislatore di creare organi speciali, rendendo però possibile l'adattamento della giurisdizione ordinaria a casi particolari.

Ritiene non possa esservi dissenso circa la unicità della giurisdizione, problema di carattere tecnico, politico e di prestigio del potere giudiziario. Infatti, mentre con l'attuale frazionamento del potere giudiziario riesce talvolta difficile per gli stessi tecnici determinare con precisione la sfera di giurisdizione o di competenza di ciascuno di essi, deve constatarsi che, soprattutto in materia penale, il potere giudiziario ordinario finisce per avere competenza soltanto per i reati di minor gravità, sui quali meno si appunta la pubblica opinione. Non v'è dubbio, quindi, che nella Costituzione deve trovar posto l'affermazione del principio che per l'avvenire non saranno ammessi organi giudiziari speciali.

Conviene con l'onorevole Calamandrei che, mancando un criterio ontologico per distinguere i giudici ordinari da quelli speciali, occorre far capo ad un criterio empirico al quale, del resto, lo stesso Codice ricorre in molti altri casi. Nessuna difficoltà, quindi, per quanto riguarda l'affermazione che sono organi giudiziari ordinari solo quelli regolati dalla legge sull'ordinamento giudiziario. Osserva peraltro che sarebbe opportuno indicare nella Costituzione le linee programmatiche della legge sull'ordinamento giudiziario. In altri termini, si dovrebbero specificare nella Costituzione gli organi giudiziari che dovranno trovare disciplina e regolamento nella legge sull'ordinamento giudiziario; cosa tanto più necessaria, in quanto questa legge — come in genere tutte le leggi — può essere suscettibile di modificazioni più o meno frequenti.

Circa il problema degli organi speciali, non gli par dubbio che, decisa la conservazione di taluni di essi, non resti che farli diventare organi della giurisdizione ordinaria. E questo ritiene possa farsi per quelli della giurisdizione amministrativa, che rappresentano il lato più grosso del problema. Comunque deve innanzi tutto decidersi quali di questi organi speciali dovranno essere mantenuti.

Considera infine la delicata questione della necessità di una certa flessibilità della organizzazione della giustizia, per rendere la giurisdizione ordinaria più aderente a talune insopprimibili esigenze: mentre da un lato si impedisce, attraverso una solenne affermazione della Costituzione, la formazione di giurisdizioni speciali, dall'altra occorre fin da ora preoccuparsi di adattare, con norma il più possibile esplicita e tassativa, la giurisdizione ordinaria a quelle particolari esigenze. Dichiara quindi di essere d'accordo sul principio a cui si ispira il primo comma dell'articolo 13 del progetto Calamandrei; ma vorrebbe estendere la norma in esso consacrata a tutte le forme di giurisdizione. In altri termini, si dovrebbe, a suo avviso, adottare una formulazione che rispondesse a questa triplice esigenza: rendere possibili, per certe materie, che leggi particolari determinino organi specializzati di giurisdizione; renderlo possibile mediante l'inserzione in questi organi di giudici specializzati o anche di elementi estranei alla Magistratura, fissando, tuttavia, un limite numerico, per impedire che si possa esautorare il principio della unicità della giurisdizione, immettendo una troppo larga massa di estranei nel potere giudiziario.

Uberti è nettamente contrario al principio della unicità della giurisdizione, per vari motivi. Se un organo specializzato è sorto, ciò dimostra che esso rispondeva ad una necessità. Può aver funzionato bene o male; ma, specialmente se ha funzionato bene, perché sostituirlo per seguire uno schema teorico che non corrisponde alla realtà? Egli teme, insomma, il pericolo di una Costituzione avulsa dalla realtà. Nelle questioni del Contenzioso tributario, ad esempio, la Magistratura ordinaria non può avere la necessaria competenza. Non è possibile applicare una norma costante a situazioni che hanno carattere contingente ed assumono aspetti diversi. La Magistratura ordinaria di fronte a taluni problemi si dimostra eccessivamente pesante, estremamente conservatrice ed in contrasto con tutto ciò che rappresenta necessità di progresso sociale.

Affermato nella Costituzione il principio della unicità di giurisdizione, il potere legislativo sarebbe nella impossibilità di costituire Magistrature speciali per risolvere problemi urgenti e contingenti. Se poi si vuol concedere alla Magistratura un'assoluta indipendenza, il pericolo risulterà ancora maggiore, perché, dato il carattere conservatore della Magistratura stessa, potrà talvolta determinarsi un contrasto insanabile tra i poteri dello Stato. Né va trascurato che, attraverso le giurisdizioni straordinarie, più sensibili alla pressione dei fatti sociali, è possibile evitare la cristallizzazione della giurisprudenza.

Targetti ritiene che il problema della unicità della giurisdizione, debba essere considerato alla stregua del concetto generale cui dovrebbero ispirarsi anche le norme relative al potere giudiziario. Più che contrario al principio della unicità, il suo pensiero è in contrasto con quello dell'onorevole Leone, che vorrebbe trasferire nella Costituzione norme proprie dell'ordinamento giudiziario.

Leone Giovanni, Relatore, precisa che egli desidera soltanto che nella Costituzione siano indicati gli organi del potere giudiziario.

Targetti obietta che, a suo avviso, la Carta costituzionale deve limitarsi a poche norme fondamentali, in cui sia affermato con chiarezza e con precisione ciò che si vuole e ciò che non si vuole che venga disposto. Posta la questione in questi termini, è risolto anche il problema dei limiti entro i quali è opportuno occuparsi del potere giudiziario nella Costituzione. Ricorda, in proposito, che la Carta costituzionale francese si occupa del potere giudiziario in due soli articoli.

Comunque, non gli sembra che la Costituzione debba risolvere il problema della conservazione o del divieto delle giurisdizioni speciali. In questa particolare materia, ogni affermazione deve essere ben ponderata e non bisogna lasciarsi trascinare dal pessimo ricordo che dei Tribunali speciali ha lasciato il fascismo. Nell'attuale momento egli non considera un errore la sopravvivenza della giurisdizione amministrativa e nemmeno sarebbe favorevole alla soppressione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti o a mutamenti sostanziali nelle loro funzioni tradizionali.

Cappi dichiara di dissentire dall'onorevole Uberti. Non crede esatto che l'unicità di giurisdizione risponda ad una architettura teorica; risponde invece ad una esigenza logica. Se, in senso largo, unica è la materia, unico deve essere anche l'organo. Per altro, dato che il campo della giustizia amministrativa è sufficientemente differenziato, si può anche essere favorevoli alla sua conservazione: ma non si può condividere l'opinione che i giudici togati non abbiano la capacità per decidere su certe materie. È possibile che i giudici specializzati non abbiano competenza in materie diverse dalla loro specializzazione; ma in linea di principio non può ammettersi che, nel giudicare in queste materie, un cittadino qualsiasi possa essere ritenuto più capace di un magistrato che ha una cultura, un'esperienza ed un abito giuridico indubbiamente superiori.

Può, fino ad un certo limite, concordare sul pericolo — avvertito dall'onorevole Uberti — dello strapotere della Magistratura, e il suo autogoverno assoluto, quale è sostenuto dall'onorevole Calamandrei lo lascia perplesso. Preferirebbe il sistema della Costituzione francese, che ammette l'intervento del potere legislativo nella formazione del Consiglio superiore della magistratura, ma non si dissimula il pericolo — indubbiamente più grave — che ad un certo momento il potere legislativo possa sottrarre certe materie alla competenza del potere giudiziario.

Conclude riaffermando di essere favorevole al principio della unicità della giurisdizione.

Mannironi, senza entrare nella questione della giurisdizione amministrativa, poiché aderisce alla sospensiva proposta dall'onorevole Bozzi, basandosi sull'esperienza derivata dalla sua pratica professionale, dichiara di approvare il concetto della unicità della giurisdizione della Magistratura ordinaria. Quindi è d'accordo che tale principio sia affermato nella Costituzione e che sia in questa ribadito il divieto delle giurisdizioni speciali. Anche la giurisdizione militare dovrebbe essere abolita, consentendola soltanto per i periodi di guerra.

Pur mantenendo fermo il predominio della Magistratura ordinaria, riconosce tuttavia che nei giudizi in cui si richiedono speciali cognizioni tecniche dovrebbe ammettersi, caso per caso, che esperti non magistrati portassero il contributo della propria competenza in sede giurisdizionale. Concorda però nel ritenere che debba stabilirsi una limitazione del numero di questi elementi estranei, per evitare che essi possano sopraffare il giudizio del magistrato ordinario e quindi la decisione.

È pertanto del parere che l'articolo 13 del progetto Calamandrei possa essere mantenuto, sia pure con qualche alleggerimento e con l'aggiunta delle limitazioni di cui al secondo comma dell'articolo 14 del progetto Leone. Sarà anche opportuno tener conto, nella formulazione definitiva, di quanto è detto nel secondo capoverso dell'articolo 14 del progetto Leone a proposito dei Tribunali militari.

Calamandrei, Relatore, rispondendo agli onorevoli Uberti e Targetti, prega i colleghi di non creare confusione, sollevando in questa discussione — che è essenzialmente di principio — questioni attinenti alla conservazione o meno di giurisdizioni speciali oggi esistenti. Ricorda, in proposito di avere già avvertito che tale questione deve essere accantonata e che il problema del potere giudiziario va studiato come se si facesse un ordinamento giudiziario nuovo.

Afferma che il principio della unicità della giurisdizione deve essere inserito nella Costituzione, perché esso è, a suo avviso, inscindibile da quello della indipendenza della Magistratura. Se si vuole che i giudici siano indipendenti, bisogna dare all'amministrazione della giustizia una organizzazione che garantisca tale indipendenza. Orbene, mentre è giusto riconoscere l'indipendenza ai magistrati ordinari, in quanto essi offrono ogni garanzia, si deve pure ammettere che ove si consentisse la creazione di organi speciali improvvisati, i componenti di questi non presenterebbero le stesse garanzie ed allora il principio della indipendenza della Magistratura verrebbe ad essere vulnerato. Il principio della unicità è quindi un corollario necessario di quello della indipendenza. Si può anche essere contrari al principio della indipendenza della Magistratura, ma allora bisogna avere il coraggio di dirlo, non solo in seno alla Commissione, ma anche nelle pubbliche sedute dell'Assemblea Costituente.

Si potrebbe anche sostenere che il potere dello Stato è uno solo e che i giudici non devono fare altro che dare esecuzione alle direttive politiche di chi ha l'autorità, e che quindi essi sono dipendenti del Governo. Potrebbe anche ritenersi che questo fosse un sistema migliore; ma, se si ammette la divisione dei poteri, bisogna giungere alla conseguenza della indipendenza della Magistratura.

Di fronte all'osservazione dell'onorevole Targetti che si debba cercar di alleggerire il più possibile le norme relative al potere giudiziario da inserire nella Costituzione, ripete che molti degli articoli contenuti nel suo progetto hanno lo scopo di rendere più comprensibili i principî affermati. Ad ogni modo il principio della unicità è uno di quelli che debbono essere consacrati nella Costituzione e, affermando questo principio, si deve specificare anche quali sono gli organi attraverso i quali esso si estrinseca.

Leone Giovanni, Relatore, condivide l'opinione che le formulazioni proposte debbano essere alleggerite, ma ritiene che non si possa arrivare al sintetismo della Costituzione francese.

Si dichiara d'accordo su quello che l'onorevole Calamandrei ha detto in risposta agli onorevoli Uberti e Targetti, sulla inscindibilità del principio della unicità della giurisdizione da quello della indipendenza della Magistratura.

Quando si afferma che il potere giudiziario è indipendente, occorre anche stabilire i limiti di tale indipendenza. Essendo d'accordo nel voler rendere indipendente il potere giudiziario dagli altri poteri, riconosce esatta l'affermazione dell'onorevole Calamandrei che questa indipendenza è inscindibile dalla unicità di giurisdizione. Altrimenti potrebbe in seguito avvenire, ad esempio, che il potere legislativo e l'esecutivo stabilissero per legge che la Commissione incaricata di risolvere le questioni in materia di affitti sia composta di due proprietari di case, di due inquilini e di un magistrato, o quella che deve pronunciarsi in materia di salari sia composta di due rappresentanti della Camera del lavoro, di due della Confederazione dell'industria e di un magistrato ed è evidente che in tali casi la indipendenza del magistrato verrebbe meno. Analogamente, se in materia di occupazione di terre (che è una questione di importanza giuridica, oltre che politica) la legge stabilisse che l'organo giudicante deve essere composto di due ispettori agrari e di un magistrato, poiché i due ispettori dipendono dal Ministero dell'agricoltura, l'indipendenza del Magistrato non avrebbe la possibilità di affermarsi.

Calamandrei, Relatore, osserva che tale era il caso appunto del Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

Leone Giovanni, Relatore, lo conferma, soggiungendo che il Tribunale per la difesa dello Stato non era un organo straordinario, ma un organo speciale di giurisdizione.

All'onorevole Uberti, che ha parlato di sensibilità della giustizia ai problemi sociali, di cristallizzazione della giurisprudenza, di conservatorismo del giudice, risponde che i regimi dittatoriali, come il fascismo, sentono sempre la necessità di presentare alla pubblica opinione queste giurisdizioni speciali sotto l'etichetta di un organo giudiziario permanente, salvo poi ad inserire in esso tanti elementi estranei da sabotare il magistrato.

Nessuno può rimanere insensibile ai fatti sociali; ma non bisogna temere la cristallizzazione del giudice; occorre invece assolutamente evitare la cristallizzazione della legge. Il giudice non deve essere altro che l'interprete della legge, nel senso più rigoroso e ortodosso. Le esigenze sociali, il palpito delle riforme sono fenomeni che debbono trovare la loro ripercussione entro la formula della legge; onde la necessità di fare leggi nuove che, rispondendo a queste esigenze, adottino formule di maggiore o minore elasticità.

Quando si dice che il giudice decide secondo il suo criterio, soltanto allora gli si può chiedere una sensibilità ai problemi sociali; ma bisogna sempre evitare un allargamento del potere giudiziario, che sarebbe pericoloso. Ricorda che in Germania, proprio con la dittatura nazista, si pretese di interpretare la sana coscienza popolare e si sostenne che il diritto non è scritto nel codice, ma è nella coscienza del popolo: tale coscienza però era interpretata dal Führer e i suoi accoliti. È quindi necessario che il magistrato rimanga conservatore, non nel senso di essere refrattario all'imponente massa dei problemi sociali che si presentano, perché tali problemi devono essere tradotti in nuove leggi, ma nel senso di interpretare rigidamente la legge esistente.

Di conservatorismo si può parlare in duplice senso: in quello di difesa di un determinato sistema politico ed economico vigente e in quello di difesa del sistema giuridico. Il giudice deve essere servitore soltanto della legge e di conseguenza conservatore in tal senso: interpretare, cioè, la legge secondo i fini per i quali è stata emanata. Se ad un dato momento la formula e lo spirito della legge sono in contrasto col movimento sociale in atto, il giudice deve tuttavia applicare la vecchia legge fino a che il legislatore non l'abbia modificata. Per l'ordine giuridico di un paese sarebbe sommamente pericoloso che il giudice avesse la possibilità di adattare la legge a nuovi orientamenti sociali. Condivide le preoccupazioni dell'onorevole Uberti per certe determinate forme di conservatorismo, ma egli le porta sul piano del diritto sostanziale e non su quello del diritto processuale o formale. Non si può, in altre parole, ammettere il cosiddetto diritto libero, dando al giudice la facoltà di sovrapporre la sua coscienza politica — in senso lato — alla interpretazione della legge, che più non si presta alle nuove esigenze.

Conclude affermando di rimanere fedele ai vecchi principî liberali della interpretazione della legge da parte del magistrato.

Uberti si richiama al periodo precedente al fascismo, e cioè agli anni 1919-22, allorché la Magistratura apparve colpevolmente legata alle classi conservatrici, ricordando che, se fu possibile creare una giurisprudenza speciale, sia in materia di patti di lavoro, sia in materia di sfratti, ciò fu dovuto al fatto che il legislatore riuscì a creare delle giurisdizioni speciali. E fu un bene, in quanto si sarebbe altrimenti determinato un urto sociale ancor più grave di quello verificatosi.

Domanda all'onorevole Calamandrei se col sistema proposto sarebbe, ad esempio, possibile creare una Commissione per gli equi affitti con una rappresentanza dei proprietari e degli affittuari, presieduta da un giudice.

Ricorda che le scuole storica e giuridica, nate ben prima del nazismo, non hanno fatto altro che adattare la legislazione alle nuove esigenze attraverso l'interpretazione. A suo avviso, non è giusto legare l'attività del giudice ad un duro criterio di rigida interpretazione, in quanto, se un giorno si rivelasse una immediata ed urgente necessità sociale, si avrebbe un contrasto con il giudice il quale dovrebbe rigidamente interpretare la vecchia legge.

Targetti è sempre stato e sempre sarà favorevole all'indipendenza del giudice, ma non vede alcun legame fra questa indipendenza e la creazione di magistrature che abbiano competenza specifica in determinate materie tecniche. Dichiara tuttavia di non volere che l'indipendenza della Magistratura porti gli altri poteri, legislativo ed esecutivo, e l'intera Nazione, a dipendere da un potere incontrollato.

Di Giovanni concorda pienamente sul concetto della indipendenza della Magistratura — che riconosce basilare — ritenendolo tuttavia non contrastante con il riconoscimento di magistrature speciali, fornite di competenza tecnica particolare. Non ritiene giustificata la preoccupazione dell'onorevole Leone, secondo cui il giudice, nelle giurisdizioni speciali, rischia di essere sopraffatto dagli elementi tecnici non appartenenti alla Magistratura, perché in questi casi non è negata l'indipendenza del giudice, ma si possono avere soltanto delle discordanze di vedute tra i tecnici e il magistrato. Non consente neppure con quanto da taluno è stato sostenuto, nel senso che l'interpretazione della legge contribuirebbe all'evoluzione del diritto, perché in tal caso si riprodurrebbe la posizione del pretore romano che aveva la potestà «corrigendi vel supplendi»; in altri termini, si darebbe al magistrato una potestà legislativa sotto forma di interpretazione della legge. Saranno le esigenze sociali ad imporre una evoluzione del diritto e saranno sempre gli organi competenti a ravvisare queste necessità e a legiferare in conseguenza, senza concedere al magistrato la facoltà di supplire alla legge attraverso la sua interpretazione.

Calamandrei, Relatore, all'onorevole Uberti che ha domandato come ci si dovrebbe comportare, qualora fosse inserito nella Costituzione il divieto della giurisdizione speciale, allorché si presentasse l'opportunità politica di costituire un collegio in cui fossero rappresentate due categorie economiche in conflitto, risponde che, qualora per determinate materie si ritenesse opportuno che i giudici fossero forniti di speciali cognizioni tecniche, potrebbero istituirsi presso il giudice ordinario apposite sezioni sotto la presidenza del pretore. Praticamente saranno chiamati di volta in volta determinati competenti in materia; interessante è che si tratti di sezioni speciali, incuneate nella gerarchia giudiziaria.

All'onorevole Targetti fa osservare che il principio della indipendenza della Magistratura viene affermato, non per favorire i magistrati, bensì per garantire ai cittadini la tutela dei loro diritti e soprattutto per mantenere fermo quel grande vantaggio che è rappresentato dalla certezza relativa del diritto, cioè la possibilità di trovare, con un certo calcolo approssimativo di probabilità, una tutela nel giudice quando si crede di aver ragione. Lasciando al Governo la potestà di creare organi speciali di giurisdizione, la Magistratura potrebbe in effetti rimanere indipendente, ma con l'andar del tempo tutta la materia ad essa demandata potrebbe essere via via affidata a Tribunali speciali ed i cittadini perderebbero così la garanzia della tutela dei loro diritti.

Il Presidente Conti avverte che l'onorevole Leone ha presentato la seguente proposta:

«Possono istituirsi con legge, per determinate materie, sezioni speciali presso i Tribunali ordinari con partecipazione di giudici specializzati ovvero di cittadini esperti, temporaneamente investiti di funzioni giudiziarie. In quest'ultimo caso il numero degli esperti non può superare il terzo della composizione del collegio».


 

[i] Nel resoconto sommario della seduta è scritto erroneamente «giudizi ordinari».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti