[Il 18 dicembre 1946 la seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere giudiziario.]

Il Presidente Conti riapre la discussione sull'articolo 12 che era stato lasciato in sospeso nella precedente riunione.

Bozzi, riallacciandosi a quanto detto dall'onorevole Calamandrei nella seduta precedente, rileva che problema pregiudiziale da risolvere è se si debba o meno affermare nella Costituente [Costituzione] il principio della unicità della giurisdizione.

Premette che il fenomeno delle giurisdizioni speciali non è nuovo in Italia, dove fin dal 1939 avevano raggiunto il numero di circa 300. Tale fenomeno esisteva già prima del fascismo e, per quanto sia ora grandemente diminuito, ancora oggi si creano giurisdizioni speciali, come l'attuale Commissariato per gli alloggi. Ciò, a suo avviso, sta a dimostrare che in ogni tempo vi è stata l'esigenza di giudici speciali.

Riassume il pensiero dell'onorevole Calamandrei, secondo il quale l'unicità di giurisdizione è in stretta connessione con l'indipendenza dei giudici e non dovrebbero più essere ammesse magistrature speciali, le quali, solo per particolari materie, potrebbero essere sostituite da sezioni speciali dell'organo giudiziario ordinario, come le attuali sezioni del lavoro, degli usi civici, o per gli infortuni sul lavoro. A suo modo di vedere, però, più che contro le giurisdizioni speciali, occorre reagire contro il loro espandersi, che, se non sufficientemente vigilato, potrebbe trascendere nella creazione di giudici speciali per fini politici contingenti. Non crede poi che le giurisdizioni speciali possano intaccare l'indipendenza della Magistratura, come è stato affermato dall'onorevole Calamandrei, perché, se così fosse, lo stesso risultato sarebbe raggiunto dalle sezioni speciali, in quanto di esse fanno parte, come esperti, elementi non appartenenti alla Magistratura ordinaria. Riconosce che un fattore di maggiore coesione tra i cittadini deve essere la certezza del diritto, ma non ritiene che sostituendo alle magistrature speciali le sezioni speciali, la certezza del diritto sia del tutto salvaguardata, essendo convinto che nascerebbero egualmente conflitti di competenza.

Dopo avere definito come giudice ordinario, contrariamente al criterio empirico usato dal Relatore, quello che nella sua giurisdizione abbraccia la generalità delle persone, pone in evidenza come la principale differenza tra il giudice ordinario e quello speciale consista nel fatto che contro le sentenze di quest'ultimo non è ammesso il ricorso alla Cassazione per i normali motivi di legittimità, ma solo il ricorso alle Sezioni unite per incompetenza o eccesso di potere. A questo inconveniente potrebbe, a suo giudizio, ovviarsi, sostituendo alle Sezioni unite della Corte di cassazione una sezione della Suprema Corte Costituzionale, attribuendole, però, anche la competenza dei ricorsi per motivi di legittimità.

Ritiene che il principio della unicità della giurisdizione dovrebbe essere affermato, se si creasse una organizzazione tale da attribuire la competenza in ogni campo soltanto al giudice ordinario; ma, una volta ammesso che per alcune materie è necessaria una composizione speciale del collegio giudicante, non ritiene opportuno imbrigliare l'avvenire inserendo nella Costituzione un divieto assoluto delle giurisdizioni speciali, che alle volte possono anche rivelarsi utili per attuare procedure più svelte e più snelle in particolari settori, come potrebbe essere attualmente quello degli alloggi, per il quale sarebbe forse più consigliabile un giudice speciale, piuttosto che una sezione speciale presso il Tribunale. È proprio per la grande ammirazione che ha della Magistratura ordinaria, che non vedrebbe di buon occhio un tribunale con molte appendici di sezioni specializzate, con giudici dalle diverse attribuzioni, e con procedure le più difformi, anche in campi in cui la specialità risponde più che altro a necessità di carattere transitorio.

È del parere, pertanto, che non si possa fissare nella Costituzione il principio del divieto assoluto delle giurisdizioni speciali. A favore di tale principio si è dichiarato un Comitato di magistrati nominato dal Ministro, mentre la Corte di cassazione si è dimostrata molto più cauta, riconoscendo che il principio della giurisdizione speciale vada riveduto, contenuto e limitato, ma che non per questo tutte le giurisdizioni speciali esistenti debbano essere eliminate.

Si limiterebbe, perciò, ad esprimere soltanto un orientamento, affermando nella Costituzione la tendenza verso la giurisdizione unica, nel senso di consentire l'eventuale costituzione di giudici speciali solo con l'adozione di particolari cautele. Proporrebbe, quindi, la seguente formula: «Non si possono istituire giudici speciali, se non con legge costituzionale».

Alla obiezione che la legge costituzionale può sempre derogare alla Costituzione, senza bisogno di dirlo, risponde che anche in altre parti della Costituzione è stata usata una simile affermazione, la quale ha in particolare, in questo caso, un valore di orientamento sia per l'avvenire, sia per la valutazione delle giurisdizioni speciali esistenti.

Desidera, infine, porre in evidenza che, mentre in passato le giurisdizioni speciali non davano alcuna garanzia, anche per la possibilità di modificare la Costituzione con legge ordinaria, per l'avvenire esse potranno essere circondate dalle maggiori cautele e non potranno più ripetersi gli inconvenienti che si sono precedentemente verificati, in quanto ogni giudice, sia ordinario che speciale, dovrà uniformarsi a dei principî fondamentali, che, almeno in parte, hanno già trovato posto nella Costituzione, come l'obbligo del contraddittorio, la possibilità della impugnazione di tutte le sentenze (cosicché si abbia per lo meno un doppio grado di giurisdizione) e l'obbligo della motivazione delle sentenze. Seguendo, poi, il consiglio accennato dall'onorevole Leone, se nella composizione di queste giurisdizioni speciali si stabilirà la partecipazione obbligatoria di magistrati togati (per lo meno di un magistrato presidente), potranno completarsi i capisaldi fondamentali per una sana e concreta garanzia in questo campo.

Concludendo, si dichiara contrario alla pluralità delle giurisdizioni speciali, che sarà compito del legislatore ordinario di ridurre il più possibile, ma non inserirebbe nella Costituzione il divieto assoluto di esse, permettendone invece la costituzione sulla base di principî fondamentali che servano a garantire nel medesimo tempo il regolare svolgimento dei giudizi e la difesa dei diritti dei cittadini.

Leone Giovanni, Relatore, dichiara di essere in posizione di perfetta antitesi all'impostazione data alla questione dall'onorevole Bozzi, al quale fa innanzi tutto rilevare che le sezioni specializzate potrebbero costituire una menomazione del principio dell'indipendenza della magistratura, se la loro composizione fosse lasciata all'arbitrio del legislatore e non vincolata dalla Costituzione. Evidentemente una sezione speciale, in cui il giudice togato resti isolato, non potrebbe essere tale da garantire l'indipendenza del giudizio; onde la necessità di un limite alla partecipazione dei giudici estranei, in modo che il loro numero sia proporzionato a quello dei giudici ordinari.

Circa l'affermazione dell'onorevole Bozzi di non essere favorevole ad un tribunale con più sezioni specializzate, osserva che meno favorevoli ancora si può essere alla pluralità di giurisdizioni speciali, la quale costringerebbe il cittadino, in caso di dubbio, a studiare dei trattati di legislazione per sapere a quale giurisdizione rivolgersi. Quando si abbia, invece, la giurisdizione unica, automaticamente esso adirà il giudice competente.

Per quanto riguarda, infine, la creazione di giurisdizioni speciali solo mediante leggi costituzionali, obietta che, se un partito raggiungerà nel potere legislativo una tale maggioranza che gli permetta di istituire giurisdizioni speciali con legge costituzionale, allo stesso modo potrà successivamente variarne il carattere e la composizione.

Ricorda che lo Stato italiano, da autoritario, quale era in origine, si andava evolvendo in stato democratico, ma nel corso della sua evoluzione è sorto il fascismo, che lo ha riportato indietro, moltiplicando ed asservendo le giurisdizioni speciali. Oggi, d'altra parte, non vi è nemmeno la possibilità di riallacciarsi alla legislazione prefascista, perché anche per quel periodo non può parlarsi di indipendenza del giudice, dato che non era raro il caso di un ministro che avesse il potere di decidere in materia di conflitti tra la sua amministrazione e il cittadino. A questo proposito riterrebbe opportuno che la Sottocommissione prendesse posizione, esprimendo in modo chiaro il proprio pensiero sul mantenimento, o meno, di quelle giurisdizioni amministrative, nelle quali il giudice è anche parte.

Se si riconosce la necessità di dichiarare che bisogna impedire, almeno in linea generale, la formazione di tribunali speciali, attraverso i quali può distruggersi il principio dell'indipendenza del giudice, in quanto possono aversi giudici parziali, o capi delle amministrazioni che siano giudici e parti nella controversia, si deve inserire nella Costituzione una formula precisa, che non serva soltanto ad aggirare la posizione, ma stabilisca permanentemente il principio che le giurisdizioni speciali sono assolutamente vietate. Se invece si dicesse che tali giurisdizioni si possono formare solo con legge costituzionale, attraverso una simile formula, sarebbe non solo attenuato, ma anche grandemente diminuito il valore solenne che si vuole dare al principio.

Secondo il suo punto di vista, fra gli organi ordinari della giustizia includerebbe anche quelli della giurisdizione amministrativa in senso proprio, cioè la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato e la Giunta provinciale amministrativa: fissando altresì il principio che le sezioni specializzate possono formarsi anche con elementi estranei all'ordinamento giudiziario in misura non superiore ad un terzo.

Nei riguardi, però, della giurisdizione amministrativa tributaria, osserva che vi è tutta una vasta rete di attribuzioni che riguarda in particolare la giurisdizione sopra elementi di fatto contingenti che richiedono una determinata capacità e conoscenze pratiche da parte del giudice (come, ad esempio per l'accertamento dei redditi) che non può essere assorbita dall'ordinamento giudiziario. Per questa parte lascerebbe aperto nella Costituzione il varco alla formazione di una giurisdizione tributaria specializzata, preferibilmente con giudici privati, consentendo sempre più la possibilità di ricorso al magistrato ordinario.

Propone perciò che gli articoli 12, 13 e 14 siano così formulati:

«Art. 12 — L'esercizio del potere giudiziario appartiene esclusivamente ai giudici ordinari, a norma delle disposizioni che seguono:

«In materia civile la giurisdizione è esercitata dal Conciliatore, dal Pretore, dal Tribunale, dalla Corte d'appello e dalla Corte suprema di cassazione.

«In materia penale la giurisdizione è esercitata dal Pretore, dal Tribunale, dalla Corte d'appello e dalla Corte suprema di cassazione.

«In materia amministrativa la giurisdizione è esercitata dalla Giunta provinciale amministrativa, dalla Corte dei conti e dal Consiglio di Stato.

«Tali organi, escluso il Conciliatore e il Pretore, sono collegiali».

«Art. 13 — Non possono istituirsi giudici speciali. Possono tuttavia istituirsi con legge, per determinate materie, sezioni speciali presso i giudici ordinari con partecipazione di giudici specializzati ovvero di cittadini esperti, temporaneamente investiti di funzioni giudiziarie. In quest'ultimo caso il numero degli esperti non può essere superiore al terzo della composizione del collegio».

«Art. 14 — In materia tributaria possono istituirsi giurisdizioni speciali. Al contribuente è tuttavia riconosciuto il diritto di ricorrere alle giurisdizioni ordinarie per motivi di legittimità e di diritto».

Con questa formulazione ritiene che possano essere superate tutte le preoccupazioni affacciate; cioè: evitare l'istituzione di giudici speciali; mantenere gli organi della giurisdizione amministrativa (Corte dei conti, Consiglio di Stato e Giunta provinciale); riconoscere, infine, con una norma generale, senza scendere nei particolari, la possibilità di creazione di una giurisdizione in materia tributaria, salvo ricorso alla magistratura ordinaria.

Calamandrei, Relatore, osserva che, mentre egli è partito da una premessa generale di abolizione di tutte le giurisdizioni speciali, ivi comprese di conseguenza anche le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, l'onorevole Bozzi, ritenendo che tale organo debba essere mantenuto in tutte le sue funzioni, da questa situazione particolare è risalito ad un principio generale di difesa delle giurisdizioni speciali, a differenza dei tre Relatori, che sono stati unanimi nel proporne la soppressione.

Ora, a suo avviso, il problema fondamentale non è quello di abolire le giurisdizioni speciali, ma quello di vedere se sia opportuno sostituirle con sezioni specializzate della Magistratura ordinaria, sull'esempio di quelle già esistenti, che hanno dato ottima prova.

Richiama l'attenzione dei colleghi sui rischi che correrebbe l'indipendenza della Magistratura, ove si lasciasse al legislatore la possibilità di creare giurisdizioni speciali, sul tipo del Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

Desidera inoltre far rilevare, come ebbe già occasione di dire in altra seduta, che il lasciar aperto il varco alla creazione di giurisdizioni speciali permette al legislatore di togliere, a poco a poco, alla Magistratura una parte delle sue funzioni, per demandarla a giudici speciali non indipendenti, distruggendo così il principio della unicità della giustizia e l'indipendenza della Magistratura stessa.

Circa il pericolo che anche le sezioni specializzate potrebbero rappresentare, agli effetti dell'indipendenza della Magistratura, rileva che in tali sezioni, pur essendo composte in parte di tecnici e di periti che non possono dare sufficiente certezza di indipendenza, la garanzia è data dalla presenza di magistrati ordinari.

Infine, sulla proposta dell'onorevole Leone di considerare come ordinarie alcune delle giurisdizioni amministrative attualmente esistenti (Corte dei conti, Consiglio di Stato e Giunta provinciale amministrativa), fa osservare che il far parte della Magistratura ordinaria non dipende solo dall'averne la qualificazione, bensì dall'essere inclusi, coordinati e inquadrati in quel sistema di garanzie che si vuol stabilire per mantenere l'indipendenza e l'autogoverno della Magistratura. Infatti, se l'autogoverno della Magistratura significa che i giudici debbono essere nominati dal corpo dei magistrati e che le mancanze disciplinari debbono parimente essere sottoposte alla loro competenza, è perfettamente inutile affermare che sono giudici ordinari anche i giudici speciali, se non viene loro concessa la stessa garanzia di nomina e di giurisdizione disciplinare. A suo avviso, quindi, il mantenere delle giurisdizioni speciali significherebbe ammettere l'esistenza di organi che, pur amministrando la giustizia, sarebbero privi però delle garanzie essenziali dei giudici ordinari. Per questi motivi, anche essendo disposto a discutere la permanenza in vita del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, come giurisdizioni speciali eccezionalmente mantenute, è nettamente contrario a girare la questione, chiamando «ordinari» degli organi che continuerebbero ad essere «speciali».

Bozzi desidera chiarire che, sostenendo la non opportunità di sancire nella Costituzione il divieto assoluto della creazione di giurisdizioni speciali, non ha voluto certamente difenderle, avendo anzi affermato la necessità della loro riduzione. Ricorda inoltre di aver detto che, ammettendo il principio della istituzione eccezionale di giudici speciali, si dovrà stabilire che ne faccia parte per lo meno un magistrato-presidente e che tutti i giudici speciali dovranno sottostare alle garanzie del giudice ordinario.

Di Giovanni fa presente che, mentre nel progetto della Commissione nominata dal Ministro Guardasigilli il principio della unicità della giurisdizione è affermato in modo categorico, in quello della Corte di Cassazione è ammesso «in via di massima», con il rilievo che in alcuni casi le magistrature speciali rispondono alla necessità di una maggiore specializzazione e con l'ammissione della conservazione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e di altre magistrature amministrative.

Personalmente ritiene che soltanto in materia penale debba essere rigidamente affermato il principio della unicità della giurisdizione; cioè che non si possa in tale materia ricorrere, in nessun caso, a tribunali speciali. Quindi, in questo campo dovrebbero esistere soltanto la Magistratura ordinaria e giudici precostituiti, salva l'eccezione dei Tribunali militari in tempo di guerra, in quanto determinati da esigenze eccezionali. In materia amministrativa dovrebbe invece ammettersi la conservazione delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, della Giunta provinciale amministrativa e delle Commissioni tributarie. Oltre a queste giurisdizioni speciali, conserverebbe anche quelle Commissioni speciali e quei Collegi arbitrali, che sorgono in relazione alla costante evoluzione del diritto del lavoro e che hanno dato ottime prove per la risoluzione delle controversie.

Vanoni ha chiesto di partecipare ai lavori della Sezione per richiamare l'attenzione dei colleghi sulla relazione fatta dal Ministero della Costituente nella parte riguardante la difesa dei cittadini nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, in cui sono riassunti i risultati di un'inchiesta espletata da tecnici e pratici in materia di contenzioso tributario.

Da tale inchiesta è emersa innanzi tutto l'esigenza di dare all'ordinamento del contenzioso tributario un'impronta meno arbitraria di quella che ha attualmente. Bisogna tenere presente in proposito che vi sono oggi leggi tributarie che escludono la possibilità di ricorrere al giudice ordinario dopo che sia stata adita la Commissione amministrativa; leggi che concedono un solo grado di giurisdizione, escludendo comunque il ricorso alla autorità giudiziaria, e ancora leggi che ammettono addirittura sei gradi di giurisdizione, come nel caso dei ricorsi relativi all'imposta di ricchezza mobile, in cui si hanno tre gradi in sede amministrativa e tre in sede di Magistratura ordinaria. Si passa quindi da un eccesso assoluto di contenzioso, che può portare alla perdita di anni per la definizione di questioni in materia tributaria, a casi in cui è dato un solo grado di giurisdizione. Da questo stato di cose consegue il fondato timore che i diritti e gli interessi dei cittadini non siano opportunamente difesi nei confronti dell'Amministrazione.

Altro rilievo fatto all'attuale ordinamento del contenzioso tributario è quello del giudice tributario nominato dal Ministero o dall'Intendenza di finanza, che comunemente appare come una parte. Nell'opinione pubblica è infatti molto diffuso il timore che il giudice nominato dall'esponente amministrativo della parte contraria — se «parte» si può chiamare lo Stato in un procedimento — non sia un giudice completamente imparziale. Di questo timore, del resto, si è avuta un'eco anche in una delle ultime discussioni in Assemblea plenaria.

D'altra parte, in materia tributaria è necessario tener presente, innanzi tutto, una esigenza di carattere pratico, cioè che il procedimento deve essere rapido, in quanto la rapidità dell'accertamento è una delle condizioni indispensabili per il funzionamento dell'ordinamento tributario, e, in secondo luogo, l'esigenza che il giudice sia, da un lato, fornito di sufficiente competenza giuridica per valutare l'aspetto di diritto della controversia, e abbia, dall'altro, adeguate cognizioni tecniche attinenti alla particolarità del procedimento, che non è un puro giudizio di diritto, ma è spesso un giudizio di equità, soprattutto quando si tratta di stimare un fatto nella sua giusta portata.

Di fronte a tutte queste esigenze, così opposte, ed in relazione allo stato attuale della legislazione italiana, bisogna dunque considerare la necessità di una profonda, sostanziale innovazione del procedimento tributario.

Desidera sottoporre ai colleghi le soluzioni che sono state proposte da teorici e pratici, affinché siano esaminate e vagliate con particolare attenzione, tenuto conto soprattutto dell'importanza del fatto, in quanto, secondo quello che gli è stato segnalato da alcuni studiosi di statistiche giudiziarie, risulta che davanti alla Corte di cassazione, per un lungo periodo di tempo, oltre il 50 percento dei giudizi civili era di natura tributaria.

Le proposte fatte riguardano, innanzi tutto, il riconoscimento della competenza esclusiva del giudice ordinario anche in materia tributaria, con la creazione di sezioni speciali, composte prevalentemente da giudici togati, assistiti da esperti per la valutazione dei fatti; in secondo luogo, un grande tribunale amministrativo competente in tutte le materie amministrative, compresa anche la materia tributaria; in terzo luogo, una organizzazione giudiziaria specifica in materia tributaria, a somiglianza della Corte suprema tributaria istituita in Germania dopo la Costituzione di Weimar.

Pone in evidenza come in nessuna di tali proposte ritorni il concetto dominante nell'attuale contenzioso tributario, di organismi prevalentemente o esclusivamente composti di giudici non togati, poiché da tutte è richiesta la presenza del giudice ordinario. Ciò deriva, a suo avviso, dal fatto che con l'organizzarsi di un sistema giuridico degli istituti tributari, l'interpretazione del diritto e l'applicazione delle norme giuridiche diventa sempre più importante; onde la necessità della presenza di un giudice che sia capace di indirizzare gli altri nella interpretazione e valutazione della legge. D'altra parte non può negarsi l'esigenza che siano presenti anche persone che abbiano particolare competenza in materia tributaria, per la obiettiva valutazione dei fatti, che, avendo un contenuto di valore monetario, richiede attitudini e cognizioni del tutto particolari.

Per concludere, volendo esprimere la sua personale valutazione, di pratico e di studioso, dichiara di ritenere legittima, in materia di contenzioso tributario, la richiesta di una giurisdizione speciale. A suo avviso, forse, nella situazione attuale sarebbe preferibile una Corte tributaria che non il Consiglio di Stato in funzione giurisdizionale, in quanto tale organo richiede semplicemente una specializzazione, che non è maggiore di quella che si riscontra tra i giudici penali e i giudici civili, mentre nel campo tributario è realmente necessario un tribunale composto in un modo diverso e che abbia una giurisdizione separata. Non sa se il problema possa essere risolto con l'istituzione di sezioni speciali, ma pensa che si debba studiare la possibilità di risolvere tale angosciosa questione, per dare all'Italia un sistema di contenzioso tributario non contraddittorio, semplice e soprattutto rapido; perché, se si insistesse nel sistema attuale — soprattutto in un periodo di democrazia in cui le forme di contenzioso abbreviate saranno via via ridotte — teme fortemente che la forma normale di contenzioso rimarrebbe quella delle imposte dirette, cioè una forma di contenzioso che, da un lato, sarebbe estremamente costosa e dall'altro si presterebbe piuttosto a ritardare il pagamento delle imposte, che non a garantire una retta interpretazione delle leggi tributarie.

Leone Giovanni, Relatore, propone che l'onorevole Vanoni prepari in proposito un progetto, che potrebbe formare oggetto di studio per la Sezione.

Vanoni ritiene che sia sufficiente che i colleghi, nel formulare i principî, tengano presente la possibilità di prevedere un organo speciale di giurisdizione per il contenzioso tributario.

Calamandrei, Relatore, pensa che la questione da risolvere sia se il contenzioso tributario debba essere incorporato nella giurisdizione ordinaria in forma di sezioni speciali, oppure se lo si debba mantenere come giurisdizione speciale.

Targetti, per rimanere il più possibile aderenti al lavoro da svolgere, ritiene sia opportuno tenere presente che negli articoli 12 e 13 nel progetto Calamandrei, 14, 14-bis, 15, 21 del progetto Leone, 7 e 20 del progetto Patricolo, vengono risolte, in modi diversi, le questioni riguardanti l'unicità della giurisdizione, le giurisdizioni speciali, i tribunali straordinari e gli organi con cui si esercita il potere giudiziario. Di conseguenza, a suo avviso, più che discutere intorno alle parole dei vari articoli, è necessario stabilire dei principî in merito a ciascuna delle varie questioni.

Sul principio della unicità della giurisdizione osserva che, affermandolo, si verrebbe a stabilire un divieto insormontabile alla creazione di giurisdizioni speciali e ritiene che l'onorevole Calamandrei abbia, dal suo punto di vista, ragione nel sostenere che i giudici speciali contrastano il principio dell'autogoverno della Magistratura. Pur riconoscendo l'elevatezza dell'ideale dell'unicità della Magistratura, pensa che, salvo nel campo penale, non sia possibile affermarlo in modo inderogabile, in quanto dovrà sempre essere ammessa l'esistenza di un contenzioso amministrativo o tributario.

Dichiara infine di non essere favorevole alla proposta dell'onorevole Leone di inserire nella Costituzione un'elencazione degli organi del potere giudiziario, in quanto, oltre tutto, sarebbe necessario risolvere prima il problema della Corte d'assise, dato che la legge sull'ordinamento giudiziario non ha mai fatto parola né dei giurati, né degli assessori.

Il Presidente Conti fa presente che della Corte di assise si parlerà quando si prenderà in esame l'articolo 21 della relazione Calamandrei.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti