[Il 12 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Abozzi. [...] Per me, onorevoli colleghi, il problema della giuria è strettissimamente legato a quello dell'indipendenza del giudice; ed è per la difesa integrale dell'indipendenza del giudice che io penso che il progetto di Costituzione debba accettare il principio della Corte criminale, rifiutando l'istituto della Giuria.

Onorevoli colleghi, il giurato, nella migliore delle ipotesi, è un dipendentissimo cittadino: dipende almeno dalla propria incompetenza.

Il magistrato che ha consacrato la vita alla missione da giudicare, che ne sente la dignità e non l'abbandona, di norma, che per collocamento a riposo o per morte, può veramente vivere in quella torre di avorio di cui si è parlato in quest'Aula. Ma il giurato è un giudice saltuario, episodico, occasionale. Non dico che l'occasione fa l'uomo ladro, Dio me ne guardi. Dico che il giurato non consacra la vita alla giustizia: l'ordine di sedere come giurato è accolto dal cittadino che ha da sbrigar i suoi affari, come un mandato di comparizione — peggio, come un ordine di arresto. Egli cerca medici compiacenti per certificati compiacenti.

E non è tutto: i congiunti dell'imputato tendono le reti all'improvvisato giudice: il giurato Tale è minacciato del protesto di una sua cambiale, il giurato Tal'altro della propalazione di uno scandaletto familiare; al terzo si promette una onorificenza, della quale si occuperà l'onorevole deputato del collegio, il quale normalmente non ne sa niente; si lusinga il quarto con la promessa del sospirato trasferimento di un congiunto. Il giurato non solo non può entrare nella famosa torre di avorio del magistrato, ma non può stare in nessuna torre, qualunque ne sia la materia.

L'onorevole Macrelli diceva ieri che in quest'Aula si erano pronunciate parole aspre contro i giurati; oggi le sente anche più crude. E non voglio affatto concludere che non possano esistere giurati onesti. Ce ne furono e ce ne saranno.

Io penso che il problema della giuria non è da esaminare con gli occhiali colorati; voglio parlare di colori politici; non è da esaminare sotto la specie della democrazia o della non democrazia; ma soltanto sotto il punto di vista tecnico del migliore giudizio che si possa ottenere nelle Corti di assise. Questo è l'unico punto di vista valido e corretto.

Penso che nessuno può spingere il proprio sentimento democratico fino a pretendere che si formi un collegio di medici, di avvocati o di ingegneri, i quali abbiano la caratteristica di non conoscere la medicina, l'avvocatura o l'ingegneria; mi sembrerebbe una non leggera esagerazione.

Si tratta di un problema tecnico. È vero che qualche volta si nasce con una struttura mentale logica che rende possibile un giudizio istintivo abbastanza corretto. C'è anche l'istinto del musico, del melodista: ma armonista si diventa, contrappuntisti non si nasce. E così l'ottimo tecnico del giudizio non nasce, diventa.

La vecchia banalità del giurato giudice sul fatto e non sul diritto non è creduta ormai più da nessuno, anche se si ammette che, in qualche tempo, qualcuno, nel fondo della sua coscienza l'abbia creduta veramente.

Il giudice giudica l'imputato di un reato, nel quale sono fusi indissolubilmente fatto e diritto.

Esistono casi facili nella storia giudiziaria: ma nei processi di assise i casi facili non si trovano. Difficile seguire l'intrico degli indizi, difficile, per l'insipiente, valutare gli estremi di un reato, difficile giudicare le perizie tecniche che il buon giudice accetta o respinge per ragioni cercate nella propria cultura; difficile l'indagine psicologica. Solo il magistrato sa scrutare l'animo del testimone, ed entrare nell'invisibile mondo delle intenzioni.

Un poeta francese, di purissima ispirazione, diceva che bisognerebbe torcere il collo all'eloquenza, strozzarla: ebbene, il giurato non è di quelli che mettono le mani al collo della eloquenza.

In un tempo in cui si crede che la risoluzione dei problemi sia affidata all'arte dell'indurre e del dedurre, la Corte di assise non è che un campo per il giuoco delle emozioni: qualche volta volgarmente eccitate, e volgarmente accolte.

L'onorevole Togliatti ha detto in un suo discorso che il cittadino deve essere giudicato dai suoi pari. Non capisco bene il significato di questa parola: «pari». Mi sembra equivoco. Il vero pari di un cittadino imputato di omicidio dovrebbe essere un altro cittadino imputato ugualmente di omicidio.

Macrelli. Ma no!

Abozzi. Capisco perfettamente, amico Macrelli, che l'onorevole Togliatti non ha voluto dir questo, ma semplicemente che l'imputato deve esser giudicato dal cittadino come tale, dal popolo in una parola. Io non credo però che si possa dividere la Nazione in popolo e non popolo, comprendendo nel non popolo i magistrati. I magistrati fanno parte del popolo: sono cittadini che hanno appreso a giudicare. È soltanto questo saper giudicare che distingue il magistrato dal comune cittadino.

[...]

Cortese. [...] Giustizia uguale per tutti; l'unità della giurisdizione è una garanzia di giustizia eguale per tutti. L'autonomia del potere giudiziario è manomessa quando un altro potere, sia pure quello legislativo, può sottrarre ad esso, creando giurisdizioni speciali, una serie di rapporti, ferendo così il concetto sostanzialmente unitario dall'amministrazione giudiziaria e discreditando anche la Magistratura ordinaria, ritenuta inidonea al suo compito. D'altra parte, si accentua così l'incertezza circa il giudice competente; si facilitano i conflitti di competenza e le contraddittorietà dei giudicati; viene meno spesso, il doppio grado di giurisdizione, si riduce, si mutila spesso il controllo della Corte di cassazione.

[...]

In materia penale la Costituzione ha affermato in modo preciso il divieto di istituire organi speciali e straordinari. Io però sono preso da una perplessità di fronte all'articolo 95. Comprendo che dal punto di vista giuridico si tratta di concetti perfettamente diversi; ma quando si dice che presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi per determinate materie sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti, io vorrei una garanzia in rapporto alla materia penale.

Non vorrei infatti che fosse possibile, attraverso questo binario, arrivare a delle Corti d'assise speciali, a dei collegi coi quali, modificando profondamente la composizione dell'organo ordinario, si crei un organo sostanzialmente speciale.

Occorre precisare che presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi, per determinate materie, delle sezioni specializzate, quando ciò sia reclamato dalla «particolarità tecnica» dell'oggetto del giudizio.

Soltanto l'aspetto particolarmente «tecnico» della materia può giustificare una particolare composizione dell'organo giudicante con la partecipazione di «esperti» che integreranno il collegio, la cui presidenza e la cui maggioranza saranno sempre rappresentate da magistrati ordinari.

[...]

La scelta del giudice deve essere garanzia di giustizia eguale per tutti.

La scelta del giudice mediante concorso è garanzia di preparazione e di competenza. Concorso anche interno per selezionare il magistrato durante lo svolgimento della sua carriera. Oserei forse dire, per distinguere magistratura penale da magistratura civile.

Noi nella pratica vediamo i giudici penali che chiedono di andare a fare delle piccole escursioni in civile, per poter scrivere delle sentenze ed acquistare un titolo, quasi che la funzione di amministrare la giustizia in campo penale fosse una funzione degradata in confronto a quella nel campo civile. Eppure, tutto il movimento della scienza moderna, tutte le elaborazioni giurisprudenziali, i congressi internazionali, sempre più dimostrano quanto il giudice debba essere preparato, padrone perfino di scienze ausiliarie, ove egli voglia cimentarsi nel difficile compito di giudicare gli uomini e di amministrare la legge penale, che diventa sempre più complessa. Ma mentre io parlo di tecnica e complessità di preparazione e di scienze sussidiarie, io vedo affacciarsi dall'articolo 94 aureolata di incompetenza e di ignoranza, la figura della giuria.

Vi è qualcosa di paradossale, consentitemelo dire col massimo rispetto anche per chi sostiene la tesi avversa. Il giudice più incompetente per il giudizio più grave, il giudice ritenuto il più infallibile, senza il doppio grado di giurisdizione, senza appello, in quanto più incompetente; ed a lui si consente di essere il più dispotico, cioè lo si svincola dall'obbligo della motivazione; gli si consente di poter esprimere il suo giudizio con un dispotico monosillabo, sulla cui punta oscilla tutta la vita di un uomo, che può essere condannato all'ergastolo.

Voi, onorevoli colleghi, sapete quali gravi indagini occorre svolgere nelle Corti di assise in rapporto ai delitti più gravi.

Si dice: democrazia; ma democrazia è questa: eguaglianza delle possibilità per tutti nell'assunzione delle carriere; quando vi sono compiti tecnici da svolgere la selezione è affidata soltanto alla preparazione tecnica.

Che cosa è questa democrazia del «sorteggio»? Si dice: coscienza popolare, come se il sorteggio esprimesse la coscienza popolare; scelta cieca, della sorte. Capirei magari una elezione.

Veroni. Mancini, Finocchiaro Aprile, Pisanelli hanno fatto discorsi memorabili.

Cortese. I discorsi memorabili dei maggiori esponenti della nostra dottrina, da Francesco Carrara a Pisanelli, sono contro la giuria. Io ho letto Pisanelli, ricordato nella relazione del Guardasigilli; ho voluto sfogliare questo antico libro intitolato Istituzione de' Giurati. Quando parlava del trapianto di questo istituto dall'Inghilterra, Pisanelli scriveva: «I giurati, destituiti di cultura, nel Continente non si appoggiano ad antiche consuetudini e non sono sorretti dalla tradizione e non rappresentano altra cosa che l'ignoranza; ossia ciò, che negli odierni giudizi (la vivacità dell'espressione è sua) nulla ci può essere di più laido, di più abietto, di più esiziale nel giudicare». Soggiungeva: «la mancanza di una motivazione priva certamente la sentenza dei giurati degli altri vantaggi, che potrebbe presentare». Perché la motivazione è la dignità della sentenza. Una sentenza non motivata, che non consente appello e riesame del procedimento logico, delle valutazioni giuridiche, delle premesse di fatto che hanno condotto alla decisione, sospende nel vuoto un dispositivo lascia senza risposta ogni interrogativo che investa il suo fondamento.

D'altra parte il giudizio dell'inesperto è tanto più assurdo in quanto, come ho già avuto occasione di rilevare, nel nostro Paese la sentenza deve applicare la legge, che è sempre scritta, codificata, tecnicamente formulata, e non già consuetudini ed usi, principî non scritti affidati alla tradizione, come in Inghilterra, che è la patria della giuria.

Soprattutto voi, colleghi del campo penale, ben conoscete quale movimento di pensiero, di indagine, di critica, di dottrina, quale feconda, ricca elaborazione giurisprudenziale vi sono state da quando, con la soppressione della giuria, le sentenze della Corte d'assise hanno avuto una motivazione e la Corte di cassazione ha potuto pronunciarsi sui problemi giuridici che frequentemente si presentano nelle Corti d'assise.

Pensate agli ardui temi affrontati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La nozione di premeditazione, conciliabilità della premeditazione col vizio parziale di mente, conciliabilità della premeditazione con la provocazione; provocazione e motivi morali sulla base dello stesso fatto o di due fatti distinti. Se non ci fosse stata la motivazione delle sentenze, tutto questo lavoro di ermeneutica e di giurisprudenza non ci sarebbe stato. E noi avvocati, che spendiamo la nostra fatica in questi studi e in queste indagini, dovremmo poi portare i risultati della nostra preparazione tecnica, le nostre tesi giuridiche dinanzi al banco dove siede sì un cittadino, al quale può andare tutta la nostra simpatia e la nostra stima, ma che è un uomo che non può seguirci nell'arduo cammino. La giustizia diventa una lotteria, come diceva Francesco Carrara, una lotteria tanto più pericolosa nei piccoli centri, dove più agiscono le suggestioni, le pressioni, le amicizie, i timori riverenziali, le clientele elettorali dell'avvocato, le animosità o le cordialità dei gruppi familiari, le avversioni della piccola politica locale. Né può tacersi del fenomeno degli eccessi della stampa in tema di cronaca nera, eccessi che pur possono avere un'influenza suggestiva sul giudice popolare meno corazzato ed attrezzato.

Tutta la dottrina, la Magistratura e gran parte degli avvocati penali sono contro l'istituzione della giuria, la quale, infine, non garantisce la «umanità» del giudizio più di quanto possa garantirlo il magistrato, che è uomo esperto fornito di sensibilità, e non è certo chiuso alle voci del sentimento, che non è certo incapace di valutare gli aspetti, i motivi, le giustificazioni umane del delitto. Il magistrato, che è anch'egli «popolo», figlio del popolo, lavoratore, che con un modesto stipendio spende la sua vita al servizio del Paese, della legge, per garantire le libertà e i diritti di tutti.

Le Corti di assise dei giurati sono le Corti delle grandi prevenzioni e delle grandi indulgenze. Arbitrarie le une e le altre.

Onorevoli colleghi, soltanto con un giudice indipendente, esperto, preparato, si garantirà il cittadino, il cui onore, i cui beni, la cui libertà dipendono dall'amministrazione della giustizia, e si potrà forse garantire al massimo quella eguaglianza della giustizia che è l'esigenza fondamentale di un popolo civile. (Applausi Congratulazioni).

[...]

Veroni. [...] E da ultimo consentitemi brevi rilievi sull'ardente problema, che tanto appassiona l'Assemblea: la Corte d'assise deve essere ripristinata, deve essere conservato l'assessorato o scabinato, deve essere affidata soltanto al magistrato la materia che per l'innanzi era affidata alle nostre Corti d'assise? Un nostro collega, che non appartiene a partiti di sinistra — l'onorevole Turco, che è un avvocato eminente — ha potuto dire che, quando l'onorevole Togliatti propose col suo noto decreto di ripristinare l'istituto della giuria, egli evidentemente lo aveva fatto, perché non si era potuto sottrarre a quella che era in quel momento la particolare situazione politica del Paese, uscito dalla tirannide fascista e dalla occupazione nazista.

Diceva l'onorevole Turco che fu forse quello un gesto di «mimetismo integrale»; frase un po' oscura, che forse voleva significare questo: il Ministro Guardasigilli volle far sentire di essere l'espressione massima della democrazia e ridonò al popolo il diritto di giudicare attraverso l'istituto della giuria.

La verità è un'altra, onorevoli colleghi; a me consta personalmente, per essere stato in due Gabinetti il collaboratore di quel Ministro, che prima di presentare al Consiglio dei Ministri del tempo il decreto che ripristinava la giuria, furono interpellati i Consigli dell'ordine, le magistrature; gli studiosi, e, se voi volete consentire ad uno dei vostri più modesti colleghi un ricordo personale, potrei dirvi che fu dato proprio a me l'incarico di assaggiare, di vedere, di assaporare, quale era nel nuovo regime l'intenzione, il pensiero della classe forense e dei magistrati. E fui a Treviso, a Venezia, a Padova, a Milano, ecc. ed ho, nell'adempimento del mio stretto dovere, raccolto degli elementi concreti, che furono poi consolidati dal pensiero di buona parte della Magistratura, invitata a far sapere alle sfere dirigenti della vita giudiziaria quale fosse l'intendimento suo sopra l'istituto della giuria. Ebbene, caro amico Turco, o perché — come tu pensi — tutti eravamo invasi allora dal desiderio insopprimibile di ridare alla vita giudiziaria del Paese quell'aria salubre e respirabile che non aveva avuto per il passato, o perché tale era l'obiettivo convincimento di avvocati, di magistrati e di studiosi; sta di fatto che la giuria non trovò contrasti. E allora, nel maggio 1946, il Ministro Guardasigilli portò al Consiglio dei Ministri, presieduto dall'onorevole De Gasperi, il suo decreto, e il Consiglio dei Ministri — con decreto 31 maggio 1946, n. 560, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 luglio 1946 — senza sollevare discussioni od obiezioni gravi, ripristinò la giuria. Quindi, quando l'onorevole Fausto Gullo, succeduto al Ministro Togliatti, presentò un progetto di legge, correttivo soltanto dal punto di vista formale del primo, l'onorevole Gullo non faceva niente di decisamente nuovo e si orientava, dal punto di vista giudiziario, giuridico, politico, sulla linea che aveva seguito il suo predecessore.

Nella sua relazione, infatti, egli scriveva che, nel corso degli studi legislativi per la redazione delle norme da lui proposte, si era ravvisata l'opportunità di introdurre alcuni emendamenti diretti a potenziare la riforma, pur lasciandone inalterata la struttura fondamentale.

Giova a questo punto ricordare che sorse viva discussione in seno alla Commissione degli esperti — creata dal Guardasigilli Togliatti — sul requisito che si doveva richiedere al giurato, e non sull'utilità o sulla necessità di ripristinare o meno la Corte d'assise. Fu allora che la Commissione, in difformità da quello che il Ministro Guardasigilli aveva proposto, sostituì al requisito della licenza elementare, la licenza media inferiore o altro titolo equipollente.

Gli argomenti di natura strettamente giuridica contro il ripristino della giuria s'infrangono, onorevole Villabruna, di fronte al modificato clima sociale e politico, perché ogni volta che è insorta la tirannide, quel giorno è caduta la giuria (Approvazioni a sinistra); e ogni volta che è risorta la libera democrazia ed è caduta la tirannide, quel giorno è risorta la giuria. (Applausi vivissimi a sinistra). Segno è questo, onorevoli colleghi, che fra la giuria e la concezione politica del Paese vi è una connessione, per la quale un collega dell'estrema — mi sfugge ora chi — poteva dire che proprio non si può esaminare il problema della giuria, senza considerarlo nel quadro e nel tono della vita politica, nel momento in cui essa si ripristina o si rimuove.

Onorevoli colleghi, quest'Aula, e quella più angusta che abbiamo da molti anni abbandonata, hanno intese voci potenti sostenere la giuria. Pasquale Stanislao Mancini ha fatto dei discorsi mirabili — che io rileggevo nei giorni scorsi — per dire tutti i motivi e tutte le ragioni per cui nel regime di libertà e di democrazia s'impone l'istituto della giuria.

Ma Giuseppe Zanardelli, e nella relazione del Codice del 1889, e in Parlamento, e più tardi durante il suo ultimo Ministero ha ratificato con la sua alta autorità di giurista, e col suo alto pensiero di politico, che la giuria s'impone in regime di democrazia. Da ultimo Camillo Finocchiaro Aprile, fra le figure più luminose di questa Camera — io ero nel 1913 componente della Commissione di riforma del Codice di procedura penale — ha nei suoi magnifici discorsi esaltato l'istituto della giuria che volle conservato nel suo nuovo Codice di rito.

Dunque, se in regime di libertà lungamente vissuta uomini così insigni ed esperti sostennero e giustificarono pienamente l'istituto della giuria, dovremmo proprio noi, dopo aver tanto sofferto e patito, e dopo aver visto restituito in libertà il nostro Paese; dobbiamo proprio noi allontanarcene?

Io sono veramente lieto che chi presiede stamane la nostra Assemblea, l'onorevole Targetti, abbia potuto dare proprio lui il sigillo, lui socialista, alla restaurazione della giuria nella Costituzione. Fu proprio, infatti, nell'ultima seduta di quella operosa seconda Sezione della seconda Sottocommissione, presieduta dall'onorevole Conti, che la giuria fu riconsacrata dalla proposta dell'onorevole Targetti.

Riconsacrato col nostro voto il ripristino dell'istituto, dovrà la legge comune e procedurale fermarsi sugli argomenti qui ripetuti sulla impreparazione del giurato: verrà così stabilito chi dovrà essere giurato, quali requisiti dovrà avere, e quale rimedio dovrà essere approntato per riparare alle deficienze che la giuria popolare può presentare dal punto di vista tecnico per essere pienamente rispondente alle esigenze del giudizio penale.

E qui io voglio ricordare da vecchio avvocato che la tecnicità della prova, a cui sarebbe inadatto il giudice popolare, ha accompagnato sempre il giudizio penale vivificato dal sussidio di perizie mediche, psichiatriche, calligrafiche, balistiche, ecc. Avveniva per il passato che il giurato trovava, se inesperto, un concludente sussidio nella trattazione delle parti e un correttivo nel riassunto del presidente destinato a mettere in luce le risultanze generiche e specifiche delle prove raccolte, sicché il giurato finiva per orientarsi notevolmente anche di fronte ai problemi tecnici.

Né sarà male ricordare, infine, che alla compilazione delle liste dei giurati provvedevano commissioni, presiedute dal Presidente del tribunale, che esaminavano le domande di iscrizione col sussidio dei rapporti dell'arma dei carabinieri, dei rapporti della pubblica sicurezza, delle informazioni dei sindaci e della Procura, ecc. Si facevano così delle buone liste di giurati, e quando finalmente si arrivava al pubblico giudizio si faceva lo scarto dei giurati, che dava la possibilità di eliminare i meno idonei.

È avvenuto, onorevoli colleghi, che in questa Aula è stato facile ricordare gli errori della giuria, ma pochi hanno ricordato che anche la Magistratura, composta di uomini, è incorsa ed incorre in errori spiegabili.

Ma forse sarà utile riproporre in questa Assemblea una proposta, che anche con l'intervento del collega onorevole Cevolotto è stata approvata al Congresso forense di Firenze, una proposta la quale, pur affermando il principio della giuria, rimandi alla legge ordinaria quello di esaminare come, quando e perché, e su quali reati abbia la sua competenza.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti