[Il 12 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Caccuri. [...] L'unicità di giurisdizione, oltre che garanzia di libertà democratica, è strettamente connessa, a mio parere, con l'autonomia del potere giudiziario, poiché è ovvio che tale posizione di autonomia è indubbiamente scossa se si ammette che un altro potere, l'esecutivo o il legislativo, possa sottrarre ad esso una serie di rapporti istituzionalmente appartenenti alla Magistratura ordinaria. Creare giurisdizioni speciali, infatti, significa limitare il potere giudiziario, significa comprimere la sua autonomia, significa infirmare il concetto essenzialmente unitario della potestà sovrana di amministrare giustizia, poiché se fosse in linea di principio consentito al Governo o alle Camere di creare, senza limiti, organi speciali di giurisdizione, potrebbe ben essere sottratta alla Magistratura anche tutta o buona parte della materia ad essa demandata, svuotando così praticamente di contenuto la funzione del potere giudiziario e togliendo per conseguenza ai cittadini la garanzia di tutela dei loro diritti.

Né vanno taciuti i gravi inconvenienti che la molteplicità delle giurisdizioni porta con sé, inconvenienti che infirmano la certezza stessa del diritto, tanto necessaria alla pace sociale; inconvenienti che vanno dai conflitti di competenza alla contraddittorietà delle decisioni, all'incertezza in ordine al giudice stesso da adire, giacché è noto che col frazionamento del potere giudiziario riesce talvolta difficile agli stessi tecnici determinare con precisione la sfera di competenza degli organi speciali. Ma, è stato osservato che il giudice togato non ha la capacità per decidere su certe materie; e peraltro le giurisdizioni speciali, si è detto, sono legittimate dalla necessità di sottrarre determinati rapporti ai rigori del diritto codificato, ai quali i giudici ordinari sono naturalmente fedeli, per affidarli al giudizio di tecnici più aderenti ad eccezionali e a nuove esigenze sociali.

A dimostrare infondata la prima asserzione non c'è in verità da spendere parole, tanto evidente appare la capacità del magistrato ad acquistare, più di un qualsiasi altro cittadino che non ha né la sua esperienza, né la sua cultura, né il suo abito giuridico, la necessaria specializzazione anche in materie diverse da quelle comuni.

In ordine alla necessità, poi, di rendere flessibile l'attività giurisdizionale, va rilevato che ciò significherebbe snaturare il concetto stesso di giustizia, significherebbe volere una prestazione di giustizia pieghevole ai criteri della politica contingente, significherebbe pretendere di sostituire alla volontà normativa una arbitraria e soggettiva valutazione. Giustizia, onorevoli colleghi, vuol dire certezza giuridica, vuol dire unità e uniformità di applicazione delle leggi vigenti, in base al principio dell'uguaglianza dei cittadini rispetto ad esse. Se nuove esigenze sociali impongono la creazione di nuove norme, si provveda pure a crearle ed il giudice, siatene certi, le applicherà fedelmente, poiché egli, fedele alle leggi, non si presta all'arbitrio, ma non vuole affatto rimanere custode di un diritto allontanatosi dalla vita. L'indole di alcuni rapporti o di determinati gruppi di controversie può pur far apparire idoneo il contributo di elementi tecnici, e questi elementi, purché in numero modesto (dico modesto per evitare che attraverso l'immissione di una troppo larga massa di estranei al potere giudiziario si possa ugualmente esautorare il principio dell'unicità di giurisdizione) possono ben essere utilizzati nei collegi giudicanti; ma io penso che tale esigenza non deve essere sopravvalutata al punto da ritenere indispensabile la creazione di organi speciali invece che di sezioni specializzate degli organi ordinari.

E se è vero che alcune categorie di giudizi debbono essere sottratte a procedure lunghe e formalistiche, io ritengo che a tale necessità si potrà ovviare con l'istituzione di norme procedurali più rapide, e non con le giurisdizioni speciali, che sono sempre perniciose per la unità del diritto e per la garanzia dei cittadini. Come invece è stato realizzato nel progetto di Costituzione il principio della unità della giurisdizione? Il progetto innanzi tutto limita la competenza del potere giudiziario soltanto all'attività giurisdizionale civile e penale, esclusa quindi quella amministrativa. Ma, anche in relazione a tale limitata attività, non viene affatto sancita l'espressa abolizione dei giudici speciali attualmente esistenti e se ne prescrive invece nelle disposizioni transitorie la revisione entro cinque anni; il che importa per implicito la possibilità, almeno per quanto riguarda le giurisdizioni civili, di conferma da parte del potere legislativo con le modalità di cui all'articolo 95, quinto comma. E quando, poi, si tiene presente che con le stesse modalità, con la maggioranza cioè assoluta delle Camere possono essere creati ad libitum nuovi giudici speciali, si comprende di leggieri quanto infirmato sia rimasto nel progetto il principio dell'unità della giurisdizione, tanto necessaria per l'effettiva tutela, come ho già detto, dei diritti dei cittadini.

Ed al riguardo degli organi speciali e della partecipazione del popolo all'attività giurisdizionale, mi corre qui l'obbligo di rilevare l'inopportunità di sancire con una norma costituzionale l'istituto della giuria nel procedimento di Corte d'assise, come è stato stabilito nell'articolo 96 del progetto.

Non starò qui ad esporre nei dettagli i numerosi difetti dell'istituto della giuria, che lo stesso Carrara accusò del vizio radicale di sostituire l'urna della giustizia: quei difetti che al Carmignani, quando fu istituito il giurì in Italia, fecero lasciare la toga in segno di protesta e fecero dire al Manzini essere la predetta istituzione il più radicale e rancido residuo delle idee, o filosoficamente ingenue, o settariamente demagogiche, della Rivoluzione francese e che l'esperienza ha condannato coprendolo di ridicolo.

Non starò, dicevo, ad esporre i numerosi difetti. Accennerò ai principali e più gravi, che riguardano i requisiti dei giudici, la natura della decisione che ne promana, e soprattutto la mancanza di ogni saldezza alla pietra angolare sulla quale dovrebbe poggiare l'edificio della giuria, cioè la pretesa netta separazione, nella materia del giudizio, tra il fatto ed il diritto.

Che non sia possibile in verità separare il fatto dal diritto è ormai quasi concordemente affermato dalla migliore dottrina, poiché in effetti una cognizione del fatto, separata dalla statuizione del diritto, disconosce quella intima connessione tra il giudizio storico ed il giudizio critico che è propria di ogni giudizio giuridico.

L'inseparabilità venne riconosciuta anche dallo stesso Casorati, che fu l'autore principale della legge del 1874, e che non potette non ammettere che, eliminato pure il nomen juris nelle questioni sottoposte ai giurati e tolta qualsiasi denominazione giuridica, non rimaneva meno insoluto il quesito della separazione del giudizio di demarcazione fra il fatto e il diritto.

Ma la dimostrazione più convincente si trova nelle parole di un insigne docente e magistrato, il professor Del Giudice, il quale rilevava che il giudizio dei giurati implica in ogni caso l'applicazione di una nozione giuridica astratta, il reato e le sue conseguenze, al fatto concreto, e che, soprattutto, la inseparabilità fra l'accertamento del fatto e la indagine del diritto è nel giudizio che deve promanare dai giurati sulla colpevolezza.

Il giurì non si limita, infatti, a giudicare se un fatto sia avvenuto o se l'abbia commesso l'imputato; ma giudica pure se l'imputato sia colpevole; e, ai sensi di legge, colpevole vuol dire imputabile e responsabile. Ora, come può affermarsi che il concetto di colpevolezza, il quale implica le nozioni giuridiche d'imputabilità e responsabilità, sia un elemento di puro fatto?

L'impossibilità di distinzione, poi, appare più chiara se si tengono presenti le disposizioni del nuovo Codice in ordine alle cause che escludono o che attenuano la imputabilità o la responsabilità, alle circostanze che aggravano o attenuano il reato, alle indagini sulla personalità del delinquente, sia per le pene, che per le misure di sicurezza, rispetto alle quali sarebbe assurdo ogni riferimento al puro fatto materiale.

Non è possibile adunque, dicevo, dividere il fatto dal diritto; ma anche se lo fosse, il solo buonsenso non basterebbe, come è stato sostenuto, a ben giudicare del fatto, giacché occorrerebbe un'opera critica a cui il giurato in genere non è adatto. Il giudice deve raggiungere e cogliere la verità nella realtà del fatto materiale mediante i mezzi di prova; al giurato manca invece ordinariamente il requisito primo ed elementare per penetrare la realtà, l'attenzione, nel cui cerchio deve il mondo esteriore essere compreso per entrare nella vita dello spirito. L'incompetente, dopo le prime vivaci impressioni, subito si stanca, non riesce a seguire con le debite cure lo svolgimento e le risultanze del dibattimento e giunge alla decisione con la mente annebbiata e confusa. È fuori dubbio, inoltre, che la valutazione delle prove è il risultato di una tecnica particolare che il giudice acquista solo dopo un lungo periodo di esercizio professionale; e qualsiasi trattato di psicologia giudiziaria dimostra che non basta l'intelligenza naturale, non esercitata, per valutare i risultati di un mezzo probatorio. Ma il giurato, oltre ad essere un giudice genericamente incapace ed il meno adatto a resistere alle pressioni che vengono dall'esterno, è specificamente incompetente, poiché per lo più in lui manca anche la minima conoscenza del diritto penale e delle scienze complementari, cui si deve pur far ricorso per poter dare un consapevole giudizio.

Né è vero, come qualcuno ha sostenuto, che il giurato rappresenti la coscienza del Paese. Questa, in realtà, abbraccia due momenti: l'uno dei quali è la coscienza comune, l'altro è la coscienza riflessiva (come dice il Carrara) guidata dall'arte critica.

La vera coscienza del Paese è l'unità di questi momenti, ed il verdetto, per esserne l'esatta emanazione, non può prescindere dalla parte critico-riflessiva.

Ora, se ciò era vero anche quando lo scriveva Pessina, lo è maggiormente oggi che il processo tende a divenire sempre più tecnico ed è in vigore un sistema penale che dà maggiore importanza alle condizioni personali del delinquente e che quindi richiede nel giudice una maggiore somma di cognizioni tecniche e giuridiche. Anzi, ciò renderebbe necessario che insieme ai giudici togati prendessero parte, in certi casi, all'emanazione della sentenza unica persone provviste di cognizioni scientifiche speciali, che sostituissero i consulenti tecnici, presso a poco come avviene nella Corte di appello inglese, che ha facoltà di aggregare a sé come assessori delle persone tecniche.

Mancano d'altra parte le giustificazioni politiche che potrebbero legittimare il ripristino della giuria. È risaputo invero che le ragioni dell'origine delle giurie nei diversi paesi e nei diversi momenti storici possono ricercarsi nella necessità di garantire la libertà individuale contro il prepotere regio, la ragione, cioè, unica, era quella di rappresentare una guarentigia dell'individuo contro il potere assorbente dello Stato.

È chiaro invece che per noi questa contrapposizione tra giudizio popolare e giudizio di magistrati non ha ragione di essere. Del resto, nella stessa Inghilterra, ove la giuria era sorta contro la tirannia del regime feudale, l'istituto cede sempre più terreno e da vari anni il giurì inglese, nel porre termine ai propri lavori, spesso formula finanche un voto per la propria abolizione. Taluni provvedimenti legislativi hanno poi intaccato l'essenza dell'istituzione e si hanno sintomi di una non lontana estinzione.

Col Criminal appeal act del 1907 infatti si ammise l'appello contro la sentenza di Corte di assise e si conferì alla Corte di appello stessa una funzione che in parte corrisponde alla nostra Corte d'appello, in parte alla nostra Corte di cassazione. Può infatti ordinare la produzione di documenti, sentire testimoni, ordinare nuove prove, e l'ultimo giudizio viene affidato non più al giudice popolare, ma al magistrato.

Altre disposizioni, sia col Criminal justicial act del 1925, sia con la legge del 1° settembre 1939, riducono il numero dei giurati, facendo perdere alla giuria la sua caratteristica e la sua finalità, dimostrando sempre più che l'istituto non più soddisfa la pubblica opinione.

Sarebbe pertanto veramente strano che, mentre la giuria tende ad essere soppressa in quegli Stati che per primi l'hanno accolta, venga da noi ripristinata.

Né la legittima la concezione storico-sociale della sovranità popolare, per cui nei casi più gravi, che maggiormente turbano l'ordine pubblico e direttamente ledono gli interessi della collettività, dovrebbe essere il popolo stesso, nella persona dei giurati, per principio di democrazia, ad amministrare la giustizia; perché, invero, l'amministrazione della giustizia sia espressione di democrazia non è affatto necessario che l'esercizio delle funzioni relative sia affidato direttamente al popolo: basta che i suoi organi traggano origine, legittimità e poteri dal popolo organizzato a Stato, in conformità alla Costituzione democratica dal popolo stesso voluta e determinata. Una volta predisposti tali organi, essi nell'esplicare le rispettive funzioni attuano indubbiamente la volontà popolare.

Se, quindi, in regime di democrazia costituzionale anche i giudici togati sono organi di designazione del popolo, il problema della giuria non è un problema di democrazia, ma un problema di giustizia, cioè di idoneità all'attuazione del massimo di giustizia. Ed allora questo problema non può che essere risolto a favore dei giudici togati, perché essi amministrano la giustizia non ex occasione, senza alcuna preparazione, ma come munus publicum, di carattere continuativo e scientifico e sono quindi preparati per l'esplicazione delle mansioni loro affidate.

Criterio preferenziale questo che dovrebbe essere tenuto fermo anche se per ipotesi il problema della giuria fosse il solo idoneo ad attuare l'idea democratica, poiché, come bene è stato rilevato da un illustre magistrato (il Jannitti Piromallo), se nella disciplina del processo penale e, del resto, di ogni altro processo, la determinazione dell'organo decidente dovesse dipendere dalla scelta fra la giustizia e la democrazia, questa dovrebbe essere sacrificata a quella e non viceversa.

Alcuni hanno osservato che attraverso la giuria si può portare nel giudizio il senso dell'equità e si può quindi assicurare una migliore giustizia nel caso concreto. Sennonché va rilevato innanzi tutto che introdurre indirettamente, attraverso la giuria, nel giudizio penale l'equità (la quale come fonte autonoma di norma non ha una sfera di applicazione nel campo penalistico) sarebbe contrario alle leggi, perché verrebbe meno la certezza del diritto, se si consentisse al giudice, e fra l'altro al giudice meno preparato, di ribellarsi alla norma codificata.

Ma se si potesse ammettere un correttivo alla legge mediante l'equità, indubbiamente le migliori garenzie per la determinazione della norma equa non potrebbe che offrirle il giudice togato.

In materia amministrativa il progetto, in contrasto con l'aspirazione dei più insigni giuristi italiani, consacra nella Costituzione una giurisdizione speciale che ha per propri organi non solo il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, ma tutti gli altri giudici speciali esistenti e quanti altri il potere legislativo e quello esecutivo per delega volessero creare.

Tale sistema, a parte gli inconvenienti pratici che verrebbe a perpetuare sulla incertezza del diritto, sulla competenza del giudice e sulla imparzialità dei giudici, è in contrasto col concetto stesso di democrazia, secondo cui la legge dev'essere posta nell'interesse generale ed ogni giudizio di legittimità non può che spettare agli organi del potere giudiziario naturalmente preposto all'applicazione della legge in ogni caso di controversia.

[...]

Tuttavia, però, se per ragioni ambientali o per particolari esigenze di politica legislativa si volesse conservare la giurisdizione speciale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti (in ogni caso dovrebbe rigorosamente stabilirsi il divieto di creare nuove giurisdizioni speciali e trasformare quelle esistenti in sezioni specializzate della giurisdizione ordinaria), tuttavia, dicevo, se per particolari ragioni si vuol conservare la giurisdizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, è necessario che la materia propria di tali organi costituzionali sia limitata alla tutela degli interessi legittimi. Esclusa perciò la competenza esclusiva e restituite alla giurisdizione ordinaria le controversie di puro diritto oggi attribuite al Consiglio di Stato, va mantenuta integra la distinzione fra giurisdizione di interessi e giurisdizione di diritti, lasciando la prima agli organi giurisdizionali amministrativi e l'altra ai giudici ordinari.

[...]

Candela. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! arrivo quasi mortificato al punto della discussione, perché l'ambiente è saturo per quanto dottamente si è detto sul Titolo IV. E credo che sostanzialmente siamo tutti concordi, per assicurare alla Magistratura una piena indipendenza, perché tutti qui operiamo ed agiamo nella maggiore lealtà, per creare degli organismi veramente democratici che assicurino, per un lungo periodo, la vita futura del Paese.

La democrazia ha per fondamento la giustizia. Quindi, l'indipendenza e l'autonomia dei Magistrati, che della giustizia devono essere i sacerdoti, costituisce veramente la base di questo fattore democratico. Il progetto, ispirandosi a questi criteri, traduce nei pochi articoli quanto è stato il risultato di uno studio veramente laborioso ed accurato della Commissione dei Settantacinque. All'Assemblea i dissensi si sono manifestati principalmente sull'articolo 96: «Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia mediante l'istituto della giuria nei processi di Corte d'assise,», perché nel problema non si è voluto distinguere, e si è dato da taluni la prevalenza al fattore politico anziché al fattore tecnico-giuridico. Si pensa che non vi è democrazia, e che non vi può essere democrazia, senza l'istituto della giuria, che, per la verità, in Italia è stata affermazione delle forme liberali nel pericolo della libertà. Ma il tempo procede ed anche il diritto e la procedura sono soggetti alla legge del tempo ed alla evoluzione. Quello che interessa garantire è il diritto del cittadino in rapporto alla società, ed il diritto della società perché il reo non vada impunito, ma soprattutto perché l'innocente non sia condannato. Noi, contrari al ritorno dell'istituto della giuria popolare, sosteniamo che il problema non dev'essere considerato dal lato politico, ma nella sua entità tecnica, quale più rispondente all'interesse sociale e all'interesse del privato.

Posto il problema in questi termini, ritengo che non vi possa essere dubbio per la risoluzione da noi indicata: la forma collegiale del giudizio con sentenza motivata e con appello che ne permetta il riesame di merito.

E poiché gli argomenti hanno una ineluttabile forza, è da pensare che i sostenitori della giuria vogliono che nella valutazione di taluni reati il giudice abbia il potere di superare la legge; in quei casi nei quali opinano che la coscienza popolare ritiene di procedere ad una assoluzione o ad una indulgenza che non potrebbe mai venire da un giudice togato o popolare obbligato a motivare la sentenza.

Il giudice, con la motivazione, ha il dovere di specificare e di documentare le ragioni del suo convincimento, cosicché questa rappresenta una indagine delle prove e deve essere espressa in maniera tale da rendere alla pubblica coscienza la serenità che giustizia si è fatta.

Le disposizioni del Codice di rito fulminano di nullità le sentenze insufficientemente motivate. Allo stato attuale, malgrado le molte doglianze sull'assessorato, vi è una maggiore garanzia. Le motivazioni insufficienti spesso hanno messo il giudice supremo nelle condizioni di annullare quelle sentenze e si è ripetuto il giudizio. Spessissimo questo è avvenuto con un solo motivo di contraddittorietà della sentenza, il che dimostra che per garantire la libertà del singolo è necessario che il giudice dia conto del suo convincimento con la motivazione serena e precisa di tutte le risultanze processuali.

È comunemente avvertita, da coloro che si occupano di materia penale, la necessità che il giudice in materia penale debba essere un giudice specializzato. La legge dà al giudice l'attributo di perito dei periti. E l'avvocato onorevole Veroni parlava stamane delle perizie di Leonardo Bianchi e di altri illustri che venivano portate al vaglio dei giurati, per sussidiare con la parola della scienza e della tecnica le insufficienze dei giudici popolari e metterli sulla via della retta decisione.

Non rilevava l'inconveniente che il fornire ad incompetenti e ad ignoranti perizie discordanti, significa abbuiare ancora di più la loro coscienza, perché l'ignorante non è in condizione di valutare perizie complesse e non potrà mai decidere con cognizione. Lo stesso giudice togato, che spesso non è all'altezza di quei tali dotti che forniscono le perizie, ma non è almeno in condizione di non capirle e non può sottrarsi al dovere imprescindibile di occuparsene nella motivazione, ha il dovere di dire perché accoglie una tesi e respinge un'altra tesi. La motivazione costituisce così in ogni caso una estrema garanzia di libertà del cittadino e deve essere tale per volontà della legge che non lasci dubbi di sorta.

Mancini. Si combattono le perizie psichiatriche con l'interrogatorio dell'imputato.

Candela. Faccio l'avvocato da trenta anni in Corte di assise, e di queste assurdità non ne ho mai trovate, perché l'interrogatorio è un atto necessario, ma non è l'elemento solo che può bastare per un giudizio. S'intende che i nostri obiettivi e il nostro interesse professionale possono essere in urto con la decisione del magistrato, ma questo non conta. E la dimostrazione ampia e completa viene dal fatto che la maggior parte degli avvocati e degli studiosi sono contro il ripristino della giuria. Rinunziamo ad una facile gloria, ma serviamo il paese. Era facile ottenere dei verdetti nei quali, affermandosi il fatto, si negava la intenzionalità (Interruzione dell'onorevole Mancini). Questo offende non solo la coscienza giuridica, ma soprattutto la coscienza morale. Ed io vi dico che non più tardi di ieri ho discusso un processo a Messina per rinvio della Cassazione di un processo fatto a Palmi — perché nella motivazione non si era tenuto conto del parere del consulente tecnico...

Mancini. Che c'entra questo con la giuria?

Una voce al centro. Se lo scabinato sbaglia, la giuria sbaglia di più.

Candela. Comprendo come l'onorevole Mancini possa essere attaccato alla vecchia tradizione, che risponde del resto veramente ai principî sacri della libertà...

Una voce a sinistra. E allora?

Candela. Allora che cosa? volete confondere una questione politica con una questione tecnico-giuridica? Questo è l'errore vostro! (Commenti). Intanto l'annullamento per difetto di motivazione ha avuto come conseguenza la ripetizione del dibattimento nel caso che ho riferito. Ma quando il giurato ha una licenza modesta, un titolo modesto di cultura, o non ha cultura affatto, perché basta l'iscrizione nelle liste elettorali per far parte della giuria, mi dite come fa il giurato ad intervenire in una questione che non sia meramente di fatto? E questioni di fatto pure e semplici non esistono: il rapporto di causalità, che sembrerebbe il più semplice, involge tante questioni giuridiche; come lo risolve? Lo risolvi tu, vecchio ed accorto avvocato; ma non può risolverlo quel pover'uomo, che è messo di fronte ad un problema di carattere tecnico che non è in condizioni di affrontare. Il giurato assolve il suo compito e lo assolve istintivamente; risponde sì o no secondo la sua convinzione, che viene più dalle forme esteriori e suggestive anziché da quelle profonde e vere che nascono dalla conoscenza del processo e dallo studio paziente ed elaborato.

Questo ci insegna la pratica professionale. Sono intervenuto in una discussione già satura, direi, perché ho inteso gli argomenti addotti dall'onorevole Veroni questa mattina, il quale si è espresso molto garbatamente; non così audacemente come il mio interruttore, a favore della giuria. È noto agli studiosi, noi avvocati conosciamo quello che fu il conflitto tra la scuola classica e la scuola positiva. Attorno alla scuola positiva fiorì un seguito di studi di un tecnicismo speciale, che sta a provare sempre di più che il criminale spesso è un ammalato, un individuo che delinque in condizioni patologiche; il delitto è, spesso, patologia.

Ora, tutto questo va inteso e va capito da chi ha studiato seriamente; non può essere inteso dal profano, che del fatto brutale non coglie che l'attimo che lascia la conseguenza, ma non le cause intime e profonde.

Quanto ha pesato il fatale nell'atto dell'uomo che ha commesso un delitto? Tutto questo dico nell'interesse dell'imputato, di colui che dovrà essere giudicato, nell'interesse del cittadino, perché l'errore non si commetta, perché l'ammalato sia mandato al luogo di cura e il reo paghi le conseguenze.

È un complesso di cultura e di cognizioni specifiche che si domandano al giudice penale, per cui noi insistiamo per avere il giudice penale specializzato, questo giudice penale specializzato che dovrà avere conoscenza profonda soprattutto in medicina legale, perché è inammissibile una situazione come quella attuale in cui l'esame di medicina legale non è neanche obbligatorio per i laureandi in legge. Questa è la triste verità! Quindi, conoscenza di tossicologia, di traumatologia e di tutto quello che può avere una sua importanza, che pesa, col valore del tecnicismo, e non dell'empirismo. Si potrà risolvere il problema nella maniera che si crede, anche non affidandolo ai magistrati; ma evidentemente il collegio che deve giudicare il suo simile dovrà pur dire le ragioni per cui ha condannato un uomo radiandolo dalla vita materiale e morale della società.

Potrà essere il rimedio quello del magistrato togato? Io ho ritenuto e pensato sempre che tutti i giudizi devono esser fatti dal magistrato ordinario. Non vi è ragione alcuna di distinzioni. Ma questa distinzione è fatta per l'affermazione di un principio che è al di fuori dell'interesse sociale e dell'interesse dell'individuo? Non lo comprendo!

Se si vuole affermare il principio che il popolo, attraverso i suoi delegati, deve fare la legge, e che deve anche direttamente amministrare la giustizia, e allora è bene che tutti i processi siano di cognizione del popolo. Non vi è ragione di fare distinzione e di creare i privilegiati del delitto.

E, guardando ai tempi in cui viviamo, questo non è il momento per mostrare larghezze o benevole compiacenze; nella valutazione delle prove, occorrono severità, coscienza, competenza. Questo è il momento in cui la criminalità è al suo parossismo! Basta guardare le statistiche: alla Procura della Repubblica di Messina vi sono migliaia e migliaia di processi pendenti. E la provincia di Messina è quella che dà minore contributo alla criminalità; fate indagini attraverso le varie Procure della Repubblica e troverete che la situazione è veramente dolorosa.

Si dovrebbe tornare alla giuria, soltanto per seguire una ideologia, per fare una affermazione politica astratta, che in concreto si risolve in vantaggio per i criminali. E quali? I peggiori, i più pericolosi per l'ordine sociale, i rapinatori, gli sgozzatori, l'uomo del chilometro 47. Sono essi che devono beneficiare della giuria popolare? E allora, tutti i reati vadano alla cognizione del giudice popolare! E contro la giuria furono Francesco Carrara ed Enrico Ferri. Vi indico gli antesignani di due scuole diverse. Il Codice attuale deve essere applicato dal giudice tecnico; sulle aggravanti e diminuenti, quante questioni sorgono di prevalenza, di equivalenza, di coesistenza che non possono essere decise dal giudice che non è tecnicamente preparato. E così per la premeditazione, provocazione e tante altre questioni che sono proprie dei giudizi di assise.

Ma il Codice dovrà essere riformato, indiscutibilmente, e quello che spaventa taluni è la entità e la gravità della pena; è valido motivo di preoccupazione. D'accordo; il magistrato, che in questo senso è conservatore perché applica la legge ed è un esecutore della legge qualunque sia il regime che serve, non può andare al di là dei limiti di pena stabiliti dal Codice. Ma queste modifiche si possono e devono fare anche con carattere di urgenza perché, per esempio, è assurdo che per il vizio di mente, che scema grandemente l'imputabilità, la diminuzione sia solo del terzo. È necessario tornare alla vecchia distinzione tra provocazione lieve e provocazione grave. La concausa, la preterintenzione nelle lesioni e così via. Restituzione per molti capi al Codice Zanardelli. Quindi la colpa non è del collegio giudicante, in rapporto alle asprezze delle pene, ma del Codice che deve essere applicato: dategli una legge buona e il magistrato farà buona giustizia. Il magistrato non vive avulso dalla società, ma vive in mezzo alla società e di questa società sente i bisogni e le sofferenze. Egli ha la sua famiglia che gli riporta l'eco della grande famiglia della città e dell'ambiente in cui vive e si muove, è un uomo con i suoi palpiti i suoi dolori e le sue gioie, non può essere sordo ed estraneo alla vita sociale.

Non vi è preoccupazione per la mentalità formata o deformata, come taluni hanno mostrato di temere, per il cosiddetto abito professionale che rende sordo il magistrato alle voci della vita, perché è assurdo pensare che il lavoro intellettuale abbrutisca cervelli ed anime, perché se noi questo dovessimo temere dovremmo abolire il magistrato di carriera. È la buona legge, che il giudice deve avere, perché quando il giudice avrà la legge umana avremo le sentenze consone al sentimento popolare. Quindi penso che reati comuni che possano preoccupare il popolo, preoccupare la Nazione, perché per la loro entità sono demandati al magistrato, assolutamente non ve ne sono, anzi interesse sociale è che i reati più gravi siano giudicati dai giudici tecnici. E il tribunale potrà avere una formazione speciale, potrà avere quella formazione paritetica che nella parità dei voti si risolveva in favore dell'imputato. Ma non trovate immorale ed illogico che mentre per una semplice lesione vi sono due giudizi, due esami di merito, per un delitto che importa l'ergastolo vi debba essere un solo esame di merito con un verdetto che non lascia tracce perché anche le schede, che dicono poco, andavano bruciate? Questo è il paradosso della situazione. Con i due giudizi di merito evitate l'errore giudiziario o per lo meno lo ridurrete al minimo, perché quando voi ammettete, come diceva l'onorevole Veroni, che i magistrati sbagliano anche loro, è vero, dite una grande verità. Per questo c'è il secondo grado di giudizio. Anche i magistrati sbagliano, perché sono uomini e non sono infallibili ma certamente sbagliano di meno.

Una voce a sinistra. Sbagliano due volte.

Candela. Ma quando si fa il secondo tentativo può darsi che non sbaglino e se sbagliano due volte c'è ancora la Corte di cassazione. E sulla scorta di quei motivi che sono stati dedotti in primo grado e secondo grado si va al terzo grado, per ricorso. In sostanza vi sono tutti quegli accorgimenti per cui il cittadino deve sentirsi garantito. L'infallibilità è di Dio e non dell'uomo. Penso pertanto, che si possa arrivare alla soppressione dell'articolo 96 senza peraltro che questa soppressione pregiudichi la questione in avvenire. Se vi opponete a quella che è la sentenza del solo magistrato perché pensate che il magistrato si sia incallito nel mestiere e possa non essere un giudice sereno, si potrà trovare in avvenire altra soluzione, ma è certo che il magistrato è il più lontano dalle pressioni, dalle sollecitazioni del Paese, del momento, dagli stimoli e passioni delle parti. Se questo uomo che volete porre al di fuori della politica, nel più alto grado della gerarchia e dell'impiego, col progetto in esame, se questo magistrato che in Inghilterra ha tanta autorità da potere umiliare anche il Sovrano e in quel Paese dove le leggi scritte sono poche, la tradizione è tale e il costume è tale per cui tutte le evoluzioni sociali e civili sono possibili, lo rifiutate per i giudizi più gravi che richiedono maggiore ponderazione create una penosa contraddizione; in Inghilterra l'evoluzione sociale avviene senza scosse perché vi è profondo il sentimento della giustizia, il rispetto per il giudice, per coloro che amministrano la giustizia con pieno concorso di tutte le parti del Paese. E quando la democrazia italiana avrà raggiunto questo grado di civiltà, sarà veramente una democrazia perenne che non potrà fallire, perché il fondamento di tutti gli Stati civili e della vera democrazia è la giustizia. Non vado oltre, e per gli emendamenti concordo con quanto ha detto nobilmente l'onorevole Sardiello e mi associo a lui. (Applausi Congratulazioni).

[...]

Scalfaro. [...] Ritengo inoltre che questa indipendenza debba essere rafforzata, togliendo quel secondo capoverso dell'articolo 95: «presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi per determinate materie sezioni specializzate con la partecipazione anche di cittadini esperti, secondo le norme sull'ordinamento giudiziario». Onorevoli colleghi, ci sono vari sistemi per poter, ad un certo momento, legare l'attività di giustizia della Magistratura e se vi può essere l'inframmettenza del potere esecutivo o del potere legislativo, vi può anche essere il sistema di sottrarre continuamente della materia al giudizio del giudice togato. Basterebbe vedere come sono sorti i vari tribunali speciali per questa loro speciale competenza, fino all'ultima sottospecie di tribunale, quello annonario, che non era composto da tre magistrati, ma da due magistrati e da un tecnico, il quale, sì, avrebbe potuto giungere a portare il suo contributo oggettivo di esperto e di scientifico, vale a dire il suo specifico contributo di tecnico, ma non avrebbe mai dovuto diventare giudice, rimanendo solo consulente, solo perito. Si mantenga l'esperto nella sua vera veste e si lasci che il magistrato possa continuare a fare il magistrato.

[...]

Ed una parola mi sia consentita sulla giuria. Non potrei certo mettermi in lizza con avvocati che hanno decenni di esperienza. Non posso, quindi, e non avrei titoli particolari per presentarmi a dire che io non sono favorevole alla Giuria. Ma vi è il più vasto problema, della partecipazione di estranei, di laici, al giudizio. Ho fatto un anno e mezzo il pubblico ministero in quelle Corti d'assise speciali dove ho visto troppo sovente i giudici popolari prevenuti, non sereni. È vero che erano delle Corti del tutto speciali, ma è anche vero che la pressione, la lotta politica, l'incapacità al giudizio, i commenti esterni di giornali o d'interessati, turbano la coscienza del cittadino chiamato a giudicare.

Io non sono d'altra parte d'accordo con quanto ebbe a dire stamane l'onorevole Veroni dicendo che vi è un nesso, una concatenazione fra quella che può essere la vita democratica di un popolo e l'esistenza della giuria. Forse storicamente questo potrà ancora trovare elemento di prova, ma nego che nella sostanza si possa parlare di rapporto, di causa ad effetto.

Credo che il problema debba essere studiato come la maggioranza mi pare abbia detto finora, e cioè al di fuori di qualsiasi osservazione che possa, comunque, lasciar pensare a politica contingente. Uno solo è il quesito: per quale via si raggiunge meglio il fine della ricerca della verità che è la base essenziale per fare giustizia. Comunque, io sono contrario in particolare a chi ha detto che se la giuria dovrà esser esclusa, quanto meno essa deve vivere per i reati politici. Mi pare che se vi sia un caso nel quale debba essere esclusa sia proprio questo. E mi si lasci elevare una protesta, in questo momento, di fronte a quell'opinione pubblica che va presentando il reato politico come ammantato di qualcosa che lo renda meno criminoso di un altro reato. Lo è più gravemente, più profondamente criminoso che non qualsiasi altro reato, e lo è tanto, per cui è giusto che la società si difenda, decisamente, seriamente attraverso l'opera oggettiva, serena, vigile, del giudice togato, ma non attraverso un giudizio politico che presuppone logicamente una valutazione politica del fatto. No, signori, è un reato, è uno dei peggiori reati, e guai alla coscienza di quel popolo che si ostini a valutarlo diversamente. E qui sorgerebbe un problema agganciato a quello dell'iscrizione ai partiti. Perché mai si dovrebbe chiedere che il Magistrato togato non si iscriva a nessun partito ed il cittadino chiamato a far parte della Giuria, il cittadino giudice non debba avere questa limitazione? E lascio l'interrogativo.

Ma, consentitemi che soprattutto, io difenda i magistrati da un'accusa e da una critica sorta da varie parti di quest'Aula: si è detto che la giuria sia indispensabile (e su questo punto concludo perché il problema sia rinviato in sede di legislazione) perché il Magistrato è formalista, è freddo, mentre la Giuria porta certo un coefficiente di umanità.

Consentitemi, onorevoli colleghi, di ribellarmi a questa gelida visione dell'animo del giudice; lasciate che io vi dica che sotto questa povera toga c'è sempre un cuore che soffre, una coscienza che sente il dolore, le trepidazioni, gli affanni, i dubbi, le amarezze, le incertezze, vi è un'anima che intende la sofferenza dell'uomo. Ma questo senso umano è particolarmente cosciente ed è umanità che viene integrata anche da una sapienza di studio giuridico che la rende non emotiva o passionale, ma intelligente, motivata, serena.

[...]

Gullo Fausto. [...] Forse questa stessa preconcetta ostilità alla elezione del giudice non è estranea alla manifestata ostilità alla ricostituzione della giuria popolare nei giudizi di Corte di assise. Non l'ho sentito ieri, ma mi è stato riferito, che il mio amico Veroni ha detto una cosa saggia, quando ha ricordato che ogni eclissi nella libertà e nella democrazia ha senz'altro avuto come compagna una eclissi nella istituzione della giuria. È scomparsa la libertà, scompare la giuria; la libertà è risorta, risorge anche la giuria.

Non si può restare estranei e insensibili a questa esperienza storica. Ma io voglio, oltre che fare ricorso a questo motivo, che ha pure la sua grande importanza, affrontare brevemente, il problema anche nella sua sostanza. Non è inopportuno ricordare in questo momento ciò che Finocchiaro Aprile, il presentatore del Codice di procedura penale del 1913, scrive nella sua lunga e pregevolissima relazione al progetto del 1905, che poi fu il Codice del 1913, sostenendo la necessità di mantenere in vita la giuria. Egli parla giustamente della premessa che, allora una Magistratura e una sanzione raggiungono il risultato voluto, quando si constata che i delitti colpiti con quella sanzione e da quella Magistratura sono in diminuzione.

Ebbene, Finocchiaro Aprile poteva constatare che, mentre i processi di Corte di assise erano in costante diminuzione, i processi di competenza dei Tribunali erano in continuo aumento.

È un argomento di fronte al quale non si può restare insensibili, perché, o si deve negare l'efficacia della pena, ed allora quegli errori giudiziari, di cui tanto si parla, perdono molto del loro contenuto e del loro significato, oppure si afferma la necessità della pena, ed allora non si può prescindere da questo fatto statisticamente accertato.

È poi anche da considerare che l'errore del giudice popolare ha una risonanza, si capisce, molto maggiore. Domani, per esempio, si griderà senz'altro all'errore giudiziario da parte di coloro che vorrebbero condannato il Graziosi, se questi verrà assolto, e viceversa, se verrà condannato, grideranno all'errore coloro che lo vorrebbero assolto. Il processo Graziosi ha occupato non so più quanti mesi, ed è diventato un avvenimento nazionale. Ma che volete che si sappia, invece, delle dieci o più cause che oggi si sono dibattute in una sezione del Tribunale di Roma o di Napoli? Quanti errori giudiziari di cui non si sa nulla!

Lasciamo stare tutte le ragioni che giustificano storicamente l'istituzione della giuria, in Inghilterra prima e in Francia e nelle altre nazioni dopo. Facciamo capo soltanto alla nostra esperienza. Si obietta: il giurato è un incompetente; non può aver mai la capacità del giudice togato. Non può capir nulla della personalità dell'imputato.

Sennonché il giudice togato può pure avere avuto da natura un cuore aperto a tutte le aspirazioni, a tutte le idealità, una mente dedita agli studi, un'anima vibrante ad ogni stormire di sentimento; ma che volete? Bisogna non essere uomini per non cedere alla terribile usura del fare costantemente le stesse cose.

Il giurato è in condizioni da intendere e da ricercar meglio quali possano essere state, in determinate circostanze di tempo e di luogo, le reazioni opposte dall'imputato. Le intende meglio, perché la legge vuole che egli sia di regola un concittadino dell'imputato, che ne conosca, quando non li senta egli medesimo, gli stessi bisogni e anche gli stessi pregiudizi; perché non c'è giustizia che sia sentita dal popolo, se essa non tenga conto delle aspirazioni ed anche, perché no? dei pregiudizi del popolo. Il giudice non farà mai giustizia vera, se perde i contatti con la realtà che gli si muove intorno. Nei processi politici ed in quelli comuni di molta gravità, il giurato sente queste cose meglio che non le senta il giudice togato. Non ho letto e non ho sentito in questa Assemblea quali siano le valide ragioni che rendono sconsigliabile il ritorno ai giurati; e non ho sentito che si siano portate ragioni valide, per menomare la bontà di quelle che stanno a favore della giuria.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti