[Il 14 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Cassiani. [...] Ma, arrivati a questo punto, però, reclamiamo che la Magistratura non diventi una casta chiusa e privilegiata, inibendo il libero gioco delle forze sociali e rompendo quella che può chiamarsi la vita fisiologica delle pubbliche funzioni. S'invoca da taluni una modifica pericolosa — a mio modo di vedere — all'articolo 97, in quella parte dove è detto che il Consiglio Superiore della Magistratura è composto da membri eletti per metà dalla Assemblea Costituente.

Io comprendo lo spirito di certe modifiche, come quella cui ho apposto anche la mia firma, secondo la quale si vorrebbe che i membri eletti non fossero soltanto membri dell'Assemblea Nazionale, ma fossero anche rappresentanti scelti nel campo delle scienze e in quello del foro; ma non posso per nulla comprendere, ad esempio, la proposta di coloro che vorrebbero escludere l'intervento dell'Assemblea. Coloro che propongono ciò, non so come non comprendano che l'articolo 97 rappresenta l'unico legame tra Parlamento e Magistratura.

Si deve infatti all'articolo 97 se non viene meno la funzione del Parlamento nella Magistratura. Perché appunto di questo si tratta; si tratta di far venir meno totalmente la funzione del Parlamento nella Magistratura. Ma se non si potrà più dire, come si diceva un tempo, al magistrato: tu non devi aspettare e temere nulla dall'autorità politica, mentre tutto devi temere dall'ispezione parlamentare, vigile e rigorosa, avremo fatto noi opera soddisfacente?

Forse, in virtù di questa concezione, il Ministro di giustizia avrà funzioni soltanto amministrative. Noi accettiamo il principio, ma riaffermiamo quanto è detto nell'articolo 97, ad evitare — lo diciamo chiaramente — pericolosi autogoverni che sarebbero in contrasto con la vita democratica del Paese.

Né il timore che io esprimo può apparire irriverente verso la Magistratura, che ha bene meritato dal Paese, come hanno giustamente detto due magistrati che io ho avuto il piacere di ascoltare in questa Assemblea: i colleghi Scalfaro e Caccuri.

[...]

Mancini. [...] Autogoverno, autonomia, indipendenza della Magistratura.

Problema di facile risoluzione se non perdiamo di vista la realtà.

L'autogoverno è stata una proposta poco felice dell'illustre mio amico professor Calamandrei; l'autonomia è stata sorpresa sulle labbra autorevoli del Presidente della Cassazione nel discorso di immissione all'alta carica; l'indipendenza è preferita dalla Commissione. Ho notato però che queste tre parole sono state indifferentemente usate come se fossero sinonimi, espressioni reciprocabili, mentre notevole differenza passa fra l'autogoverno, l'autonomia e l'indipendenza.

L'autogoverno riguarda l'assunzione, la promozione, la disciplina e l'amministrazione delle spese occorrenti per la funzione della giustizia: autogoverno finanziario. Autonomia significa indipendenza integrale. Indipendenza vuol dire autonomia limitata. Il professor Calamandrei — autore dell'autogoverno — ha sempre avuto un debole per la Magistratura: lo ha avuto tanto che concesse al giudice istruttore civile tutti quei poteri che giunsero perfino a mortificare la libertà e la dignità del difensore. In ogni modo, pure essendo, questa spoliazione della sovranità, contrastata e decisamente respinta dalla Sottocommissione e da quella plenaria, ha prodotto dolorosamente i suoi effetti; perché, in pratica, si è giunti a concedere un vero e proprio autogoverno, del quale potrebbero dichiararsi soddisfatti quei magistrati, i quali ieri subirono, senza alcuna protesta, sovente con compiacimento, la dispotìa fascista; mentre pretendono di creare un potere a sé, libero ed indipendente da ogni legame con gli altri poteri e pronto ad interferire, con la interpretazione della legge, sulla attività della vita del Paese.

Io non voglio, onorevoli colleghi, recar dispiacere a nessuno; ma ho l'abitudine di dire sempre la verità, specialmente da questa tribuna, dove ci ha mandato il popolo, che tradiremmo se ne limitassimo la sovranità. Noi avvocati abbiamo una poco lodevole prassi: quella di scambiare le norme della tribuna parlamentare con quelle delle aule giudiziarie. Dalla sbarra giudiziaria, difatti, prolifichiamo lodi ed agitiamo turiboli verso coloro, che sovente ci ascoltano in vacanza o ci invitano scortesemente alla brevità.

Qui, ahimè! si continua nel gioco propiziatore.

Io affermo invece che la Magistratura non ha fatto nulla nel passato o nel presente per avere diritto all'autogoverno e all'autonomia integrale. (Applausi a sinistra). Non voglio ricordare i molti episodi che si riferiscono al passato regime; rammento soltanto l'episodio D'Amelio, che cedette il suo alto stallo di magistrato senza macchia a Mussolini, che si era degnato intervenire alla inaugurazione dell'anno giuridico.

Il dispotismo e l'arbitrio, che scacciavano il diritto e profanavano il più alto tempio della legge. Soltanto una coscienza non fu prona, perché quella coscienza respinse, dalla sua toga, senza macchia e senza paura, la casacca della menzogna: era il requirente, in periodo istruttorio, del processo Matteotti: Umberto Tancredi della mia terra, che non piegò mai a minacce o a lusinghe, e che la Magistratura di oggi non ha mai pensato a ricordare a suo onore ed a suo orgoglio, e che han ricordato, nella celebrazione del processo Matteotti, la famiglia del martire, per inchinarsi reverente alla sua memoria, e l'assassino di Giacomo Matteotti, che sentiva ancora nelle carni gli aculei della sua istruttoria coraggiosa.

Quanti fiumi di eloquenza sulla indipendenza della Magistratura! Un tema prediletto e spesso estraniato dal momento storico, ed in preda alla retorica più abusata.

Si poteva parlare dell'indipendenza della Magistratura, onorevoli colleghi, nei tempi infausti del fascismo, non in clima democratico, in cui il potere legislativo e il potere esecutivo non possono esercitare la loro invadenza o tirannia. Non si può parlare oggi di indipendenza, perché l'indipendenza ogni cittadino l'ha raggiunta e la difende nell'ambito geloso della sua coscienza e nell'esercizio della sua attività. La conquista della libertà porta con sé l'indipendenza del proprio giudizio. La Magistratura nella sua funzione è sovrana nella legge. Tutta la Costituente celebra la libertà e la dignità della persona umana; gli elementi preziosi della più ampia indipendenza morale. Comunque, in periodo di democrazia, come potrebbe esercitarsi una qualsiasi influenza da parte del potere esecutivo e del potere legislativo senza venir sorpresa e denunziata alla pubblica censura? Io non esagero se vi dico che pur nei tempi anteriori al fascismo nessun potere ha mai sindacato le decisioni della Magistratura, la quale ha interpretato e applicato il diritto secondo il suo pensiero e la sua coscienza.

Una sola indipendenza avrebbe dovuto essere reclamata e garantita: non quella all'esterno, ma l'indipendenza all'interno della Magistratura. Quando si è creato questo Consiglio Superiore, le cui origini sono elettive, quando non avete espresso un sistema, per cui il singolo magistrato si senta veramente dipendente solo dalla legge, in modo di evitare la gerarchia, in quanto tutti esplicano la stessa funzione e dipendono nello stesso modo dalla legge, che viene interpretata ed applicata secondo i dettami della propria intelligenza e coscienza, come si può seriamente affermare la completa indipendenza del giudice? Se il Consiglio Superiore della Magistratura rassicura la indipendenza esterna, l'ineguaglianza di grado turba, quando non lo elimina, il potere di autogovernarsi effettivamente. Inoltre, quando abbiamo fatto penetrare nell'interno della Magistratura il soffio pericoloso dell'elettorato, che naturalmente determina passioni, desideri, risentimenti, favoritismi, ditemi come può essere garantita nell'interno della Magistratura quella indipendenza assoluta che si pretende all'esterno?

Il principio della eguaglianza di tutti i giudici e del valore della carriera come esplicazione di funzioni diverse, e non come gerarchia nel senso tradizionale della parola; l'elezione del Consiglio Superiore in base ad elezione di magistrati di qualsiasi grado, avrebbero potuto raggiungere quella indipendenza così necessaria all'interno del corpo giudiziario.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti