[Il 28 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Zotta. [...] Un altro problema si è trattato. L'onorevole Dugoni diceva dianzi: ma questo è uno Stato federale.

Si è molto usata questa espressione con senso di preoccupazione e l'argomento è tratto dalla circostanza che gli articoli 109, 110, e 111 attribuiscono un potere normativo alla regione. Ora, la preoccupazione anche qui è infondata: vi è Stato federale, quando vi è sovranità interna. L'espressione più viva della sovranità è il potere di imperio, cioè la potestà legislativa. Ma qui vi è davvero potestà legislativa, cioè una autonomia legislativa, o non vi è soltanto la delega di un potere legislativo e normativo? Il parallelo con la Costituzione siciliana può rendere bene l'idea. Mi si consenta l'obiezione: lo Statuto siciliano scivola verso lo Stato federale, perché il potere legislativo è attribuito col semplice vincolo del rispetto della Costituzione; ma nel nostro progetto, il potere legislativo è sottoposto a due condizioni, una formale ed una sostanziale.

Quella formale è la subordinazione alle leggi costituzionali e all'ordinamento giuridico della Nazione, cioè alla coscienza giuridica unitaria del Paese. Quella sostanziale è la subordinazione agli interessi della Nazione e delle altre Regioni. Con questa duplice subordinazione, più che di autonomia legislativa, si deve parlare di potere legislativo delegato. Manca dunque il presupposto fondamentale perché possa configurarsi lo Stato Federale. Piuttosto gli onorevoli colleghi della Commissione mi consentano un rilievo, che ha il sapore di una modestissima collaborazione. Io vedo, solo dal lato tecnico, non per la preoccupazione di una possibilità federalista, l'opportunità della fusione dell'articolo 109 con l'articolo 110, perché mi sembra che domani il compito del legislatore, del giudice, del popolo sia molto arduo quando deve distinguere fino dove giunge il potere attribuito dall'articolo 109, che parla di potestà legislativa esclusiva, e fin dove giunge il potere attribuito dall'articolo 110, che parla di potestà legislativa concorrente. Nel medesimo ordine di idee, mentre chiamo potestà legislativa codesta, direi che quella dell'articolo 111 non è potestà legislativa, ma è potestà normativa, la quale è qualcosa di più del potere regolamentare, perché è di integrazione e di attuazione, ma non è, indubbiamente, legge. E suggerisco per evitare possibilità di discussione in tema di conflitto di potestà legislativa, la sostituzione del termine «normativo» in quello di «legislativo».

[...]

Einaudi. [...] Vi sono, nelle disposizioni del Titolo V, contrasti notabili di contenuto, per esempio fra l'articolo 109 e gli articoli 110 e 111.

Ho sentito con sorpresa criticare in quest'Aula l'articolo 109, che è quello che sancisce il principio della legislazione esclusiva della regione, come se esso distruggesse l'unità del paese. L'articolo 109 in verità non distrugge nulla. Esso è ispirato veramente ai principî della prudenza politica e dello sperimentalismo graduale. L'articolo 109 ci dice invero che la Regione potrà legiferare, e legiferare in modo esclusivo ed autonomo, in modo primario, come anche è stato detto, sui seguenti argomenti: «ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali». E su che cosa altro potrebbe legiferare una Regione, se non sull'ordinamento dei propri uffici? Dovremmo forse ripetere l'ordinamento di essi da qualche autorità centrale? Distruggeremmo per tal modo qualsiasi concetto di governo locale e di autonomia. «Modificazioni delle circoscrizioni comunali». E chi è miglior giudice di colui che vive sul luogo di come la regione deve essere costruita nelle sue circoscrizioni locali? Forse è miglior giudice un impiegato del Ministero dell'interno, il quale deve dare la sua sentenza su carte che gli sono inviate dal luogo, senza avere nessuna conoscenza visiva di quelle che sono le circoscrizioni locali? E vado avanti: «polizia locale urbana e rurale»: sono le guardie campestri e quelle urbane. Perché non deve una regione, un governo locale qualunque — chiamiamolo regione o provincia — poter legiferare sulle sue guardie campestri e sulle sue guardie urbane?

Andiamo avanti: «Fiere e mercati; beneficenza pubblica; scuola artigiana; urbanistica». Sono cose ovvie, intorno alle quali la competenza locale è certamente più adatta ed efficace della competenza degli organi centrali.

«Strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale; porti lacuali». E chi si intende, a Roma, più di quanto in materia di porti lacuali possano intendersene, per esempio, a Como?

«Pesca nelle acque interne di carattere regionale; torbiere». Tutti argomenti evidentemente di carattere locale e intorno ai quali certamente la Regione o la Provincia o altri enti locali potranno meglio legiferare di quanto non possa legiferare il governo centrale.

E se anche vi sarà qualche divergenza tra la legislazione di una Regione e la legislazione di un'altra Regione, ebbene, io non vedo in ciò nessun male; anzi vi vedo molto bene. L'unico male sarà per gli avvocati, che dovranno consultare un po' più di leggi. Ma ne abbiamo avute di leggi durante il fascismo e dal 1943 ad oggi! Vi è tale abbondanza di leggi che certo le leggi locali sui modesti argomenti elencati nell'articolo 109 non aggiungeranno gran che alla fatica dei giuristi che dovranno interpretarle.

Ma negli articoli 110 e 111 si è oltrepassato il limite della prudenza politica; si è oltrepassato in un modo che io credo pericoloso, pericoloso per sé e per l'esempio che, ad andare ancor più avanti, ci viene da alcuni Statuti che sono già legge vigente per talune regioni italiane: voglio alludere allo statuto siciliano e alle modificazioni che da altre parti sono richieste — come per esempio dalla Val d'Aosta — per andare al di là di quelle enormità medesime già consacrate nello Statuto siciliano.

Enormità, ho detto, perché si tratta in verità di cose gravissime alle quali sarà necessario che la Costituente ponga sollecito riparo!

[...]

Abbiamo ben ragione di stare attenti fin da ora nell'esaminare criticamente gli articoli che vengono dopo l'innocuo 109. Gli articoli 110 e 111 formicolano di pericoli per l'unità nazionale. Mi limiterò ad alcuni esempi, a due: uno relativo al credito e uno relativo alle acque pubbliche. L'articolo 111, relativamente al credito, dice che la legislazione regionale ha una funzione, in sostanza, regolamentare, la quale può tuttavia acquistare col tempo importanza notevole. La Regione ha diritto di legiferare sulla disciplina del credito, dell'assicurazione e del risparmio. Vi prego di riflettere sulle conseguenze gravi di questa disciplina del credito abbandonato alle Regioni. Se qualcosa di certo vi è, è che l'Istituto centrale di emissione ha il dovere, sotto l'egida del Ministero del tesoro, di regolare la materia del credito, perché la moneta creditizia è altrettanto importante e può diventare altrettanto pericolosa quanto lo può essere la moneta ordinaria. Non v'ha sostanzialmente nessuna differenza fra la carta moneta e la moneta creditizia. Le aperture di credito fatte dalle banche sono mezzo di pagamento al pari della moneta cartacea. In altra occasione, in quest'Aula, ho cercato di ricordare come uno dei grandi progressi della scienza economica sia stato quello di segnalare (e fu segnalato fin da un secolo fa) che la moneta creditizia ha la stessa natura e può diventare altrettanto pericolosa nella sua moltiplicazione quanto può esserlo la moneta cartacea propriamente detta. Regole sono state date dapprima in tutti i paesi per il regolamento della moneta cartacea e in tutti i paesi si è cercato poscia di regolare la moneta creditizia. I regolamenti attuali impongono già in Italia a tutti gli istituti di credito di depositare presso il tesoro, o presso l'Istituto di emissione — a tutela del risparmio ed a tutela della circolazione — l'eccesso dei loro depositi oltre il multiplo 30 del loro patrimonio.

Questo regolamento è certamente imperfetto, perché la cifra del patrimonio è troppo variabile da caso a caso, dà luogo a notevoli sperequazioni e non corrisponde alle esigenze elastiche della tutela della circolazione. Furono già presentate al governo proposte da parte dell'Istituto di emissione, per variare un regolamento, il quale non corrisponde più alle esigenze attuali.

Una delle proposte era quella che il 50 per cento — ma la percentuale potrebbe variare, la misura dipendendo dai freni che devono essere posti all'espansione dell'industria e da quelli che si chiamano fenomeni di speculazione sui titoli e sulle merci — dell'incremento dei depositi oltre l'ammontare esistente ad una certa data dovesse essere versato all'istituto di emissione e non potesse dar luogo ad impiego diretto da parte delle banche. La regola potrà essere esaminata e perfezionata, e qui si ricorda solo a titolo di esemplificazione. Certo è però che il regolamento regionale del credito metterebbe un freno ed un impedimento gravissimo a qualunque regolamento del credito del nostro paese.

Se si dicesse ad esempio, che il 50 per cento dell'eccesso dei depositi, oltre l'esistenza ad una certa data, deve essere depositato presso il Tesoro o l'istituto di emissione, qualche regione potrebbe mutare quella regola nel proprio territorio. Potrebbe quella percentuale essere cioè qua e là elevata o abbassata, ridotta anche a zero. Chi impedisce ai depositi delle altre regioni di spostarsi verso quella regione, che ha decretato una percentuale più bassa?

Noi, in questa maniera, verremmo ad impedire nel nostro paese qualunque regolamentazione del credito; regolamentazione che ritengo sia un postulato di molti dei partiti politici; postulato che può essere discusso, ma che occorre sia stabilito con somma prudenza, per non turbare insieme con la speculazione anche l'industria ed il commercio normali, ma che nessuno nega che debba essere stabilito. Dare la facoltà alle regioni di intervenire in questa materia significa oltrepassare il limite della prudenza politica.

Altro esempio è quello delle acque pubbliche, dall'articolo 110 attribuite alla regione; pur aggiungendo «in quanto il loro regolamento non incida sull'interesse nazionale e su quello di altre regioni».

Non credo affatto alla riserva, che non potrà nella pratica essere applicata. Sarebbe soltanto feconda di dissidi fra l'interesse nazionale e quello regionale. Se guardiamo all'interesse nazionale, una cosa certa è, che oggi sarebbe contrario al progresso economico ed alle esigenze di sviluppo del nostro paese spezzettare l'ordinamento regionale delle acque pubbliche che, in virtù della legge Bonomi, era uno dei vanti della legislazione italiana: una legislazione la quale dichiara che le acque pubbliche appartengono al demanio nazionale, che le concessioni sono temporanee e che alla scadenza del periodo di concessione, stabilito in funzione della necessità di ammortizzare il capitale impiegato, passano gratuitamente, senza alcun indennizzo ed in condizione di perfetta manutenzione, allo Stato. Questa è stata veramente una delle grandi glorie della legislazione italiana antecedente al fascismo e per essa noi dobbiamo ringraziare l'uomo che ha dato il suo nome a questa legge e che sta in mezzo a noi.

Noi non possiamo tornare indietro in questa materia e spezzettare nuovamente questa legislazione unitaria, la quale soddisfa le esigenze dell'economia, nelle diverse regioni italiane.

Proprio in questo momento noi andremmo a dare alle Regioni una facoltà di legislazione sulle acque pubbliche quando dappertutto si avverte la necessità di rendere la legislazione sulle acque pubbliche non nazionale, ma internazionale, proprio quando in questo momento, ad attenuare materialmente le conseguenze del confine che brutalmente ci è stato imposto sulle Alpi occidentali, si avviano negoziati per far sì che la Francia e l'Italia collaborino a ricreare ed allargare l'utilizzazione delle acque pubbliche nelle regioni di confine; proprio in questo momento in cui si avverte la necessità fra Svizzera ed Italia di avviare trattative per l'utilizzazione migliore delle acque interessanti i due paesi. Se noi attribuiremo alle località di origine la legislazione sulle acque, creeremo fomiti di cattiva utilizzazione di esse, perché le acque le quali non sono utilizzate secondo un piano unitario nazionale non sono utilizzate bene, senza vantaggio né per le nazioni né per le singole regioni. Le regioni le quali hanno voluto conservare a sé il dominio sulle acque hanno fatto un ragionamento a cortissima veduta, hanno creduto di fare i vantaggi dei propri valligiani e dei propri conterranei ed invece hanno fatto e faranno sempre più il danno di essi, perché una utilizzazione nazionale soltanto può permettere di ottenere dalle acque non solo la migliore utilizzazione dal punto di vista dell'energia elettrica, ma anche la migliore utilizzazione dal punto di vista della irrigazione e della conservazione del suolo. Soltanto la unione perfetta fra tutte le utilizzazioni sia per l'industria come per l'agricoltura e soltanto una utilizzazione la quale sia ispirata ad un piano nazionale, può far sì che le acque possano essere sempre più sorgenti di ricchezza per il nostro Paese.

E anche nella Valle d'Aosta proprio in questo momento andremmo a fare un passo indietro, contrario alla esperienza universale. Mi si permetta, nonostante la mia preferenza verso gli esempi nazionali meglio conosciuti da noi, di citare una volta tanto un esempio straniero. In questo momento il più illustre esempio che noi abbiamo di utilizzazione di acque pubbliche è quello che ci viene dagli Stati Uniti del nord; ed è anche un grande esempio di trasformazione sociale. Esso è quello che prende il nome di Ente per la utilizzazione delle acque del Tennessee (Tennessee Valley Authority, T.V.A.).

Il Presidente Roosevelt nel suo primo quadriennio per evitare che molti terreni venissero inondati per la cattiva utilizzazione delle acque, creò un ente autonomo il quale governa le acque le quali appartengono geograficamente non a uno Stato solo, ma a ben nove Stati. Tutti questi nove stati: il Tennessee, la Virginia, la Virginia occidentale, l'Alabama, la Georgia, il Kentucky, la Carolina del Nord, la Carolina del Sud, il Mississippi sono uniti in un Ente solo il quale provvede alla utilizzazione di questo grandioso fiume che abbraccia un territorio vasto come l'Italia. E questo fiume è utilizzato in maniera unitaria allo scopo di creare non soltanto energia elettrica a scopo industriale e di illuminazione ma allo scopo di impedire inondazioni prima disastrose, utilizzato allo scopo di favorire il rimboschimento ed estendere la irrigazione su terreni prima paludosi. Tutto ciò è stato possibile perché il piano fu congegnato in maniera unitaria al di là dei confini dei singoli stati, che pure erano stati sovrani. Quanto fu fatto dalla T.V.A. è considerato come il più bell'esempio di progresso sociale. Molte delle cose create da Roosevelt sono già tramontate; ma questa non è tramontata e ad essa si ispirano progetti nuovi per regioni ancora più vaste, come quelle dei bacini del Missouri e del Mississippi. Proprio oggi noi, in un paese il quale ha bisogno di utilizzare razionalmente le acque affinché il nord aiuti il sud, affinché il sud aiuti il nord, affinché le acque defluenti dalle Alpi si colleghino con quelle defluenti dagli Appennini, noi in questo momento verremmo a spezzare una legislazione sulle acque pubbliche, che è fatta oggetto di studio e di imitazione nei paesi più industriali del mondo!

Questo sarebbe un regresso grandissimo al quale non credo che la Costituente vorrà associarsi. Ho ricordato solo due esempi che bastano a dire quale sia il difetto proprio di questo Titolo quinto. Non è un difetto di principio; è un difetto esclusivamente di limiti. Spero che durante la discussione i limiti abbiano ad essere modificati e ristretti, cosicché il principio del governo locale possa dare tutti i benefici effetti che noi fautori del governo locale ci ripromettiamo.

[...]

Governo locale non vuol dire abdicazione dello Stato. In qualcuno degli statuti io ho visto qualche aberrazione a questo riguardo, aberrazione vera e propria. Alla Regione si pretende persino di dare il comando della polizia. Se noi daremo alla Regione, o a quel qualunque altro ente locale autarchico che volessimo creare, anche il governo della polizia, avremo fatto un passo indietro; noi avremo percorso in senso inverso la strada che tutti gli Stati sono stati costretti a percorrere quando hanno voluto sul serio assicurare ai popoli la pubblica sicurezza. L'esperienza degli Stati federali è probante.

Si parla molto e si è sempre parlato molto in Italia delle gesta dei gangsters americani. Ora, ricordiamo che una delle cause del gangsterismo americano fu appunto l'attribuzione del governo della polizia agli stati anziché alla Confederazione; cosicché, quando un delinquente passava dal territorio di uno Stato al territorio di un altro dei quarantotto Stati della repubblica stellata, il delinquente poteva ritenersi salvo, almeno fino a quando non si fosse potuta esperire tutta la procedura necessaria affinché la polizia dello stato ove il delinquente aveva commesso il crimine potesse rendere informata del fatto la polizia dell'altro ignoto stato presso il quale il delinquente si era rifugiato.

È infatti soltanto dopo la creazione della polizia federale che il fenomeno del gangsterismo ha potuto essere diminuito e in parte anche domato.

La stessa esperienza è stata fatta dalla Confederazione svizzera dove, fino a poco tempo addietro, la polizia spettava ai cantoni. Un paio di anni fa, trovandomi presso il decano della facoltà filosofica di Basilea, questi mi fece vedere, in prossimità della sua casa, un rigagnolo, dicendomi: Qui è il confine tra il cantone di Basilea città e il cantone di Basilea campagna. E ricordo — diceva lui — il giorno nel quale qualche ladruncolo, o anche qualche delinquente più grosso perseguitato dalla polizia del cantone di Basilea città, passava quel rigagnolo, poteva ridersi della polizia del cantone di Basilea città, almeno sino a quando questa non avesse invocato l'intervento della polizia di Basilea campagna.

Anche in Isvizzera dunque fu necessario creare la polizia federale, la quale ha poteri suoi propri.

Lussu. No: la polizia è sempre cantonale. La Federazione può mandare i rappresentanti, ma tutti gli ordini devono provenire dalla polizia cantonale (Commenti).

[...]

Gullo Fausto. Io mi sono affaticato a dimostrare che non vogliamo che si crei un ente politico colla regione; cosa che si creerebbe inevitabilmente nel momento in cui si desse alla regione questa larga facoltà legislativa, primaria e complementare; si creerebbe un ente politico di tale vastità, da tener testa allo stesso Stato.

[...]

È stato già ricordato da taluno il Magistrato delle acque, il Provveditore alle opere pubbliche. A tutto ciò può provvedersi con opportune riforme del centralismo burocratico, senza bisogno di fare della regione una entità politica con facoltà legislativa, la quale costituirebbe un serio ostacolo al divenire progressivo dello Stato.

E si dice anche e sul serio che questa podestà legislativa può essere anche atteggiata in maniera diversa da regione a regione. Si pensa anche, insomma, ad una diversità di regimi regionali. Ma dove si va a finire? Crede davvero l'onorevole Einaudi che il solo risultato dannoso di un fatto simile sia che l'avvocato debba studiare dieci leggi anziché una sola? È audace pensare che il risultato sarà soltanto questo, quando avremo creato diverse legislazioni regionali, tutte vigenti sullo stesso territorio nazionale, e di fronte ad esse ci sarà una legislazione statale, la quale invano si affaticherà a coordinare tanti ordinamenti diversi. Ma si può davvero credere che ciò non sarebbe pregiudizievole all'unità della Patria, se unità della Patria non vuol dire soltanto comune territorio, se unità della Patria vuol dire spontaneità e concordia di sforzi nel tendere verso una stessa meta, unica per tutto il popolo italiano di qualsiasi regione, percorrendo la stessa via in piena fraternità di propositi e di fini da raggiungere?

[...]

Uberti. [...] Ma permettetemi che io replichi brevemente ai due punti accennati — perché sono gravi — dall'onorevole Einaudi: quello delle acque pubbliche e quello del credito. Avrebbe ragione l'onorevole Einaudi, se si dovesse arrivare a limitare il credito, autorizzando determinate forme di intervento regionale. Ma pensate d'altro canto ad un fatto: è giusto, per esempio, che l'Istituto di credito fondiario delle Venezie, che le Casse di risparmio del Veneto, che hanno decine di miliardi di risparmio raccolti fra le loro popolazioni, debbano investire obbligatoriamente questo risparmio in industrie di altre regioni e insieme negare strumenti adatti per la ricostruzione delle province delle Venezie? È evidente che tutto il patrimonio creditizio della Nazione deve essere per tutta la Nazione; ma bisogna contemperare i problemi, tener conto di aspirazioni profonde di grandi masse di risparmiatori che mal tollerano vedere i loro risparmi avviati, sia pure per ragioni altruistiche, verso altri campi che non quelli da cui sono scaturiti quei risparmi.

E in merito alle acque pubbliche — me lo consenta il collega Einaudi — debbo pure fare un appunto. Sono d'accordo che dare alla regione la proprietà delle acque pubbliche può essere un pericolo per la maggiore utilizzazione delle acque stesse. La realtà è però che quelle provvidenze che sono state poste sia dallo Statuto siciliano sia dalla legge autonomistica della Val d'Aosta, sono più che altro sulla carta, perché tutte le maggiori concessioni sono già in atto. Ormai non c'è che l'osso. Solamente fra 60 anni le regioni avranno diritto di rientrare in possesso delle loro acque.

Il problema è un altro: è di riconoscere alle regioni, ricche di acque e magari non ricche di altro, di non vedersi totalmente spogliate di questa loro unica ricchezza non solo come tale, ma anche per lo sviluppo della loro agricoltura, dell'artigianato e dell'industria locale. L'onorevole Einaudi ha qui dinanzi a noi esposto il lato negativo, critico della questione; ma l'onorevole Einaudi sa, perché anch'egli fa parte della Commissione governativa per l'elaborazione dell'autonomia della Regione tridentina, che si è giunti, anche col suo concorso, ad una soluzione intermedia, positiva, così come per il credito, anche per le acque pubbliche, con la cessione alla regione dei canoni erariali e con determinate percentuali di forza motrice riconosciute alla regione e all'agricoltura e industria locali.

[...]

Secondo me, invece, la questione tanto dibattuta dei poteri legislativi della Regione, che pare costituisca il punto cruciale del dibattito, è meno ardua e confido che tutte le parti dell'Assemblea, compresa la estrema, possano trovare una formula in cui convenire. L'onorevole Grieco aveva presentato un suo progetto, nel quale accettava la legislazione integrativa. Non v'è quindi una posizione di contrasto assoluto, teorico, ma solo una questione di limite. Basta stabilire che lo Stato deve limitarsi a fissare i principî fondamentali direttivi, delle riforme e delle leggi, in modo da lasciare alle regioni un largo margine integrativo, nel senso etimologico della parola, non nel senso inteso dai giuristi, di potestà regolamentare o poco più.

Quindi tutto il punto sta nello stabilire il limite, dove lo Stato si deve fermare e la regione iniziare. Se v'è accordo nel lasciare una parte della legislazione alla Regione, la possibilità di intenderci e di realizzare delle regioni vive ed operanti indubbiamente vi è.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti