[Il 3 giugno 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Colitto. [...] Seconda osservazione. La Regione ci viene presentata come un ente autarchico. Si vuole evidentemente con essa realizzare quella forma di decentramento amministrativo che va appunto sotto il nome di decentramento autarchico. Ma dire autarchia senza precisare il campo in cui essa si manifesta ed opera, è come parlare di un contenente senza specificare il contenuto.

Ora, io sono profondamente convinto che nel pensiero dei redattori del progetto è il proposito, creando la Regione, di dar vita ad un ente il quale alla periferia svolga una rilevante attività autonoma nel campo economico sociale.

Un ente, che non avesse la possibilità di svolgere una rilevante attività politico-amministrativa autonoma, proprio non avrebbe ragione di essere. Potrò, ora, essere in errore ma io vedo enormemente limitate, per le Regioni, le possibilità pratiche di una attività rilevante, che sia veramente autonoma, nel campo economico-sociale.

I più importanti lavori pubblici, infatti, ed i più importanti servizi pubblici non possono, soprattutto nelle attuali condizioni d'Italia, essere compiuti o gestiti se non secondo piani nazionali e non con vedute limitate a singole Regioni.

Già l'onorevole Einaudi, in una delle scorse sedute, fece rilievi importantissimi, dimostrando come sia assurdo lasciare alla ristretta attività amministrativa delle Regioni affidate l'agricoltura, le foreste, le acque pubbliche, l'energia elettrica. Alle parole dell'illustre uomo desidero aggiungere qualche cosa. L'aggiungerò a proposito delle strade. Voi sapete come nel campo delle opere pubbliche le strade, nelle amministrazioni provinciali, avevano una importanza preminente. Può dirsi, anzi, che il campo delle strade era il più vasto dell'attività provinciale. Ma tale importanza ebbe a diminuire allorquando, con la legge 17 maggio 1928, n. 1094, ebbe luogo l'istituzione dell'Azienda autonoma statale della strada, per cui molte delle strade, che prima erano provinciali, passarono allo Stato ed altre, di secondaria importanza, ai comuni.

Ci troviamo di fronte ad un'altra forma di decentramento, il decentramento istituzionale, che si ha, come è noto, quando si dà vita ad enti (parastatali) e ad aziende per la gestione di servizi di portata nazionale che diversamente sarebbero gestiti dallo Stato.

Bisogna resistere contro il moltiplicarsi di tali enti, a questa specie di entomania, che non possiamo negare ci sia; bisogna resistere, perché...

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. È ottima l'Azienda della strada!

Colitto. E chi ne dubita? Mi lasci dire... perché ci troviamo spesso di fronte a false attuazioni di decentramento.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, l'Azienda della strada è ottima.

Colitto. D'accordo. Lo sto dicendo. Vi sono, infatti, dei casi in cui è necessario dar vita ad aziende o ad enti di estensione nazionale per la gestione di determinati servizi.

Quale conseguenza intendo trarre da ciò? Questa: che l'istituzione dell'ente Regione non può né sostituire né ridurre di molto il ricorso al decentramento istituzionale su basi nazionali. Si può essere certi, ad esempio, che, se alcune strade, passate allo Stato, dovessero essere attribuite alla Regione, si verificherebbe per esse un sicuro peggioramento. Ed anche nei casi in cui, per la natura specifica dell'opera, questa può essere limitata ad una Regione (ad esempio in materia di bonifiche), ben poco potrà farsi senza l'intervento economico e disciplinatore dello Stato.

Uberti. E perché? Se ne ha i mezzi.

Colitto. L'onorevole Uberti deve avere la bontà di seguirmi, perché...

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ha torto l'onorevole Uberti.

Colitto. ...perché egli già si vuole occupare della Regione quale ente dotato di una autonomia finanziaria. Non mancherò di occuparmene. Abbia la bontà di seguirmi.

Io non starò qui, signori, a ripetere quel che di solito in modo generico si afferma e cioè che per lo sviluppo ed il progresso delle attività economiche occorrono il più ampio respiro e la più vasta zona di espansione; io guardo, invece, alla realtà palpitante, e questa mi dice che, specie nell'attuale situazione dell'Italia, la Regione non può prescindere da organizzazioni economico-amministrative di opere pubbliche e di pubblici servizi di portata nazionale. Qualora se ne prescindesse, molte Regioni subirebbero un sicuro regresso: certo che si accentuerebbe la distanza nel campo economico e nel campo sociale attualmente esistente fra Regione e Regione.

Ora, se questo è, bisogna riconoscere che in sostanza i compiti amministrativi della Regione, quali sono indicati negli articoli 109 e 110 del progetto, richiamati dal successivo articolo 112, non sono e non possono essere più estesi, né più efficienti, di quelli che attualmente sono assegnati all'ente provincia dal testo unico del 1925 e da altre leggi speciali. E vale allora la pena di sopprimere la provincia per creare la Regione? Per me proprio non ne vale la pena, se nel campo amministrativo i poteri dell'una non sono, non possono essere, su per giù, che i poteri dell'altra.

[...]

Quarta osservazione. La Regione ci viene presentata oltre che quale ente autarchico, anche quale ente autonomo. Quando parliamo di autonomia ci poniamo senz'altro nel campo normativo, perché l'autonomia è, come è noto, la facoltà che alcuni enti hanno di organizzarsi giuridicamente e di crearsi un proprio diritto.

A proposito dell'autonomia regionale io non devo fare altro che riallacciarmi a quello che ho detto considerando la Regione come ente autarchico. Ho rilevato innanzi che l'attività amministrativa regionale non può non essere in massima parte collegata con le organizzazioni nazionali di pubbliche opere e di pubblici servizi. Che cosa da ciò deriva? Deriva che anche in quelle materie, nelle quali potranno attribuirsi compiti amministrativi propri alla Regione, non vi è possibilità di una attività legislativa, che non sia collegata con l'attività legislativa dello Stato. L'onorevole Ruini scrive nella sua relazione che «il campo lasciato alla legislazione regionale è per ogni aspetto vigilato e contenuto». Io dico che addirittura non vi è possibilità di un'attività legislativa, che non sia collegata con l'attività legislativa dello Stato. E, se questo si afferma per le materie nelle quali possono attribuirsi compiti amministrativi propri alle Regioni, che cosa bisogna dire per la materia di carattere generale, che normalmente forma oggetto di disciplina legislativa? Tutta l'autonomia della Regione si riduce così a poco più di una facoltà regolamentare. Dirò di più. Per alcune materie forse neanche una potestà regolamentare può essere consentita. L'onorevole Einaudi nei giorni scorsi vi ha parlato di questa impossibilità per la disciplina del credito, dell'assicurazione e del risparmio. Io mi permetto di richiamare la vostra attenzione, a questo proposito, sull'igiene e sulla sanità pubblica. L'argomento, voi lo sapete, va collegato col riordinamento, che s'impone, di tutto il nostro sistema di amministrazione sanitaria. Vi è la grave questione della organizzazione delle mutue e del loro coordinamento con l'istituto della condotta medica. È noto come, in periodo fascista, il sistema delle mutue produsse moltiplicazioni di spese, eccessiva burocrazia e scarsa soddisfazione degli assistiti. Il problema continua ad esistere e nessuno si può illudere di sopprimerlo con dei tratti di penna. D'altra parte, da decenni i comuni reclamano per le proprie finanze un alleggerimento delle spese di sanità e di spedalità. Siamo anche qui di fronte a un complesso di problemi, che si collegano ad esigenze di riorganizzazione generale di un ramo della pubblica amministrazione. Ed allora come possono le Regioni, ciascuna per conto suo, dettare in materia norme, sia pure soltanto, per ripetere le parole dell'articolo 111 del progetto, di integrazione e di attuazione? Non basta. Da un lato questa autonomia si riduce a una ristretta potestà regolamentare, e dall'altro questa potestà regolamentare può dar vita ad inconvenienti, che non bisogna sottovalutare. Ecco. Io sono perfettamente convinto che, pure essendo ristretto il campo di azione, la produzione legislativa sarà abbondantissima.

Una volta costituiti gli organismi regionali con i relativi parlamenti, essi saranno fatalmente portati a moltiplicare le leggi, a regolare di nuovo con norme speciali quello che al centro è stato regolato con norme generali, a disciplinare a modo proprio al sud quello che è stato disciplinato a modo proprio al nord, a fare a Campobasso quello che è stato fatto a Benevento, anche non essendovene bisogno.

Ora vi è un'esigenza molto modesta, ma molto sentita non solo e non tanto dagli uomini di legge, quanto dall'uomo comune, dal professionista, dal commerciante, dall'industriale. L'esigenza è questa: ridurre al minimo possibile le disposizioni legislative, porre un argine alla farragine delle leggi, evitare il sistema — per dirla con Dante — «dei troppo sottili provvedimenti», per cui «a mezzo novembre non giunge quel che tu di ottobre fili».

È perciò che tante volte si è parlato di snellezza nelle future legislazioni regionali. Io non lo credo. Sono profondamente convinto invece, che si accresceranno i mali che si vorrebbero evitare. Si avrà, a mio avviso, un prolisso farraginoso complesso di norme, che può anche avere i suoi riflessi negativi sulla formazione di una coscienza giuridica nazionale, di quella coscienza la quale, come senso della legalità, dell'altezza e della maestà della legge, è forse il solo fondamento di una vera educazione politica (Approvazioni a destra).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti