[Il 4 giugno 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Di Fausto. [...] Quando la miseria siede sulla soglia delle case di milioni di italiani, con particolare riguardo per le case degli italiani migliori, io non so appassionarmi a temi i quali non abbiano carattere di urgenza o meglio non abbiano capacità risolutiva di tanto gravi esigenze. Intervengo in questa discussione per quella particolare situazione che ha portato me, unico e solo «cultore di arte», in seno a questa Assemblea dove problemi del genere sono poco discussi e (è doloroso dirlo) sono poco sentiti. Questa è un'amara constatazione dalla quale discendono più amare deduzioni. Io mi occupo quindi della Regione solo, e in quanto, se realizzata, essa possa interferire nel settore dei monumenti, degli scavi, delle opere d'arte e delle bellezze naturali. Mi riferisco, cioè, agli articoli 109, 110, 111 del progetto di Costituzione che regolano questa materia. L'articolo 109 conferisce alla regione potestà legislativa piena; l'articolo 110 conferisce potestà legislativa limitata; l'articolo 111 conferisce potestà legislativa integrativa per adattare le leggi della Repubblica alle esigenze peculiari delle varie regioni. Tra le materie di competenza di questi tre articoli sono: l'urbanistica, l'antichità, e le belle arti. Si infirma quindi il principio basilare, quello della diretta tutela unitaria, da parte dello Stato, del più eccelso patrimonio della Nazione; patrimonio il quale trascende non solamente il carattere regionale, ma spesso anche il carattere nazionale per assurgere a importanza mondiale. Questo patrimonio costituisce infatti nel suo complesso il più alto contributo dello spirito all'umanità cosicché noi possiamo considerarci in qualche modo i depositari e i consegnatari responsabili di così incomparabile tesoro. Ecco spiegato l'omaggio costante e concorde di tutti i tempi e di tutti i popoli all'Italia. Vale a questo punto ricordare quel lontano luglio 1902 quando il telegrafo portò al mondo l'annuncio improvviso e angoscioso del crollo del Campanile di San Marco. In poche ore uno solo fu il voto espresso dai più lontani angoli della terra, con l'offerta dei mezzi relativi: che il campanile risorgesse quale era e nello stesso luogo così come lo aveva visto l'architetto Sebastiano Buon. Coronato dall'Angelo d'oro svettò nuovamente nei cieli a riprendere la sua vita millenaria interrotta per breve giornata. Comunque, la particolare legislazione vigente ha corrisposto egregiamente ai suoi scopi arginando l'egoismo privato, le velleità comunali e i naturali orgogli regionalistici. Oggi, in piena emergenza, dopo le gravi ferite della guerra, è stata deplorata vivamente la soppressione di quel Sottosegretariato alle Arti che avrebbe dovuto essere l'organo coordinatore e propulsore di tutte quelle iniziative affini dalle quali l'Italia dovrebbe attendersi il più valido contributo alle necessità immani della sua ricostruzione. La evidenza dei fatti s'imporrà con ritardo, ma il danno non sarà stato lieve. All'attuale Direzione generale delle belle arti fanno capo cinquantasette Sovrintendenze le quali sono integrate da Commissioni provinciali e da Ispettori onorari. Il complesso di questa organizzazione culmina nell'organo supremo consultivo tecnico: il Consiglio Superiore delle antichità e belle arti che nel progetto del Ministro Gonella diviene elettivo e più rispondente alle esigenze del momento, tale da garantire cioè che tutto quanto interessa il patrimonio nazionale sia sottratto all'arbitrio ed agli interessi particolari di privati di enti e di comuni.

A questo punto esorto il Ministro Gonella...

Russo Perez. La Regione non potrebbe proteggere ugualmente questi interessi?

Di Fausto. Vedremo dalle mie conclusioni che non sarà possibile.

Esorto il Ministro Gonella, dicevo, a sollecitare la ricostituzione di questo supremo organo moderatore. Maturano problemi gravissimi derivanti dalla guerra — problemi che attendono l'esame e il giudizio del Consiglio prima che essi siano insidiati da bassi interessi e irrimediabilmente compromessi.

Accenno così di passaggio al Palazzo della Ragione a Ferrara, venduto dall'amministrazione ad una impresa di costruzioni, per la demolizione e la ricostruzione di un grande edificio a fianco all'insigne Cattedrale; accenno al Palazzo del Tribunale a Vicenza; all'ex Palazzo Reale di Milano; al restauro del Duomo di Modena; al progettato grattacielo sul golfo di Napoli; alle Mura urbane di Piacenza; alla ricostruzione del Ponte di mezzo e dei quartieri interni a Pisa; alla ricostruzione dei Borghi intorno al Ponte vecchio di Firenze, ove l'equivoco fra urbanistica ed architettura minaccia di snaturare il carattere di questa capitale delle arti a vantaggio esclusivo della speculazione; cosicché già in America si è diffuso il modo di dire: «Firenze non è più quella di prima; non vale la pena andarvi»; con evidente premeditato maggior danno per quel nostro turismo, che continua a morire nel più misterioso isolamento, già da me ripetutamente ed inutilmente denunciato.

E sorvolo sui problemi peculiari di Roma, dei quali mi occupai altra volta, solo accennando alla minaccia che si infirmi il vincolo panoramico della Appia Antica.

E per quanto si riferisce alle vecchie città, pur non convenendo col Berençon, che sostiene di ricostruire le cose distrutte così come esse erano, né col critico inglese Mortimer, che giudica «obrobriose ed orrende» le opere architettoniche dell'ultimo ventennio in Roma, concordo con uno dei più attenti nostri studiosi, il Bellonci, affermando la necessità di mettere il nuovo «in scala» col vecchio, rispettando i fondamentali rapporti di spazio. Anch'io sento che l'insidia maggiore è nella possibilità che si trasformi un piano di ricostruzione in piano regolatore.

Ecco evidente la necessità di non disgiungere in Italia la tutela delle antichità e delle arti da quella delle bellezze naturali, ripetendo l'opportunità di regolamentazione legislativa unitaria.

Questo abbiamo assicurato con l'approvazione contrastata dell'articolo 29 del Titolo II del progetto di Costituzione quando l'onorevole Marchesi (in nome dell'Accademia dei Lincei) ed io (in nome dell'Accademia di San Luca) sostenemmo quella esigenza.

Fu proprio di quei giorni la minaccia dello scempio di uno dei luoghi più suggestivi del mondo, Villa Rufolo in Ravello, nella quale, dopo peregrinazioni europee, sostò Riccardo Wagner per scrivere il secondo atto del Parsifal. La via carrozzabile di attraversamento progettata dall'amministrazione locale, per la tempestività di una mia interrogazione e più ancora per il pronto intervento del Ministro Gonella, non sarà altro che una modesta strada di raccolto carattere paesano, che si snoderà occultata fra gli ulivi.

Passo al delicato problema del restauro, che deve esser visto esso pure con criterio unitario.

Decenni di esperienze e di studi assai contrastanti hanno condotto a fissare chiaramente l'assioma da seguire.

Il restauro è opera conservativa e non innovativa, consolidamento dell'opera d'arte e non ripristino dell'opera d'arte.

Si accede però a queste verità solo attraverso affinamento di cultura storica e stilistica e più ancora con l'ausilio di una spiccata sensibilità.

Stralcio da una relazione del Direttore generale delle Belle Arti, professore Bianchi Bandinelli: «si presume abitualmente di riprendere la storia al punto in cui si interruppe, pretendendo di continuare monumenti incompiuti o riportarli ad un ipotetico pristino stato, cancellando le fasi storiche che il monumento attraversò e che sono spesso insigni memorie e fulgide stimmate d'arte, anche se rappresentano una aggiunta posteriore al primitivo complesso».

L'anarchia si scatenerebbe attraverso gli orgogli e gli interessi di parte per poco che la vigilanza centrale venisse a cedere, con la compromissione evidente della dignità della nostra cultura. Peraltro nulla vieta che alla Regione si dia competenza sui musei e sulle gallerie comunali, sull'arte contemporanea, sugli istituti di arti e mestieri e sul vasto settore del folklore.

Concludendo, chieggo la soppressione delle voci «urbanistica» dall'articolo 109 e «antichità e belle arti» dall'articolo 111 del progetto di Costituzione, confermando il senso dell'articolo 29 già approvato: che la tutela del patrimonio artistico resti integralmente nell'ambito dell'ordinamento nazionale.

Nel convegno di fine maggio in Roma, i soprintendenti delle Belle Arti in un ordine del giorno, che porta 40 firme, dicono: «I soprintendenti italiani fanno voto che ove l'ordinamento regionale venga sancito nelle norme della nuova Costituzione, la competenza della tutela nel campo delle Belle Arti resti affidata al potere centrale anziché demandata alle amministrazioni regionali, non escluse la Sicilia e la Val d'Aosta».

Debbo a questo punto sottolineare il significato altissimo e il senso della universalità dell'interesse verso il patrimonio artistico italiano, che trova vasto ausilio dal richiamo della Chiesa cattolica sedente in Roma.

La Chiesa ha sempre portato e porterà sempre la maggiore cura, qualunque sia la legislazione che noi andremo a stabilire, alla tutela di quella cospicua parte del patrimonio d'arte che gravita nella sua giurisdizione.

Antichi e fermi canoni del suo codice sapientemente disciplinano tanto delicata materia.

[...]

Macrelli. [...] Così per quanto riguarda la potestà legislativa il progetto ha adottato un sistema tutt'altro che semplice.

La triplice ripartizione non è stata certo molto felice, e le critiche fatte e quelle che ancora si faranno rispondono a criteri di serietà, che non nascondono neanche una giusta preoccupazione.

L'articolo 109 stabilisce che «la Regione ha potestà di emanare... norme legislative che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell'ordinamento dello Stato, ecc.».

Come si vede, mentre le norme costituzionali offrono una precisa e valida consistenza giuridica, che, sia pure in tono minore, non manca nell'altro limite costituito dai principî generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, con la considerazione degli interessi nazionali e delle altre regioni, la linea di confine assume una notevole elasticità ed un aspetto essenzialmente politico.

Ora bisogna notare che la divergenza, la quale potrebbe sorgere tra l'organo legislativo nazionale e quello regionale, rientra nella figura del conflitto d'interessi previsto dall'articolo 118; perciò la risoluzione del conflitto spetterebbe all'Assemblea nazionale. Non è da escludere, quindi, che questa possa praticamente finire con l'annullare o ridurre a ben poco la funzione legislativa della Regione.

Per un altro gruppo di materie invece la potestà legislativa della Regione è subordinata a quella dello Stato.

In alcune (art. 110) la subordinazione è soltanto eventuale, nel senso che essa sussiste se nella materia v'è una legislazione unitaria, a cui, peraltro, spetta soltanto di fissare i principî direttivi; nella seconda (art. 111) si presuppone la presenza di una legislazione nazionale che la legge regionale integra.

Avevamo quindi ragione di definire tale sistema, nell'insieme, tutt'altro che semplice.

Anche dal punto di vista tecnico-legislativo si possono muovere delle valide critiche: così per esempio non si comprende perché a proposito delle acque pubbliche (art. 110) si è indicato il limite dell'interesse nazionale e delle altre regioni, già espressamente richiamato per tutte le materie contemplate nel 1° capoverso dello stesso articolo 110; così non è facile intendere il motivo per cui alcune materie strettamente connesse ad altre hanno avuto una assegnazione diversa: per esempio l'articolo 109 parla della beneficenza pubblica, e l'articolo 110 comprende la assistenza ospedaliera.

Ora che differenza c'è fra le due materie, per quanto riguarda la loro posizione nell'ambito della legge?

Perché la beneficenza pubblica deve essere oggetto di norme legislative primarie, mentre invece le norme relative all'assistenza ospedaliera devono far parte di un altro complesso di leggi, di natura secondaria? Sarebbe opportuno, a mio avviso, che a questo proposito la Commissione chiarisse il suo pensiero. Il mio è un rilievo critico; può essere superficiale, ma ha il suo valore e dimostra, ancora una volta, la giustezza di quanto ho già detto ed ora ripeto: che cioè si sono create delle norme tali che potrebbero portare domani a pericolosi equivoci di interpretazione, o, peggio ancora, di applicazione. (Applausi).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti