[Il 12 giugno 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente inizia la votazione degli ordini del giorno presentati sul Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Come è noto, dobbiamo affrontare la votazione dei numerosi ordini del giorno che sono stati presentati in relazione al Titolo V: «Le Regioni e i Comuni».

[...]

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo riferire brevemente sopra i lavori del Comitato dei diciotto portati a termine nelle quarantott'ore che gli erano state concesse per poter giungere a qualche accordo. Debbo ricordare i precedenti, che stamane il Comitato ha riassunti per cercare di avviarli ad una concorde soluzione.

Messa ai voti in seno alla seconda Sottocommissione, la proposta di istituire l'ente Regione ebbe l'unanimità meno il solo voto dell'onorevole Nobile. L'unanimità vi fu da parte dei rappresentanti di tutti i partiti: dei democristiani, dei repubblicani e degli azionisti, che erano i più accesi nell'idea della Regione, ma anche dei comunisti, socialisti, liberali, demolaburisti, qualunquisti e di tutti gli altri Gruppi. Il voto avvenne sopra un ordine del giorno Piccioni, che, naturalmente, vincola oggi quelle che devono essere le conclusioni del Comitato.

Incominciata la discussione in merito, si delineò un dissenso che fece capo a due correnti, a due binari principali, riguardante principalmente le funzioni legislative da attribuire alla Regione: una corrente sosteneva che la Regione dovesse avere in certe materie una facoltà legislativa esclusiva, diretta, propria, sia pure nei limiti dei principî generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. Un'altra sosteneva che lo Stato dovesse rimanere sempre sovrano nello stabilire le norme legislative; e che alla Regione potesse spettare soltanto una funzione secondaria di integrazione ed applicazione per adattare le norme generali ed i principî delle leggi dello Stato ai bisogni ed alle condizioni locali. Si sono seguiti questi due binari nella discussione in seno alla Commissione dei settantacinque e la prima tendenza vinse per due voti. Si disse allora: la questione sarà portata nuovamente davanti alla Assemblea Costituente, che sceglierà tra le due soluzioni.

[...]

Sono poi rifermentati i temi che dividevano le due posizioni fondamentali. Riferirò rapidamente a questo riguardo. Vi sono tre articoli da tener presenti: gli articoli 109, 110, 111 del progetto; dove sono delineati tre tipi di legislazione: l'esclusiva, la concorrente, l'integrativa. Le tre designazioni sono più o meno esatte, come terminologia giuridica. Ciò che importa è la sostanza.

Che cosa sarebbe la competenza esclusiva? In una zona, sia pur ristretta, di determinate materie, lo Stato non potrebbe legiferare. Lo potrebbe soltanto la Regione, ma con ciò la sua potestà legislativa non sarebbe illimitata; avrebbe — oltre il limite delle materie — quello di non essere in contrasto con la Costituzione, con l'ordinamento giuridico generale dello Stato, coi trattati internazionali, nonché con gli interessi dello Stato e con quelli di altre Regioni. Questo il contenuto dell'articolo 109.

I democratici cristiani, i repubblicani, e gli altri più spinti autonomisti si sono dichiarati, nelle ultime adunanze del Comitato, disposti a rinunciare alla legislazione esclusiva, purché si conservassero le altre due forme: quelle cioè della legislazione concorrente e di quella integrativa, cercando di farne una sola, in modo di andare al di là della pura integrazione, che appariva a qualcuno essere poco più di un regolamento. Così si è presentata la questione in seno al Comitato.

Per quanto riguarda la legislazione concorrente (come ha detto anche il collega Ambrosini) non si può intenderla in un senso meramente letterale. Vuol dire che in date materie la Regione può legiferare come vuole, salvo che la legge dello Stato intervenga per stabilire principî e criteri generali, per stabilire una certa uniformità tra le legislazioni regionali. Quanto al terzo tipo, quello della legislazione integrativa, la Regione avrebbe una potestà che, pur chiamandosi legislativa, sarebbe soltanto di dettar norme di integrazione e di applicazione delle norme più generali stabilite dalla legge dello Stato. Con ciò si potrebbero dalla Regione, sempre in determinate materie, adottare norme, non contra legem, ma praeter legem; e cadrebbe fra l'altro, per quelle materie, la facoltà di regolamentazione dello Stato.

Le correnti autonomiste più accentuate non si sono, neppure in via d'accordo, potute accontentare di questo tipo di legislazione integrativa, che — han dichiarato — non sarebbe che una semplice potestà regolamentare; a cui il nome di legislazione servirebbe da pennacchio. Si sono bensì dichiarate pronte ad accettare una formula intermedia fra la legislazione concorrente e l'integrativa, ed in certo modo comprensiva di ambedue, nel senso che la Regione avrebbe potestà legislativa, in date materie, entro i limiti dei principî, delle direttive, stabilite dalle leggi dello Stato. Notevole passo: in quanto caduta la legislazione esclusiva, allo Stato resterebbe la legislazione primaria in ogni campo; e la Regione non avrebbe che facoltà secondaria di legiferare (o regolamentare che si sia) nei limiti stabiliti dallo Stato stesso.

Questa formula non è stata accettata dai meno favorevoli all'autonomia: i comunisti e i socialisti, i quali hanno bensì riconosciuto che in tal modo verrebbe ridotta la facoltà legislativa della Regione; ma in certe materie lo Stato non potrebbe che stabilire limiti (i quali sarebbero in sostanza limiti a se stesso); e la Regione avrebbe diritto a che quei limiti non fossero varcati. Formula ambigua, han detto i comunisti e socialisti; se si vuol dire che la Regione può dettar norme di adattamento alle situazioni locali, entro l'ambito delle norme che lo Stato crederà opportuno di fissare, va bene; e va bene che lo Stato si atterrà di solito ai criteri generali; ma non può farsi una barriera e lasciare, ad esempio, alla Corte costituzionale di decidere se lo Stato aveva o no diritto di porre quei limiti. Lo Stato deve essere il solo giudice, in qualsiasi caso, della opportunità di una sua autolimitazione.

Ecco il punto che ha impedito di giungere ad un accordo; per quanto, come vedete, le due posizioni si siano avvicinate.

Debbo, per completezza di riferimento, far noto che democratici cristiani e repubblicani, mancato l'accordo, si sono riservati di riprendere libertà di atteggiamento, nell'ulteriore discussione.

Debbo altresì aggiungere che i liberali, nell'ultima adunanza di Comitato, hanno esplicitamente dichiarato che non avrebbero acceduto ad alcuna formula di eventuale accordo, ed avrebbero votato l'ordine del giorno per il rinvio completo della questione all'esame della futura Assemblea legislativa.

Aggiungo infine che, personalmente, sono favorevole alla formula su cui avevo ottenuto l'assenso dei democristiani e dei repubblicani, in quanto essa non è ambigua, ma soltanto elastica; ed è con la concreta sperimentazione dei limiti legislativi fra Stato e Regione che si potrà, a mio avviso, dar solida base all'ente regionale.

[...]

Laconi. [...] La nostra preoccupazione fondamentale è di preservare intatta e solida l'unità dello Stato. Quando ci si parla di dare alle Regioni una potestà legislativa esclusiva o concorrente con quella dello Stato che pregiudichi i poteri dello Stato e limiti questi poteri, non siamo d'accordo. Noi pensiamo che l'autonomia delle Regioni debba essere contenuta entro l'unità politica del Paese. Ma è indubbio che, particolarmente in quest'ultimo periodo, guardando intorno a noi e vedendo l'avviamento che va prendendo la situazione italiana, ci si è prospettata la necessità o l'eventualità di accedere a soluzioni diverse, di prendere in considerazione un rafforzamento degli enti locali che giunga anche a dare alla Regione un volto autonomo. Ed è in questo senso che abbiamo acceduto alle soluzioni intermedie che poco fa prospettavo, ed alle quali noi daremo il nostro voto.

[...]

Presidente Terracini. Comunico che è stato presentato il seguente ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente riconosce la necessità:

a) che sia effettuato un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato, anche a mezzo dell'ente Regione;

b) che la Regione debba essere dotata di potestà normativa nei limiti della attuazione e della integrazione delle direttive e dei principî fissati dalle leggi della Repubblica;

c) che siano attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, adottate mediante leggi costituzionali, alle Regioni indicate nel secondo comma dell'articolo 108 del Progetto

e delibera

che nella Carta costituzionale debba trovare sede l'affermazione della esistenza della Regione, accanto ai Comuni ed alle Provincie, con l'indicazione dei poteri e degli organi del nuovo ente e di quanto altro sia necessario alla sua essenziale definizione costituzionale.

«Bonomi Ivanoe, Bozzi, Togliatti, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, Molè».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti