[Il 28 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Zotta. [...] Vi è una ultima preoccupazione: quella concernente l'autonomia finanziaria. Molti osservano: ma col sistema regionale verrebbero a cristallizzarsi le differenze attualmente esistenti fra le diverse parti d'Italia, si perpetuerebbe l'inferiorità di determinate zone con la creazione di barriere, che dividerebbero per sempre la sorte delle regioni ricche da quelle delle regioni povere.

Ma è proprio su questo punto che, con una diversa impostazione e prospettiva, noi facciamo leva per sostenere il potenziamento della vita locale. Perché noi siamo perfettamente convinti che il problema meridionale, cui si fa riferimento con quella obiezione, solo così potrà essere risoluto: quando cioè si potenzi la vita e la libertà locale e si consenta attraverso una molla di emulazione di raggiungere un livello eguale di progresso.

Ne è di conforto la storia. Fino al 1861, cioè finché le regioni sono state centro di vita autonoma, non vi è stata differenza sostanziale nel campo economico e sociale tra il sud e il nord. Potrei aggiungere, se non temessi di cadere in una ripetizione che ha un po' la monotonia delle frasi retoriche, che l'unico Stato, il quale portò, dopo l'unificazione, un bilancio attivo, fu il regno delle due Sicilie, la cui amministrazione, documento mirabile di sapienza giuridica, fu indicata a modello in pieno Parlamento italiano. Quel Regno realizzò le prime conquiste di civiltà: a Napoli il primo battello a vapore, la prima ferrovia. Cinquant'anni dopo Giuseppe Zanardelli, per recarsi da un paese all'altro della Lucania, dovette passare il letto di un fiume su di un carro trainato da buoi. Ora, le condizioni di questa mia terra non sono migliorate di molto, e purtroppo temo che peggiorino, se non si provvede stimolando tutte le loro capacità autoctone.

Dunque il mio ragionamento vuol dire questo: se in partenza non vi è inferiorità di condizioni economiche e sociali, com'è che dopo meno di un secolo di vita unificata e accentrata che sopprimeva tutte le manifestazioni della vita autonoma locale, si determina un divario, un'antitesi sotto tutti i profili, tra Nord e Sud?

Vi è nel Nord quanto al Sud manca del tutto, o è accennato in forme rudimentali e primitive: opifici, stabilimenti, coscienza ed attività industriale, attrezzatura commerciale, finanza bancaria, forte e autonoma. Vi sono nel Nord tutti i conforti di un paese civile moderno: ampia rete stradale, abitazioni comode, ricchezza materiale; vi è, insomma, un superiore livello generale di vita, che distingue profondamente il Settentrione dal Meridione; confermando fisionomie diverse, quasi opposte, tanto da accreditare l'oltraggiosa ipotesi che il popolo italiano sia costituito da due unità etniche profondamente dissimili.

È questo il risultato che noi abbiamo ottenuto dopo che le regioni del Nord e le regioni del Sud, unite nello stesso destino, hanno unificato le loro forze, hanno creato un potere, lo hanno depositato a Roma e hanno detto: «governaci»? E questa unificazione ha portato ad una inferiorità dolorosa del Meridione di fronte al Settentrione. Ora non vogliamo esprimere giudizi, ricercare cause: noi abbiamo fiducia nelle nostre possibilità, noi vogliamo significare questo, che, se la vita locale non ci ha mai consentito di essere al medesimo livello delle altre regioni d'Italia, noi adesso vogliamo ridare vita, vogliamo ridare impulso alla vita locale. Noi vogliamo costituire dei centri vivi e fecondi di libertà, di attività, di propulsione, di emulazione, di espansione. Questo noi vogliamo fare e solo così noi potremo risolvere il problema del Meridione.

Quando si invoca la solidarietà di tutta la Nazione per la risoluzione del nostro problema, io dico che prima noi Meridionali dobbiamo dare l'esempio. La redenzione comincia da noi, diceva Luigi Sturzo.

Ma vi è un lato che io non trascuro e che ha la sua grande importanza. Mi si dice: «volete congelare adesso una situazione che va tutta a nostro svantaggio, voi volete adesso creare le barriere, proprio quando le regioni meridionali sono state spremute al massimo e hanno bisogno della collaborazione solidale dell'intera Nazione».

Anche questo è un ragionamento; ma io rispondo che proprio per questo è necessario valorizzare, potenziare le nostre forze, la coscienza della nostra vitalità, appunto per far sentire più forte l'appello alla Nazione, per chiedere l'aiuto che ci spetta. Perché il problema meridionale è problema spirituale nostro, come dicevo dianzi, ma è anche problema nazionale, unitario. Per due ragioni: perché la storia ha portato, in meno di un secolo, a creare una regione povera ed una regione ricca, sicché non si può non affermare che tutte le provvidenze siano state perdute, che tutte le trascuratezze ci siano state; ed oggi si impone come un problema morale, come un dovere sociale e giuridico, il ristabilimento dell'equilibrio.

E vi è anche la ragione morale, perché l'unità di un Paese postula anche una solidarietà di spiriti, una solidarietà di interessi e non si può quindi prescindere dall'obbligo delle parti ricche di venire in soccorso, per questa fusione e questo equilibrio di interessi spirituali e materiali, delle regioni povere.

E allora, profilato sotto questo duplice aspetto, cioè come un dovere di gratitudine e di perequazione da un lato e come un senso di solidarietà dall'altro, il problema del Mezzogiorno assurge all'altezza di un problema nazionale unitario.

Il Progetto, però, limita l'intervento statale in favore delle Regioni povere a quanto è necessario per consentire l'adempimento delle loro funzioni essenziali.

Ma, onorevoli colleghi, non basta dire «per adempiere alle loro funzioni essenziali». Io temo che domani, per una pedantesca interpretazione, si possa pensare soltanto alla continuazione della vita. La vita indigente, senza risorse, è pur sempre infatti una vita; e quindi potrebbe anche intendersi che con queste parole ci si sia voluti riferire soltanto a quello che è il meccanismo burocratico di organizzazione della regione.

È chiaro invece che non qui noi dobbiamo arrestarci, se vogliamo davvero tradurre in disposizioni concrete quell'ansia tormentosa di resurrezione delle regioni del Mezzogiorno, se noi vogliamo essere davvero solleciti del benessere di questa derelitta parte d'Italia.

Ecco quindi perché io propongo qui una modificazione, che cioè si tolga la parola «essenziali».

Se noi saremo veramente animati da questo spirito di collaborazione, non vi sarà certo più alcuno, il quale pensi che si vengano a creare con il regionalismo delle barriere tra il Nord e il Sud: non barriere invece, ma focolai di vita, ma centri di iniziativa, di attività, di operosità, di produttività, e un affluire fra essi di un'intima, indistruttibile energia cementatrice, vivificatrice, la quale collega e salda le sparse membra in un corpo forte e organico, sicché il benessere e il progresso di ciascuna parte è progresso e benessere del tutto, e il progresso e il benessere del tutto è il benessere e il progresso di ciascuna parte. (Applausi al centro).

[...]

Gullo Fausto. [...] Sono appunto le regioni più povere che più soffrirebbero dell'ampia facoltà legislativa che noi daremmo. Perché insieme alla facoltà legislativa potremmo noi dare anche l'autosufficienza finanziaria? È vero, siamo tutti fratelli, tutti figli di una stessa madre. Ma insomma, anche tra fratelli non è detto che sia bello dare costantemente la prova che il fratello più ricco dia da mangiare al più povero. Vi sono regioni che non possono vivere da sole: o lo possono mantenendosi in uno stato di vita puramente animale. Ma se noi vogliamo che da questo stato di vita si esca; che queste regioni povere possano mettersi allo stesso livello delle regioni fortunate, dobbiamo pur dire che la Lombardia dovrà sovvenire la Calabria perché la Lombardia è più ricca. Quando abbiamo una cassa comune dove affluiscono tutti i tributi da ogni parte d'Italia, e con essa si provvede ai bisogni di tutti secondo una scala gerarchica dei bisogni stessi, e in essa la lira sudata del contadino calabrese si confonde con la lira del magnate industriale lombardo, nessuno può precisare la specifica provenienza.

Per quanto riguarda l'articolo 113, in cui è detto che ove la regione finanziariamente non basti a se stessa lo Stato ne integrerà il bilancio, lo stesso collega democristiano, onorevole Zotta, che mi ha preceduto, ha visto l'enormità di questa disposizione, la quale condannerebbe appunto le regioni povere a quella vita puramente animale da cui esse vogliono uscire. Ad esse si dice: «Se il vostro bilancio non basta, vi do tanto perché possiate pagare i medici condotti, i segretari comunali, i maestri: e così siete a posto; non c'è ragione che dobbiate lanciarvi verso una economia di largo respiro. È già troppo che la Lombardia, l'Emilia e la Toscana integrino i vostri bilanci; è sufficiente che non moriate di fame». E non significa forse ciò creare contrasti nuovi, far riprendere vigore a quelle polemiche fra Nord e Sud che la comune sventura poteva far pensare fossero alfine cessate? Non significa far dire ancora ai fratelli del Nord che se essi non camminano più spediti lo devono alla palla di piombo degli italiani del Sud, e ai fratelli del Sud di considerarsi gli eterni sfruttati dagli italiani del Nord? Non è acuendo questi contrasti che si può rassodare il terreno su cui tutti gli italiani si possano sentire veramente fratelli, e che si può render più viva e vitale questa Repubblica democratica che il popolo ha saputo creare.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti