[Il 13 dicembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]

Il Presidente Terracini riapre la discussione sull'articolo 19, ricordando che si è già deciso di esaminare partitamente il controllo sugli atti delle Regioni e quello sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali. Per quanto concerne gli atti delle Regioni, si è giunti alla conclusione di ammettere un controllo di legittimità, e non un controllo di merito, e che l'organo incaricato di esercitarlo fosse esterno alle Regioni stesse. Si è quindi posta la questione del referendum e l'onorevole Mortati ha fatto presente il suo punto di vista che l'istituto dovesse avere una configurazione propria ed essere disciplinato in un'altra parte del progetto, e precisamente là dove si tratta della formazione delle leggi regionali.

Ricorda che nel capo: «Organi della Regione», all'articolo 11, si è introdotta la seguente norma, partendo dal presupposto che il popolo, attraverso il referendum, può considerarsi organo deliberante: «I casi e le modalità di applicazione del referendum popolare saranno regolati dallo Statuto regionale». Nell'articolo 19, invece, il referendum viene previsto come mezzo per il controllo di merito su determinate deliberazioni delle Regioni.

Mortati fa presente che, a stretto rigore, nell'articolo 19 il referendum non è considerato come un mezzo di controllo, bensì come una condizione che fa venir meno il controllo di merito.

Comunque, l'importante nel momento attuale è decidere se si vuole condizionare l'eseguibilità di certe deliberazioni delle Regioni al previo consenso del corpo elettorale e se si preferisce parlarne nella Costituzione o limitarsi, in questa, ad un rinvio agli Statuti regionali.

Perassi esprime l'avviso che, con la formula ricordata dal Presidente, il problema sia già risolto nel senso che competa agli Statuti regionali la determinazione degli atti per la cui formazione si deve esigere il concorso integrativo del voto popolare (a titolo consultivo o a titolo obbligatorio). Nell'articolo in esame si potrebbe quindi richiamare la deliberazione già presa.

Laconi sostiene che la disciplina del referendum, sia che lo si concepisca come strumento di controllo, che come mezzo di consultazione, non può essere rimessa agli Statuti, che possono essere diversi da Regione a Regione. Trattandosi di un istituto democratico, deve essere regolato nella Costituzione o in una legge costituzionale con norme identiche per tutta la Nazione. A suo parere, la sede più appropriata per parlare del referendum sarebbe appunto l'articolo 19, concernente il controllo sugli atti delle Regioni e degli enti locali, in modo da configurarlo come una forma di controllo più estesa, in quanto egli non ammette che il corpo elettorale possa venire considerato come un organo legiferante (articolo 11).

Riassume pertanto il suo pensiero in merito al referendum popolare, nei seguenti punti: 1°) escludere il rinvio agli Statuti regionali; 2°) far riferimento invece ad una legge di carattere costituzionale, ovvero — se si preferisce affermare il principio nella Carta costituzionale — trattarne nell'articolo 19.

Mannironi propone la seguente formula: «Quando lo richiedano la maggioranza assoluta della Assemblea regionale o un ventesimo degli elettori, la decisione su determinati progetti può essere rimessa al referendum popolare».

Mortati chiede all'onorevole Mannironi se intende riferirsi ad atti legislativi o amministrativi.

Mannironi si dichiara disposto a modificare il suo testo nel senso di precisare «atti d'amministrazione».

Bozzi osserva che l'Assemblea regionale non è un organo di carattere amministrativo.

Il Presidente Terracini ritiene che il ricorso al referendum sia da ammettere, in determinate circostanze, su qualsiasi deliberazione della Assemblea regionale.

Lussu si duole che si deliberi su una questione così importante in assenza del Relatore.

Venendo a parlare del referendum, dichiara di consentire che si parli di questa manifestazione di volontà popolare come di un controllo, per quanto effettivamente non lo sia, ma di ritenere inconcepibile che possa applicarsi anche nei riguardi dell'attività legislativa delle Regioni. Ciò svuoterebbe di ogni contenuto l'articolo 12.

Pertanto crede che la proposta dell'onorevole Mannironi debba riferirsi esclusivamente agli atti amministrativi che incidano in modo grave sul bilancio regionale. Teme piuttosto che, essendosi adottato il criterio del controllo da parte di un organo al di fuori della Regione, possa verificarsi un contrasto tra la volontà espressa dal popolo mediante il referendum e quella espressa dall'organo di controllo esterno. Invita quindi i colleghi ad esaminare bene tutti gli aspetti del problema, prima di approvare la coesistenza delle due forme di controllo.

Mannironi non condivide le preoccupazioni dell'onorevole Lussu in quanto le due forme di controllo concernono, l'una la legittimità dell'atto e l'altra il merito.

Fa notare che l'istituto del referendum è usato in Nazioni democratiche, come la Svizzera, e potrà essere molto utile anche nelle nostre Regioni, poiché, creandosi un nuovo organismo, la classe dirigente sarà sprovvista di esperienza e nelle incertezze e nei contrasti non v'è miglior giudice del popolo, consultato attraverso al referendum.

Fabbri conviene, in via di massima, con i concetti espressi dall'onorevole Perassi, che sia, cioè, sufficiente la formula introdotta nell'articolo 11; ma dissente da lui quando concepisce gli Statuti regionali come ordinamenti deliberati da ogni singola Regione. A suo avviso, l'attività delle Regioni in questo campo dovrebbe essere limitata alla integrazione della legge comunale e regionale emanata dallo Stato.

Soprattutto non gli sembra che sia opportuno parlare del referendum nell'articolo in esame per un'altra considerazione: esso non può ritenersi senz'altro sostitutivo del controllo e non può avere un carattere risolutivo, giacché gli atti sottoposti a referendum — in quanto possono comportare una spesa eccessiva o violare una legge dello Stato — potrebbero a loro volta trovare una remora in sede di controllo di legittimità.

Il Presidente Terracini aderisce sostanzialmente alla proposta Mannironi, della quale, tuttavia, non approva il criterio di richiedere per il ricorso al referendum la maggioranza assoluta dell'Assemblea regionale. Posto che, se mai, il referendum è una garanzia della minoranza — sempre che sia notevole — propone di diminuire il quorum ai due quinti dell'Assemblea regionale.

Nota quindi che con l'espressione «può essere rimessa» resta condizionata l'accettazione del referendum che, invece, una volta richiesto da quella determinata percentuale di Deputati, non può non essere accordato.

Concludendo, informa che, qualora venisse accolto il suo punto di vista, il comma dovrebbe essere così formulato: «Quando lo richiedano i due quinti dell'Assemblea regionale o un ventesimo degli elettori, la decisione su determinati atti amministrativi è rimessa al referendum popolare».

Mannironi, nel dichiarare che non ha difficoltà ad accettare le modifiche proposte dal Presidente, spiega che ha suggerito la richiesta della maggioranza assoluta dell'Assemblea per impedire che alla consultazione popolare si ricorra con estrema facilità.

Perassi domanda all'onorevole Mannironi se nella sua proposta il referendum ha un valore decisivo o consultivo.

Mannironi risponde che avrebbe valore decisivo.

Uberti nota che, avendo la Sottocommissione modificata l'impostazione del progetto elaborato dal Comitato di redazione, forse questo accenno al referendum nell'articolo 19 non ha più ragione d'essere, e si delinea la necessità di redigere un apposito articolo per tale istituto. Certo è che il referendum corrisponde allo spirito della riforma dell'ordinamento regionale, in quanto mira a realizzare una democrazia diretta e a far partecipare più ampiamente il popolo alla vita amministrativa locale. Piuttosto è difficile stabilire in quali occasioni può indirsi il referendum (il Comitato ne aveva segnalata una soltanto) ed a questo proposito trova giusta l'idea dell'onorevole Perassi di lasciare che, secondo quanto già deliberato, i casi e le modalità di applicazione del referendum popolare siano regolati dagli Statuti regionali.

Il Presidente Terracini concorda nel ritenere che il referendum debba essere applicato soprattutto nella Regione, in quanto soltanto una larga prassi nell'ambito regionale e comunale potrà farne avvertire l'utilità in sede nazionale: l'applicazione più facile e quindi più frequente che può farsene negli ambienti ristretti fa sviluppare la tendenza a maneggiare questo strumento di intervento diretto del popolo. Comunque, l'affermazione che nell'ordinamento regionale debba usarsi il referendum è contenuta nel comma già votato.

Perassi osserva che si potrà calcare maggiormente l'affermazione; ma insiste nel ritenere che sia meglio lasciare agli Statuti regionali la determinazione dei casi in cui il referendum sarà applicato e del suo valore (obbligatorio o consultivo).

Ciò non toglie che personalmente sia perfettamente d'accordo nel ritenere essenziale nell'ordinamento regionale una larga applicazione del referendum.

Mortati propone la formulazione seguente:

«Oltre che nei casi che saranno fissati dalla legge o dallo Statuto regionale, la Deputazione regionale potrà subordinare all'approvazione popolare l'esecuzione di determinate misure. Tale approvazione dovrà essere effettuata quando la richiedano i due quinti dei componenti l'Assemblea, oppure un decimo degli elettori della Regione. La richiesta di cui al secondo comma sospende l'esecuzione della misura».

Il Presidente Terracini crede che si potrebbe adottare la seguente dizione:

«Sugli atti della Assemblea regionale, quando abbiano carattere legislativo o comunque impegnino il bilancio annuo per più di un decimo delle entrate e per oltre cinque anni, ove sia richiesto da almeno due quinti dell'Assemblea o da un ventesimo degli elettori, dovrà procedersi a referendum popolare, sospensivo della esecutività dell'atto».

Pone in evidenza che in questa sua formula si riprende l'elemento condizionativo del referendum consigliato dal Comitato, in quanto le proposte del Comitato stesso sono frutto di un esame approfondito e di calcoli che la Sottocommissione non ha certamente avuto agio di fare nella odierna breve discussione.

Bozzi crede che la Sottocommissione debba per il momento limitarsi ad esaminare l'opportunità di utilizzare l'istituto del referendum come strumento di controllo amministrativo, senza trattenersi sulle sue applicazioni nel campo legislativo, di cui si è già parlato.

Osserva quindi che non può escludersi che l'Assemblea regionale emani degli atti che nella sostanza siano amministrativi, ma questo sarebbe un fatto eccezionale, perché di regola gli atti amministrativi della Regione saranno emanati dalla Deputazione regionale.

Accede quindi sostanzialmente alla proposta dell'onorevole Mortati, la quale consta di tre parti: nella prima si prevede che la legge o lo Statuto regionale possano stabilire dei casi in cui si debba ricorrere al referendum come mezzo di controllo preventivo (prima che l'atto spieghi la sua efficacia); nella seconda parte si aggiunge che il referendum può essere richiesto dalla Deputazione regionale, cioè, dal potere esecutivo della Regione; nella terza si precisa che il potere di indire il referendum può competere anche all'Assemblea regionale e alla popolazione.

Pensa che quest'ultima ipotesi sia diversa dalle precedenti, in quanto la consultazione popolare non avrebbe più un carattere preventivo, perché evidentemente l'atto amministrativo emanato avrebbe già spiegato la sua efficacia; basti pensare che per raccogliere le firme di un ventesimo degli elettori occorrerà un tempo considerevole. Si avrebbe dunque una forma di controllo successivo, a parte il fatto che la richiesta di referendum avrebbe efficacia sospensiva sull'atto.

Riepilogando, pone in evidenza che nella proposta dell'onorevole Mortati si prevedono: A) una forma di controllo preventivo: 1°) nei casi stabiliti dalla legge; 2°) nei casi stabiliti dallo Statuto; 3°) quando lo richieda la Deputazione regionale; B) una forma di controllo successivo, con effetto sospensivo della esecutività degli atti: 1°) in seguito a richiesta di un determinato quorum dell'organo legislativo della Regione; 2°) in seguito a richiesta di una determinata frazione della popolazione.

Il Presidente Terracini, premesso che la Sottocommissione ha già manifestato l'avviso che il referendum sia utile nella vita della Regione, avverte che ora dovrebbe pronunziarsi su una questione più precisa; se, cioè, si vuole ammettere il referendum come mezzo di controllo sugli atti amministrativi della Regione.

Aggiunge che personalmente ritiene che gli atti amministrativi della Regione non promanano esclusivamente dalla Deputazione regionale, ma anche dall'Assemblea regionale, per quanto formalmente possano assumere la veste di leggi.

Mortati, in seguito alle osservazioni del Presidente, propone di modificare la formula che personalmente ha proposto sostituendo, alle parole «la Deputazione regionale», le altre: «l'autorità competente ad emettere il provvedimento».

Codacci Pisanelli sostiene che anche per gli atti amministrativi emanati dall'Assemblea regionale debbono valere i criteri fin qui seguiti per gli atti sostanzialmente amministrativi emanati dall'Assemblea nazionale, che tuttavia, nonostante il loro contenuto, non si possono considerare come atti amministrativi, perché quella che prevale è la forma.

In sostanza è il fondamentale principio della divisione dei poteri che si ripercuote sull'ordinamento regionale, facendo sì che ciascuna delle funzioni sovrane venga esercitata esclusivamente da un determinato organismo. Perciò, quando si parla del referendum come strumento di controllo sugli atti amministrativi, ci si deve riferire soltanto a quegli atti amministrativi regionali che siano tali anche nella forma.

Fabbri, rilevate le difficoltà in cui si dibatte la Sottocommissione nell'attuale discussione, per il fatto che spesso gli atti amministrativi si traducono in leggi formali e si è già studiato tutto un sistema di controllo dell'attività legislativa delle Regioni (articolo 12), propone di disciplinare il referendum popolare in un titolo a sé stante con una formulazione generica, la quale si adatti, sia al campo legislativo che a quello amministrativo, e ne consenta l'applicazione tanto alle Regioni che ai Comuni.

Così il referendum, nel campo legislativo costituirà uno degli elementi coadiutori per la formazione della legge, e non escluderà il successivo controllo, previsto dall'articolo 12, nell'eventualità che la manifestazione di volontà popolare contrasti con l'interesse nazionale o con le norme costituzionali; in sede di atti amministrativi, in quanto produce effetto sospensivo, servirà a conferire una maggiore serietà agli atti stessi senza sottrarli ad un eventuale controllo di legittimità o di merito.

Mortati concorda con l'onorevole Fabbri e riafferma che non bisogna confondere il controllo col referendum, perché costituiscono istituti e momenti diversi.

Il Presidente Terracini pone ai voti la proposta di dedicare un titolo speciale al referendum popolare.

(È approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti