[Il 15 dicembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]

Il Presidente Terracini. [...] Mette in discussione l'articolo 21 del progetto del Comitato di redazione:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà deliberato, in armonia ai principî informatori degli articoli precedenti, dalla rispettiva Assemblea regionale, e verrà sottoposto alla ratifica del Parlamento».

Grieco è contrario a questo articolo e ne propone la soppressione per le ragioni già altra volta esposte. Sarebbe favorevole allo Statuto unico, ma a suo parere ciò equivarrebbe — salvo per le quattro Regioni di cui si parla all'articolo 2 — a fare riferimento alla legge comunale e regionale.

Mortati propone il seguente emendamento:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali con legge dell'Assemblea regionale deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza dei due terzi dei voti».

Targetti chiede che cosa avverrebbe nel caso di mancata ratifica dello Statuto regionale da parte del Parlamento.

Fabbri aderisce ai concetti esposti dall'onorevole Grieco, ma non sarebbe per l'abolizione assoluta dell'articolo 21, in quanto con ciò si lascerebbe una lacuna nel progetto dell'autonomia regionale. Direbbe quindi: «Lo Statuto della Regione, in armonia ai principî della Costituzione, sarà deliberato in sede di legge comunale e regionale.

Ambrosini, Relatore, esprime la sua opinione personale. Lo Statuto deve sostanzialmente contenere il regolamento di applicazione delle norme stabilite nella Costituzione: ma sarebbe formalmente una legge della Regione per la quale è prevista l'approvazione del Parlamento. Ritiene che soltanto la parola «Statuto» sia causa di apprensioni ed egli non esiterebbe a riconnettere il congegno della sua formazione a quello previsto dall'articolo 12, cioè con possibilità di impugnativa da parte del Governo centrale. Con ciò spiega l'inciso dell'articolo 21, «verrà sottoposto a ratifica del Parlamento», che fu dal Comitato preferito all'altro: «sarà approvato dal Parlamento», per rendere più chiaro che ogni Regione ha il modo di attuare i principî stabiliti dalla Costituzione. Così, quando il Parlamento avrà detta l'ultima parola, nessuna controversia sarà più possibile.

Risponde all'onorevole Targetti che, in caso di mancata ratifica dello Statuto regionale da parte del Parlamento, si seguirebbe il principio generale che non può essere se non quello dell'articolo 12, e l'Assemblea regionale sarebbe nuovamente investita della questione.

Mortati osserva all'onorevole Grieco che un potere di autoorganizzazione è stato dato anche al Comune; non crede quindi che lo si possa negare alla Regione: la Regione lo esplicherà nell'ambito della competenza conferitale dalla legge speciale, cioè mediante emanazione del suo Statuto.

Laconi ha rilevato dalla discussione come si parli impropriamente di «Statuto» e quindi vorrebbe che si sostituisse questa parola, la quale non ha senso dopo la elaborazione fatta dalla Sottocommissione di ben 20 articoli i quali costituiscono, a suo parere, il vero Statuto della Regione. Non crede che l'ordinamento della Regione possa essere così fluttuante da seguire la mutevole sorte delle assemblee e quindi è favorevole alla proposta dell'onorevole Grieco di affidare questa materia ad una legge che fissi l'inquadramento generale della Regione e del Comune, lasciando poi a ciascuna Regione, entro un ambito preciso, la facoltà di regolamentarsi da sé.

La Rocca ritiene anch'egli fuori luogo parlare di Statuti particolari delle Regioni e propone che, invece della parola «statuto», si dica «regolamento», come è suggerito da quanto ha detto il Relatore.

Ambrosini, Relatore, fa presente che questa sarebbe una legge di integrazione e che, con la parola «Statuto», si deve intendere quel complesso di norme che ogni ente si dà all'atto della sua costituzione.

Bozzi non ritiene fondate le preoccupazioni di alcuni colleghi, perché la potestà di emanare lo Statuto spetterebbe sempre alla Regione come ente autonomo, anche se nell'articolo 21 non se ne facesse menzione; perché, in definitiva, tali Statuti non sono altro che regolamenti.

Più grave ritiene la questione se questi Statuti debbano essere sottoposti a ratifica del Parlamento o debbano seguire la procedura normale prevista dall'articolo 12, propria di ogni legge della Regione. Trova una certa contraddizione in quanto ha detto il Relatore, perché, mentre con la procedura dell'articolo 12 il Governo può rinviare o non rinviare al Parlamento o all'Alta Corte Costituzionale, per questioni di legittimità o di merito, le deliberazioni delle Regioni, nel caso previsto dall'articolo 21 il Governo avrebbe un'attività vincolata, in quanto dovrebbe rinviare necessariamente lo Statuto che non avesse approvato.

Rileva poi la improprietà della parola «ratifica», poiché qui si è nel campo dell'«approvazione».

La garanzia di questa approvazione non sussisterebbe, se si sopprimesse l'articolo: perciò egli è del parere che lo si debba mantenere.

Mannironi propone la seguente formulazione:

«Ogni Regione potrà emanare un Regolamento per l'attuazione delle norme generali costituzionali; tale Regolamento sarà sottoposto all'approvazione prevista dall'articolo 12».

Il Presidente Terracini suggerisce un emendamento di forma: «...sottoposto alla procedura prevista dall'articolo 12».

Di Giovanni osserva che il vero Statuto costitutivo della Regione è quello che la Sottocommissione sta ora discutendo, per cui la Regione avrebbe, se mai, il diritto di emanare norme di applicazione, diritto riconosciuto dall'articolo 4, con i temperamenti previsti dall'articolo 12. Riterrebbe quindi superflua una legge speciale intesa come legge regolamentare; ad ogni modo, questa non potrebbe essere uniforme per tutte le Regioni, dovendo adattarsi alle particolari condizioni di ciascuna.

Perassi rileva la differenza tra il significato giuridico della parola «Statuto», adoperata nell'articolo 2 e nell'articolo 21: nel primo caso si tratta di una legge dello Stato, nel secondo di un atto quale è previsto nella legge istituzionale di un ente; ed in quest'ultimo significato è qui adoperata la parola «Statuto». Questo conterrà quindi tutti quei dettagli non vincolati o precisati dalla Costituzione o dalle leggi integrative: così, ad esempio, lo stabilire l'indennità dei membri dell'Assemblea Regionale, la eventuale suddivisione delle Province in circoscrizioni minori, ecc.

Quanto alla proposta Mortati, rileva che essa contiene una procedura un po' più complicata di quella prevista dal Comitato, ma accetta il criterio della maggioranza qualificata. Tale proposta, poi, non fa parola dell'intervento dello Stato, mentre quella del Comitato parla di «ratifica» (parola giuridicamente impropria), analogamente a quanto avviene in Svizzera per le Costituzioni cantonali, che debbono essere approvate dall'Assemblea federale. Egli potrebbe accedere alla proposta Mortati nel senso che lo Statuto seguirebbe la sorte della legge ordinaria; ma, per avere maggiori garanzie, crede si potrebbe stabilire che gli Statuti regionali debbano essere sottoposti all'approvazione del Parlamento Nazionale.

Grieco domanda quale margine potrà restare per lo Statuto regionale se — come spesso si è ricordato — vi sarà una legge regionale e comunale.

Perassi ritiene che un margine vi sarà sempre, perché le varie leggi statali, a cui spesso è fatto riferimento nella Costituzione, non potranno regolare se non le materie ad esse dalla Costituzione stessa demandate.

Lami Starnuti dichiara che, se per «Statuto» deve intendersi un regolamento interno in senso stretto, ciò lo convince sempre più dell'inutilità dell'articolo 21: aderisce quindi alla proposta di soppressione fatta dall'onorevole Grieco.

Fuschini invita i colleghi ad esaminare quanto è stato elaborato finora nei riguardi della struttura speciale dell'ente Regione. Si è tracciata l'ossatura dello Statuto regionale: quello di cui ora si parla non può riguardare che dei modi di esecuzione di determinati principî già elaborati. Pensa quindi che possa esser sufficiente stabilire che l'Assemblea regionale, nella sua potestà regolamentare, fisserà questi modi di esecuzione, in maniera che vi sia una garanzia per tutti. Accetta quindi la proposta dell'onorevole Mortati, che dà questa garanzia imponendo una maggioranza qualificata per l'approvazione degli Statuti regionali.

Nobile presenta una proposta sostitutiva del seguente tenore:

«Una legge dello Stato stabilirà le norme generali per l'applicazione dell'ordinamento regionale».

Mannironi dà ragione del suo emendamento sostitutivo, facendo presente che ha inteso riferirsi ad una attività legislativa della Regione che integri o attui, attraverso norme regolamentari, le norme generali che si stanno delineando nella Costituzione. Afferma che non è esatto dire che quanto si sta facendo in questa sede è lo Statuto definitivo della Regione, perché ciò non basta a far funzionare la Regione. Si richiama alle disposizioni dell'articolo 4-ter, per rilevare la necessità di dare nella Costituzione alle Regioni espresso mandato di esercitare questo potere regolamentare.

Lussu rileva che la preoccupazione dei colleghi i quali hanno chiesto la soppressione dell'articolo 21 e la richiesta di una legge speciale, nasce forse dal timore di dare ad ogni Regione un carattere eccessivamente particolaristico, a danno della legislazione generale e del potere centrale. Tale preoccupazione, a suo parere, non è fondata, perché vi è sempre la legge costituzionale che detta i principî fondamentali regolatori dell'ente Regione, fuori dei quali vi sarebbe soltanto l'arbitrio. Ricorda che il Comitato, parlando di Statuto, ha inteso appunto parlare dell'organizzazione interna della Regione nei limiti consentiti dai principî fondamentali compresi nella Carta Costituzionale. Ritiene che la parola «Statuto» possa far nascere degli equivoci, e che forse sarebbe stato bene adoperarla soltanto per le quattro Regioni a cui fa riferimento l'articolo 2; mentre qui si sarebbe dovuto parlare di «organizzazione interna». Ma osserva che l'essenziale è di consentire che la Regione si costruisca da sé questa organizzazione interna. Fa inoltre presente la garanzia stabilita dall'articolo 21 ed accetterebbe anche la condizione della maggioranza qualificata e della ratifica del Parlamento. Si dichiara perciò favorevole alla conservazione dell'articolo 21, accettando eventualmente una modificazione del termine «Statuto».

Uberti ritiene che, se si fosse dovuto fare un vero Statuto della Regione, si sarebbero dovuti redigere ben più di 24 articoli, mentre ci si è limitati ai punti fondamentali e sostanziali, a fissare cioè i limiti entro i quali lo Statuto della Regione deve rimanere. Cita l'esempio della Deputazione regionale, per la quale è riservato appunto allo Statuto stabilire il modo di formazione e fissare il numero dei membri: così si dica per i bilanci, per le spese facoltative ecc. Tutta l'organizzazione interna della Regione resta, a suo parere, riservata allo Statuto regionale. Teme che, affidando ad una legge regionale e comunale la facoltà di stabilire questa organizzazione, possa verificarsi qualche intromissione della burocrazia centrale e togliersi così ogni possibilità di affermazione della Regione. Ancor oggi, infatti, in molti casi è l'Amministrazione statale quella che decide in luogo del Parlamento e del Governo. Si dichiara perciò contrario ad un regolamento generale sulle Regioni, che ne vulnererebbe gravemente l'autonomia.

Non fa questione di parole; l'importante è che siano affermati alcuni principî fondamentali, che verranno sviluppati poi diversamente nelle varie Regioni.

Ritiene che l'obbligo della ratifica, mentre impedisce qualsiasi infrazione alle norme fondamentali dello Stato, garantisca una collaborazione effettiva tra il Parlamento e le forze regionali, senza il pericolo di una predisposizione dal centro, fondamentalmente contraria all'autonomia regionale.

Ritiene perciò necessario mantenere l'articolo 21.

Vanoni osserva che non si è tenuta abbastanza presente la chiarificazione tecnica data dall'onorevole Perassi, che cioè esiste una zona, una materia di competenza della Regione, che deve essere regolata. Afferma che, se la Regione non ha un suo Statuto, si attenua notevolmente il contenuto dell'autonomia regionale. Il fatto che si passa da uno Stato accentratore ad uno Stato organizzato su basi regionali non deve fuorviare nella valutazione della opportunità di uno Statuto, sulla quale non potrebbe sorgere dubbio se si fosse invece passati dal particolare all'unitario e al centrale.

A proposito delle Regioni già in possesso di un particolare Statuto, dichiara che non si può accettare il concetto di due diversi tipi di autonomia: esso è unico, ma può essere diverso il contenuto concreto delle singole autonomie. Non può aderire, perciò — e parla anche a nome del suo Partito — a quanto risulterebbe dalle affermazioni dell'onorevole Grieco, che solo quattro Regioni hanno l'autonomia e le altre un semplice decentramento amministrativo: vi è, invece, un ordinamento autonomo regionale per tutte le Regioni; ed egli vorrebbe salvato anche il nome di «Statuto», che disciplinerà una autonomia più o meno estesa.

Ritiene però che questa esigenza della regolamentazione delle singole autonomie debba essere realizzata nel quadro dell'unità dello Stato; ed appunto per evitare contrasti, soccorre la proposta di sottoporre gli Statuti regionali all'approvazione del Parlamento, che egli interpreta come un espediente tecnico per realizzare un controllo. Quanto alla esigenza di non permettere una eccessiva divergenza tra i singoli Statuti, crede che possa essere soddisfatta col sistema che vale per tutte le leggi regionali in caso di conflitto di interessi, previsto dall'articolo 12.

Nobile aderisce alla proposta dell'onorevole Grieco. Non ritiene che si attenui il concetto di autonomia eliminando la parola «Statuto» e prevede gravi divergenze tra uno Statuto e l'altro, se si lascia ad ogni Regione la facoltà di darsene uno. Si preoccupa della esagerazione del concetto di autonomia, che lo porta a pensare alla creazione di dicasteri regionali. Trova giusto che si debba concedere ad ogni Regione la regolamentazione della sua struttura, ma crede sia sufficiente una legge generale di applicazione dell'ordinamento regionale.

Dichiara infine che, nel caso che il suo emendamento non fosse approvato, si assocerebbe alla proposta dell'onorevole Fabbri.

Conti è d'accordo con l'onorevole Vanoni e ritiene che si debba mantenere il termine «Statuto». Bisogna affermare il diritto di tutte le Regioni di darsi l'ordinamento più confacente ai loro interessi e alla loro natura.

Bordon non ha nulla da obiettare a che si emanino «Statuti» — o meglio «Regolamenti» — per ogni Regione; ma osserva che non tutte le Regioni vanno poste su uno stesso piano, perché l'effetto giuridico della legge, rispetto all'autonomia, ha un carattere costituzionale speciale per le quattro Regioni di cui all'articolo 2, ed un carattere generale rispetto alle altre. Ricorda il tipo particolare di autonomia che si è dato alla Val d'Aosta.

Tosato osserva che la questione presenta due aspetti: uno puramente verbale e l'altro sostanziale. Si domanda se deve parlarsi di «Statuto» o di «Regolamento» e risponde che, in quanto ogni ente ha un proprio assetto fondamentale che regola la sua organizzazione e la sua attività, in quanto cioè esso vive, esso ha un proprio «Statuto»: e la parola non deve destare preoccupazioni di sorta.

Ritiene che con questi articoli non si sia fatto lo Statuto della Regione: si sono soltanto date delle norme costituzionali, che prevedono la creazione dell'Ente Regione, ma che non gli danno ancor vita, poiché vita gli verrà data solo da un atto concreto, dallo Statuto, il quale dovrà naturalmente rispettare le norme fondamentali già emanate, come limite della sua portata. Ritiene che questo Statuto potrà contenere moltissimo: dall'organizzazione della Deputazione regionale a quella sanitaria, dalla formazione dei diversi uffici all'organico degli impiegati. Pensa che una legge regionale generale per le Regioni darebbe un risultato perfettamente analogo a quello che ha dato la legge provinciale e comunale per i Comuni, ed avrebbe, oltre allo stesso difetto di plasmare tutte le Regioni in egual modo, anche l'altro più grave di limitare di fatto la loro autonomia. Ritiene che, dal momento che si è creata la Regione, è necessario darle una propria individualità e, sempre nell'ambito della Costituzione, un margine di discrezionalità; e non soffocare l'esigenza fondamentale della sua autonomia.

Ambrosini, Relatore, ritiene che la controversia sia più di forma che di sostanza, perché è da tutti riconosciuta la necessità che la Regione perfezioni l'ordinamento stabilito dalla Costituzione. Una volta precisato il significato della parola «Statuto», esso non può suscitare preoccupazioni ed egli non avrebbe difficoltà a proporre che si concretasse non nei limiti di una semplice regolamentazione, ma in base al concetto informatore degli articoli 4 e 4-bis che danno alla Regione una potestà legislativa ed un potere di integrazione.

Non gli sembra poi di essere caduto nella contraddizione di cui ha parlato l'onorevole Bozzi, perché egli prospettò le due possibilità: o la procedura normale dell'articolo 12, come è anche voluta dall'onorevole Mortati o, trattandosi di una norma fondamentale che si differenzia da tutte le altre leggi regionali, quella dell'articolo 21; e il Comitato di redazione — pur obiettandosi da taluno che ciò costituiva una diminuzione dell'autonomia delle Regioni — decise di ricorrere a questa misura estrema dell'articolo 21 per togliere ogni possibilità di preoccupazione.

Quanto alla parola «ratifica», spiega come essa sia stata adottata dal Comitato, quasi a chiarire che non era ancora perfezionato l'atto deliberato dall'Assemblea regionale.

Dati questi chiarimenti, ritiene che si possa approvare senz'altro l'articolo 21 che, con l'obbligo della ratifica, non rende più necessaria, a suo parere, la richiesta di una maggioranza qualificata nella votazione dell'Assemblea regionale.

Il Presidente Terracini osserva all'onorevole Vanoni e all'onorevole Mortati che il concetto di autonomia come quello di forza, è limitato nella misura. Non crede si possano affidare a criteri di autonomia i problemi di organizzazione e di funzionamento delle Regioni e pensa che il popolo italiano, pur differenziato da Regione a Regione, sia per fortuna così unitario da poter condurre tali problemi ad analoghe soluzioni. L'autonomia consiste nel fatto che la Regione ha il potere di decidere su determinate materie, e, a suo parere, si manifesta nel risultato a cui si giungerà applicando la stessa organizzazione ad una materia diversa da Regione a Regione: questa autonomia sarà tradotta in pratica con lo stesso organo e lo stesso funzionamento, ma porterà a conclusioni diverse, non perché vi saranno differenze nell'ordinamento interno, ma perché diverso sarà il modo di pensare di chi sta a capo.

Obietta all'onorevole Tosato che l'atto il quale dà vita alla Regione non è lo Statuto regionale, ma la Carta Costituzionale.

Tosato interrompe per osservare che la Carta Costituzionale permette la Regione, ma non le dà vita.

Il Presidente Terracini risponde che, se così fosse, l'ordinamento regionale sarebbe facoltativo. È anche d'opinione che le diversità tra le varie Province, molto meno forti di quelle tra Comune e Comune, non fanno temere che un regime unico possa livellarle in una irreggimentazione nociva.

È d'accordo con l'onorevole Ambrosini nel concetto che lo Statuto regionale non sarà che una integrazione dello Statuto fondamentale della Regione che si sta redigendo; e ritiene che basterebbe aggiungere, alla elencazione dell'articolo 4-bis, che spetta alla Regione anche il potere legislativo sulle norme speciali attinenti al regolamento regionale. Si avrebbero così anche quelle cautele previste dall'articolo 12.

Dichiara di essere personalmente favorevole all'emendamento Mannironi che vorrebbe completato così: «Ogni Regione potrà emanare un regolamento per l'attuazione delle norme generali costituzionali e delle leggi speciali previste dalla Costituzione attinenti all'ordinamento regionale». In tale forma lo farà suo, qualora l'onorevole Mannironi ritirasse il proprio.

Mannironi chiarisce la portata del suo emendamento nel senso che non ha usato la parola «Statuto», unicamente per non far sorgere dubbi sul suo significato; e che, parlando di norme di attuazione, intendeva riferirsi ad un potere non solo regolamentare ma anche d'integrazione, nel senso usato dall'onorevole Tosato, al quale aderisce completamente. Per evitare equivoci ritira l'emendamento proposto.

Tosato osserva che, se si stabilisse di far riferimento ad una legge regionale generale, la Costituzione e il funzionamento delle Regioni sarebbero rimandante molto a lungo, fino a quando cioè tale legge sarà emanata. Insiste nel suo concetto che la Carta costituzionale creerà la Regione come ente giuridico, ma sarà lo Statuto a darle vita.

Lami Starnuti osserva che la compilazione dello «Statuto» potrebbe ritardare il sorgere completo della Regione, e così pure che l'attesa della ratifica o — in caso di controversia — della decisione della Corte delle garanzie costituzionali, potrebbe paralizzare per lunghi mesi l'attività regionale. Ritiene che sia più semplice approntare una legge costituzionale particolare riguardante le Regioni e i Comuni; ma che, per poter dar vita immediata alla Regione, si potrebbe tener conto di una sua proposta — la quale dovrebbe trovar posto nell'articolo 24, contenente norme transitorie — per l'estensione alla Regione dell'attuale legge comunale e provinciale. Mantiene la sua adesione alla proposta dell'onorevole Grieco.

Mortati osserva al Presidente che, se l'autonomia della Regione può esplicarsi nel campo funzionale e non organizzativo, ciò dovrebbe valere anche per le quattro Regioni di cui all'articolo 2. Ma ritiene che la questione sostanziale stia nel vedere se, oltre al regolamento regionale consacrato nello Statuto, e oltre alle leggi speciali citate in singoli articoli, vi sia un margine per una legge ordinaria per l'organizzazione uniforme delle Regioni. Questo punto, accennato dall'onorevole Grieco, non è stato chiarito.

Il Presidente Terracini fa notare che per le Regioni di cui all'articolo 2 la questione si pone diversamente, e distingue tra esse le Regioni mistilingui, per le quali è prevista nello Statuto la possibilità per le due parti di influire egualmente nella vita della Regione.

Quanto al quesito posto dall'onorevole Mortati, gli sembra che una risposta si sia data quando furono esaminati gli articoli 8, 4 e 4-bis e quando si parlò di legislazione primaria e di legislazione concorrente: una proposta circa la facoltà della Regione di potersi dare quella organizzazione non prevista dalle leggi fondamentali, avrebbe dovuto farsi in quella sede.

Perassi ricorda che allora si disse che questa materia regolamentare avrebbe dovuto essere esaminata a proposito dell'articolo 21; e che lo Statuto regionale non fu elencato tra le materie per le quali si dà alle Regioni il potere di integrazione, appunto perché esso rientrava nella disposizione dell'articolo 21.

Grieco prega l'onorevole Vanoni di non voler vedere in quanto egli ha detto l'intenzione di attenuare l'autonomia regionale, sulla quale ha già dichiarato senza reticenze il suo pensiero.

Rispondendo all'onorevole Mortati, crede che vi sia un margine per una legge regionale e comunale ed, a tale proposito, modifica la sua precedente proposta di soppressione dell'articolo — aderendo in ciò a quanto ha detto l'onorevole Fabbri — nella seguente, sostitutiva: «La legge regionale e comunale stabilirà le norme per l'applicazione dei principî indicati negli articoli precedenti».

Vanoni ritiene che, se si approvasse la proposta dell'onorevole Grieco, si potrebbe considerare assolutamente inutile ai fini costituzionali tutto il lavoro finora svolto: il contenuto di una legge siffatta sarebbe non costituzionale, ma amministrativo, e non si creerebbe più un ordinamento delle Regioni autonome, ma un ordinamento di decentramento amministrativo. Se si vuole svuotare l'autonomia regionale di qualsiasi contenuto, lo si dica ben chiaro; se invece si vuol salvare l'autonomia, bisogna dire che essa si fonda sugli Statuti, nei limiti dei principî già elaborati.

Fabbri aderisce in sostanza a quanto ha detto l'onorevole Grieco. Non crede pensabile che lo Stato non debba emanare norme anche di carattere formale: si richiede quindi, per chi le deve applicare, un certo ordinamento uniforme. Crede perciò che anche negli Statuti regionali molte disposizioni, ad esempio quelle riguardanti i bilanci, dovranno essere uniformi e per questo egli ha presentato il suo emendamento. Poiché nella Costituzione non si è detto nulla, è bene che sia previsto in una legge comunale e regionale, lasciando una certa facoltà di temperamento agli Statuti.

Il Presidente Terracini fa presente che le proposte degli onorevoli Grieco e Nobile, per affinità di conclusione, si potrebbero votare insieme. L'onorevole Grieco ha modificato la sua proposta così:

«Una legge costituzionale stabilirà le norme di applicazione dei principî indicati negli articoli precedenti».

Nobile dichiara di rinunciare alla sua proposta e di associarsi a quella dell'onorevole Grieco.

Ambrosini, Relatore, poiché nella proposta dell'onorevole Grieco si parla di una legge di carattere costituzionale, fa notare che il legislatore costituente non ha bisogno dell'autorizzazione della Commissione per fare quello che vuole.

Mortati ritiene sia grave stabilire con legge costituzionale delle modalità che erano state rinviate alla legge ordinaria; non crede nemmeno sia raccomandabile appesantire una Costituzione di tipo rigido come quella che si vuole creare.

Il Presidente Terracini mette ai voti la proposta dell'onorevole Grieco alla quale si è associato l'onorevole Nobile.

(Non è approvata).

Mette ai voti l'emendamento sostitutivo proposto dall'onorevole Fabbri:

«Lo Statuto della Regione, in armonia ai principî della Costituzione, sarà deliberato in sede di legge comunale e regionale».

Vanoni dichiara che voterà contro, perché è già prevista una legge per la materia finanziaria che regolerà tutti i casi. Osserva che gli interessi di carattere generale sono tenuti nel debito conto dai singoli Statuti, in una forma che non contraddice al principio di autonomia.

Lussu e Mortati dichiarano che voteranno contro.

(Non è approvata).

Il Presidente Terracini ricorda di aver fatto proprio l'emendamento aggiuntivo ritirato dall'onorevole Mannironi, nella seguente formulazione:

«Ogni Regione potrà emanare un regolamento per l'attuazione delle disposizioni generali costituzionali e delle leggi speciali previste dalla Costituzione attinenti all'ordinamento regionale. Tale regolamento sarà sottoposto alla procedura prevista dall'articolo 12».

Mannironi ritiene che, in luogo di «regolamento», si potrebbe dire «norme».

Il Presidente Terracini accetta e mette ai voti l'emendamento aggiuntivo così modificato.

Vanoni voterà contro, in considerazione del valore che egli ha dichiarato di attribuire alla parola «Statuto».

Lussu non avrebbe approvato la parola «regolamento» e non accetta neanche l'altra «norme», che non ha il significato di ordinamento interno del quale appunto si tratta. Voterà contro.

(Non è approvato).

[Il Presidente Terracini] Rilegge la formula proposta dall'onorevole Mortati:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali con legge dell'Assemblea nazionale deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza di due terzi di voti».

Conti propone il seguente emendamento aggiuntivo: «e da approvarsi con legge dello Stato». Questa frase sostituirebbe quella che si trova nel progetto del Comitato: «...e verrà sottoposto alla ratifica del Parlamento».

Ambrosini, Relatore, accetta la prima parte della proposta Mortati, che concorda con quella del Comitato. Crede sarebbe opportuno, nella seconda parte, mantenere il sistema proposto dal Comitato, che viene a diradare molti equivoci ed accederebbe perciò all'emendamento presentato dall'onorevole Conti.

Lussu propone di emendare la proposta Mortati dicendo, invece di «Statuto», «ordinamento interno», allo scopo di differenziare le quattro Regioni indicate nell'articolo 2.

Vanoni si rivolge alla sensibilità politica dell'onorevole Lussu, come lui convinto autonomista, perché non comprende come egli voglia che alcune Regioni siano poste in condizioni di inferiorità, cioè in una diversa situazione giuridica rispetto ad altre. Se l'autonomia non deve essere eguale per tutte, si va incontro ad una forma di decentramento amministrativo.

Il Presidente Terracini mette ai voti la seguente formulazione proposta dall'onorevole Lussu:

«L'ordinamento interno di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali».

(Non è approvata).

Pone in votazione la prima parte della formulazione dell'onorevole Mortati:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali con legge dell'Assemblea regionale».

(Con 15 voti favorevoli e 12 contrari, è approvata).

Mette ai voti la seconda parte della proposta Mortati:

«deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza dei due terzi dei voti».

(Con 12 voti favorevoli e 8 contrari, è approvata).

Fa presente che a questo punto si inserisce l'emendamento dell'onorevole Conti così formulato:

«e da approvarsi con legge dello Stato».

Lo pone ai voti.

(È approvato).

Legge il testo definitivo dell'articolo 21:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali, con legge dell'Assemblea regionale deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza dei due terzi dei voti e da approvarsi con legge dello Stato».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti