[Il 27 maggio 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Preti. [...] Il progetto fa della provincia una circoscrizione amministrativa della regione; e quindi, appunto, nega l'esistenza della provincia come ente autarchico, anche se poi, a questa circoscrizione amministrativa prepone, illogicamente, una Giunta con funzioni deliberative ed a carattere rappresentativo; ciò che dovrebbe essere proprio di un ente autarchico e non mai di una semplice circoscrizione amministrativa di decentramento.

Si afferma che la regione avrà una vitalità assai maggiore dell'ente autarchico provincia, che ha sempre condotto in Italia una vita grama. Ora, una vita molto brillante, in effetti, in Italia, l'ente autarchico provincia non l'ha mai condotta; ma direi che questo è avvenuto non perché la provincia si sia dimostrata incapace di assolvere alle funzioni, di volta in volta attribuitele, ma perché lo Stato non ha mai avuto fiducia nell'ente autarchico provincia, e ha sistematicamente puntato sulle prefetture, organi di decentramento gerarchico. Nel limite delle funzioni attribuitele il funzionamento della provincia è stato anzi egregio.

[...]

Contro la minaccia di sopprimere la provincia ente autarchico, per dare vita alla regione, si fa presente ciò che rappresenta oggi l'unità provinciale nella vita italiana. Oggi, le strade, le ferrovie, tutte le comunicazioni in genere si irradiano dai capoluoghi di provincia; i mercati convogliano verso di essi la maggior parte dell'attività economica; le banche accentrano le grosse operazioni nei capoluoghi di provincia; gli scambi sulla base della complementarietà avvengono in gran parte tra capoluogo di provincia e territorio rurale circostante; gli stabilimenti industriali tendono a riunirsi nella periferia dei vari capoluoghi. Gli stessi professionisti (medici, avvocati, ingegneri, ecc.) stabiliscono la loro sede nei capoluoghi provinciali.

Si spiega così facilmente come su base provinciale siano organizzati la Camera di Commercio, la Camera del lavoro, tutti gli enti in genere che sorgono dalla spontanea coagulazione delle attività economico-sociali. E provinciale è naturalmente il decentramento di tutti gli enti parastatali, da quelli assicurativi a quelli economici, così come quello delle varie branche della amministrazione statale. Onde, nel capoluogo di provincia, hanno sede l'Intendenza di finanza, l'Ufficio del lavoro, il Provveditorato agli studi, la Direzione delle poste, l'Ispettorato dell'agricoltura, la Questura, quasi sempre il Distretto territoriale, ecc.

È certo che nessuno potrà seriamente pensare di abolire tale decentramento su base provinciale, pur scomparendo la Prefettura. E preciso all'onorevole Lussu, che mi sta interrompendo, che non ho mai affermato che i regionalisti coltivino questa balzana idea.

Ma appunto perché anch'essi ammettono la «naturalità» del decentramento provinciale, dovrebbero rendersi conto della legittimità dell'aspirazione a fondare il decentramento autarchico su di un Ente che si modella sopra quel nucleo vitale, che è la provincia. Tanto più che si pensa che su certe materie attribuite alla competenza della regione, come ad esempio l'industria e il commercio, sarebbe miglior competente la provincia — quella provincia potenziata che noi vorremmo — la quale costituisce anche una cellula economica. E altre materie, come le strade, per cui si lamenta l'esiguità della circoscrizione provinciale, potrebbero essere facilmente regolate dalle province riunite in consorzio, senza bisogno di creare la regione.

Le popolazioni locali sono senza dubbio favorevoli a questa soluzione, anche perché per esse il capoluogo provinciale è a portata di mano, mentre il capoluogo regionale è spesso lontano e difficile da raggiungere. Anzi, in genere, per uno che abiti in un remoto paesello di una provincia eccentrica è lo stesso intraprendere un viaggio verso il capoluogo regionale o arrivare addirittura fino a Roma.

L'amministrazione vicina, a contatto stretto degli amministrati, è proprio una esigenza della autonomia. Tali condizioni crea la provincia; ed è anche per questo che l'ente autarchico provincia è una realtà assai più naturale di quanto non sia la regione.

Sarebbe un errore credere che le agitazioni a favore delle province siano mosse solo dagli impiegati delle loro amministrazioni o da qualche notabile locale che ha aspirazioni politiche in sede provinciale. E sono certo che, se per ipotesi si dovesse indire in Italia un referendum, per chiedere all'uomo della strada se preferisce la provincia o la regione, la quasi unanimità dei cittadini sceglierebbe la prima, perché sente e conosce solamente la provincia. (Rumori).

[...]

Rescigno. [...] non passerò in rassegna gli argomenti pro e contro la regione (da buon democratico cristiano sono per la regione), ma fermerò la mia attenzione soprattutto su due articoli di questo progetto, a proposito dei quali ho presentato degli emendamenti: darò, in altri termini, conto di questi emendamenti.

Uno è l'articolo 107, il quale decreta la morte della provincia come ente autarchico, e l'altro l'articolo 123, il quale crea le regioni, le 22 regioni italiane. Per me non hanno valore la discussione teorica, i tanti argomenti di natura dottrinale; per me ha importanza il problema pratico: come concretamente, nella realtà e nella pratica la Commissione ha proceduto nel creare queste regioni; e a quali criteri di natura geografica, di natura economica, di natura antropica si è attenuta per creare quelle regioni e non altre. Primo punto: la morte della provincia come ente autarchico territoriale. Signori, io non ricorrerò agli argomenti di natura scientifica, che pure hanno il loro valore, a cui è ricorso l'onorevole Preti; io vi sottopongo una questione d'ordine pratico. Sono Deputato provinciale della mia provincia dal luglio 1944. In questi tre anni nei quali la vita della provincia è stata veramente qualche cosa di dinamico, di agitato, di tormentoso — vita che ho seguito con un interesse appassionato — c'era tutto da rifare nella nostra provincia. Era la provincia dove è avvenuto lo sbarco degli Alleati. C'era tutto da ricostruire: ponti, acquedotti, edifici, strade; c'era da risistemare orfanotrofi, case di salute, ospedali. Ebbene, tutto questo è stato ricostruito, tutto questo è stato risistemato, ad opera della tenacia e del fervore appassionato degli organi della provincia. Questo è un argomento d'ordine pratico che vale tutti gli argomenti d'ordine scientifico. E allora io domando alla onorevole Commissione, che ha redatto l'articolo 107 ed ha con un tratto di penna abolito la provincia come ente autarchico, degradandola a semplice circoscrizione amministrativa di decentramento statale e regionale, quanto segue.

Io pongo ai componenti l'onorevole Commissione questo dilemma: «Riconoscete voi che ci siano degl'interessi e delle esigenze, che trovano soddisfacimento in questo ambito territoriale, che sta tra la regione ed il comune?».

Se li riconoscete, allora questi interessi differenziati, che stanno tra la regione ed il comune, devono avere il loro soddisfacimento e la loro rappresentanza elettiva nella provincia.

Se non li riconoscete, allora è inutile creare tra la regione e il comune una terza circoscrizione, per accrescere quella burocrazia soffocante (perché questo sarebbe l'unico effetto, senza nessun altro vantaggio), la cui eliminazione costituisce la sola aspirazione del popolo italiano.

Si dice che la provincia non è un ente naturale, non ha individualità naturale, come l'ha il comune.

Io contesto questa affermazione, perché, anche se in origine la provincia non aveva individualità naturale, essa l'ha acquistata dalla unificazione del Regno.

Ed oggi veramente si possono riconoscere come una realtà viva le parole che, fin dal 1861, diceva Marco Minghetti, quando affermava che in Italia, intorno alle città si erano venuti agglomerando i comuni rurali, i comuni minori, creando dei vincoli, che non si possono più spezzare né confondere con altri. Ed alle parole del grande statista fece eco un altro grande uomo politico nel Congresso delle province italiane, tenuto nel 1898 a Torino, Paolo Boselli, il quale scriveva in proposito delle magnifiche parole.

È l'unica lettura che mi permetto, signor Presidente, perché sono parole di Boselli e non mie.

Paolo Boselli affermava che il perno di ogni riforma amministrativa dell'Italia dovesse essere precisamente la provincia, perché la provincia è la sola associazione naturale e durevole.

E questa provincia aveva per Paolo Boselli, in Italia, più che in qualsiasi altra parte dell'Europa, una personalità spiccatissima. Scriveva così Paolo Boselli: «O sia sopravvissuta in essa qualche immagine dell'antico compartimento romano (anche dal punto di vista letterario, quando scrivevano, questi nostri predecessori erano grandi ed imponenti), o si incontri tracciata in Sicilia dalla mano della natura, dall'impronta di epoche pugnaci e gloriose; o l'abbia formata il contado, intorno alle città della Toscana; o siasi costituita in Lombardia, secondo le attinenze dei comuni censuari e le grandi colleganze agrarie ed idrauliche; sia essa emersa dai liberi comuni o dalla trasformazione del feudo; l'abbia benedetta il labaro guelfo o rafforzata il diploma imperiale, la provincia ha la sua propria vita distintamente consacrata dai secoli».

Ed effettivamente ha questa vita consacrata dai secoli.

Non è vero affatto che sia una costruzione artificiosa la provincia. Il che significherebbe che non ha tradizioni. E non è vero affatto. Basta dare uno sguardo alla storia delle nostre città, alla storia d'Italia, per convincersi del contrario.

La Savoia, la Val d'Aosta, la Valle di Susa, avevano le circoscrizioni provinciali fin dal lontano medio-evo.

Il Piemonte le aveva per lo meno dal secolo XVI; lo Stato Pontificio, per lo meno dal secolo XIII o dal secolo XIV, aveva i suoi compartimenti, con un rettore, con un Parlamento in ogni compartimento.

Nel Lombardo-Veneto, dai tempi di Maria Teresa, c'erano le cosiddette «congregazioni di patrimonio». Così nel Ducato di Modena e Reggio; così nel nostro Mezzogiorno, dove la circoscrizione provinciale si può dire che rimonti all'epoca normanna, e che, completata da Federico II, sia durata per 7 secoli, cioè fino alla formazione del Regno d'Italia.

Dunque, non costruzione artificiosa. E allora il problema della provincia, onorevoli colleghi, quale è? Il problema è un altro. Il problema è quello di fare della provincia il centro di una vita nuova. E come si fa centro di una vita nuova la provincia? Si fa accrescendo le funzioni di questo ente.

Innanzi tutto, sentivo dall'onorevole Preti parlare di prefetto, di prefettura, che dovrebbero permanere accanto alla provincia quale circoscrizione semplicemente amministrativa.

È questo uno dei problemi fondamentali da risolvere.

Eliminare questo doppione opprimente ed inutile che è la rappresentanza dello Stato nella provincia: la prefettura.

Onorevoli colleghi, quando gli alleati sono sbarcati nella mia provincia, a Salerno, quei poveri ufficiali americani non si raccapezzavano fra il prefetto ed il presidente della deputazione provinciale. Non riuscivano a capire, essi che venivano da un paese eminentemente democratico, come ci potessero essere sullo stesso territorio due autorità amministrative, cioè insieme la prefettura e la deputazione provinciale.

Ora è necessario che le funzioni di questa prefettura siano devolute tutte all'Amministrazione provinciale, perché non è vero (e questo è un altro degli errori e delle fissazioni che si ripetono, si scrivono e si dicono) che la provincia attualmente sia povera di funzioni. Non è affatto vero. Per lo meno dal 1917 le funzioni della provincia sono cresciute notevolissimamente. Non farò una rassegna minuta per non tediare. Del resto l'ha fatta già l'onorevole Preti. Ma si può sinteticamente dire che la provincia oggi è il centro di tutta una attività igienico-sanitaria, con tutti gli uffici inerenti. È il centro di tutta una attività assistenziale, la quale si potrà allargare. È il centro di tutta una attività di viabilità, la quale essa pure si potrà ampliare. Il problema è proprio quello di rendere possibile l'espansione di queste funzioni. In materia di assistenza, per esempio, se alla provincia voi darete tutta quella che è l'assistenza sociale, tutta quella che è l'assistenza del lavoro, voi avrete dato alla provincia un cumulo di funzioni e di incombenze da giustificarne da sole l'esistenza come ente autarchico.

E così in materia di viabilità, dove occorre estendere l'attività provinciale non solo alle strade intercomunali, ma anche a quelle comunali. E, del resto, anche ora la provincia non fa che accollarsi la manutenzione anche delle strade comunali, per alleggerire i comuni. Con tutto ciò voi avrete allargato, onorevoli signori, le funzioni di questo Ente, gli avrete dato una nuova vitalità, ne avrete fatto un centro fervido e pulsante della vita della Nazione.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti